IL MORTO E LE SUE DUE DONNE La prima
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IL MORTO E LE SUE DUE DONNE La prima
CAPITOLO PRIMO: IL MORTO E LE SUE DUE DONNE La prima sensazione fu di essere in vacanza. Quando Maigret scese dal treno, la stazione di Antibes era inondata per metà da un sole così luminoso che la folla in movimento sembrava fatta di ombre. Ombre munite di cappello di paglia, pantaloni bianchi e racchetta da tennis. C'era nell'aria come un ronzio confuso. Il marciapiede era fiancheggiato da palme e cactus, e al di là della lampisteria si scorgeva un lembo di mare azzurro. Subito un uomo gli si fece incontro: «Il commissario Maigret, immagino... L'ho riconosciuta perché ho visto la sua foto sul giornale... Ispettore Boutigues...». Boutigues! Un nome che sembrava uno scherzo! L'ispettore si era già impadronito delle valigie di Maigret e lo guidava verso il sottopassaggio. Indossava un abito grigio perla con un garofano rosso all'occhiello e scarpe con le ghette. «È la prima volta che viene ad Antibes?». Asciugandosi il sudore, Maigret si sforzava di tener dietro al suo cicerone, che sgusciava fra la gente passando davanti a tutti. Finalmente si trovò di fronte a una carrozza con il mantice di tela color crema e una frangia adorna di pallini che oscillavano tutt'intorno. Un'altra sensazione dimenticata: il cigolio delle molle compresse, il colpo di frusta del vetturino, il rumore sordo degli zoccoli sull'asfalto molle... «Prima di tutto, andiamo a bere qualcosa... Non dica di no... Senta, ci porti al Café Glacier...». Era lì a due passi. Intanto l'ispettore cominciò a spiegare: «Place Macé... Il centro di Antibes...». La piazza era proprio graziosa, con un giardinetto al centro e delle tende da sole color crema o arancione a tutte le finestre. Boutigues costrinse il commissario a sedersi a un tavolino all'aperto e a bere un pernod. Di fronte a loro c'era una vetrina di articoli sportivi, piena di costumi da bagno, accappatoi... A sinistra, un negozio di apparecchiature fotografiche... Qualche bella macchina lungo il marciapiede... Un'atmosfera di vacanza, insomma! «Vuol vedere prima le due donne in carcere o la casa del delitto?». Maigret rispose senza pensare, come se gli avessero chiesto cosa voleva bere: «La casa del delitto...». Le vacanze continuavano. Maigret fumava un sigaro che gli aveva offerto l'ispettore. Il cavallo trottava sul lungomare. A destra si scorgevano alcune ville nascoste fra i pini e a sinistra, oltre gli scogli, l'acqua azzurra dove spiccavano due o tre vele bianche. «Le è chiara la topografia della zona? Alle nostre spalle c'è Antibes... Da qui comincia Cap d'Antibes, dove ci sono soltanto ville, e molto lussuose...». Maigret assentì con aria beata, guardando di sottecchi il fiore purpureo di Boutigues. Tutto quel sole che sembrava entrargli nella testa lo stordiva. «Ha detto Boutigues, vero?». «Sì, sono di Nizza... E sono nizzardo autentico!». Un nizzardo purosangue, insomma, un nizzardo al quadrato, al cubo! «Guardi da quella parte! Vede quella villa bianca? È lì...». Suo malgrado Maigret aveva l'impressione che tutto ciò che lo circondava fosse solo un fondale di cartapesta. Non riusciva ad immergersi in un clima di lavoro, a convincersi di essere lì a causa di un delitto. Eppure aveva ricevuto istruzioni piuttosto particolari: «Un certo Brown è stato assassinato a Cap d'Antibes. I giornali ci ricamano sopra. E sarebbe meglio evitare grane!». «Ricevuto!». «Durante la guerra Brown ha svolto degli incarichi per i Servizi Segreti». «Ricevuto!». Erano arrivati. La carrozza si fermò. Boutigues tirò fuori dalla tasca una piccola chiave, aprì il cancello e si incamminò facendo scricchiolare la ghiaia del viale. «Fra le ville di Cap d'Antibes è una delle meno belle!». Non era niente male, però. Le mimose riempivano l'aria di un profumo dolciastro. Su certi alberi piccoli piccoli c'era ancora qualche arancia dorata. Poi dei fiori strani, che Maigret non aveva mai visto. «Di fronte c'è la villa di un maragià... Dev'essere qui, in questi giorni... Cinquecento metri più in là, sulla sinistra, ci abita un membro dell'Académie Française... E poco oltre quella famosa ballerina che sta con un lord inglese...». Certo, certo! In realtà Maigret aveva solo voglia di sedersi sulla panchina addossata al muro della villa e sonnecchiare per un'oretta! In effetti aveva viaggiato tutta la notte. «Vorrei darle alcune informazioni indispensabili, così come mi vengono in mente...». Frattanto Boutigues aveva aperto la porta, e i due entrarono nella frescura di un ampio ingresso con le vetrate che davano sul mare. «Brown viveva qui da circa dieci anni...». «Lavorava?». «Non faceva niente... Doveva avere delle rendite... La gente diceva sempre: Brown e le sue due donne...». «Due?». «In realtà solo una era la sua amante: la figlia... una certa Gina Martini...». «È stata arrestata?». «Sì, e anche la madre... Vivevano tutti e tre insieme, senza domestica...». Lo si capiva subito guardando la casa, che quanto a pulizia lasciava molto a desiderare. Anche se in fondo era ben arredata, e non mancavano mobili di valore ed oggetti che avevano conosciuto il loro momento di splendore. Ma ovunque regnavano sporcizia e disordine. Troppi tappeti, troppi tessuti penzolanti qua e là o gettati sulle poltrone, troppa polvere dappertutto... «Ed ecco i fatti: Brown aveva un garage proprio di fianco alla villa... Ci teneva la sua vecchia auto... Gli serviva soprattutto per andare a far la spesa ad Antibes...». «Uhm...» bofonchiò Maigret, intento a osservare l'acqua limpida e un pescatore di ricci che frugava il fondo con una canna. «La macchina è rimasta in strada per ben tre giorni, anche di notte, e la cosa è stata notata... Ma sa, qui tutti si fanno i fatti propri... Nessuno si è preoccupato... Però lunedì sera...». «Un momento! Oggi è giovedì, vero?... Continui pure...». «Lunedì sera il macellaio stava rientrando col furgone quando ha visto partire la macchina... Avrà modo di leggere la sua deposizione... In un primo momento, vedendola da dietro, ha pensato che Brown fosse ubriaco, perché sbandava in maniera spaventosa... Poi l'auto ha cominciato ad andare diritto... Tanto diritto che alla curva, a trecento metri da qui, è finita in pieno sugli scogli... Prima che il macellaio potesse intervenire, ne sono scese due donne che, sentendo arrivare il furgone, si sono messe a correre verso la città...». «Avevano dei bagagli?». «Tre valigie... Era quasi buio... Il macellaio non sapeva che cosa fare... È corso in place Macé dove, come lei ha potuto vedere, c'è sempre un poliziotto di guardia... L'agente si è messo subito alla ricerca delle due donne ed alla fine le ha trovate mentre si dirigevano non verso la stazione di Antibes, ma verso quella di Golfe-Juan, a tre chilometri...». «Sempre con le valigie?». «Di una si erano liberate lungo la strada. L'abbiamo trovata ieri in un boschetto di tamerici... Alla vista del poliziotto le due donne sono state prese dall'agitazione... Hanno dichiarato che stavano andando a Lione a trovare una parente malata... L'agente ha pensato di far loro aprire le valigie e ci ha trovato una gran quantità di titoli al portatore, alcuni biglietti da cento franchi e oggetti vari... Intanto si era radunata molta gente... Era l'ora dell'aperitivo e tutti erano fuori... La folla ha accompagnato le due donne fino al commissariato e poi al carcere...». «La villa è stata perquisita?». «Il giorno dopo, di primo mattino. All'inizio non hanno trovato nulla. Le due donne sostenevano di non sapere che cosa fosse successo a Brown. Finalmente, verso mezzogiorno, un giardiniere ha notato della terra smossa. Sotto uno strato di neppure cinque centimetri abbiamo trovato il cadavere di Brown, vestito di tutto punto...». «E le due donne?...». «Hanno cambiato musica. Stando al loro racconto, venerdì scorso hanno visto arrivare la macchina e si sono stupite che lui non la mettesse in garage... Brown ha attraversato il giardino barcollando... Gina, credendolo ubriaco, gli ha urlato degli insulti dalla finestra... È caduto sulla scala esterna...». «Morto, ovviamente!». «Morto stecchito! Gli avevano dato una coltellata alla schiena, proprio in mezzo alle scapole...». «E loro hanno vissuto per tre giorni con il morto in casa?». «Proprio così! E senza una spiegazione plausibile! Sostengono che Brown non sopportava la polizia e tutto ciò che ha a che vedere con la legge...». «L'hanno seppellito e sono fuggite con il denaro e con gli oggetti più preziosi!... Adesso è chiaro perché la macchina è rimasta in strada per tre giorni... Gina non sa guidare molto bene, e la manovra per metterla in garage la spaventava... Ma mi dica: c'era del sangue nell'auto?». «Neanche una goccia! Però le due donne giurano che sono state loro a pulirla...». «Non c'è altro?». «Nient'altro! Quelle due sono furibonde! Chiedono di essere rilasciate...». Fuori, il cavallo si mise a nitrire. Maigret non aveva voglia di fumare il sigaro fino in fondo, ma non osava buttarlo via. «Un whisky?» propose Boutigues che aveva individuato un mobile bar. No, non c'era davvero aria di dramma! Maigret si sforzava inutilmente di prendere le cose sul serio. Ma come era possibile con quel sole, le mimose, le arance, il pescatore che continuava a cercare i ricci nell'acqua limpida...? «Può lasciarmi le chiavi della villa?». «Ma certo! Ormai è lei il responsabile dell'inchiesta...». Maigret vuotò il bicchiere di whisky che gli era stato offerto, gettò un'occhiata al disco che si trovava sul grammofono e accese la radio con un gesto meccanico. Sentì una voce che diceva: «... grano maturo... novembre...». In quell'istante, proprio dietro la radio, vide una fotografia e la prese per guardarla da vicino. «È lui?». «Sì! Non l'ho mai visto quand'era vivo, ma lo riconosco...». Maigret spense la radio con un gesto che tradiva una lieve irritazione. Dentro di lui era scattato qualcosa. L'interesse? Molto di più! Una sensazione confusa, e anche piuttosto sgradevole! Fino a quel momento Brown era stato soltanto Brown, uno sconosciuto, quasi sicuramente uno straniero, morto in circostanze più o meno misteriose. Nessuno si era chiesto quali fossero stati, da vivo, i suoi pensieri, la sua mentalità, o le sue sofferenze... Ed ora, guardando la fotografia, Maigret si sentiva turbato, perché aveva l'impressione di conoscere Brown... Non perché lo avesse già visto... No! I tratti del viso non gli dicevano nulla... La faccia larga di un uomo in salute, piuttosto sanguigno, con i capelli rossi e un po' radi, i baffetti tagliati corti, i grandi occhi chiari... Ma c'era qualcosa nell'aspetto, nell'espressione, che ricordava proprio Maigret. Quel modo di tenere le spalle un po' curve... Quello sguardo esageratamente calmo... Quella piega delle labbra bonaria e al tempo stesso ironica... Non era più un cadavere di nome Brown... Era un uomo che il commissario aveva voglia di conoscere meglio e che lo incuriosiva. «Ancora un po' di whisky? Non è male...». Boutigues scherzava! Rimase sconcertato nel vedere che Maigret non reagiva più alle sue battute e si guardava intorno con aria assente. «Potremmo offrirne un bicchiere al vetturino...». «No! Andiamocene via...». «Ma non vuol visitare la casa?». «Un'altra volta!». Voleva visitarla da solo! E non con la testa che gli ronzava per via del sole! Mentre tornavano in città, Maigret rimase in silenzio. Rispondeva all'ispettore soltanto con cenni del capo, e questi si chiedeva se non lo avesse urtato in qualche modo. «Vedrà la città vecchia... Il carcere è proprio vicino al mercato... Ma è soprattutto di mattina che bisogna...». «A quale albergo?» chiese il vetturino voltandosi. «Preferisce un albergo in pieno centro?» domandò Boutigues. «Mi lasci pure qui. Questo andrà benissimo...». Era una specie di pensione familiare, a metà strada fra Cap d'Antibes e la città. «Non viene al carcere, stasera?». «Magari domani...». «Vuole che passi a prenderla? Se invece dopo cena ha voglia di andare al casinò di Juan-les-Pins, potrei...». «No, grazie... Ho sonno...». Non aveva sonno. Ma non si sentiva in forma. Aveva caldo, ed era sudato fradicio. Quando fu nella sua stanza, che dava sul mare, cominciò a riempire la vasca, ma poi cambiò idea e uscì, con la pipa in bocca e le mani in tasca. Aveva intravisto i tavolini bianchi della sala da pranzo, i tovaglioli piegati a ventaglio nei bicchieri, le bottiglie di vino e d'acqua minerale, la cameriera intenta a spazzare... «Brown è stato ucciso con una coltellata alla schiena, e le sue due donne hanno tentato di fuggire con il denaro...». Tutto era ancora molto vago. Soprappensiero, Maigret si soffermò a guardare il sole che si tuffava lentamente nel mare, dalla parte di Nizza, dove la Promenade des Anglais disegnava una lunga linea bianca. Poi fissò le montagne, con le cime ancora coperte di neve. «Dunque: a sinistra Nizza, a venticinque chilometri; a destra Cannes, a dodici chilometri... La montagna dietro e il mare davanti». Cominciava a farsi un'idea chiara di un mondo che aveva come centro la villa di Brown e delle sue donne. Un mondo traboccante di sole, di mimose fragranti e di fiori dal profumo dolciastro, di mosche impazzite, di auto che scivolavano sull'asfalto molle... Non se la sentiva di camminare fino al centro di Antibes, distante appena un chilometro. Tornò al suo albergo, l'Hôtel Bacon, telefonò al carcere e chiese di parlare con il direttore. «Il direttore è in ferie». «E il vicedirettore?». «Non esiste un vicedirettore. Ci sono solo io». «E allora faccia subito accompagnare le due donne alla villa, per favore». Anche il guardiano del carcere, all'altro capo del filo, doveva essere stordito dal sole. O forse aveva bevuto qualche pernod di troppo. Fatto sta che dimenticò di chiedergli una richiesta ufficiale per iscritto. «D'accordo! Ma poi ce le rimanda?...». Maigret sbadigliò, si stirò, caricò di nuovo la pipa. Ma questa volta aveva un gusto diverso dal solito! «Brown è stato ucciso, e le due donne...». Si avviò a piedi, lentamente, verso la villa. Rivide il punto in cui l'auto era andata a sbattere sugli scogli. Gli venne quasi da ridere. Era esattamente il genere di incidente che capita ad un guidatore alle prime armi. Qualche sbandamento prima di andare diritto, e poi diventa impossibile curvare... Il macellaio che sopraggiunge alle spalle, nella semioscurità... Le due donne che si mettono a correre con le valigie troppo pesanti e ne lasciano una per strada... Passò una limousine guidata dall'autista. Sul sedile posteriore il commissario distinse un viso dai tratti asiatici: il maragià, senza dubbio... Il mare era rosso e azzurro, con una sfumatura di arancione... Si accendevano le prime lampade, ancora pallide nella luce del tramonto... Maigret, solo in quel vasto scenario, avanzò verso il cancello della villa come un uomo che rientri nella propria casa, girò la chiave nella serratura, lasciò socchiuso il cancello e salì i gradini della scala esterna. Gli alberi erano pieni di uccelli. La porta emise un cigolio che doveva essere familiare a Brown. Sulla porta, Maigret cercò di analizzare l'odore... Ogni casa ha infatti un odore tutto suo... Lì dominava un profumo molto forte, sicuramente di muschio... Poi un tanfo di sigaro freddo... Accese la luce ed andò a sedersi nel salotto, accanto alla radio e al grammofono, nella poltrona che doveva essere quella preferita da Brown, visto che era la più malandata. «Lui è stato ucciso, e le due donne...». La luce era debole, ma il commissario notò una lampada dall'enorme paralume di seta rosa collegata a una presa di corrente. Quando l'accese, la stanza sembrò improvvisamente animarsi. «Durante la guerra ha svolto degli incarichi per i Servizi Segreti...». Lo sapevano tutti. Non a caso i giornali locali, che Maigret aveva letto in treno, davano grande risalto alla notizia. Per il pubblico lo spionaggio è una cosa misteriosa e piena di fascino. Perciò si leggevano titoli idioti, del tipo: Un caso internazionale. Un secondo caso I Cotjupov. Un dramma dello spionaggio. Qualche giornalista credeva di riconoscere la mano della Ceka, qualcun altro i metodi dell'Intelligence Service. Maigret si guardò intorno con la sensazione che ci fosse qualcosa di sgradevole. D'un tratto capì. Quello che raggelava l'ambiente era la grande vetrata dietro cui ristagnava la notte. Si alzò e andò a chiudere le tende. «Così va meglio! Una delle due donne stava seduta su quella poltrona, certo con un lavoro di cucito...». E infatti su un tavolino c'era un ricamo. «L'altra in quell'angolo...». E in quell'angolo c'era un libro: Le passioni di Rodolfo Valentino... «Ormai mancano soltanto Gina e sua madre...». In lontananza si udiva appena il leggero frusciare dell'acqua sugli scogli del litorale. Maigret guardò di nuovo la fotografia, che portava la firma di un fotografo di Nizza. «Non vogliamo grane!». In altre parole, scoprire al più presto la verità per metter fine alle fantasie dei giornalisti e della gente. Si sentì un rumore di passi sulla ghiaia, poi il suono grave e gaio di un campanello. Maigret andò ad aprire e nell'oscurità intravide due figure femminili e accanto a loro un uomo col chepì. «Lei può andare... Mi assumo io la responsabilità... Prego, signore!...». Sembrava che stesse ricevendo degli ospiti. Non riusciva ancora a distinguere i loro visi, ma riconobbe immediatamente l'odore di muschio. «Spero che si sia finalmente chiarito...» cominciò una voce un po' rauca. «Un momento!... Entrate, prego... Mettetevi comode...». Le due donne entrarono nella stanza illuminata. La madre aveva il viso pieno di rughe, coperto da uno strato compatto di trucco. Ritta in piedi al centro del salotto, si guardava intorno come per controllare che non mancasse nulla. L'altra, più diffidente, osservava Maigret, e intanto si sistemava le pieghe del vestito, accennando un sorriso che voleva essere seducente. «È vero che l'hanno fatta venire appositamente da Parigi?...». «Toglietevi il cappotto, prego... Accomodatevi al vostro solito posto...». Le due donne sembravano piuttosto perplesse. Si sentivano come delle estranee nella propria casa e temevano una trappola. «Faremo una chiacchierata noi tre...». «Lei sa qualcosa?». Era stata la figlia, a parlare, e la madre la interruppe in tono brusco: «Attenta, Gina!». Maigret, a dire il vero, non riusciva neppure adesso a prendere le cose sul serio. La vecchia, nonostante il trucco, era davvero orripilante. E la figlia, con le sue forme piene, un po' troppo abbondanti, modellate dal vestito di seta scura, sembrava una brutta copia della donna fatale. E quell'odore! Quell'odore di muschio che tornava a rendere irrespirabile l'aria della stanza! Sembrava di essere nella portineria di un piccolo teatro! Nulla di drammatico o di misterioso! La madre che ricamava tenendo d'occhio la figlia. E la figlia che leggeva le avventure di Rodolfo Valentino! Maigret, che si era sistemato di nuovo nella poltrona di Brown, le fissava con uno sguardo privo di espressione, chiedendosi con un certo fastidio: «Come diavolo ha fatto, quell'animale di Brown, a vivere per dieci anni con due donne simili?». Dieci anni! Lunghe giornate con il sole sempre uguale, il profumo delle mimose e, sotto le finestre, l'ondeggiare di quell'immensità azzurra. Dieci anni di serate tranquille, interminabili, appena increspate dallo sciabordio di un'onda sugli scogli, con quelle due donne, la madre nella sua poltrona, la figlia accanto alla lampada col paralume di seta rosa... E rigirava meccanicamente fra le mani la fotografia di quel Brown che aveva la faccia tosta di assomigliargli. CAPITOLO SECONDO: PARLATEMI DI BROWN... «Che cosa faceva di sera, Brown?». Maigret, seduto con le gambe accavallate, guardava infastidito la vecchia che cercava di recitare la parte della signora distinta. «Uscivamo pochissimo... Di solito mia figlia leggeva, mentre io...». «Parlatemi di Brown!». E lei, risentita: «Non faceva niente!». «Ascoltava la radio» disse Gina con un sospiro, assumendo una posa languida. «Amo la vera musica quanto detesto...». «Parlatemi di Brown. Era in buona salute?». «Se mi avesse dato ascolto,» cominciò la madre «non avrebbe mai sofferto di fegato, né di reni... Un uomo, dopo la quarantina...». Maigret aveva l'espressione di chi è costretto ad ascoltare un imbecille che si diverte a raccontare vecchie barzellette e scoppia a ridere in continuazione. Erano veramente ridicole tutt'e due, la vecchia con la sua aria altezzosa, l'altra con quelle pose da florida odalisca. «Avete detto che quella sera Brown è tornato a casa in macchina, ha attraversato il giardino ed è caduto sulla scala esterna...». «Come se fosse ubriaco fradicio, sì! Gli ho gridato dalla finestra che non l'avrei mai fatto entrare in casa in quello stato...». «Tornava spesso ubriaco?». E di nuovo la vecchia: «Lei non può immaginare che pazienza abbiamo avuto noi durante i dieci anni che...». «Tornava spesso ubriaco?». «Ogni volta che faceva una delle sue fughe, o quasi... Noi le chiamavamo novene...». «E faceva spesso delle novene?». Maigret non riuscì a trattenere un sorriso compiaciuto. Dunque Brown non aveva trascorso tutto il suo tempo, per dieci anni, in compagnia di quelle due! «Più o meno una volta al mese». «E quanto duravano?...». «Stava via tre o quattro giorni, a volte di più... Tornava sudicio, pieno d'alcol fino al collo...». «E ciò nonostante voi lo lasciavate andar via di nuovo?». Un attimo di silenzio. La vecchia s'irrigidì e fissò il commissario con uno sguardo tagliente. «Eppure, immagino che voi due aveste una certa influenza su di lui, no?». «Doveva pur andare a procurarsi del denaro!». «E lei non poteva accompagnarlo?». Gina si alzò. Poi, con un gesto che rivelava stanchezza, sospirò: «Com'è penoso tutto questo!... Le dirò la verità, signor commissario... Non eravamo sposati, anche se William mi ha sempre trattata come se fossi sua moglie, al punto da far vivere la mamma con noi... Per la gente ero la signora Brown... Altrimenti non avrei accettato...». «E io neppure!...» precisò l'altra. «Certo, non è esattamente la stessa cosa... Non voglio parlar male di William... Il fatto di non essere sposati mi pesava solo per la questione del denaro...». «Era ricco?». «Non lo so...». «Non sa neanche dove teneva i suoi soldi?... Per questo ogni mese lo lasciava andare in cerca di quattrini?...». «Ho tentato di seguirlo, lo ammetto... Era mio diritto, no?... Ma lui prendeva delle precauzioni... Se ne andava via in macchina...». Finalmente Maigret si sentiva a proprio agio. Cominciava perfino a divertirsi. Si era riconciliato con quel burlone di Brown che, pur vivendo in compagnia di due megere, era riuscito per dieci anni a tenere loro nascosta la fonte dei suoi redditi. «E di solito portava a casa molto denaro?». «Quanto bastava appena per un mese... Duemila franchi... Già dal 15 bisognava stare attente a ogni spesa...». Ecco il punto nevralgico! Al solo pensiero si rodevano dalla rabbia tutt'e due! Perbacco! Via via che i soldi diminuivano, sicuramente osservavano William con inquietudine, chiedendosi quando sarebbe partito per la prossima novena. Non potevano certo dirgli: «Allora?... Non vai a fare un po' di baldoria?...». Si limitavano a qualche allusione! Maigret si immaginava benissimo la scena! «A proposito, chi amministrava il denaro?». «La mamma...» disse Gina. «Era lei che preparava la lista della spesa?». «Certo! E cucinava anche! Non c'erano abbastanza soldi per una domestica!». Ecco il trucco! Negli ultimi giorni servivano a Brown dei pasti immangiabili, miserabili. E alle sue proteste replicavano: «Con i soldi che ci restano possiamo permetterci solo questo!». Forse qualche volta si faceva quasi pregare. O forse non vedeva l'ora di andarsene? «A che ora usciva, di solito?». «Non c'era un'ora precisa! Credevamo che fosse in giardino, o magari in garage, a lavare la macchina... All'improvviso sentivamo il motore...». «E lei ha cercato di seguirlo... Con un taxi?...». «Una volta ne ho tenuto uno parcheggiato a cento metri da qui, per tre giorni... Ma già ad Antibes William ci aveva seminati nelle stradine... Però sono riuscita a scoprire dove teneva la macchina... In un garage di Cannes... La lasciava là per tutto il tempo che stava via...». «Quindi è possibile che prendesse il treno per Parigi o per qualche altra località?». «È possibile!». «Ma è anche possibile che rimanesse da queste parti?». «Strano, però, che nessuno l'abbia mai incontrato...». «Ed è morto tornando da una novena?». «Sì... Era via da sette giorni...». «E gli avete trovato addosso del denaro?». «Duemila franchi, come sempre». «Vuol sapere cosa penso?» intervenne la vecchia. «William doveva avere una rendita molto più consistente!... Quattro, forse cinquemila franchi... Ma preferiva spendersi il resto da solo... E noi, invece, ci costringeva a vivere con una somma irrisoria...». Maigret se ne stava sprofondato con aria beata nella poltrona di Brown, e via via che l'interrogatorio andava avanti il sorriso che gli aleggiava sulle labbra si accentuava. «Era un tipo violento?». «Lui?... Era una pasta d'uomo...». «Un momento! Con il vostro aiuto vorrei ricostruire l'andamento di una giornata. Chi si alzava per primo?». «William... Dormiva quasi sempre sul divano dell'ingresso. Lo sentivamo andare su e giù fin dalle prime ore del mattino... Gli ho detto mille volte...». «Senta, il caffè lo preparava lui?». «Sì... Quando scendevamo, verso le dieci, sul fornello c'era del caffè... Ma era freddo...». «E Brown?». «Faceva qualche lavoretto... In giardino... Nel garage... Oppure si sedeva di fronte al mare... Poi arrivava l'ora di andare a far la spesa e tirava fuori la macchina... Ecco un'altra cosa che non sono mai riuscita ad ottenere da lui: che si vestisse prima di accompagnarci a fare la spesa... Usciva sempre con il pigiama sotto la giacca, in pantofole, tutto spettinato... Andavamo ad Antibes... Lui ci aspettava davanti ai negozi...». «E una volta tornato a casa si vestiva?». «A volte sì, a volte no! Gli capitava di rimanere anche quattro o cinque giorni senza lavarsi». «Dove pranzavate?». «In cucina! Quando non si ha la domestica, non ci si può permettere di sporcare tutte le stanze...». «E nel pomeriggio?...». Ma certo! Le due donne facevano la siesta. Poi, verso le cinque, ricominciavano a gironzolare per la casa in pantofole! «Litigavate spesso?». «Quasi mai! Ma se gli si diceva qualcosa, reagiva con un silenzio davvero insolente...». Maigret non sorrideva più. Cominciava a sentirsi pienamente solidale con quel bel tipo di Brown. «E poi è stato assassinato... Potrebbero averlo colpito mentre attraversava il giardino... Però voi avete trovato delle macchie di sangue nella macchina...». «Che interesse avremmo a mentire?». «Naturalmente! Dunque è stato ucciso in qualche altro posto! O meglio ferito! E invece di andare da un dottore o al commissariato è venuto a morire qui... Avete portato dentro il corpo?...». «Non potevamo certo lasciarlo fuori!». «E ora ditemi perché non avete avvertito la polizia... È chiaro che avevate le vostre buone ragioni...». La vecchia balzò in piedi, e la sua risposta fu categorica: «Sissignore! E gliele spiego subito! Tanto prima o poi lo verrà a sapere lo stesso! Brown si era sposato, tempo fa, in Australia... Lui era australiano, infatti... La moglie è ancora viva... Ha sempre rifiutato il divorzio, e a ragion veduta. Ed è colpa sua se adesso noi non viviamo nella villa più bella della Costa Azzurra...». «L'avete mai vista?». «No, non ha mai lasciato l'Australia... Ma ha saputo manovrare così bene che è riuscita a far sottoporre il marito a curatela... In questi ultimi dieci anni siamo noi che abbiamo vissuto con lui, che ci siamo occupate di lui, che lo abbiamo consolato... Ed è grazie a noi se aveva anche qualcosa da parte... Eppure, se...». «Se la signora Brown avesse saputo della morte di suo marito, avrebbe fatto sequestrare tutto, qui!». «Proprio così! Ci saremmo sacrificate per niente! E non solo! Io non sono priva di mezzi! Mio marito era nell'esercito, e io percepisco ancora una modesta pensione... In questa casa ci sono molte cose che mi appartengono... Ma davanti alla legge quella donna ha tutti i diritti e ci avrebbe tranquillamente messe alla porta...». «Per questo eravate incerte sul da farsi... E avete valutato i pro e i contro per tre giorni, con il cadavere qui in casa, magari disteso sul divano dell'ingresso...». «Per due giorni! Il secondo giorno lo abbiamo seppellito...». «Da sole! Poi avete preso le cose più preziose che c'erano e... Ma dove volevate andare?». «In qualunque posto. A Bruxelles, o a Londra...». «Lei aveva già guidato, qualche volta?» chiese Maigret a Gina. «Mai! Però mi era già capitato di mettere la macchina nel garage!». Un gesto eroico, insomma! Quella aveva qualcosa di grottesco, con il cadavere nel giardino, le tre pesanti valigie e l'auto che sbandava... Maigret cominciava ad averne abbastanza di quell'ambiente, dell'odore di muschio e della luce rossastra diffusa dal paralume. «Posso dare un'occhiata alla casa?». Le due donne avevano ritrovato la loro disinvoltura, il loro sussiego. Può anche darsi che avessero frainteso l'atteggiamento di quel commissario che affrontava la situazione con tanta semplicità e dava perfino l'impressione di trovare tutto perfettamente naturale! «Ci scusi, c'è un po' di disordine». Altro che disordine! Era ben peggio! Un vero e proprio letamaio! Nonostante le aspirazioni borghesi, nonostante l'arredamento ridondante e pretenzioso, quella casa faceva pensare a una tana in cui le bestie vivano nel loro tanfo, in mezzo agli avanzi di cibo e alle deiezioni. Nell'ingresso, appeso a on attaccapanni, c'era un vecchio cappotto di William Brown. Maigret frugò nelle tasche e vi scovò un paio di guanti piuttosto logori, una chiave ed una scatola di mentine. «Gli piacevano le mentine?». «Quando aveva bevuto, perché non ce ne accorgessimo dall'alito! Il dottore gli aveva proibito di bere whisky... Dovevamo tenere nascosta la bottiglia...». Sopra l'attaccapanni c'era una testa di cervo con lunghe corna. E un po' più in là, su un tavolino di vimini, perfino un vassoio d'argento per i biglietti da visita! «Indossava questo cappotto?». «No! Si era messo l'impermeabile...». Le imposte della sala da pranzo erano chiuse. La stanza veniva utilizzata solo come rimessa, e il pavimento era ingombro di nasse per la pesca dei crostacei. Evidentemente Brown andava a pesca. Poi la cucina, dove i fornelli non erano mai stati accesi. Veniva usato soltanto un fornellino a spirito. Lì accanto, cinquanta o sessanta bottiglie d'acqua minerale vuote. «Sa, da queste parti l'acqua è troppo calcarea, quindi...». La scala era ricoperta da una logora passatoia, fissata con asticelle di ottone. Bastava seguire l'odore del muschio per arrivare alla camera di Gina. Niente stanza da bagno, e niente toilette. Sul letto sfatto, un mucchio di vestiti gettati alla rinfusa, segno che Gina aveva fatto una cernita per portar via solo i migliori. Maigret preferì non entrare nella camera della vecchia. «Siamo partite così in fretta... La casa è in uno stato... Sono davvero mortificata...». «Verrò ancora a farvi visita». «Allora siamo libere?». «Intendo dire che non tornerete in carcere... Almeno per il momento... Ma se cercate di lasciare Antibes...». «No di certo!». Mentre lo accompagnavano alla porta, la vecchia si ricordò all'improvviso delle buone maniere. «Posso offrirle un sigaro, signor commissario?». Gina si spinse anche più in là! Doveva pur conquistarsi la simpatia di un uomo così influente! «Prenda pure tutta la scatola. William non potrà più fumarli...». Strabiliante! Una volta fuori, Maigret provò come un senso di ebbrezza! Aveva voglia di ridere ed al tempo stesso di stringere i denti. Superato il cancello, si voltò: la villa, bianchissima nel verde degli alberi, faceva un'impressione del tutto diversa! La luna sembrava posata sul tetto. A destra il mare luccicante e le mimose che stormivano... Con l'impermeabile sul braccio, Maigret tornò all'Hôtel Bacon senza pensare a nulla, in preda a sensazioni confuse, sgradevoli e insieme comiche. «Bel tipo, quel William!». Era tardi. Nella sala da pranzo non c'era più nessuno, tranne una cameriera che aspettava, leggendo il giornale. In quel momento Maigret si accorse di aver preso, anziché il suo, l'impermeabile di Brown, lurido e pieno di macchie d'olio e di morchia. Nella tasca sinistra c'era una chiave inglese, nella destra una manciata di monete ed alcuni gettoni quadrati, di metallo, con impressa una sigla. Quel tipo di gettoni che si usano per le slot-machine poste sul bancone dei piccoli bar. Ce n'era una decina. «Pronto!... Sono l'ispettore Boutigues... Vuole che venga a prenderla in albergo?». Erano le nove del mattino. Alle sei Maigret aveva aperto la finestra, poi aveva ripreso a dormire in modo intermittente, voluttuoso, avvertendo davanti a sé la presenza del Mediterraneo. «Per fare cosa?». «Non vuole vedere il cadavere?». «Sì... No... Magari nel pomeriggio... Mi ritelefoni all'ora di pranzo...». Non si sentiva ancora del tutto sveglio. In quell'aria mattutina gli avvenimenti del giorno prima gli sembravano quasi irreali. Le due donne gli tornavano alla mente come un incubo confuso. Loro certamente non si erano ancora alzate! E se Brown fosse stato vivo sarebbe stato lì a trafficare in giardino od in garage, tutto solo e in pigiama! Con il caffè ormai freddo sul fornello spento! Mentre si faceva la barba, scorse i gettoni sul caminetto. Dovette fare uno sforzo per ricordarsi che cosa avevano a che vedere con quella storia. «Brown è andato a fare la sua novena ed è stato ucciso, o prima di risalire in macchina, o in macchina, o mentre attraversava il giardino, o forse in casa...». Stava finendo di radersi la guancia sinistra quando borbottò: «Certo Brown non frequentava i piccoli bar di Antibes... Me l'avrebbero detto...». D'altra parte Gina aveva scoperto che teneva la macchina in un garage di Cannes. Un quarto d'ora dopo telefonò alla polizia di Cannes. «Commissario Maigret, della Polizia giudiziaria... Potete procurarmi l'elenco dei bar che hanno una slot-machine?». «Non ce ne sono più! Sono state soppresse per decreto del prefetto circa due mesi fa... Non ne troverà più, sulla Costa Azzurra...». Maigret chiese alla padrona dell'albergo dove poteva trovare un taxi. «Dove vuole andare?». «A Cannes!». «Allora non le serve il taxi. C'è un autobus ogni tre minuti, da place Macé...». L'informazione era esatta. Nel sole del mattino la place Macé era ancora più allegra del giorno prima. Certo Brown passava di là quando accompagnava le sue due donne a fare la spesa. Maigret prese l'autobus. Mezz'ora più tardi era a Cannes e si dirigeva verso il garage che gli avevano indicato, dalle parti della Croisette. Intorno a lui tutto era bianco. Immensi alberghi bianchi. Negozi bianchi. Pantaloni bianchi e vestiti bianchi. Vele bianche sul mare. Si aveva l'impressione che la vita non fosse altro che uno spettacolo, un fantasmagorico musical tutto bianco e azzurro. «È qui che il signor Brown lasciava la sua macchina?». «Ci siamo!». «Cosa intende dire?». «Che avrò delle seccature! L'ho pensato subito, quando ho letto che era stato ucciso... È qui, sì!... Non ho niente da nascondere... Portava l'auto di sera e veniva a riprenderla otto o dieci giorni dopo...». «Ubriaco fradicio?». «Come al solito, certo!». «E dopo dove andava? Lo sa?». «Quando? Dopo avermi lasciato la macchina? Non ne ho la minima idea!». «La faceva lavare, controllare?». «Niente di niente! Era un anno che non cambiava l'olio!». «Che cosa pensa di lui?». Il garagista alzò le spalle. «Niente!». «Un tipo strano?». «Ce ne sono tanti qui di tipi strani che ormai ci abbiamo fatto l'abitudine! Nessuno li nota più... Senta questa! Proprio ieri una ragazza americana è venuta a chiedermi di farle la carrozzeria della macchina a forma di cigno... Visto che paga...». Non gli rimaneva che la pista delle slot-machine! Maigret entrò in un bar, vicino al porto, frequentato solo dai marinai degli yacht. «Non avete una slot-machine?». «Le hanno vietate un mese fa... Tra poco ce ne consegneranno una di un nuovo tipo, e fra due o tre mesi vieteranno anche quella...». «Non ce ne sono più da nessuna parte?». Il padrone non disse né sì né no. «Cosa prende?». Maigret prese un vermut. Guardò gli yacht allineati nel porto, quindi i marinai che portavano il nome della loro barca ricamato sul maglione. «Lei non conosceva Brown?». «Quale Brown?... Quello che è stato ucciso?... No, non è mai venuto qui...». «Dove andava?». Un gesto vago. Il padrone si allontanò per servire un altro cliente. Faceva caldo. Si era solo a marzo, ma la pelle era velata di sudore e già odorava di estate. «Ho sentito parlare di lui, ma non mi ricordo da chi!» venne a dirgli il barista con una bottiglia in mano. «Non importa! Quello che sto cercando è una slot- machine...». Durante le sue novene, Brown portava l'impermeabile, ed era molto probabile che quando tornava a casa le due donne gli frugassero nelle tasche. Quei gettoni, dunque, li aveva presi durante l'ultima novena... Era tutto così vago, inconsistente. E poi c'era un sole che faceva venir voglia a Maigret di sedersi come gli altri a un tavolino all'aperto e di starsene lì a guardare le barche che oscillavano appena sull'acqua calma del mare. Passavano tram dai colori chiari... Belle macchine... Scoprì la strada dei negozi, parallela alla Croisette... «Una cosa è certa» borbottò Maigret. «Se Brown faceva le sue novene a Cannes, non veniva qui...». Continuava a camminare, fermandosi di tanto in tanto in un bar. Beveva un vermut e parlava delle slot-machine. «È sempre la stessa storia! Ogni tre mesi le sequestrano... Poi ne arriva un altro modello e per altri tre mesi possiamo stare tranquilli...». «Lei non conosceva Brown?». «Quello che è stato assassinato?». La solita solfa! Era passato mezzogiorno, e i raggi del sole cadevano a picco sulle strade. Maigret aveva una gran voglia di avvicinarsi a un vigile, come un turista in vena di far baldoria, e chiedergli: «Dov'è che si va per divertirsi?». Se lo avesse visto la signora Maigret, avrebbe notato che aveva gli occhi un po' troppo lucidi per via di tutti quei vermut. All'angolo di una strada svoltò, poi svoltò ancora. E d'un tratto gli sembrò di non essere più a Cannes, coi suoi grandi palazzi bianchi sotto i raggi del sole, ma in un mondo nuovo, fatto di vicoli larghi sì e no un metro e di biancheria stesa su fili di ferro tra una casa e l'altra. A destra, un'insegna: Aux Vrais Marins. A sinistra, un'altra: Liberty Bar. Maigret entrò nel primo dei due locali e, in piedi davanti al banco, ordinò un vermut. «Guarda un po'! Credevo ci fosse una slot- machine...». «Infatti c'era!». Si sentiva la testa pesante, le gambe stanche a forza di girovagare per la città. «Eppure in certi bar ce ne sono ancora!». «In certi, sì!» brontolò il cameriere pulendo il banco con uno strofinaccio. «C'è sempre chi riesce a farla franca... Ma sono fatti loro, non le pare?...». E rispondendo a un'altra domanda di Maigret lanciò un'occhiata in direzione della strada: «Due franchi e venticinque... Non ho il resto...». Allora il commissario entrò nel Liberty Bar. CAPITOLO TERZO: LA FIGLIOCCIA DI WILLIAM Il bar era vuoto. Era un locale piccolo, che misurava non più di due metri di larghezza per tre di lunghezza. Bisognava scendere due gradini, perché era in un seminterrato. Un bancone stretto. Uno scaffale con una dozzina di bicchieri. La slot-machine. E due tavoli. In fondo alla stanza una porta a vetri con tendine di tulle, dietro le quali si intravedevano delle teste che si muovevano. Ma nessuno si alzò per accogliere il cliente. Una voce femminile gridò: «Cosa vuole?». E Maigret entrò. C'era un altro gradino, e la finestra, a livello del cortile, era quasi una fessura. Nella luce incerta il commissario vide tre persone sedute intorno a un tavolo. La donna che aveva gridato continuava a mangiare, e intanto lo guardava nello stesso modo in cui lui era solito guardare gli altri: con calma, senza lasciarsi sfuggire nulla. Alla fine, sempre tenendo i gomiti sul tavolo, sporse il mento per indicare uno sgabello e sospirò: «Ce ne ha messo di tempo!». Accanto a lei c'era un uomo che Maigret vedeva solo di spalle. Indossava un'uniforme da marinaio pulitissima, da cui sporgevano appena i polsini della camicia. I capelli chiari erano tagliati corti sulla nuca. «Mangia pure con calma» gli disse la donna. «Non è niente...». All'altra estremità del tavolo, infine, una terza persona, una ragazza con la carnagione scura e dei grandi occhi che fissavano Maigret pieni di diffidenza. La vestaglia le lasciava scoperto tutto il seno sinistro, ma nessuno ci faceva caso. «Si sieda, prego! Se non le spiace, continuiamo a mangiare...». Poteva avere quarantacinque o cinquant'anni, forse di più. Difficile a dirsi. Era grassa, sorridente, sicura di sé. Si intuiva che non aveva paura di niente, che ne aveva viste, sentite, passate di tutti i colori. Le era bastato un solo sguardo per capire chi era Maigret e cos'era venuto a cercare. Non si era neppure alzata. Si mise a tagliare delle grosse fette da un cosciotto d'agnello che il commissario fissò per un attimo incuriosito, poiché raramente ne aveva visti di così grassi e succulenti. «Allora, lei è di Nizza, o di Antibes?... Non l'ho mai vista...». «Polizia giudiziaria di Parigi...». «Ah!». E quell'«ah!» voleva dire che lei capiva la differenza ed era perfettamente consapevole del rango del visitatore. «Allora è vero?». «Che cosa?». «Che William era un personaggio importante o qualcosa del genere...». Adesso Maigret vedeva il marinaio di profilo. Non era un marinaio qualunque. Il tessuto dell'uniforme era di ottima qualità. Portava galloni dorati, e sul berretto lo stemma di un club. Sembrava seccato di trovarsi lì e mangiava guardando fisso nel piatto. «Chi è?». «Noi lo chiamiamo Yan... Ma non so il suo vero nome... Fa lo steward a bordo dell'Ardena, uno yacht svedese che ogni anno passa l'inverno a Cannes... Yan è il capocameriere... Vero, Yan?... Il signore è della polizia... Ti ho già raccontato la storia di William...». L'altro accennò di sì con il capo, ma con l'aria di chi non ha capito granché. «Dice di sì, ma non ha capito bene quello che gli ho detto!» commentò la donna senza curarsi del marinaio. «Non riesce a imparare il francese... È un bravo ragazzo... Al suo paese ha moglie e due bambini... Fa' vedere la foto, Yan!... Foto, sì...». L'uomo prese una fotografia dalla tasca del giubbotto. Ritraeva una giovane donna seduta davanti a una porta e due bimbi piccoli che giocavano accanto a lei, nell'erba. «Sono gemelli!» spiegò la padrona. «Ogni tanto Yan viene a mangiare qui perché si sente come in famiglia. È lui che ha portato la carne e le pesche...». Maigret guardò la ragazza, che non si preoccupava minimamente di coprirsi il seno. «E... lei...». «È Sylvie, la figlioccia di William...». «La figlioccia?». «Oh! Non in chiesa!... Non era il suo padrino di battesimo... Ma sei poi battezzata, Sylvie?». «Certo!». Continuava a guardare Maigret con diffidenza, mangiando lentamente, senza appetito. «William le era affezionato... Lei gli confidava i suoi guai... Lui la consolava...». Maigret si era seduto su uno sgabello, con i gomiti sulle ginocchia e il mento fra le mani. La donna intanto stava preparando un'insalata all'aglio che aveva l'aria di un autentico capolavoro. «Lei ha già pranzato?». Il commissario mentì. «Sì... io...». «Altrimenti lo dica pure... Qui non si fanno complimenti... Non è vero, Yan?... Ma lo guardi! Dice di sì e non ha capito niente... Quanto mi piacciono, questi ragazzi del Nord!...». Assaggiò l'insalata e aggiunse un filo d'olio d'oliva dal profumo fruttato. Sul tavolo, che non sembrava molto pulito, non c'era la tovaglia. Dalla cucina partiva una scala che portava probabilmente a un mezzanino. In un angolo, una macchina da cucire. Il cortile era pieno di sole, tanto che la finestrella si stagliava come un rettangolo accecante e per contrasto si aveva l'impressione di trovarsi in una fredda semioscurità. «Chieda pure... Non ho segreti per Sylvie... Quanto a Yan...». «È da molto che gestisce questo bar?». «Da quindici anni circa... Ero sposata con un inglese, un ex acrobata, e quindi i nostri clienti erano per lo più marinai inglesi e artisti del varietà... Nove anni fa mio marito è annegato durante una regata... Gareggiava per una baronessa che ha tre barche e che certo lei conosce...». «E poi?». «Poi, niente! Mando avanti il bar...». «Ha molti clienti?». «Non ci tengo... Più che altro sono degli amici, come Yan, come William... Sanno che sono sola e che mi piace la compagnia... Vengono qui a bere una bottiglia, oppure portano uno scorfano, un pollo, e io li cucino...». Riempì i bicchieri e si accorse che Maigret non ne aveva. «Sylvie, perché non vai a prendere un bicchiere per il commissario?». La ragazza si alzò senza aprir bocca e si diresse verso il bar. Sotto la vestaglia era nuda, e ai piedi aveva solo dei sandali. Passando, urtò leggermente Maigret, ma non si scusò. Rimase nel bar qualche minuto, e l'altra ne approfittò per mormorare a bassa voce: «Non ci faccia caso... Sylvie adorava Will... Per lei, capisce, è stato un brutto colpo...». «Dorme qui?». «A volte sì, a volte no...». «Che cosa fa?». Allora la donna guardò Maigret con un'espressione di rimprovero, come se volesse dire: «Ed è proprio lei, un commissario di polizia, a farmi questa domanda?». E subito disse: «Oh! È una ragazza tranquilla, senza grilli per la testa...». «William sapeva...?». Di nuovo quello sguardo di rimprovero. Forse si era sbagliata sul conto di Maigret. Forse non aveva capito niente e bisognava spiegargli senza mezzi termini come stavano le cose. Yan aveva finito di mangiare. Voleva dire qualcosa, ma esitava. La donna capì. «Sì! Va' pure, Yan... Torni stasera?». «Se i padroni vanno al casinò...». Il marinaio si alzò, incerto se adempiere o meno al rito abituale. Ma la donna gli offrì la fronte e lui la baciò meccanicamente, arrossendo per via di Maigret. Sulla porta incrociò Sylvie che tornava con un bicchiere in mano. «Te ne vai?». «Sì...». Baciò anche lei sulla fronte, abbozzò un goffo gesto di saluto all'indirizzo di Maigret, poi inciampò nel gradino e si gettò letteralmente nel vicolo sistemandosi il berretto. «Non è come gli altri marinai che lavorano sugli yacht... A lui non piace far baldoria, preferisce venire qui...». Anche lei aveva finito di mangiare e si era messa comoda, con i gomiti sulla tavola. «Sylvie, ci porti il caffè?». I rumori della strada si sentivano appena. Senza il rettangolo luminoso della finestrella, sarebbe stato difficile persino dire se fosse giorno o notte. Sul caminetto una sveglia segnava il rapido trascorrere del tempo. «Allora, cosa vuole sapere esattamente?... Alla sua salute!... È ancora il whisky di William...». «Lei come si chiama?». «Jaja... Per prendermi in giro mi chiamano Jaja la bomba...». E posò lo sguardo sul seno enorme, che sembrava adagiato sul tavolo. «Era da molto che conosceva William?». Sylvie era tornata al suo posto. Con il mento appoggiato al palmo della mano, non staccava gli occhi da Maigret, senza badare alla manica della vestaglia che era finita nel piatto. «Da sempre, direi. Ma fino alla settimana scorsa non sapevo neppure il suo cognome... Tenga presente che quando mio marito era vivo il Liberty Bar era famoso... Era pieno di artisti... E questo attirava i clienti danarosi, che venivano qui per vederli... «Soprattutto i proprietari degli yacht, che di solito sono dei nottambuli, dei tipi originali... A quell'epoca mi ricordo che William ci veniva spesso... Portava un berretto bianco da yachtman ed era sempre in compagnia di amici e belle donne... «Erano in tanti, bevevano champagne fino all'alba e ne offrivano a tutti... «Poi mio marito è morto... Ho chiuso per un mese... Eravamo fuori stagione... L'inverno dopo ho dovuto passare tre settimane all'ospedale per via di una peritonite... «Intanto ne avevano approfittato per aprire un altro locale proprio sul porto... «Da allora il bar non rende più granché... E io non cerco neppure di farmi una clientela... «Un giorno William è tornato, ed è stato allora che l'ho conosciuto veramente... Ci siamo ubriacati... Abbiamo chiacchierato un po'... Alla fine non riusciva neanche a stare in piedi e ha dormito sul divano...». «Portava ancora il berretto da yachtman?». «No! Non era più lo stesso... Aveva la sbornia triste... Poi ha preso l'abitudine di venirmi a trovare ogni tanto...». «Lei sapeva dove abitava?». «No. Non spettava certo a me fargli domande. E lui non parlava mai dei fatti suoi...». «Si fermava qui molto tempo?». «Tre o quattro giorni... Portava qualcosa da mangiare... Oppure mi dava dei soldi per fare la spesa... Diceva che qui si mangiava meglio che in qualunque altro posto...». Maigret guardò la carne rosata del cosciotto d'agnello e i resti di quella gustosa insalata. Avevano un aspetto davvero invitante. «Sylvie stava già con lei?». «Ma che dice! Ha soltanto ventun anni...». «Come l'ha conosciuta?». Vedendo che Sylvie aveva un'aria seccata, Jaja esclamò, rivolta verso di lei: «Dai, il commissario sa come vanno queste cose!... È stato una sera che William era qui... Nel bar c'eravamo solo noi due... Sylvie è arrivata con dei tipi che aveva incontrato non so dove, commessi viaggiatori o qualcosa del genere... Erano già su di giri... Hanno chiesto da bere... Quanto a lei, si capiva subito che era una novellina... Voleva portarli via prima che fossero del tutto sbronzi... Non sapeva come cavarsela... Ed è successo quel che doveva succedere... Alla fine erano così ubriachi che si sono dimenticati di lei e l'hanno piantata qui... Lei piangeva... Ci ha confessato che era venuta da Parigi per fare la stagione e non aveva neppure i soldi per pagare l'albergo... Così ha dormito con me... E ha preso l'abitudine di venire qui...». «Insomma,» borbottò Maigret «tutti quelli che entrano qui prendono quest'abitudine...». E la vecchia, raggiante: «Che ci vuol fare? È la casa del buon Dio! Qui non si fanno tante storie! Si prende la vita così come viene...». Era sincera. Abbassò lentamente lo sguardo verso il petto della ragazza e sospirò: «Peccato che sia così delicata di salute... Le si vedono le costole... William insisteva per pagarle un mese in un sanatorio, ma lei non ha mai voluto...». «Senta, lei e William...». Questa volta fu Sylvie a rispondere, e in tono rabbioso: «Mai! Non è vero...». E Jaja spiegò, sorseggiando il caffè. «Non era quel genere d'uomo... Soprattutto con lei... Non dico che ogni tanto...». «Con chi?». «Con altre donne... Le andava a pescare chissà dove... Ma di rado... Non ci teneva granché...». «A che ora è andato via, venerdì?». «Subito dopo pranzo... Saranno state le due, come adesso...». «E non ha detto dove andava?». «Non lo diceva mai...». «Sylvie era qui?». «Era uscita cinque minuti prima di lui». «Per andare dove?» chiese Maigret alla ragazza. E lei, sprezzante: «Che domande!». «Verso il porto?... È là che...?». «Là e in altri posti!». «Non c'era nessun altro nel bar?». «No, nessuno... Faceva molto caldo... Mi sono appisolata sulla sedia e ho dormito un'oretta...». Però erano le cinque passate quando William Brown era arrivato ad Antibes con la sua macchina! «Frequentava altri bar come questo?». «No! E poi non esistono altri bar come questo!». Non c'erano dubbi! Anche Maigret, che era lì soltanto da un'ora, aveva l'impressione di conoscerlo da sempre. Forse perché era così anonimo, o forse per via dell'atmosfera pigra e rilassata che vi regnava. Non si aveva la forza di alzarsi, di andarsene. Il tempo scorreva lentamente. Le lancette della sveglia avanzavano sul quadrante sbiadito. E il rettangolo luminoso della finestrella diventava sempre più sottile. «Ho letto i giornali... Le ho già detto che non sapevo neppure il cognome di William, ma l'ho riconosciuto dalla fotografia... Io e Sylvie abbiamo pianto... Ma che diavolo ci faceva con quelle due donne?... D'altra parte nella nostra posizione è meglio non immischiarsi in certe faccende, non crede?... Mi aspettavo da un momento all'altro di veder arrivare la polizia... E quando lei è uscito dal bar di fronte ho subito immaginato...». Parlava lentamente. Riempì di nuovo i bicchieri e cominciò a bere il suo whisky a piccoli sorsi. «Quello che l'ha ammazzato è un farabutto, perché di uomini come William non ce ne sono molti... E io me ne intendo!...». «Non le ha mai parlato del suo passato?». Lei sospirò. Allora Maigret non aveva capito che quella era proprio la casa dove non si parlava mai del passato? «Tutto quello che posso dirle è che era un gentiluomo! Uno che era stato molto ricco e forse lo era ancora... Non so... Un tempo aveva uno yacht, un sacco di domestici...». «Era un tipo triste?». Un altro sospiro. «Non riesce proprio a capire?... Lei ha visto Yan... Direbbe che è un tipo triste?... Ma no, non è l'esempio giusto... Io le sembro un tipo triste?... Eppure si beve, poi si dicono tante cose senza capo né coda e vien voglia di piangere...». Sylvie la guardava con aria di biasimo. Si vedeva che lei aveva bevuto solo caffè, mentre Jaja era già al terzo bicchierino... «Sono proprio contenta che lei sia venuto, così mi sono tolta un pensiero... Non abbiamo niente da nascondere, niente da rimproverarci... Ma con la polizia non si sa mai... Guardi, se venissero quelli di Cannes sono sicura che mi farebbero chiudere...». «William spendeva molto denaro?». Ma allora non c'era proprio speranza di fargli capire come stavano le cose! «Spendeva, sì, ma senza buttar via i soldi... Ci dava il necessario per comprare da mangiare e da bere... A volte pagava la bolletta del gas e della luce, oppure regalava a Sylvie cento franchi per comprarsi le calze». Maigret cominciava ad aver fame. E quel cosciotto succulento era proprio lì sotto il suo naso... Nel piatto ne erano rimasti due pezzi: ne prese uno con le dita e lo mangiò, continuando a parlare, come se fosse anche lui uno di casa. «Sylvie porta qui i suoi clienti?». «Mai! Allora sì che mi farebbero chiudere... A Cannes ci sono tanti alberghi per queste cose!...». E aggiunse, guardando Maigret negli occhi: «Crede davvero che siano state quelle donne a...». E d'improvviso voltò la testa, mentre Sylvie allungava il collo per guardare attraverso le tendine. Si era aperta la porta esterna. Qualcuno attraversò il bar, spinse l'altra porta e si fermò, stupito di vedere una faccia nuova. Sylvie si era alzata in piedi. Jaja arrossì un po' e disse al nuovo arrivato: «Entra!... È il commissario che si occupa di William...». E rivolgendosi a Maigret: «Un amico... Joseph... Fa il cameriere al casinò...». Lo si capiva subito dallo sparato bianco, dalla cravatta nera che Joseph portava sotto l'abito grigio, e dalle scarpe di vernice. «Torno più tardi...» disse. «Ma no! Entra...». L'uomo sembrava alquanto indeciso. «Passavo di qua e volevo solo farvi un saluto... Ho avuto una soffiata per la seconda corsa e...». «Lei gioca alle corse?» chiese Maigret voltandosi appena verso il cameriere. «Ogni tanto... A volte i clienti mi fanno qualche soffiata... Devo scappare...». E batté in ritirata, ma al commissario parve di cogliere un suo rapido cenno d'intesa a Sylvie. La ragazza era tornata a sedersi. Jaja sospirò: «Perderà un'altra volta... Non è un cattivo ragazzo...». «Devo andare a vestirmi!» disse Sylvie. Mentre si alzava, i lembi aperti della vestaglia le lasciarono scoperto quasi tutto il corpo: in lei tuttavia non c'era provocazione, solo un'assoluta naturalezza. Salì la scala fino al mezzanino, e si udirono i suoi passi mentre si vestiva. Maigret ebbe l'impressione che Jaja tendesse l'orecchio. «A volte anche lei gioca alle corse... È quella che ci ha rimesso di più con la morte di William...». Maigret si alzò di scatto, passò nel bar e aprì la porta sul vicolo. Troppo tardi. Joseph si stava allontanando in fretta, senza voltarsi, mentre al mezzanino qualcuno chiudeva una finestra. «Che cosa le ha preso?». «Niente... Un'idea...». «Ancora un bicchiere?... Oppure, se le piace l'agnello...». Sylvie stava già scendendo, completamente trasformata e irriconoscibile in un tailleur blu scuro che le dava un'aria da signorina perbene. La camicetta di seta bianca rendeva davvero desiderabili i piccoli seni tremuli che pure Maigret aveva avuto modo di osservare a lungo. La gonna le metteva in risalto il ventre piatto e il sedere ben fatto. Le calze di seta erano perfettamente tese sulle gambe. «A stasera!». Anche lei baciò Jaja sulla fronte. Poi volgendosi verso Maigret, rimase un attimo incerta, come se avesse voglia di uscire senza salutarlo, o di buttar lì una frase offensiva. Non cercava affatto di dissimulare la sua ostilità, anzi! Sembrava quasi che volesse ostentarla! «Buonasera... Immagino che non abbia più bisogno di me...» disse in tono duro, risentito. Poi attese un istante e si allontanò con passo deciso. Jaja si mise a ridere e riempì i bicchieri. «Non ci faccia caso... Sono ragazze senza testa... Vuole che le prenda un piatto, così può assaggiare la mia insalata?». Il bar vuoto, sul davanti della casa, con l'unica vetrina che dava sul vicolo; di sopra, in cima alla scala a chiocciola, il mezzanino, sicuramente in disordine; la finestrella sul cortile, da cui il sole si dileguava a poco a poco... Uno strano mondo, al centro del quale si trovava Maigret, seduto davanti a quel che restava di un'insalata dall'odore invitante, in compagnia di una donna grassa che, quasi appoggiandosi sul seno abbondante, sospirava: «Quando avevo la sua età, mi facevano rigare diritto, altro che!». Non c'era bisogno di precisazioni. Maigret se la immaginava perfettamente, nella zona della porte Saint-Denis o a Montmartre, con indosso un abito di seta sgargiante, mentre un amico la teneva rigorosamente d'occhio attraverso la vetrina di un bar. «Al giorno d'oggi, invece...». Aveva fatto troppo onore alla bottiglia. Mentre guardava Maigret, le si inumidirono gli occhi, e la bocca infantile fece una smorfia che preannunciava le lacrime. «Lei mi fa venire in mente William... Quello era il suo posto... Anche lui quando mangiava posava la pipa vicino al piatto... Aveva le spalle come le sue... Sa che lei gli assomiglia?». Si limitò ad asciugarsi gli occhi, senza piangere. CAPITOLO QUARTO: LA GENZIANA Era l'ora rosata, ambigua, in cui l'umidità del tramonto si dilegua nella frescura della notte che si avvicina. Maigret uscì dal Liberty Bar come si esce da un locale malfamato, con le mani affondate nelle tasche ed il cappello calato sugli occhi. Eppure dopo una decina di passi sentì il bisogno di voltarsi indietro, quasi per accertarsi che l'atmosfera da cui veniva fosse reale. Il bar era davvero là, incastrato fra due case, con la sua stretta facciata dipinta di un brutto marrone e le lettere gialle dell'insegna. In vetrina c'era un vaso di fiori, con accanto un gatto addormentato. Probabilmente, nel retrobottega, anche Jaja sonnecchiava, sola, accanto alla sveglia che contava i minuti... Alla fine del vicolo si rinasceva alla vita di sempre: negozi, gente vestita normalmente, macchine, un tram, un vigile urbano... Poi, a destra, la Croisette, che a quell'ora somigliava davvero a quei disegni pubblicitari che l'Ufficio del turismo di Cannes fa riprodurre sulle riviste di lusso. L'atmosfera era dolce, serena... La gente passeggiava senza fretta... Le auto scivolavano silenziosamente, come fossero senza motore... E nel porto, sull'acqua, tanti yacht bianchi... Maigret si sentiva stanco, intontito, eppure non aveva nessuna voglia di rientrare ad Antibes. Vagava senza meta, fermandosi ogni tanto senza sapere perché e riprendendo poi a camminare in una direzione a caso, come se la parte cosciente del suo essere fosse rimasta nell'antro di Jaja, vicino alla tavola non sparecchiata dove a mezzogiorno un impeccabile steward svedese se ne stava seduto di fronte a Sylvie seminuda. Per dieci anni William Brown aveva trascorso là parecchi giorni al mese, in un clima di calda pigrizia, accanto a Jaja che, dopo qualche bicchiere, si metteva a piagnucolare per poi addormentarsi sulla sedia. «La genziana, perbacco!». Maigret era entusiasta di aver trovato senza nemmeno accorgersene quel che cercava da un quarto d'ora! Da quando era uscito dal Liberty Bar, aveva ostinatamente tentato di darne una definizione che ne cogliesse l'essenza e non si limitasse all'aspetto pittoresco. E adesso l'aveva trovata! Gli era tornata in mente la frase di un amico cui un giorno aveva offerto l'aperitivo. «Cosa prendi?». «Una genziana!». «Che cos'è, una nuova moda?». «Non è una moda! È l'ultima risorsa dell'ubriacone, vecchio mio! Tu conosci la genziana e sai quant'è amara. E non è neppure alcolica! Be'! Quando per trent'anni uno ha buttato giù liquori di ogni genere, questo è l'unico vizio che gli resta. Perché solo il gusto amaro della genziana riesce ancora a stimolargli le papille...». Proprio così! Un luogo immune dai vizi e dalla cattiveria! Un bar dove i clienti entravano e andavano subito in cucina, accolti familiarmente da Jaja! E bevevano mentre lei cucinava! E magari facevano un salto dal macellaio vicino a comprare un pezzo di carne per il pranzo! Poi, quando Sylvie scendeva seminuda e con gli occhi pieni di sonno, la baciavano sulla fronte, senza neppure lanciare un'occhiata ai suoi seni scarni. Non c'era molta pulizia, né molta luce. Non si parlava molto. La conversazione si trascinava pigramente, come del resto le persone... Il mondo esterno con la sua agitazione non esisteva più. Soltanto un rettangolo di sole... Mangiare, bere... Sonnecchiare e bere ancora mentre Sylvie si vestiva e si infilava le calze per andare al lavoro... «A presto, padrino!». Era esattamente la storia della genziana! Quando uno ne aveva viste di tutti i colori e sperimentato ogni sorta di vizio, non gli restava, come estremo rifugio, che il Liberty Bar. Donne senza fascino, senza civetteria, senza passione e che non ispirano passione, donne a cui si regalano cento franchi per le calze, a cui si dà un bacio sulla fronte quando escono e si chiede quando rientrano: «Lavorato bene?». Maigret si sentì un po' oppresso. Voleva pensare ad altro. Si era fermato davanti al porto dove, a pochi centimetri dalla superficie dell'acqua, cominciava a stendersi un leggero strato di nebbia. Aveva oltrepassato i piccoli yacht, le barche a vela da regata. A una decina di metri, su un enorme panfilo bianco che apparteneva di certo a un pascià, un marinaio stava ammainando la bandiera rossa con la mezzaluna. Proprio davanti a lui c'era uno yacht di una quarantina di metri. Maigret ne lesse il nome, scritto sulla poppa a lettere dorate: Ardena. Gli era appena tornata in mente l'immagine dello svedese seduto al tavolo nella cucina di Jaja quando, alzando lo sguardo, lo vide sul ponte mentre, in guanti bianchi, posava su un tavolo di vimini il vassoio del tè. Il proprietario era affacciato al parapetto, in compagnia di due giovani donne. Rideva, mettendo in mostra dei magnifichi denti. Una passerella di tre metri li separava da Maigret. Con una scrollata di spalle il commissario vi salì e per poco non scoppiò a ridere vedendo la faccia terrorizzata dello steward. Ci sono momenti così, in cui si prende un'iniziativa non tanto per la sua reale utilità quanto per fare qualcosa, o forse per impedirsi di pensare. «Mi scusi, signore...». Il proprietario aveva smesso di ridere. Aspettava, rivolto verso Maigret, come pure le due donne. «Un'informazione, per favore. Lei conosce un certo Brown?». «Ha uno yacht?». «Ne aveva uno... William Brown...». In attesa della risposta, Maigret pensava a tutt'altro. Osservava il suo interlocutore, un uomo di circa quarantacinque anni e molto distinto, tra le due donne, che gli abiti lasciavano seminude. Pensava: «Brown era un tipo del genere! Anche lui si circondava di donne belle, eleganti, di quelle che curano ogni dettaglio della loro toilette allo scopo di sedurre! Per farle divertire le accompagnava nei locali notturni e offriva champagne a tutti...». L'uomo rispose con un marcato accento straniero: «Se si tratta del Brown che io ricordo, un tempo possedeva quel grande yacht, vede, l'ultimo laggiù... Il Pacific... Ma è stato già venduto due o tre volte...». «La ringrazio». L'uomo e le sue compagne non avevano ben capito il senso della visita di Maigret. Lo guardarono mentre si allontanava, e il commissario udì alle sue spalle una squillante risata femminile. Il Pacific... Nel porto c'erano solo due yacht di quella stazza, e uno era quello che batteva bandiera turca. Ma il Pacific era da tempo in disarmo: in molti punti, sotto la vernice scrostata, si vedeva la lamiera, e le parti in ottone erano ricoperte da una patina verde. Appeso al parapetto, un piccolo cartello malridotto con la scritta: «Vendesi». Era l'ora in cui i marinai degli yacht, tirati a lucido e impettiti nella loro uniforme, si avviano a gruppi verso la città, come dei soldati. Quando Maigret ripassò davanti all'Ardena, sentì lo sguardo dei tre fisso su di lui e sospettò che lo steward lo stesse spiando dal ponte. Le strade erano illuminate. Maigret ebbe qualche difficoltà a ritrovare il garage, dove voleva chiedere ancora un'informazione. «A che ora è venuto Brown a riprendere la macchina, venerdì?». Fu necessario chiamare il meccanico. Alle cinque meno qualche minuto! Quindi aveva avuto appena il tempo di tornare a Cap d'Antibes. «Era solo? Non c'era nessuno fuori che lo aspettava? E lei è sicuro che non fosse ferito?». William Brown era uscito dal Liberty Bar verso le due. Che cosa aveva fatto in quelle tre ore? Maigret non aveva più nulla da fare a Cannes. Aspettò l'autobus e si sprofondò in un sedile d'angolo, guardando distrattamente la strada statale dove le macchine, con i loro fari accesi, formavano un corteo senza fine. Quando scese dall'autobus in place Macé la prima persona che vide fu l'ispettore Boutigues: era seduto a un tavolino del Café Glacier e si alzò di scatto. «La stiamo cercando da stamattina!... Si accomodi... Cosa prende?... Cameriere!... Due pernod...». «No, grazie!... Io vorrei una genziana!...» disse Maigret, che voleva provare il gusto di quel liquore. «Per prima cosa ho interrogato i tassisti. E dato che nessuno l'aveva vista mi sono rivolto ai conducenti degli autobus. E così ho scoperto che lei era andato a Cannes...». Parlava in fretta, e come si infervorava! Maigret lo guardava suo malgrado con gli occhi sgranati, ma l'ispettore continuò, imperturbabile: «Ci sono solo cinque o sei ristoranti in cui si mangia decentemente... Ho telefonato a tutti... Ma dove diavolo ha pranzato?...». Boutigues sarebbe stato molto sorpreso se Maigret gli avesse detto la verità, se gli avesse parlato del cosciotto d'agnello e dell'insalata all'aglio nella cucina di Jaja, dei bicchieri di whisky e di Sylvie... «Il giudice istruttore non vuole prendere nessuna iniziativa senza prima averla consultata... E ci sono delle novità... È arrivato il figlio...». «Il figlio di chi?». Maigret fece una smorfia, perché aveva appena bevuto un sorso di genziana. «Il figlio di Brown... Era ad Amsterdam quando...». A Maigret era venuto un gran mal di testa. Cercava di concentrarsi, ma gli costava molta fatica. «Brown aveva un figlio?». «Più di uno... Li ha avuti dalla sua vera moglie, che vive in Australia. Uno di loro sta in Europa e si occupa della lana...». «Quale lana?». In quel momento Maigret fece probabilmente Una pessima impressione a Boutigues. Ma il commissario era ancora al Liberty Bar! Più esattamente, stava cercando di evocare l'immagine del cameriere che giocava alle corse ed a cui Sylvie aveva detto qualcosa dalla finestra... «Ma sì! I Brown sono i più grossi proprietari terrieri di tutta l'Australia. Allevano pecore ed esportano la lana in Europa... Uno dei figli si occupa degli allevamenti... Un altro, a Sydney, delle spedizioni... Il terzo, quello che sta in Europa, gira sempre da un porto all'altro, Liverpool, Le Havre, Amsterdam o Amburgo, a seconda della destinazione della lana... È lui che...». «E che cosa dice?». «Che bisogna seppellire suo padre appena possibile e che pagherà lui... Ha molta fretta... Domani sera deve riprendere l'aereo...». «È qui ad Antibes?». «No! A Juan-les-Pins... Ha voluto un grande albergo, con un appartamento tutto per lui... Mi hanno detto che gli serve il collegamento telefonico con Nizza per tutta la notte, così può chiamare Anversa, Amsterdam e non so che altro ancora...». «Ha visitato la villa?». «Gliel'ho proposto, ma ha rifiutato». «E allora che cos'ha fatto?». «Si è incontrato con il giudice e basta! Ha insistito perché tutto si concluda al più presto! E ha chiesto quanto verrà a costare!». «Che cosa?». «Tutta la faccenda». Maigret guardava la place Macé con aria assente. Boutigues continuava a parlare: «Il giudice l'ha aspettata nel suo ufficio per tutto il pomeriggio. Ora che l'autopsia è stata fatta deve per forza consentire l'inumazione... Brown figlio ha telefonato tre volte ed alla fine gli hanno detto che il funerale si farà domani mattina, molto presto...». «Molto presto?». «Sì, per evitare i curiosi... Per questo la stavo cercando... La bara verrà chiusa stasera... Quindi se vuol vedere Brown prima che...». «No!». No davvero! Maigret non aveva nessuna voglia di vedere il cadavere! Ormai conosceva abbastanza William Brown! Il caffè era pieno di gente. Boutigues notò che molti degli avventori li guardavano, cosa che in fondo non gli dispiaceva affatto. Tuttavia mormorò: «Parliamo a voce più bassa...». «Dove sarà sepolto?». «Ma... al cimitero di Antibes... Il carro funebre sarà davanti all'obitorio domattina alle sette... Ormai devo solo dare una conferma al figlio...». «E le due donne?». «Non è stato deciso niente... Forse il figlio preferirebbe...». «In che albergo mi ha detto che alloggia?». «Al Provençal. Vuole vederlo?». «A domani!» disse Maigret. «Lei verrà al funerale, immagino...». Era di un umore strano, allegro e al tempo stesso funereo! Un taxi lo portò all'Hôtel Provençal, dove fu accolto da un portiere, quindi da un fattorino con la livrea gallonata e infine da un giovanotto magro in abito nero appostato dietro una scrivania. «Il signor Brown?... Un momento, vedo se può riceverla... Vuol dirmi il suo nome, prego?...». Squillarono vari campanelli, mentre il fattorino andava e veniva. Passarono almeno cinque minuti prima che qualcuno venisse a prendere il commissario e lo accompagnasse, attraverso interminabili corridoi, fino a una porta contrassegnata dal numero 57. Dall'interno giungeva il ticchettio di una macchina da scrivere. Una voce irritata esclamò: «Avanti!». E Maigret si trovò di fronte a Brown junior, quello responsabile dei rapporti commerciali con l'Europa. Difficile dargli un'età. Poteva avere trent'anni, ma forse anche quaranta. Un tipo alto e magro, dai lineamenti marcati, rasato di fresco, vestito in modo sobrio e impeccabile, con una perla appuntata sulla cravatta nera a righe bianche. Tutto in lui faceva pensare all'ordine e a una perfetta organizzazione: non un capello fuori posto, non un segno di emozione alla vista del visitatore. «Permette un istante?... Si accomodi...». Una dattilografa stava scrivendo a macchina, seduta a un tavolo Luigi XV, mentre un segretario parlava in inglese al telefono. Brown junior finì di dettare un cablogramma in inglese, una richiesta di risarcimento danni a séguito di uno sciopero di portuali. Il segretario lo chiamò: «Signor Brown...». E gli porse la cornetta. «Hallo!... Yes!...». Brown ascoltò a lungo senza dire una parola, e alla fine, un attimo prima di riagganciare, tagliò corto: «No!». Suonò il campanello, poi chiese a Maigret: «Un porto?». «No, grazie». In quel momento comparve un cameriere, e Brown ordinò comunque: «Un porto!». Faceva tutto con calma, ma con un'aria attenta, come se da ogni suo minimo gesto, dalla minima alterazione dei suoi tratti dipendesse il destino del mondo. «Vada a scrivere nella mia camera!» disse alla dattilografa indicandole la stanza attigua. E al segretario: «Telefoni al giudice istruttore...». Finalmente si sedette e sospirò, accavallando le gambe: «Sono stanco. È lei che conduce l'inchiesta?». Sospinse verso Maigret il porto che il cameriere aveva servito. «È una storia ridicola, non le pare?». «Ridicola proprio non direi!» ribatté Maigret in tono piuttosto brusco. «Volevo dire, seccante...». «Certo! È sempre seccante morire per una coltellata alla schiena...». Il giovane si alzò di scatto, aprì la porta che dava nella stanza attigua, fece finta di dare degli ordini in inglese poi tornò verso Maigret, porgendogli un portasigarette. «Grazie! Fumo solo la pipa...». L'altro allora prese da un tavolino una scatola di tabacco inglese. «Solo tabacco scuro!» disse Maigret, tirando fuori dalla tasca il suo pacchetto. Brown si mise a camminare su e giù per la stanza. «Lei sa, vero, che mio padre conduceva una vita molto... scandalosa...». «Aveva un'amante!». «Non solo! C'è ben altro! Lei deve sapere, altrimenti rischia di commettere... come dite in francese?... una gaffe...». Fu interrotto dallo squillo del telefono. Il segretario accorse e rispose, questa volta in tedesco, mentre Brown gli faceva dei cenni di diniego. La telefonata andava per le lunghe, e Brown cominciava ad innervosirsi. Visto che il segretario non si decideva a tagliar corto, gli tolse il ricevitore dalle mani e riattaccò. «Mio padre è venuto in Francia molto tempo fa, da solo... E ci ha quasi rovinati...». Non riusciva a stare fermo. Sempre continuando a parlare, aveva richiuso la porta della stanza alle spalle del segretario. Indicò il bicchiere di porto. «Non beve?». «No, grazie!». Alzò le spalle con aria spazientita. «Il Tribunale ha nominato un curatore... Mia madre ha sofferto molto... E ha lavorato tanto...». «Ah! È stata sua madre a rimettere in piedi l'azienda?». «Sì, insieme a mio zio». «Il fratello di sua madre, evidentemente!». «Yes! Mio padre aveva perso... la dignità... sì, la dignità... Quindi è meglio che non si parli troppo di lui... Mi capisce?...». Maigret non gli toglieva gli occhi di dosso, il che sembrava esasperarlo. Tanto più che quello sguardo insistente era indecifrabile. Forse non significava nulla, o forse esprimeva invece una terribile minaccia. «Una domanda, signor Brown. Harry Brown, a quanto vedo dalle sue valigie. Dove si trovava mercoledì scorso?». Prima di rispondere Harry Brown percorse un paio di volte la stanza in tutta la sua lunghezza. «Crede forse che...?». «Non credo proprio niente. Le chiedo soltanto dove si trovava». «Ha qualche importanza?». «Forse sì, forse no!». «Ero a Marsiglia, ad attendere l'arrivo del Glasco! Un mercantile carico di lana proveniente dall'Australia, che ora si trova ad Amsterdam ma che non può scaricare per via dello sciopero dei portuali...». «E non ha visto suo padre?». «No, non l'ho visto...». «Un'ultima domanda. Chi versava un mensile a suo padre? E a quanto ammontava?». «Io! Cinquemila franchi... Vuole raccontarlo ai giornalisti?». Si sentiva ancora il ticchettio della macchina da scrivere e, alla fine di ogni riga, il campanello seguito dall'urto del carrello. Maigret si alzò e prese la bombetta. «La ringrazio!». Harry Brown rimase sbalordito. «Non c'è altro?». «No... La ringrazio...». Il telefono squillò ancora, ma il giovane non si curò di rispondere. Guardava incredulo Maigret che si stava dirigendo verso la porta. Allora, esasperato, afferrò una busta sul tavolo: «Avevo preparato, per i fondi assistenziali della polizia...». Maigret era già nel corridoio. Poco dopo scendeva le scale sontuose ed attraversava la hall, preceduto da un fattorino in livrea. Alle nove cenava nella sala da pranzo ormai vuota dell'Hôtel Bacon, consultando l'elenco telefonico. Chiamò, uno dopo l'altro, tre numeri di Cannes. Al terzo, finalmente, qualcuno rispose: «Sì, è qui vicino...». «Perfetto! Vuol dire per favore a Jaja che il funerale si farà domattina alle sette, ad Antibes?... Sì, il funerale... Lei capirà...». Si mise a camminare su e giù per la sala. Dalla finestra si vedeva, a cinquecento metri, la villa bianca di Brown con due finestre illuminate. Se la sentiva di...? No! Aveva troppo sonno! «Hanno il telefono, vero?». «Sì, signor commissario! Vuole che le chiami?». Che brava quella piccola cameriera con la cuffia bianca, che faceva pensare a un topolino che trotterella avanti e indietro! «Venga, prego!... C'è una di quelle signore al telefono...». Maigret prese il ricevitore. «Pronto!... Sono il commissario... Sì!... Non sono riuscito a passare da voi... Il funerale si farà domani mattina, alle sette... Come?... No! Stasera non posso... Ho del lavoro... Buonasera, signora...». Doveva essere la vecchia. E certo adesso correva, tutta agitata, a dare la notizia alla figlia. Poi ne avrebbero discusso insieme per decidere il da farsi. La proprietaria dell'Hôtel Bacon entrò nella sala, tutta sorrisi e moine. «Le è piaciuta la bouillabaisse?... L'ho fatta fare apposta per lei, dato che...». La bouillabaisse? Maigret si sforzò di ricordare. «Ah, sì! Squisita! Eccellente!» si affrettò a rispondere con un sorriso cortese. In realtà non se la ricordava. Spazzata via insieme alle cose inutili: Boutigues, l'autobus, il garage... Fra i particolari gastronomici, uno solo restava vivo nella memoria: il cosciotto d'agnello di Jaja... Con quell'insalata odorosa di aglio... No! Ce n'era un altro: il profumo dolciastro del porto che non aveva bevuto, al Provençal, e che si confondeva con il profumo altrettanto stucchevole della brillantina di Brown figlio. «Per favore, mi fa portare una bottiglia d'acqua?» chiese, avviandosi su per le scale. CAPITOLO QUINTO: IL FUNERALE DI WILLIAM BROWN Il sole dava già alla testa e, mentre nelle strade tutte le imposte erano ancora chiuse ed i marciapiedi deserti, nella piazza del mercato la vita pigra e serena era cominciata da un pezzo. Era la vita di gente che si alza presto, che ha molto tempo davanti a sé ed invece di agitarsi lancia di tanto in tanto, in italiano e in francese, un grido di richiamo. Il municipio, con la sua facciata gialla e la doppia scalinata, sorgeva proprio al centro del mercato. L'obitorio si trovava nel seminterrato. Ed è lì che alle sette meno dieci si fermò un carro funebre; tutto nero e alquanto incongruo in mezzo ai fiori e alla verdura. Maigret arrivò quasi nello stesso istante e vide Boutigues che si avvicinava di corsa: doveva essersi alzato da non più di dieci minuti, perché aveva il gilè ancora sbottonato. «Abbiamo il tempo di bere qualcosa... Non c'è ancora nessuno...». Spinse la porta di un piccolo bar e ordinò un rum. «È stata una cosa complicatissima, sa?... Il figlio si era scordato di dirci quanto voleva spendere per la bara... Ieri sera gli ho telefonato... Mi ha risposto che il prezzo non aveva importanza, purché fosse di buona qualità... Peccato che in tutta Antibes non ci fosse neppure una bara di quercia massiccia... Ho dovuto farla arrivare da Cannes, alle undici di sera... Poi ho dovuto pensare alla cerimonia... Ci voleva un funerale religioso o no?... Ho ritelefonato al Provençal, ma mi hanno risposto che Brown era già a letto... Ho fatto del mio meglio... Guardi!...». E indicò il portale parato a lutto di una chiesa che si trovava nella piazza del mercato, un centinaio di metri più in là. Maigret preferì non dire nulla, ma aveva l'impressione che il figlio di Brown fosse protestante, non cattolico. Il bar aveva due porte, una che dava sulla piazza e l'altra su un vicolo. Mentre Maigret e Boutigues uscivano da una parte, un uomo entrava dall'altra, e il suo sguardo incrociò quello del commissario. Era Joseph, il cameriere di Cannes, il quale, incerto se salutare o no, finì per abbozzare un gesto vago. Maigret pensò che Joseph avesse accompagnato Jaja e Sylvie ad Antibes, e non si sbagliava. Le due donne erano proprio davanti a lui e camminavano verso il carro funebre. Jaja era senza fiato, e l'altra la trascinava come se temesse di arrivare troppo tardi. Sylvie indossava quel tailleur blu che le dava un'aria da signorina perbene. Quanto a Jaja, si vedeva che non era più abituata a camminare, e probabilmente le dolevano i piedi o aveva le gambe gonfie. Portava un vestito di seta nera molto lucida. Dovevano essersi alzate verso le cinque e mezzo per prendere il primo autobus! Un avvenimento senza dubbio straordinario per quelli del Liberty Bar! Boutigues chiese: «Chi sono?». «Non so...» rispose Maigret con aria evasiva. Ma proprio in quel momento le due donne, che avevano ormai raggiunto il carro funebre, si fermarono e si voltarono. Non appena Jaja vide il commissario, si precipitò verso di lui: «Siamo in ritardo?... Dov'è?...». Sylvie aveva gli occhi cerchiati e lo stesso atteggiamento ostile nei confronti di Maigret. «Vi ha accompagnate Joseph?». L'altra stava quasi per mentire. «Chi gliel'ha detto?». Boutigues sì teneva in disparte. Maigret vide un taxi che, non potendo attraversare il mercato pieno di gente, si era fermato all'angolo di una strada. Ne scesero due donne che subito richiamarono l'attenzione generale: erano vestite a lutto, con dei veli di crespo nero lunghi quasi fino a terra. Il contrasto con il sole e con il festoso brusio della piazza era davvero stridente. Maigret mormorò a Jaja: «Mi scusi...». Boutigues era nervoso. Il becchino voleva andare a prendere la bara, ma l'ispettore gli chiese di aspettare ancora un po'. «Siamo in ritardo?...» chiese la vecchia. «È colpa del taxi che non arrivava mai...». Il suo sguardo si posò immediatamente su Jaja e Sylvie. «Chi sono?». «Non lo so...». «Spero che non abbiano intenzione di venire...». Arrivò un altro taxi. La portiera si aprì prima ancora che la macchina si fermasse, e ne scese Harry Brown, impeccabile nel suo abito nero, con i capelli biondi ben pettinati e il viso riposato. Il suo segretario, anche lui in nero, lo seguiva reggendo una corona di fiori. Proprio in quel momento Maigret notò che Sylvie era sparita. Si guardò intorno e la vide tra le bancarelle del mercato, vicino a delle ceste piene di fiori. Quando tornò, aveva in mano un enorme mazzo di violette di Nizza. Forse spinte dal gesto di Sylvie, anche le due donne vestite di nero si allontanarono in direzione del fioraio discutendo animatamente. La vecchia contò alcune monete e la giovane scelse delle mimose. Frattanto Brown si era fermato a pochi metri dal carro funebre, limitandosi a rivolgere un cenno di saluto a Maigret ed a Boutigues. «Sarà meglio che gli dica che disposizioni ho dato per la cerimonia...» disse l'ispettore con un sospiro. Intorno alle bancarelle più vicine al municipio il viavai di gente sembrava essersi arrestato: tutti seguivano attentamente la scena. Ma venti metri più in là c'era la solita animazione: grida, risate, e poi fiori, frutta e verdura nel sole, e profumo di aglio e di mimose. Quattro becchini portavano la bara, che era enorme, con una profusione di ornamenti in bronzo. Boutigues tornò accanto a Maigret. «Credo che non gliene importi granché. Ha alzato le spalle...». La gente si fece da parte. I cavalli si mossero. Harry Brown, rigido, con il cappello in mano, avanzò fissandosi la punta delle scarpe di vernice. Le quattro donne esitarono, scambiandosi rapide occhiate. Poi, mentre la folla si richiudeva dietro di loro, si trovarono senza volerlo sulla stessa fila, proprio dietro al giovane Brown e al suo segretario. La chiesa, le cui porte erano state spalancate, era deserta e deliziosamente fresca. Brown stava in piedi in cima alla scalinata, aspettando che i becchini togliessero la bara dal carro funebre. Doveva essere abituato alle cerimonie, e il fatto di trovarsi al centro dell'attenzione non gli causava il minimo imbarazzo. Anzi, osservava le quattro donne tranquillamente, senza eccessiva curiosità. Le disposizioni erano state impartite troppo tardi, e all'ultimo momento ci si accorse che mancava l'organista. Il parroco mandò a chiamare Boutigues, e quando questi tornò dalla sacrestia annunciò mortificato a Maigret: «Non ci sarà la musica... Bisognerebbe aspettare almeno un quarto d'ora... e poi forse l'organista è andato a pescare...». Ogni tanto qualcuno entrava nella chiesa, dava un'occhiata in giro e se ne andava. Brown era sempre in piedi, sempre rigido, e si guardava intorno con pacata curiosità. Le esequie si svolsero rapidamente, senza organo, senza coro. Il sacerdote con l'aspersorio benedisse la bara e subito dopo i quattro becchini la riportarono sul carro. Fuori cominciava a far caldo. Il corteo passò davanti alla vetrina di un barbiere proprio mentre un lavorante in camice bianco tirava su la saracinesca. Un uomo si faceva la barba davanti a una finestra aperta. E la gente che andava al lavoro si voltava a guardare quello strano funerale, stupita dal contrasto fra il sontuoso carro funebre di prima classe ed il séguito così esiguo. Le due donne di Cannes e le due di Antibes procedevano sempre sulla stessa fila, ma si tenevano a un metro di distanza. Un taxi vuoto seguiva lentamente il corteo. Boutigues, che si sentiva responsabile della cerimonia, era preoccupato. «Crede che ci saranno complicazioni?». Ma non fu così. Il cimitero, pieno di fiori, era allegro come il mercato. Il prete ed il chierichetto, che nessuno aveva visto arrivare, stavano già aspettando vicino a una fossa vuota. Harry Brown fu invitato a gettare la prima palata di terra. Poi ci fu un attimo di esitazione. La vecchia vestita a lutto spinse avanti la figlia, poi la seguì. Camminando a grandi passi, Brown aveva già raggiunto il taxi che aspettava all'ingresso del cimitero. Ci fu di nuovo un attimo di esitazione. Maigret si teneva un po' in disparte, insieme a Boutigues. Jaja e Sylvie non osavano andarsene senza salutarlo, ma le donne vestite a lutto le precedettero. Gina Martini piangeva sotto il velo, appallottolando nervosamente il fazzoletto. La madre domandò sospettosa: «Era il figlio, vero?... Immagino che vorrà vedere la villa...». «Può darsi! Non lo so...». «Lei verrà a trovarci, oggi?». E intanto non staccava gli occhi da Jaja e Sylvie. Era chiaro che solo loro la interessavano veramente. «Da dove saltano fuori?... Non si doveva permettere a donne come quelle...». Si udiva il canto degli uccelli sugli alberi. I becchini lavoravano con ritmo regolare, e via via che la fossa si riempiva il rumore della terra che cadeva si faceva sempre più tenue. La corona e i due mazzi di fiori erano appoggiati sulla tomba vicina. E Sylvie continuava a guardare da quella parte, con lo sguardo fisso e le labbra esangui. Jaja era sulle spine. Aspettava che le altre due se ne andassero per poter parlare a Maigret. Aveva caldo, e ad ogni istante si asciugava il sudore. Di certo non ne poteva più di stare in piedi. «Sì... Verrò a trovarvi presto...». I veli neri si allontanarono verso l'uscita, e Jaja raggiunse il commissario tirando un gran sospiro di sollievo. «Sono loro?... Era veramente sposato?». Sylvie era rimasta indietro: non riusciva a distogliere lo sguardo dalla fossa, ormai quasi piena. Anche Boutigues era nervoso, tanto più che non osava avvicinarsi per ascoltare la conversazione. «Chi ha pagato il funerale? Il figlio?». ' Si vedeva che Jaja era a disagio. «Che strano funerale!» disse. «Non so perché, ma non me l'ero immaginato così... Non riuscivo neanche a piangere...». Ora però era commossa e guardava il cimitero in preda ad un vago malessere. «Neanche un po' di tristezza!... Si sarebbe detto...». «Che cosa?». «Non so... Come se non fosse un vero funerale...». Soffocando un singhiozzo, si asciugò gli occhi e si voltò verso Sylvie. «Andiamo... Joseph ci sta aspettando...». Seduto sulla porta di casa, il guardiano del cimitero stava tagliando a pezzi un grongo. «Lei cosa ne pensa?». Boutigues era preoccupato. Anche lui avvertiva confusamente che c'era qualcosa che non andava. Maigret si accese la pipa. «Penso che William Brown è stato assassinato!» replicò. «Questo lo sapevamo!». Stavano passeggiando per le strade di Antibes. I negozi avevano già le tende da sole abbassate. Il barbiere che avevano visto di mattina leggeva il giornale seduto davanti alla porta. In place Macé Maigret scorse le due donne di Cannes che aspettavano l'autobus insieme a Joseph. «Ci sediamo a bere qualcosa?» propose Boutigues. Maigret accettò. Si sentiva invadere da una pigrizia quasi invincibile. Davanti ai suoi occhi era tutto un susseguirsi di immagini confuse, e lui non cercava neppure di mettervi ordine. Seduto a un tavolo del Café Glacier, socchiuse le palpebre. Il sole scottava, e le ciglia abbassate formavano una grata ombrosa attraverso la quale le persone e le cose assumevano un aspetto fiabesco. Vide Joseph che aiutava Jaja a salire sull'autobus. Poi passò lentamente un signore basso, tutto vestito di bianco, con un casco coloniale in testa e un chow chow dalla lingua violacea al guinzaglio. Altre immagini si mescolavano alla realtà: William Brown che al volante della sua vecchia auto accompagnava le sue donne da un negozio all'altro, magari con il pigiama sotto il cappotto e la barba lunga. A quell'ora, nel suo lussuoso appartamento al Provençal, il figlio dettava certamente cablogrammi o rispondeva al telefono andando su e giù a lunghi passi scattanti e regolari. «È una strana faccenda!» sospirò Boutigues che non sopportava il silenzio e accavallava continuamente le gambe ora in un senso ora nell'altro. «È un vero peccato che ci si sia dimenticati di avvertire l'organista!». «Già! William Brown è stato assassinato...». Maigret lo ripeteva a se stesso, come per convincersi che, nonostante tutto, si trattava di un dramma. Aveva la fronte madida di sudore, e il solino sembrava soffocarlo. Guardò avidamente il grosso cubetto di ghiaccio che galleggiava nel suo bicchiere. «Brown è stato assassinato... È uscito di casa per andare a Cannes, come faceva ogni mese. Ha lasciato la macchina al solito garage. È passato in banca, o da un legale, per riscuotere il mensile che gli mandava suo figlio. Poi ha trascorso alcuni giorni al Liberty Bar». Giorni di calda pigrizia, simile a quella che opprimeva Maigret. Giorni passati in pantofole, a trascinarsi da una sedia all'altra, a mangiare e bere insieme a Jaja, a guardare Sylvie che girava seminuda per casa... «Il venerdì, verso le due, se ne va... Alle cinque è al garage per riprendere la macchina e un quarto d'ora dopo crolla, ferito a morte, sulla scala esterna della villa, mentre le due donne, credendolo ubriaco, lo insultano dalla finestra... Ha in tasca circa duemila franchi, come al solito...». Maigret in realtà non aveva parlato, ma solo pensato, continuando a osservare attraverso la grata delle ciglia il viavai dei passanti. Fu Boutigues a rompere il silenzio mormorando: «Mi chiedo chi avesse qualcosa da guadagnare dalla sua morte!». Ecco la domanda cruciale! Le sue due donne? No di certo! Loro, al contrario, volevano che vivesse il più a lungo possibile: era nel loro interesse, visto che dei duemila franchi che lui portava a casa ogni mese riuscivano anche a mettere da parte qualcosa. Quelle di Cannes? Neanche! Con la sua morte avrebbero perso uno dei pochi clienti, uno che per otto giorni al mese dava da mangiare a tutta la baracca e che pagava le calze di seta all'una e le bollette del gas e della luce all'altra... No! L'unico che ci avrebbe guadagnato era Harry Brown, che alla morte del padre non avrebbe più dovuto sborsare i cinquemila franchi al mese. Ma che cosa erano cinquemila franchi per una famiglia che riempiva navi intere con la lana dei suoi allevamenti? A un tratto Boutigues disse sospirando: «Finirò col credere anch'io, come la gente di qui, che si tratti di un caso di spionaggio...». «Cameriere! Un altro!» esclamò Maigret. Se ne pentì subito. Avrebbe voluto richiamare il cameriere, ma non osava! Non osava per timore di ammettere la propria debolezza. E avrebbe sempre ricordato quel momento, i tavolini all'aperto del Café Glacier, la place Macé... Perché era uno dei suoi rari momenti di debolezza! Di totale debolezza! L'aria era tiepida. Una ragazzina scalza e con le gambe abbronzate vendeva mimose all'angolo della strada. Una grossa torpedo grigia con gli accessori cromati passò silenziosamente diretta verso la spiaggia: a bordo, tre giovani donne che indossavano pantaloni leggeri e un giovanotto con dei baffetti da attor giovane. C'era aria di vacanza. Anche il giorno prima, al tramonto, al porto di Cannes c'era aria di vacanza, soprattutto a bordo dell'Ardena, dove il proprietario faceva il galante con quelle ragazze dalle forme procaci. Maigret, invece, era vestito di nero come a Parigi, e portava la bombetta, un cappello che lì era proprio stonato. Di fronte a lui un manifesto annunciava a grandi lettere blu: CASINO' DI JUAN-LES-PINS. GRAN GALA' DELLA PIOGGIA D'ORO. E il ghiaccio si scioglieva a poco a poco nel bicchiere opalescente. Le vacanze! Guardare il fondo cangiante del mare da una barca dipinta di verde o di arancione... Fare la siesta sotto un pino marittimo ascoltando il ronzio dei mosconi... Ma soprattutto non doversi preoccupare di uno sconosciuto che si era preso chissà come una coltellata alla schiena! E neppure di quelle donne mai viste prima i cui volti lo ossessionavano come se fosse stato lui ad andarci a letto! Che brutto mestiere! Nell'aria c'era odore di asfalto surriscaldato. Boutigues portava un garofano rosso all'occhiello della giacca grigio chiaro. William Brown?... Be', era stato sotterrato!... Cosa voleva di più?... E che cosa c'entrava lui?... Non era certo stato lui il proprietario di uno degli yacht più grandi d'Europa... E non era stato lui a mettersi con le due Martini, la vecchia con il viso tutto imbellettato e la giovane dalle forme prosperose... E neppure ad abbandonarsi soddisfatto alla pigrizia un po' sordida del Liberty Bar... Leggere ventate di aria tiepida gli accarezzavano le guance... La gente che passava era in vacanza... Tutti erano in vacanza, lì!... La vita stessa sembrava una vacanza!... Se la prendeva comoda anche Boutigues, che non riusciva a stare zitto e diceva a bassa voce: «In fondo, sono ben contento di non avere la responsabilità di...». Allora Maigret smise di guardare il mondo attraverso le ciglia e si girò verso l'ispettore. Aveva il viso un po' congestionato per via del caldo e della sonnolenza, e il suo sguardo era leggermente appannato, ma bastarono pochi secondi perché riacquistasse la solita limpidezza. «Già!» disse alzandosi. «Cameriere! Quant'è?...». «Lasci stare...». «No, assolutamente!». Buttò alcune monete sul tavolo. Sì, era un momento di cui Maigret si sarebbe ricordato a lungo, perché aveva avuto davvero la tentazione di non crearsi tanti problemi, di lasciar correre, di fare come gli altri insomma, che prendono ogni giorno come viene. Ed erano giorni splendidi! «Va via?... Le è venuta un'idea?». No! La sua testa era troppo piena di sole, di languore. Non aveva neppure l'ombra di un'idea. E siccome non voleva mentire, mormorò: «William Brown è stato assassinato!». E dentro di sé pensava: «Non gliene frega niente, a loro!...». Sì! A tutte quelle persone che si crogiolavano al sole come lucertole e che quella sera sarebbero andate al Gran galà della pioggia d'oro. «Vado a lavorare!» disse Maigret. Strinse la mano a Boutigues e si allontanò. Si fermò per lasciar passare una macchina da trecentomila franchi guidata da una ragazzina di appena diciotto anni che fissava la strada con le sopracciglia aggrottate. «Brown è stato assassinato...» continuava a ripetersi. Ora sapeva che era meglio non sottovalutare la Costa Azzurra. Girò le spalle al Café Glacier, e per non ricadere in tentazione ordinò a se stesso come a un sottoposto: «Scoprire che cosa ha fatto Brown nel pomeriggio di venerdì, dalle due alle cinque...». E allora bisognava andare a Cannes! E prendere l'autobus! Maigret si mise ad aspettarlo sotto un lampione, con le mani in tasca, la pipa fra i denti e l'aria scontrosa. CAPITOLO SESTO: L'AMICO IMBARAZZATO A Cannes, Maigret si dedicò per ore al grigio lavoro che di solito si affida ad un ispettore. Ma aveva bisogno di darsi da fare, di agire, o quantomeno di illudersi di agire. Alla Buoncostume conoscevano Sylvie perché era schedata. «Non ho mai avuto problemi con lei!» disse l'agente che si occupava del suo quartiere. «È una ragazza tranquilla, si presenta quasi regolarmente alla visita...». «E il Liberty Bar?». «Gliene hanno parlato? È un bizzarro locale, che ci ha creato problemi per molto tempo e continua a crearne. Ci arriva una lettera anonima quasi ogni mese! In un primo momento sospettavamo che Jaja smerciasse stupefacenti. L'abbiamo messa sotto sorveglianza, e posso garantirle che era un sospetto infondato... Qualcuno aveva anche insinuato che il retrobottega servisse come luogo d'incontro per tipi dalle abitudini particolari...». «Ma non è vero!» fece Maigret. «Infatti... La faccenda è ancora più strana, persino buffa... La vecchia Jaja attira individui di una certa età, che non hanno più voglia di niente se non di ubriacarsi insieme a lei. D'altra parte lei ha una piccola rendita, perché suo marito è morto in un incidente...». «LO SO...». In un altro ufficio Maigret chiese informazioni su Joseph. «Lo teniamo d'occhio perché gioca sempre alle corse, ma non abbiamo mai trovato nulla che potesse incriminarlo». Insomma, un fiasco totale! Maigret si mise allora a perlustrare la città, con le mani in tasca e un'aria ostinata che manifestava tutto il suo malumore. Cominciò col visitare i grandi alberghi, dove si fece consegnare i registri dei clienti di passaggio. Pranzò di fretta in un ristorante vicino alla stazione, e alle tre del pomeriggio aveva appurato solo che Harry Brown non aveva dormito a Cannes nella notte fra il martedì e il mercoledì e neppure in quella successiva. C'era quasi da ridere! Tanto darsi da fare per niente! «Forse Brown figlio è arrivato da Marsiglia in macchina ed è ripartito il giorno stesso...». Maigret tornò alla Buoncostume e si fece dare la fotografia di Sylvie. Aveva già in tasca quella di William Brown, che aveva preso durante la visita alla villa. E si immerse in un'atmosfera del tutto diversa: quella degli alberghetti nella zona del porto, dove le camere si affittano anche a ore. I proprietari intuivano immediatamente che Maigret era un poliziotto, perché è gente che teme la polizia più di ogni altra cosa. «Aspetti un attimo, provo a chiedere alla cameriera...». Salendo e scendendo per scale buie, il commissario scopriva una vera e propria corte dei miracoli. «Questo tipo grande e grosso?... No! Non mi sembra di averlo mai visto qui...». Maigret mostrava per prima la fotografia di William Brown, poi tirava fuori quella di Sylvie. La conoscevano quasi dappertutto. «Sì, è venuta qualche volta... Ma è già un po' di tempo...». «Di notte?». «Oh, no! Quando viene con qualcuno, è sempre "per un momento solo"...». Hôtel Bellevue... Hôtel du Port... Hôtel Bristol... Hôtel d'Auvergne... E ce n'erano altri ancora, per lo più nei vicoli, e per lo più così discreti che come insegna avevano solo una targa accanto a un androne spalancato: «Acqua corrente. Prezzi modici». A volte Maigret saliva qualche gradino e trovava una scala ricoperta da una passatoia... A volte, nel corridoio, incontrava una coppia furtiva che si voltava dall'altra parte... E quando usciva rivedeva il porto, dove erano state tirate in secco alcune barche a vela di sei metri, quelle per le regate internazionali. Dei marinai le stavano verniciando accuratamente, circondati da gruppi di curiosi che si erano fermati a guardare. «Non vogliamo grane!» gli avevano detto a Parigi. Bene! Se le cose andavano avanti così sarebbero stati serviti a dovere! Non ci sarebbero state grane per la semplice ragione che Maigret non avrebbe scoperto un bel niente! Fumava una pipa dopo l'altra, caricandone una quando la precedente non era ancora spenta: ne aveva sempre due o tre in tasca. Era furibondo e ce l'aveva con tutti, con quella città che gli era sempre più antipatica, con una donna che insisteva per vendergli dei frutti di mare, e persino con un ragazzino scalzo che correndo gli era finito tra le gambe e gli aveva riso in faccia. «Conosce quest'uomo?». Stava mostrando per la ventesima volta la fotografia di William Brown. «Qui non è mai venuto». «E questa donna?». «Sylvie?... È di sopra...». «Da sola?». L'albergatore alzò le spalle e gridò nella tromba delle scale: «Albert!... Vieni giù un attimo...». Apparve un cameriere sudicio, che guardò il commissario di traverso. «Sylvie è ancora di sopra?». «Sì, alla 7...». «Hanno ordinato da bere?». «No, niente!». «Allora non ne hanno ancora per molto!» disse il padrone a Maigret. «Se vuole parlare con lei, deve solo aspettare un po'...». L'albergo si chiamava Beauséjour e si trovava in una strada parallela al lungomare, proprio di fronte a una panetteria. Maigret aveva davvero voglia di rivedere Sylvie? Doveva farle delle domande? Non lo sapeva nemmeno lui. Era stanco. In tutto il suo atteggiamento c'era, quasi per reazione, un che di minaccioso, come se avesse intenzione di piantar lì tutto. Non poteva certo mettersi ad aspettare davanti all'albergo: attraverso la vetrina, la padrona della panetteria lo stava guardando con aria ironica. Sylvie aveva dunque tanti amanti che a volte qualcuno di loro doveva aspettare il suo turno giù da basso? Sì, doveva essere così! Maigret era furibondo all'idea di essere scambiato per un cliente della ragazza. Raggiunse l'angolo della strada con l'intenzione di fare il giro dell'isolato, tanto per passare il tempo. Quando fu sul lungomare, passò davanti a un taxi accostato al marciapiede. Si voltò a guardarlo: l'autista era sceso e camminava avanti e indietro. In un primo momento non riuscì a capire che cosa lo avesse colpito. Si voltò di nuovo, e poi ancora. Non era la macchina a ricordargli qualcosa, ma l'uomo, e d'un tratto quel volto si associò al ricordo del funerale di quella mattina. «Scusi, lei è di Antibes?». «Di Juan-les-Pins!». «Stamattina ha seguito un funerale fino al cimitero, vero?...». «Sì! Perché?». «E il cliente che ha accompagnato qui è lo stesso di stamattina?». L'autista squadrò il commissario da capo a piedi, incerto se rispondere o meno. «Perché mi fa queste domande?». «Polizia... Allora?...». «Sì, è lo stesso... È un tale che mi tiene a disposizione per tutto il giorno, da ieri...». «E adesso dov'è?». «Non lo so... È andato da quella parte...». L'autista indicò una strada, e di colpo assunse un tono preoccupato: «Senta, non vorrà mica arrestarlo prima che mi abbia pagato?». Maigret rimase per un po' immobile a fissare il vecchio cofano del taxi: era così concentrato che si era scordato di accendere la pipa. D'improvviso gli balenò il sospetto che la coppia avrebbe potuto lasciare l'albergo e si precipitò verso il Beauséjour. La panettiera lo vide arrivare e chiamò il marito che stava in fondo al negozio: questi, infatti, comparve con il viso sporco di farina. Ma tant'è! Ormai Maigret se ne infischiava! «Camera 7...». Guardando la facciata, cercava di indovinare quale tra le finestre con le tende chiuse potesse corrispondere alla camera 7. Ancora non osava cantar vittoria. Eppure... No! Non poteva essere una coincidenza... Per la prima volta due elementi di quella storia gli apparivano collegati fra loro... Sylvie e Harry Brown che si incontravano in un albergo equivoco del porto! Il tempo passava: per venti volte il commissario percorse i cento metri che lo separavano dal lungomare e per venti volte rivide il taxi, fermo allo stesso posto. L'autista si era appostato all'angolo della strada in modo da poter sorvegliare anche lui il suo cliente... Finalmente la porta a vetri in fondo al corridoio si aprì. Camminando in fretta, Sylvie sbucò sul marciapiede e si trovò proprio di fronte a Maigret. «Buongiorno!» esclamò lui. Lei rimase impietrita, pallida come non l'aveva mai vista. Aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. «Il suo amico si sta rivestendo?». Sylvie girava la testa di qua e di là come una banderuola. Le cadde per terra la borsetta e Maigret la raccolse. La ragazza gliela strappò letteralmente di mano, come se avesse una gran paura che lui la aprisse. «Aspetti un momento!». «Mi scusi... Ho fretta... Se vuole, può accompagnarmi...». «No, non mi va proprio di camminare... Soprattutto in quella direzione...». Era più commovente che graziosa, per via dei grandi occhi che le divoravano il viso. Si vedeva che era in preda ad un'irrefrenabile agitazione, a un'angoscia che le toglieva il respiro. «Che cosa vuole da me?». Il suo unico desiderio, lo si capiva, era fuggire via di corsa. Per impedirglielo Maigret le prese una mano e la tenne fra le sue, con un gesto che, agli occhi dei panettieri di fronte, poteva sembrare affettuoso. «Harry è ancora di sopra?». «Non capisco...». «Va bene! Lo aspetteremo insieme... Calma, figliola!... Niente sciocchezze... E lasci stare la borsetta...». Il commissario infatti gliel'aveva presa, e attraverso la seta leggera gli sembrava di riconoscere la forma di un pacchetto di banconote. «Non faccia scenate!... La gente ci sta guardando...». Per non parlare dei passanti, che dovevano di certo pensare che Maigret e Sylvie stessero discutendo della tariffa! «La supplico...». «No!». Poi, a voce più bassa: «Se non sta buona, le metto le manette!». Lei lo guardò con gli occhi sbarrati per lo spavento, poi, scoraggiata o vinta, abbassò il capo. «A quanto pare Harry non ha fretta di scendere...». Lei non disse nulla, non cercò di negare né di convincerlo che si sbagliava. «Lo conosceva già?». Erano in pieno sole. Sylvie aveva il viso imperlato di sudore. Sembrava cercasse disperatamente un'idea che non riusciva a trovare. «Mi ascolti...». «La sto ascoltando...». Ma no! Aveva già cambiato parere! Rimase in silenzio, mordendosi forte le labbra. «Joseph la aspetta da qualche parte?». «Joseph?». Adesso era atterrita, in preda al panico. E finalmente si udirono dei passi sulle scale dell'albergo. Sylvie tremava, non osava guardare verso il corridoio immerso nell'oscurità. I passi echeggiarono sul pavimento, si fecero più vicini. La porta a vetri si aprì, si richiuse, e i passi si arrestarono di colpo. Harry Brown, che ancora non si distingueva nella penombra, doveva aver visto la coppia! Fu questione di un attimo, poi riprese a camminare. Facendo ricorso a tutta la sua faccia tosta, passò senza la minima esitazione, tutto impettito, rivolgendo un rapido cenno di saluto a Maigret. Questi teneva stretta la mano inerte di Sylvie. Per raggiungere Brown, che ormai li aveva superati, avrebbe dovuto lasciar andare la ragazza. Sarebbe stata una scena ridicola, per di più sotto gli occhi della panettiera!... «Venga con me!...» disse a Sylvie. «Ha intenzione di arrestarmi?». «Non si preoccupi...». Doveva fare subito una telefonata, ma era assolutamente deciso a trattenere Sylvie. Lì intorno c'erano dei bar. Entrò in uno a caso e trascinò con sé la ragazza nella cabina. Pochi istanti dopo parlava con l'ispettore Boutigues. «Corra immediatamente all'Hôtel Provençal e chieda con cortesia ma con fermezza ad Harry Brown di non lasciare Antibes prima del mio arrivo. Se necessario gli impedisca di uscire...». Sylvie ascoltava, prostrata. Non aveva più la forza di opporsi, non tentava più nemmeno di protestare. «Che cosa prende?» le chiese il commissario tornando al tavolo. «È lo stesso...». Maigret teneva d'occhio soprattutto la borsetta. Il cameriere, subodorando qualcosa di strano, li osservava con curiosità. In quel momento una ragazzina che andava di tavolo in tavolo si avvicinò porgendo un mazzolino di violette: Maigret ne prese uno, lo offrì a Sylvie e, dopo essersi frugato in tasca con aria seccata, afferrò di colpo la borsetta. «Permette?... Non ho spiccioli...». Il tutto era accaduto così in fretta e con tanta naturalezza che Sylvie non fece in tempo a dire nulla. Per un attimo le sue dita si strinsero intorno al manico della borsa. Mentre la ragazzina aspettava pazientemente scegliendo un altro mazzolino dal suo cesto, Maigret cercò qualche spicciolo sotto un grosso pacchetto di banconote da mille franchi. «E ora andiamo!...» disse alzandosi. Anche lui era nervoso. Aveva fretta di andarsene, di non sentirsi più addosso tanti sguardi curiosi. «Passiamo a salutare quella brava donna di Jaja?». Sylvie, ormai sconfitta, lo seguì docilmente. Niente li distingueva dalle altre coppie che passavano, se non il fatto che era Maigret a tenere con grande cautela la borsetta della ragazza. «Dopo di lei!». Sylvie scese i due gradini, entrò nel bar e si diresse verso la porta a vetri in fondo al locale. Dietro la tendina di tulle si intravedeva un uomo seduto di spalle, che all'arrivo dei due si alzò di scatto. Era Yan, lo steward svedese, che riconoscendo Maigret arrossì fino alla punta dei capelli. «Ah, è di nuovo qui?... Be', amico mio, mi faccia un piacere, vada a fare due passi...». Jaja era disorientata. Il viso di Sylvie le diceva chiaramente che stava accadendo qualcosa di strano, e lei non vedeva l'ora che il marinaio se ne andasse. «Vieni domani, Yan?». «Non lo so...». Ma lui, paralizzato dallo sguardo duro di Maigret, non sapeva come prendere congedo e se ne stava lì con il berretto in mano. «Sì... va bene... Arrivederci...» gli disse Maigret spazientito, aprendo la porta per lasciarlo passare. Poi, bruscamente, girò la chiave nella toppa e disse a Sylvie: «Togliti pure il cappello». Jaja azzardò timidamente: «Vi siete incontrati...». «Esatto! Ci siamo incontrati». Jaja avvertiva la tempesta nell'aria e non osava neppure offrire da bere. Per nascondere il suo imbarazzo raccolse un giornale dal pavimento, lo ripiegò e andò a controllare qualcosa sui fornelli. Maigret caricò lentamente la pipa, poi si avvicinò anche lui al fornello, arrotolò un pezzo di giornale e lo accostò alla fiamma. Sylvie, che era rimasta in piedi vicino al tavolo, si tolse il cappello e lo posò davanti a sé. Allora Maigret si sedette, aprì la borsetta e cominciò a contare le banconote disponendole in un mucchietto ordinato fra i bicchieri sporchi. «Diciotto... diciannove... venti... Ventimila franchi!...». Jaja si era voltata di colpo e fissava le banconote, sbalordita. Guardò Sylvie e poi il commissario, tesa nello sforzo di capire. «Che cosa...?». «Oh, niente di straordinario!» borbottò Maigret. «Sylvie ha scovato un amante più generoso degli altri, tutto qui! E vuol sapere come si chiama? Harry Brown...». Si era seduto come se fosse a casa sua, con i gomiti sul tavolo, la pipa in bocca e la bombetta all'indietro, sulla nuca. «Ventimila franchi "per un momento solo", come dicono all'Hôtel Beauséjour...». Per darsi un contegno Jaja si asciugava le mani grassocce nel grembiule. Era sbigottita e non osava dire più niente. Sylvie, pallidissima, il viso tirato, aveva lo sguardo fisso nel vuoto, come se ormai fosse preparata al peggio. «Puoi sederti!» esclamò Maigret. Lei obbedì meccanicamente. «Anche tu, Jaja... Aspetta... Prima dacci dei bicchieri puliti...». Sylvie si era seduta allo stesso posto del giorno prima, quando mangiava con la vestaglia semiaperta e il seno nudo a pochi centimetri dal piatto. Jaja posò sul tavolo una bottiglia e dei bicchieri e si sedette sull'orlo della sedia. «E ora, mie care, aspetto...». Il fumo della pipa saliva lentamente verso la finestrella, tutta azzurra adesso che il sole non la raggiungeva più. Jaja guardava Sylvie... E la ragazza, ostinata o assente, continuava a tacere, lo sguardo fisso nel vuoto. «Sto sempre aspettando...». Avrebbe potuto ripeterlo mille volte ed aspettare per dieci anni! Ma solo Jaja aprì bocca: con il mento premuto sul petto disse in un sospiro: «Dio mio!... Chi poteva immaginare...». Maigret dovette fare uno sforzo per controllarsi. Si alzò e si mise a camminare avanti e indietro, borbottando: «Dovrà pur decidersi...». Quella ragazza lo faceva andare su tutte le furie. Lui le passò accanto una, due, tre volte, ma lei continuava a restare immobile come una statua. «Di tempo ne ho... Ma...». La quarta volta non si trattenne. Fu un gesto istintivo. Con una mano afferrò la spalla della ragazza, senza neppure rendersi conto della forza con cui la stringeva. Lei alzò il braccio per coprirsi il viso, come una bambina che ha paura di essere picchiata. «Allora?...». Cedendo al dolore, Sylvie gridò fra i singhiozzi: «Vigliacco!... Schifoso vigliacco!... Non dirò niente... Niente!... Niente!...». Jaja sembrava disperata. Maigret, torvo, si lasciò cadere sulla sedia, mentre Sylvie continuava a piangere senza nascondersi il viso, senza asciugarsi gli occhi, a piangere di rabbia più che di dolore. «... Niente!...» ripeteva meccanicamente fra un singhiozzo e l'altro. La porta del bar si aprì, cosa che succedeva piuttosto di rado: un cliente si appoggiò al bancone e girò la leva della slot-machine. CAPITOLO SETTIMO: «SOPRATTUTTO, NON VOGLIAMO GRANE!» Infastidito, Maigret si alzò e andò personalmente nel bar per evitare qualche manovra da parte delle due donne. Il cliente, chissà, poteva essere un complice di Joseph! «Che cosa vuole?». L'altro rimase così sconcertato che il commissario, nonostante il malumore, per poco non scoppiò a ridere. Era un tipo scialbo, di mezza età, con i capelli grigi, che doveva essere arrivato lì rasentando i muri e inseguendo sogni di un erotismo sfrenato! E ora dietro al banco vedeva spuntare Maigret, con quell'aria seccata! «Una birra...» balbettò, lasciando la leva della slot- machine. Attraverso le tendine Maigret vide le due donne avvicinarsi l'una all'altra. Jaja chiedeva qualcosa e Sylvie le rispondeva stancamente. «Di birra non ne abbiamo!». O almeno Maigret non ne vedeva a portata di mano! «Quello che vuole, allora... Un porto...». Maigret gli versò un liquore a caso, nel primo bicchiere che gli capitò. L'uomo ne bevve solo un sorso. «Quant'è?». «Due franchi!». Lo sguardo di Maigret andava dal vicolo ancora caldo di sole al piccolo bar di fronte, dove s'intravedevano delle figure in movimento, al retrobottega, dove Jaja stava tornando al suo posto. Il cliente se ne andò, chiedendosi in che razza di locale fosse finito. Allora Maigret tornò in cucina e si sedette a cavalcioni della sedia. L'atteggiamento di Jaja era un po' cambiato. Poco prima era in ansia, ma soprattutto si sforzava di capire cosa stesse accadendo. Ora la sua ansia aveva una ragione precisa. Stava riflettendo, e intanto guardava Sylvie con uno sguardo pieno di commiserazione ma anche con una punta di rancore. Sembrava volesse dire: «Bel pasticcio! E adesso non sarà facile venirne fuori!». Azzardò ad alta voce: «Sa com'è, commissario... Gli uomini sono così strani...». Ma non c'era convinzione nelle sue parole e lei se ne accorse. Se ne accorse anche Sylvie, che alzò le spalle. «L'ha vista stamattina al funerale e gli sarà venuta voglia... È talmente ricco che...». Maigret sospirò e accese un'altra pipa guardando distrattamente verso la finestrella. L'atmosfera era lugubre. Jaja, temendo di peggiorare le cose, si era decisa a stare zitta. Sylvie non piangeva, non si muoveva neanche più: aspettava. Solo la piccola sveglia continuava la sua vita laboriosa, spingendo avanti sul quadrante sbiadito le lancette nere che sembravano troppo pesanti... «Tic tac, tic tac, tic tac...». A tratti quel ticchettio diventava un rumore assordante. Un gatto bianco attraversò il cortile e venne a sdraiarsi proprio davanti alla finestrella. «Tic tac, tic tac, tic tac...». Jaja, che non era certo fatta per le situazioni drammatiche, si alzò e andò a prendere una bottiglia di liquore nell'armadio. Come se niente fosse, senza aprir bocca, riempì tre bicchieri e ne spinse uno davanti a Maigret e l'altro davanti a Sylvie. I ventimila franchi erano sempre sul tavolo, vicino alla borsetta. «Tic tac, tic...». E andò avanti così per un'ora e mezzo! Un'ora e mezzo di silenzio, interrotto solo dai sospiri di Jaja che continuava a bere e cominciava ad avere gli occhi lucidi. Ogni tanto si sentivano le grida dei ragazzini che giocavano nel vicolo o lo scampanellio ostinato di un tram in lontananza. La porta del bar si aprì. Un arabo mise dentro la testa e gridò: «Noccioline?». Aspettò un momento, poi, non ricevendo risposta, richiuse la porta e scomparve. Erano le sei quando la porta si aprì di nuovo, e questa volta la stanza sembrò percorsa da una vibrazione che annunciava l'evento atteso da tutti. Jaja stava quasi per alzarsi e correre nel bar, ma uno sguardo di Maigret la trattenne. Ostentando un'assoluta indifferenza, Sylvie girò la testa dall'altra parte. La seconda porta si aprì. Joseph entrò e vide subito la schiena di Maigret, poi il tavolo con i bicchieri, la bottiglia, la borsetta aperta, le banconote. Il commissario si voltò lentamente, e il nuovo arrivato, immobile, si limitò a sibilare: «Merda!». «Chiuda la porta... Si sieda...». Il cameriere chiuse la porta, ma non si sedette. Aveva le sopracciglia aggrottate e sembrava contrariato, ma non aveva perso il suo sangue freddo. Anzi! Era perfettamente padrone di sé. Si avvicinò a Jaja e la baciò sulla fronte. «Buongiorno...». Poi fece altrettanto con Sylvie, che non alzò neppure la testa. «Che cosa c'è?...». In quell'istante Maigret capì che le cose si mettevano male. Ma, come sempre, più aveva la sensazione di trovarsi in un vicolo cieco e più s'intestardiva. «Da dove viene?». «Indovini!». Joseph tirò fuori dalla tasca il portafoglio, prese un libretto e lo porse a Maigret. Era un documento d'identità, di quelli che vengono rilasciati agli stranieri residenti in Francia. «Era scaduto... Sono andato in Prefettura per rinnovarlo...». Sul documento c'erano infatti la data di quel giorno e il nome: «Joseph Ambrosini, nato a Milano, di professione cameriere d'albergo». «Non ha incontrato Harry Brown?». «Io?». «E non l'aveva incontrato una prima volta martedì o mercoledì scorso?». Joseph lo guardava sorridendo, come se volesse dire: «Ma che cosa le salta in mente?». «Insomma, Ambrosini! Non vorrà negare di essere l'amante di Sylvie...». «Dipende da cosa intende lei per "amante"... Mi è capitato, Dio mio...». «No, no! Lei è, per usare un eufemismo, il suo protettore...». Povera Jaja! Non era mai stata così infelice in vita sua. Con tutto l'alcol che aveva in corpo non riusciva a vedere chiaramente le cose. Di tanto in tanto apriva la bocca come per metter pace fra i due e si intuiva che aveva voglia di dire: «Su, ragazzi! Non litigate! Vale davvero la pena di prendersela tanto? Beviamo qualcosa insieme e...». Quanto a Joseph, era evidente che quello non era il suo primo scontro con la polizia. Stava in guardia, mantenendo un perfetto controllo di sé, ma senza alcuna ostentazione. «L'hanno informata male...». «E quindi lei ignora da dove arrivano questi ventimila franchi?». «Li avrà guadagnati Sylvie, immagino... È una ragazza abbastanza bella per...». «Basta così!». Il commissario si era alzato di nuovo e camminava su e giù per la piccola stanza. Sylvie teneva lo sguardo fisso a terra. Joseph, invece, non abbassava gli occhi. «Prendi almeno un bicchierino!» gli disse Jaja, cogliendo l'occasione per versarsi da bere. Maigret non si decideva. Per un lungo momento rimase fermo davanti alla sveglia che segnava le sei e un quarto. Infine si voltò e disse: «Bene! Seguitemi tutti e due... Siete in arresto!...». Ambrosini rimase impassibile e si limitò a mormorare con una sfumatura di ironia: «Come desidera!». Il commissario si mise in tasca i venti biglietti da mille e porse a Sylvie la borsetta e il cappello. «Vi dovrei mettere le manette, a meno che non mi diate la vostra parola che...». «Non abbiamo nessuna intenzione di svignarcela, stia tranquillo!». Abbracciata a Sylvie, che cercava di sciogliersi da quella stretta, Jaja singhiozzava. E fu tutt'altro che facile convincerla a non accompagnarli fin sulla strada. Si accendevano le prime luci. Era di nuovo l'ora languida del tramonto. Passarono davanti alla via in cui si trovava l'Hôtel Beauséjour, ma Joseph non lanciò neppure un'occhiata in quella direzione. All'ufficio di polizia, la squadra che aveva fatto il turno di giorno se ne stava andando. Il segretario si affrettò a far firmare le carte al commissario. «Metta queste due persone in celle separate... Verrò sicuramente a vederle domani...». Sylvie si era seduta su una panca in fondo all'ufficio. Joseph cominciò ad arrotolarsi una sigaretta, ma un agente in divisa gliela strappò dalle mani. Maigret se ne andò senza dire niente, voltandosi ancora una volta verso Sylvie che non lo degnò di uno sguardo. Allora alzò le spalle e borbottò: «Peggio per lei!». Sprofondato in un sedile dell'autobus, non si accorse neppure che la vettura era piena e che accanto a lui un'anziana signora era rimasta in piedi: fumava rabbiosamente, fissando attraverso il finestrino i fari delle macchine che passavano. L'anziana signora dovette chinarsi mormorando: «Mi scusi...». Sembrò svegliarsi da un sogno. Si alzò precipitosamente, cercando invano dove buttare la cenere incandescente. Era talmente confuso che una giovane coppia dietro di lui scoppiò a ridere. Alle sette e mezzo spinse la porta girevole dell'Hôtel Provençal, dove trovò l'ispettore Boutigues che, comodamente seduto in una poltrona della hall, conversava con il direttore. «Allora?». «È su in camera...» rispose Boutigues, che sembrava preoccupato. «Gli ha detto...». «Sì... Non mi è parso sorpreso... Ero convinto che avrebbe protestato...». Il direttore aspettava il momento buono per fare una domanda, ma non appena aprì bocca il commissario si affrettò verso l'ascensore. «Devo aspettarla?» gridò Boutigues. «Come vuole...». Lo stato d'animo che da due o tre ore si era impadronito di lui gli era ben noto! E si sentiva furioso, come sempre gli accadeva in casi del genere! Tuttavia era incapace di reagire... La sensazione confusa di commettere un errore... Una sensazione che lo accompagnava da quando aveva incontrato Sylvie sulla porta dell'albergo... Eppure, c'era qualcosa che lo spingeva ad andare avanti! Peggio ancora! Era tanto più accanito in quanto voleva convincersi di aver ragione! L'ascensore saliva con un sibilo di acciaio ben lubrificato. E Maigret si ripeté ancora una volta quello che gli era stato raccomandato: «Soprattutto, non vogliamo grane!». Era per questo che lui si trovava ad Antibes! Per evitare chiacchiere, e grane! In circostanze diverse sarebbe entrato nell'appartamento di Brown senza la pipa. Invece l'accese apposta. Bussò ed entrò senza aspettare, ritrovandosi nella stessa atmosfera del giorno prima. Anche adesso Brown andava da una stanza all'altra, impeccabile: dava ordini al segretario, rispondeva al telefono e intanto finiva di dettare un cablogramma per Sydney. «Permette un istante?». Neppure un'ombra di nervosismo! Quell'uomo sembrava a proprio agio in qualunque situazione! Quella mattina, mentre assisteva in circostanze tanto straordinarie al funerale di suo padre, non era forse rimasto impassibile? Perfino la presenza delle quattro donne non lo aveva minimamente turbato! E nel pomeriggio, uscendo da quell'albergo equivoco, non si era affatto scomposto! Non aveva avuto neanche un attimo di esitazione! Senza smettere di dettare, Harry Brown posò una scatola di sigari sul tavolino di fronte a Maigret e premette il pulsante del campanello. «James, porti il telefono nella mia camera». E al cameriere prontamente accorso: «Un whisky!». Quanto c'era di spontaneo e quanto di artificioso in quell'atteggiamento? «Questione di educazione!» pensò Maigret. «Avrà studiato a Oxford o a Cambridge...». Ecco riaffiorare l'antico rancore di uno che aveva frequentato lo Stanislas! Un rancore, tuttavia, misto ad ammirazione! «Signorina, porti di là la macchina da scrivere». Ma vedendo la dattilografa impacciata dai fogli e dalle matite Brown sollevò la pesante macchina da scrivere, la trasportò nella stanza vicina e chiuse la porta a chiave. Poi aspettò che tornasse il cameriere con il whisky e fece cenno di servirlo a Maigret. Quando furono soli, tirò fuori di tasca il portafoglio e ne estrasse un foglio di carta bollata. Vi gettò una rapida occhiata e lo porse al commissario. «Legga... Conosce l'inglese?...». «Non molto». «È il documento che ho comprato per ventimila franchi, questo pomeriggio, all'Hôtel Beauséjour». Si sedette. Fu quasi un gesto di distensione. «Innanzitutto ci sono alcune cose che devo spiegarle... Lei conosce l'Australia?... Peccato... Prima di sposarsi, mio padre possedeva una proprietà molto vasta... All'incirca come un dipartimento francese... Dopo il matrimonio diventò il più grosso allevatore di pecore di tutta l'Australia, perché mia madre gli aveva portato in dote una proprietà quasi altrettanto vasta...». Harry Brown parlava lentamente, sforzandosi di non dire niente di superfluo, di essere chiaro. «Lei è protestante?» chiese Maigret. «Sì, come tutta la famiglia. E come la famiglia di mia madre!». Stava per riprendere il suo discorso, ma il commissario lo interruppe. «Suo padre non ha studiato in Europa, vero?». «No! Ai suoi tempi non si usava... È venuto in Europa solo dopo il matrimonio... Cinque anni dopo, quando aveva già tre figli...». Forse Maigret si sbagliava, ma pazienza! Nella sua mente tutte quelle parole si traducevano in immagini appena abbozzate: una casa immensa ma dall'aspetto severo, in mezzo a terre sconfinate, abitata da uomini austeri, simili a pastori presbiteriani. William Brown aveva ereditato l'azienda di suo padre, si era sposato, aveva avuto dei figli, e si era sempre occupato soltanto dei suoi affari... «Un giorno è stato costretto a venire in Europa, per via di un processo...». «Da solo?». «Sì, è venuto da solo!». Era tutto così ovvio! Parigi! Londra! Berlino! La Costa Azzurra! E Brown si era accorto che, con la sua enorme ricchezza, in quel mondo brillante e pieno di seduzioni era una specie di re! «E non è più tornato laggiù!» disse Maigret con un sospiro. «No! Ha voluto...». Il processo andava per le lunghe. L'allevatore di pecore, trascinato da alcuni clienti, aveva cominciato a frequentare i luoghi dove ci si diverte. E aveva conosciuto delle belle donne. «Nei primi due anni trovava sempre un pretesto per rimandare la partenza...». «E laggiù chi lo sostituiva nella direzione degli affari?». «Mia madre... E il fratello di mia madre... Abbiamo ricevuto lettere di gente del nostro paese che dicevano...». Poteva bastare! Ormai Maigret ne sapeva anche troppo! Brown, che in tutta la vita aveva conosciuto soltanto le sue terre, le sue pecore, i suoi vicini e qualche uomo di chiesa, si era dato alla pazza gioia, godendosi tutti quei piaceri di cui fino ad allora non sospettava neppure l'esistenza... Continuava a rimandare il ritorno a casa... Lasciava che il processo andasse per le lunghe... E una volta finito il processo aveva trovato nuovi pretesti per rimanere in Europa... Aveva acquistato uno yacht... Apparteneva a quella ristretta cerchia di persone che possono comprarsi tutto, permettersi tutto... «Sua madre e suo zio sono riusciti a farlo sottoporre a curatela?». Sapevano difendersi, laggiù agli antipodi! Avevano ottenuto la sentenza di inabilità! E un bel mattino, a Nizza o a Monte Carlo, William Brown si era svegliato scoprendo che tutta la sua ricchezza si era ridotta ad un assegno mensile! «Per molto tempo ha continuato a fare debiti e noi abbiamo pagato...» disse Harry. «E poi avete smesso di pagare...». «Non proprio! Ho continuato a versargli l'assegno di cinquemila franchi al mese...». Maigret sentiva che c'era qualcos'altro. Avvertiva un vago disagio, per cui chiese bruscamente: «Che cosa è venuto a proporre a suo padre, pochi giorni prima della sua morte?». Scrutò attentamente il suo interlocutore, ma Brown non si turbò affatto e rispose con la solita semplicità: «Nonostante tutto mio padre aveva ancora dei diritti, no?... Da quindici anni continuava a ricorrere contro la sentenza... È un processo importante in Australia... Abbiamo cinque avvocati che si occupano solo di quello... E nel frattempo viviamo in un regime provvisorio che ci impedisce di realizzare grosse transazioni...». «Un momento... Da una parte c'era suo padre, da solo, che viveva in Francia ma era rappresentato in Australia da avvocati che difendevano i suoi interessi». «Avvocati con una pessima reputazione...». «Ovviamente!... Dall'altra parte, sua madre, suo zio, i suoi due fratelli e lei...». «Yes!... Voglio dire... sì!». «E che cosa ha offerto a suo padre perché sparisse definitivamente dalla circolazione?». «Un milione!». «In altre parole lui ci guadagnava, visto che il suo assegno mensile era inferiore all'interesse che poteva ricavare da un milione di franchi investiti bene... Perché ha rifiutato?...». «Per farci schiattare dalla rabbia!». Lo aveva detto molto gentilmente: non poteva certo sapere che quell'espressione faceva uno strano effetto sulle sue labbra. «Era la sua idea fissa... Non voleva lasciarci in pace...». «Dunque suo padre ha rifiutato...». «Sì! E mi ha annunciato che avrebbe fatto di tutto per procurarci dei fastidi anche dopo la sua morte...». «Quali fastidi?». «Il processo! Per noi, in Australia, questo processo è una vergogna...». C'era bisogno di altre spiegazioni? Bastava pensare al Liberty Bar, a Jaja, a Sylvie mezza nuda, a William che portava qualcosa da mangiare... Oppure alla villa, alle due Martini, la giovane e la più anziana, alla vecchia macchina con cui le accompagnava a fare la spesa... E poi guardare Harry Brown, che con i suoi capelli ben pettinati, il suo abito impeccabile, il suo sangue freddo, la sua aria cortese ma un po' distaccata, i suoi segretari, rappresentava l'esatto opposto: l'ordine, la virtù, la legalità. «Per farci schiattare dalla rabbia!...». Adesso sì che la figura di William prendeva vita! Per tanto tempo era stato simile al figlio, a tutti quelli di laggiù, ma poi aveva rotto con l'ordine, la virtù, la buona educazione... Era diventato il nemico, e perciò si era semplicemente provveduto a cancellarlo dalla famiglia... E, perdio, aveva anche il coraggio di opporsi! Sapeva bene che non l'avrebbe spuntata! Che ormai, per loro, era un reietto!... Ma li avrebbe fatti schiattare dalla rabbia!... Era capace di tutto, pur di riuscirci!... Li avrebbe fatti schiattare di rabbia, la moglie, il cognato, e i figli che lo avevano rinnegato, che continuavano a lavorare per guadagnare soldi, sempre più soldi... «Se fosse morto» spiegò pacatamente Harry «il processo sarebbe stato archiviato e tutti i fastidi, tutte quelle storie scandalose che là da noi sono la gioia dei maligni...». «Certo!». «Allora ha fatto testamento... Non poteva diseredare la moglie ed i figli, ma poteva disporre di una parte dei suoi beni... E sa a chi li ha lasciati?... A quattro donne...». Per poco Maigret non scoppiò a ridere. E non riuscì comunque a trattenere un sorriso al pensiero delle due Martini, madre e figlia, che, insieme a Jaja e a Sylvie, sbarcavano in Australia per far valere i propri diritti... «È il foglio che lei ha in mano?». Era un lungo documento, redatto con tutti i crismi davanti a un notaio. «A questo alludeva mio padre quando diceva che per noi i fastidi non sarebbero finiti neanche dopo la sua morte...». «Lei ne conosceva il contenuto?». «Non ne sapevo niente fino a stamattina... Quando sono rientrato in albergo, dopo il funerale, c'era un uomo che mi stava aspettando...». «Un certo Joseph?». «Una specie di cameriere... Mi ha mostrato una copia del testamento... Mi ha detto che se volevo comprare l'originale non dovevo far altro che recarmi in un albergo di Cannes portando ventimila franchi... Quella gente di solito non mente...». Il tono di Maigret si fece severo: «In altre parole lei era pronto a distruggere un testamento! E aveva già cominciato a mettere in atto il suo progetto...». Brown non parve turbarsi più del solito. «So quel che faccio!» disse con calma. «E so anche di che razza sono quelle donne...». Si alzò, guardò il bicchiere pieno del commissario. «Non beve?». «No, grazie!». «Qualunque tribunale capirebbe che...». «Che quelli di laggiù devono averla vinta...». Che cosa aveva spinto Maigret a pronunciare quella frase? L'oscuro desiderio di commettere un errore? Harry Brown rimase impassibile e, dirigendosi verso la porta della camera da cui proveniva il ticchettio della macchina da scrivere, disse: «Il documento non è stato distrutto... Glielo lascio... Resterò qui finché...». In quel mentre la porta si aprì e il segretario annunciò: «È Londra che...». Aveva il telefono in mano. Brown lo prese e cominciò a parlare vivacemente. Maigret ne approfittò per andarsene con il testamento in tasca. Dopo aver premuto inutilmente il pulsante dell'ascensore, si avviò per le scale ripetendo fra sé: «Soprattutto, non vogliamo grane!». Nella hall l'ispettore Boutigues stava bevendo un porto in compagnia del direttore. Bei bicchieri da degustazione, grandi, di cristallo intagliato! E la bottiglia a portata di mano! CAPITOLO OTTAVO: LE QUATTRO EREDI Boutigues saltellava accanto a Maigret, e non avevano ancora percorso venti metri che annunciò: «Ho fatto una scoperta!... Deve sapere che il direttore del Provençal, che conosco da molto tempo, si occupa anche della gestione dell'Hôtel du Cap, a Cap Ferrat, che appartiene alla stessa società...». Erano appena usciti dall'albergo. Davanti a loro, nel buio della notte, il mare era come un lago d'inchiostro da cui non proveniva neppure un fremito. A destra le luci di Cannes, a sinistra quelle di Nizza. E la mano di Boutigues indicò l'oscurità, al di là di quei puntini luminosi. «Lei conosce Cap Ferrat... È fra Nizza e Monte Carlo...». Maigret lo sapeva. Ormai aveva capito com'era fatta la Costa Azzurra: un lungo boulevard che comincia a Cannes e finisce a Mentone, un boulevard di sessanta chilometri fiancheggiato da ville, casinò, grandi alberghi... Il celebre mare azzurro... La montagna... E tutte le delizie promesse dagli opuscoli pubblicitari: gli aranci, le mimose, il sole, le palme, i pini marittimi, i campi da tennis e da golf, le sale da tè ed i bar... «E la sua scoperta?». «Harry Brown ha un'amante che vive qui, sulla Costa Azzurra! Il direttore l'ha visto molte volte a Cap Ferrat, dove lui va a trovarla... È una donna di una trentina d'anni, vedova o divorziata, a quanto pare molto perbene... Brown l'ha sistemata in una villa...». Maigret, però, non sembrava ascoltarlo. Guardava quel suggestivo panorama notturno con aria seccata. Boutigues proseguì: «Brown va da lei circa una volta al mese... È diventato la favola dell'Hôtel du Cap, perché fa tutta una messinscena per nascondere la sua relazione... Pensi che quando dorme fuori rientra dalla scala di servizio e finge di non essere uscito per tutta la notte...». «Divertente!» disse Maigret, ma con un tono così poco convinto che l'ispettore ci rimase male. «Lo farà sorvegliare?». «No... Sì...». «Andrà a Cap Ferrat a trovare questa signora?». Maigret non ne aveva la minima idea! Non poteva pensare a cento cose contemporaneamente, e per il momento in cima ai suoi pensieri non c'era Harry ma William Brown. In place Macé strinse distrattamente la mano all'ispettore e saltò su un taxi. «Segua la strada per Cap d'Antibes... Le dirò io dove fermarsi...». Seduto in macchina, ripeté: «William Brown è stato assassinato!». Il cancelletto, la ghiaia del viale, poi il campanello; una lampada che si accende sopra la porta, dei passi nell'ingresso, l'uscio che si socchiude... «Ah, è lei!» disse con un sospiro Gina Martini riconoscendo il commissario e scostandosi per lasciarlo passare. Dal salotto veniva una voce maschile. «Venga... Ora le spiego...». Nella stanza c'era un uomo in piedi con un taccuino in mano, mentre la vecchia aveva la testa e il busto infilati dentro un armadio. «Il signor Petitfils... Gli abbiamo chiesto di venire per...». Il signor Petitfils era magro, con lunghi baffi tristi e gli occhi stanchi. «Il signore dirige la principale agenzia immobiliare della città... L'abbiamo chiamato per chiedergli un consiglio e...». Sempre quell'odore di muschio. Le due donne si erano tolte gli abiti da lutto ed erano in vestaglia e pantofole. C'era un gran disordine. Forse era per via della luce più fioca del solito, ma si aveva l'impressione che tutto fosse grigio. La vecchia riemerse dall'armadio, salutò Maigret e cominciò a spiegare: «Da quando ho visto quelle due donne al funerale, non mi sento tranquilla... Allora ho deciso di rivolgermi al signor Petitfils per chiedergli un parere... E lui è d'accordo con me: bisogna assolutamente fare un inventario...». «Un inventario di che?». «Delle cose che appartengono a noi e di quelle che appartenevano a William... È dalle due del pomeriggio che siamo al lavoro...». E si vedeva! C'erano pile di biancheria sui tavoli, oggetti di ogni genere sul pavimento, libri ammucchiati, altra biancheria nelle ceste... E il signor Petitfils prendeva nota di tutto, segnando delle crocette accanto all'elenco dei vari oggetti. Cos'era andato a fare Maigret in quella casa? Ormai non era più la villa di Brown. Ed era inutile cercarvi tracce della sua presenza. Si vuotavano gli armadi, i cassetti, e tutto veniva ammucchiato, selezionato, classificato. «La stufa è sempre stata mia» disse la vecchia. «Ce l'avevo già vent'anni fa, nel mio appartamento di Torino!». «Vuol bere qualcosa, commissario?» gli chiese Gina. C'era un bicchiere sporco: quello del direttore dell'agenzia, il quale continuava a prendere nota di ogni cosa fumando un sigaro di Brown. «No, grazie... Volevo soltanto dirvi...». Che cosa poteva dire? «... che domani spero di arrestare l'assassino...». «Di già?». La notizia le lasciò del tutto indifferenti. Anzi, la vecchia cambiò subito discorso: «Lei ha parlato con il figlio, vero?... Che cosa dice?... Che cosa conta di fare?... Non avrà intenzione di toglierci tutto?...». «Non lo so... Non credo...». «Sarebbe una vergogna! Gente così ricca! Ma sono proprio i ricchi che...». La vecchia soffriva davvero! Era torturata dall'ansia! Guardava tutto quel vecchiume che la circondava con un'atroce paura di perderlo. Maigret aveva la mano sul portafoglio! Gli sarebbe bastato aprirlo, tirar fuori un semplice foglio di carta e mostrarlo alle due donne... Si sarebbero messe a ballare dalla gioia! E c'era persino il rischio che la madre schiattasse per la troppa felicità! Milioni e milioni! Certo non li avrebbero avuti subito: sarebbero dovute andare in Australia e conquistarseli a forza di processi! Ma ci sarebbero andate! Gli sembrava di vederle, mentre si imbarcavano e poi scendevano dal piroscafo, laggiù, dandosi delle arie da signore rispettabili! Allora non si sarebbero più rivolte a un qualunque Petitfils, ma a notai, procuratori, avvocati... «Vi lascio lavorare... Verrò a trovarvi domani...». Il taxi era ancora al cancello. Maigret vi salì senza dare alcuna indicazione, e l'autista rimase in attesa tenendo la portiera socchiusa. «A Cannes» disse infine il commissario. Gli tornavano in mente sempre le stesse frasi. «Brown è stato assassinato!». «Non vogliamo grane!». Quel benedetto Brown! Se avesse avuto una ferita al petto, si sarebbe potuto pensare che si era ucciso per procurare fastidi al mondo intero. Ma non ci si può pugnalare da soli alle spalle, che diavolo! Ad ogni modo non era più lui a occupare i pensieri di Maigret! Ormai il commissario aveva l'impressione di conoscerlo bene, quasi fossero stati amici da sempre. Se lo immaginava in Australia... Un giovane ricco, beneducato, un po' timido, che abitava con i genitori, si sposava all'età giusta con una persona perbene ed aveva dei figli... Quel Brown somigliava abbastanza a Brown figlio... Forse qualche volta lo prendeva la malinconia o provava desideri inconfessabili, ma certo li attribuiva ad un malessere passeggero e prendeva un purgante. Poi William era venuto in Europa... Di colpo gli argini avevano ceduto... Non era più riuscito a controllarsi... Tutte quelle nuove prospettive che gli si schiudevano gli avevano fatto perdere la testa... Era diventato un assiduo frequentatore del boulevard che va da Cannes a Mentone... Uno yacht a Cannes... Una partita di baccarà a Nizza... E tutto il resto!... E una invincibile pigrizia al pensiero di ritornare laggiù... «Il mese prossimo...». E il mese dopo era la stessa storia! Allora gli avevano tagliato i viveri. Il cognato stava all'erta! Tutti i Brown, dal primo all'ultimo, erano pronti a difendersi con le unghie e coi denti! Lui non ce la faceva a lasciare quel boulevard, la languida atmosfera della Costa Azzurra, quella vita facile, senza divieti... Niente più yacht, solo una villetta... Anche in campo femminile aveva dovuto imparare ad accontentarsi, fino ad arrivare a Gina Martini... E poi la nausea... Il bisogno di mandare tutto all'aria, di lasciarsi andare... E quella villa di Cap d'Antibes che gli sembrava ancora troppo borghese... Aveva scovato il Liberty Bar... Jaja... Sylvie... E intanto si ostinava nel processo contro tutti i Brown rimasti virtuosi, per farli schiattare dalla rabbia... Aveva fatto testamento perché schiattassero dalla rabbia anche dopo la sua morte... Non toccava a Maigret stabilire se William Brown avesse torto o ragione. Eppure il commissario non poteva fare a meno di confrontare il padre con il figlio, quell'Harry Brown così impeccabile, sempre padrone di sé: lui sì che aveva saputo affrontare la situazione! Harry non amava il disordine, ma aveva anche lui desideri inconfessabili! Aveva sistemato la sua amante a Cap Ferrat... Un'amante perfetta, di quelle che sanno come comportarsi, vedova o divorziata, discreta... Neppure il personale dell'albergo doveva sapere che aveva dormito fuori! Ordine... Disordine... Ordine... Disordine... E ora tutto dipendeva da Maigret, perché era lui che aveva in tasca il famoso testamento! Poteva in men che non si dica far entrare in lizza quattro donne! Che incredibile e pittoresco spettacolo sarebbe stato l'arrivo, laggiù, delle quattro donne di Wiliam Brown! Jaja con i piedi indolenziti, le caviglie gonfie, i seni cadenti... Sylvie che in casa non sopportava nient'altro che una vestaglia sul corpo magro... E poi la vecchia Martini con le guance coperte da uno spesso strato di trucco! E la giovane che lasciava dietro di sé quell'inconfondibile odore di muschio! La macchina correva lungo il celebre boulevard. Si scorgevano già le luci di Cannes. «Non vogliamo grane!». Il taxi si fermò di fronte al casinò e l'autista chiese: «Dove la porto?». «Da nessuna parte! Scendo qui!». Maigret pagò. Il casinò era illuminato. Erano quasi le nove, e le macchine cominciavano ad affluire. Ed erano almeno dodici, fra Cannes e Mentone, i casinò che a quell'ora accendevano le luci... E centinaia le auto di lusso... Maigret raggiunse a piedi il vicolo dove si trovava il Liberty Bar e vide che il locale era chiuso e completamente al buio. Solo un lampione gettava attraverso la vetrina un debole chiarore sul banco e sulla slot- machine. Bussò, e fu sorpreso dal baccano che i suoi colpi provocarono nel vicolo. Subito si aprì alle sue spalle la porta del bar di fronte. Il cameriere gli chiese: «Cerca Jaja?». «Sì». «E lei chi è?». «Il commissario». «Allora ho un messaggio per lei... Jaja tornerà fra poco... Mi ha pregato di dirle di aspettarla... Se vuole entrare un momento...». «No, grazie». Preferiva fare due passi. in quel bar c'erano alcuni clienti dall'aria piuttosto losca. Da qualche parte si aprì una finestra. Una donna che doveva aver sentito il rumore dei colpi chiese timidamente: «Jean, sei tu?». «No!». Camminando per il vicolo Maigret si ripeteva: «Prima di tutto bisogna scoprire chi ha ucciso William!». Le dieci... Jaja non arrivava... Ogni volta che sentiva dei passi Maigret trasaliva, nella speranza che quell'attesa fosse finita... Ma non era lei... Come unico orizzonte, un vicolo mal lastricato, lungo una cinquantina di metri e largo non più di due; un bar con la vetrina illuminata, un altro immerso nell'ombra... E vecchie case tutte sbilenche, con delle finestre che non erano neppure rettangolari! Maigret entrò nel bar di fronte. «Jaja non le ha detto dove andava?». «No! Vuol bere qualcosa?». I clienti, a cui evidentemente il cameriere aveva detto chi era Maigret, lo squadravano da capo a piedi! «No, grazie!». Ricominciò a camminare, spingendosi stavolta fino all'angolo della strada, frontiera tra quel mondo equivoco e i viali ben illuminati, dove la vita riprendeva il suo aspetto normale. Le dieci e mezzo... Le undici... Il primo caffè all'angolo si chiamava Harry's Bar. Da lì Maigret aveva telefonato quel pomeriggio quando era con Sylvie. Entrò e si diresse verso la cabina. «Mi passi il commissariato di polizia, per favore... Pronto!... Polizia?... Sono il commissario Maigret... I due individui che vi ho consegnato oggi hanno ricevuto qualche visita?». «Sì... Una donna grassa...». «Con chi ha parlato?». «Prima con la ragazza... Poi con l'uomo... Noi non sapevamo cosa fare... Lei non ci aveva lasciato istruzioni...». «Quanto tempo fa è venuta?». «Un'ora e mezzo, forse anche di più... Ha portato sigarette e dolci...». Maigret riattaccò bruscamente. Poi, senza neppure riprendere fiato, telefonò al Provençal. «Pronto!... Polizia... Sì, sono il commissario che è venuto poco fa... Può dirmi se il signor Harry Brown ha ricevuto una visita?». «Sì, un quarto d'ora fa... Una donna... Vestita piuttosto male...». «E lui dov'era?». «Stava cenando nella sala da pranzo... L'ha fatta salire in camera...». «Se n'è già andata?». «Stava scendendo proprio quando lei ha chiamato». «Una donna molto grassa, vero? Molto volgare?». «Esattamente». «Ha preso un taxi?». «No... È andata via a piedi...». Maigret riattaccò, si sedette ed ordinò una chou-croute e una birra. «Jaja ha visto Sylvie e Joseph, che le hanno affidato un messaggio per Harry Brown... Sta tornando con l'autobus, quindi ci vorrà una mezz'ora...». Mentre mangiava, si mise a leggere un giornale che aveva trovato sul tavolo. A Bandol, due amanti si erano suicidati. L'uomo era già sposato in Cecoslovacchia. «Vuole un po' di verdura?». «No, grazie! Quanto le devo?... Aspetti!... Un'altra birra, per favore... Scura...». Cinque minuti dopo passeggiava di nuovo nel vicolo, davanti alla vetrina buia del Liberty Bar. Al casinò, il sipario doveva essersi alzato. Serata di gala. Spettacolo, cena, danze e baccarà... E così per sessanta chilometri! Centinaia di donne che facevano la posta ai clienti. Centinaia di croupier che facevano la posta ai giocatori! E centinaia di gigolò, ballerini e camerieri che facevano la posta alle donne... E centinaia di uomini d'affari come il signor Petitfils, con lunghi elenchi di ville da vendere o da affittare, che facevano la posta ai turisti venuti lì a passare l'inverno... Qua e là, a Cannes, a Nizza, a Monte Carlo, un quartiere male illuminato: vicoli, strane case malandate, ombre che scivolavano rasente i muri, donne giovani e vecchie, bar con una slot-machine e un retrobottega... La feccia, insomma... E Jaja non arrivava ancora! Maigret sobbalzava ogni volta che udiva dei passi. Alla fine non aveva più il coraggio di passare davanti al bar di fronte ed al cameriere che lo guardava ironicamente. Frattanto migliaia, decine di migliaia di pecore stavano brucando l'erba dei Brown, sulle terre dei Brown, custodite da dipendenti dei Brown... Decine di migliaia di pecore che forse in quel momento qualcuno stava tosando - agli antipodi doveva essere pieno giorno - per poi riempire della loro lana interi vagoni, interi bastimenti... E marinai, ufficiali, capitani... Le navi viaggiavano verso l'Europa, gli ufficiali controllavano i termometri (per essere sicuri che il carico fosse sempre alla temperatura prescritta), e ad Amsterdam, a Londra, a Liverpool, a Le Havre, i mediatori discutevano le quotazioni... Al Provençal Harry Brown riceveva cablogrammi dai fratelli e dallo zio, e inviava messaggi telefonici ai suoi agenti... Poco prima, scorrendo il giornale, Maigret aveva letto: «Il Principe dei Credenti, capo dell'Islam, ha dato in sposa sua figlia al principe...». E poi: «Grandi festeggiamenti hanno avuto luogo in India, in Persia, in Afghanistan, in...». E ancora: «A Nizza, al Palais de la Méditerranée, si è svolto un grandioso ricevimento cui hanno preso parte...». La figlia del Principe dei Credenti si era dunque sposata a Nizza... Una festa di nozze sul celebre boulevard di oltre sessanta chilometri... Mentre laggiù, a casa del diavolo, centinaia di migliaia di persone... E Jaja non arrivava ancora! Ormai Maigret conosceva ogni pietra, ogni facciata del vicolo. Una ragazzina con le trecce stava facendo i compiti vicino a una finestra. Forse l'autobus aveva avuto un incidente... Oppure Jaja era andata in qualche altro posto... O forse era fuggita... Appoggiando la fronte alla vetrina del bar, Maigret intravide il gatto che si leccava le zampe. Gli tornarono in mente altre notizie, che aveva letto sul giornale: «Ci giunge dalla Costa Azzurra la notizia che Sua Maestà il re di... è arrivato nella sua proprietà di Cap Ferrat accompagnato da...». «A Nizza la polizia ha arrestato un certo signor Graphopoulos, che aveva appena vinto più di cinquecentomila Banchi al baccarà servendosi di un sabot truccato...». Poi un breve commento: «Sembra che anche il vicecomandante della squadra di polizia addetta alle sale da gioco sia implicato nella truffa». Diamine! Se aveva ceduto perfino uno come William Brown, perché un povero diavolo con duemila franchi al mese di stipendio doveva per forza essere un eroe? Maigret era furibondo. Non ne poteva più di aspettare! E soprattutto non ne poteva più di quell'atmosfera assolutamente contraria al suo temperamento. Perché l'avevano mandato là? E per di più con quella raccomandazione assurda: «Soprattutto, non vogliamo grane!». Non vogliamo grane?... E se invece lui avesse preferito tirar fuori il testamento, un testamento vero, inoppugnabile?... E spedire laggiù le quattro donne?... Un rumore di passi... Non si voltò neppure!... Pochi istanti dopo udì il rumore di una chiave nella serratura, e una voce stanca sospirò: «Mi stava aspettando?». Era Jaja. Una Jaja sfinita, la cui mano tremava mentre apriva la porta. Una Jaja tutta in ghingheri, con un soprabito lilla e le scarpe rosso scuro. «Entri... Un attimo che accendo la luce...». Il gatto faceva già le fusa strofinandosi contro le sue gambe idropiche mentre lei cercava l'interruttore. «Se penso a quella povera Sylvie...». Finalmente era riuscita ad accendere la luce. Almeno si vedeva qualcosa! Il cameriere del bar di fronte era sempre lì, con la sua brutta faccia incollata al vetro. «Entri, la prego... Non ce la faccio più... Tutte queste emozioni...». Jaja aprì la porta del retrobottega e andò subito verso il fornello, ne regolò la fiamma e spostò una casseruola. «Si accomodi, signor commissario... Il tempo di cambiarmi e arrivo...». Non l'aveva ancora guardato in faccia. Volgendo le spalle a Maigret, ripeté: «Quella povera Sylvie...». Salì al mezzanino e cominciò a spogliarsi alzando la voce per farsi sentire: «Una brava ragazza... Se solo avesse voluto... Ma sono sempre quelle come lei che pagano per gli altri... Gliel'avevo detto io...». Maigret si sedette. Sulla tavola c'erano degli avanzi di formaggio, di paté e di sardine. Dal piano di sopra giungevano i rumori che Jaja faceva togliendosi le scarpe e tirando verso di sé le pantofole. Poi la sarabanda che ballava per togliersi i mutandoni senza sedersi. CAPITOLO NONO: UNA CHIACCHIERATA «Con tutte queste emozioni mi si gonfieranno di nuovo i piedi...». Jaja aveva smesso per un momento di andare su e giù e si era seduta: continuando a parlare, si massaggiava i piedi indolenziti con dei gesti automatici. Immaginando che Maigret fosse in cucina parlava a voce alta, e fu sorpresa di vederlo apparire in cima alla scala. «Ah, è qui... Non faccia caso al disordine... Con tutto quello che è successo...». Maigret non avrebbe saputo dire perché fosse salito. In realtà, mentre ascoltava le lamentele della donna, gli era venuto in mente tutt'a un tratto che non aveva mai visto il mezzanino. Adesso era fermo in cima alla scala. Jaja continuava a massaggiarsi i piedi e parlava, parlava, non smetteva un istante di parlare. «Non so neanche se ho cenato... Mi ha fatto una tale impressione vedere Sylvie là dentro...». Si era infilata una vestaglia come faceva sempre Sylvie, ma aveva tenuto la sottoveste, che era molto corta, guarnita di pizzi e di un rosa acceso, in netto contrasto con il suo corpo grasso e troppo bianco. Il letto era disfatto. Se qualcuno lo avesse visto in quel momento, pensò Maigret, sarebbe stato difficile convincerlo che si trovava lì soltanto per fare quattro chiacchiere. Una camera come tante altre, meno misera di quanto si sarebbe potuto immaginare. Un letto di mogano, molto borghese. Un tavolo rotondo. Un cassettone. Ma la brocca dell'acqua era in mezzo alla stanza e il tavolo era ingombro di prodotti per il trucco, di asciugamani sporchi e vasetti di crema. Con un sospiro Jaja si infilò le pantofole. «Mi chiedo come andrà a finire questa faccenda!». «William dormiva qui, quando...?». «C'è solo questa stanza oltre ai due locali al pianterreno...». In un angolo c'era un divano di velluto piuttosto logoro. «Dormiva sul divano?». «Dipende... A volte ero io che...». «E Sylvie?». «Dormiva con me...». La stanza aveva il soffitto così basso che Maigret lo sfiorava con il cappello. C'era una finestra molto stretta con una tenda di velluto verde ed una lampada senza paralume. Non occorreva un grande sforzo di fantasia per immaginare la vita che si svolgeva di solito in quella stanza: William e Jaja che salivano quasi sempre ubriachi, poi Sylvie che rientrava e si infilava nel letto vicino alla donna... Ma com'erano i risvegli?... Con la cruda luce del giorno che entrava dalla finestra... Jaja non era mai stata così loquace. Parlava con voce lamentosa, come se volesse farsi compiangere. «Scommetto che sto per ammalarmi... Sì! Lo sento. Come tre anni fa, quando ci fu una rissa tra marinai proprio davanti al bar... Ce n'era uno che si era beccato un colpo di rasoio e che...». Si alzò e si guardò in giro come se cercasse qualcosa, ma poi evidentemente, dimenticò che cosa stesse cercando. «Lei ha già cenato?... Venga!... Mangeremo un boccone...». Maigret la precedette per le scale e la guardò dirigersi verso il fornello, aggiungervi un po' di carbone, mescolare qualcosa in una pentola. «Quando sono sola non ho nessuna voglia di cucinare... E se penso che Sylvie in questo momento...». «Senta, Jaja!». «Sì?». «Questo pomeriggio che cosa le ha detto Sylvie mentre io ero nel bar a servire quel cliente?». «Ah, sì!... Le avevo chiesto da dove venivano quei ventimila franchi... Lei mi ha risposto che non lo sapeva, che aveva organizzato tutto Joseph...». «E stasera?». «Stasera cosa?». «Quando è andata a trovarla al commissariato...». «Sempre la stessa cosa... Anche lei si chiede che cosa diavolo può aver combinato Joseph...». «È da molto che sta con Joseph?». «Non è che stia proprio con lui... Non vivono insieme... Sylvie l'ha incontrato da qualche parte, probabilmente alle corse, comunque non qui... Lui le ha detto che poteva aiutarla, procurarle dei clienti... Ci credo, col mestiere che fa!... È un ragazzo abbastanza istruito, educato... Però a me non è mai piaciuto...». In una pentola c'erano delle lenticchie avanzate, e Jaja le versò in un piatto. «Ne vuole un po'?... No?... Si serva da bere, allora... Io non ho più la forza di fare niente... La porta sulla strada è chiusa?...». Maigret era seduto a cavalcioni della sedia, come nel pomeriggio. La guardava mangiare. E intanto l'ascoltava. «Vede, i tipi come lui, soprattutto quelli dei casinò, fanno degli imbrogli troppo complicati per noi... E alla fine è sempre la donna che si fa incastrare... Se Sylvie mi avesse dato retta...». «E stasera Joseph cosa le ha chiesto di fare?». Per un attimo Jaja finse di non capire, e rimase a guardare Maigret con la bocca piena. «Ah, sì!... Di dire al figlio...». «Che cosa doveva dirgli?». «Che trovi lui un sistema per farli uscire, se no...». «Se no, cosa?». «Oh! So bene che lei non mi lascerà in pace... Ma deve riconoscere che sono sempre stata leale con lei... Faccio tutto quello che posso, io!... Non ho niente da nascondere». Finalmente Maigret aveva capito la causa di quel fiume di parole, di quella voce lamentosa. Chissà in quanti bar si era fermata Jaja, lungo la strada, per farsi coraggio! «Innanzitutto sono stata io a trattenere Sylvie, a impedirle di mettersi definitivamente con Joseph... Ma quando poco fa ho capito che c'era qualcosa...». «Che cosa?». Quello che poi accadde fu più comico che tragico. Senza smettere di mangiare, Jaja cominciò a piangere! Ed era grottesco vedere quella donna grassa, in vestaglia color lilla, che piagnucolava davanti a un piatto di lenticchie come una bambina. «Non mi faccia fretta... Mi lasci pensare!... Se crede che ci capisca qualcosa... Mi dia da bere...». «Tra poco!». «Mi dia da bere e le dirò tutto...». Maigret cedette e le versò un bicchierino di liquore. «Che cosa vuole sapere?... Cosa stavo dicendo?... Ho visto i ventimila franchi... Era William che li aveva in tasca?...». Maigret doveva fare uno sforzo per rimanere lucido. Nella sua mente tutto sembrava confondersi: la colpa era di quella strana atmosfera, ma soprattutto delle parole di Jaja. «William?...». Tutt'a un tratto capì! Jaja credeva che i ventimila franchi fossero stati rubati a Brown al momento del delitto! «È a questo che pensava poco fa?». «Non so più a che cosa pensavo... Ecco! Adesso non ho più fame... Non ha una sigaretta?». «Fumo solo la pipa». «Ce ne devono essere da qualche parte... Sylvie ne aveva sempre...». Cercò invano in tutti i cassetti. «Le mandano sempre in Alsazia?». «Chi?... Cosa?... Di che cosa sta parlando?». «Delle donne... Come si chiama?... La prigione di... comincia per Hau... Ai miei tempi...». «Quando viveva a Parigi?». «Sì... Ne parlavano tutti... Dicevano che è talmente dura che tutte le prigioniere tentano di suicidarsi... E non molto tempo fa ho letto sul giornale che ci sono persino delle detenute di ottant'anni... Non ci sono più sigarette... Le avrà prese Sylvie...». «È Sylvie che ha paura di finire là dentro?». «Sylvie?... Non lo so... Mi è venuto in mente sull'autobus, mentre tornavo a casa... C'era una vecchia davanti a me e...». «Si sieda...». «Sì... Non ci faccia caso... Non è colpa mia... Non riesco a star ferma... Cosa stavo dicendo?». I suoi occhi erano pieni di angoscia. Si passò una mano sulla fronte, facendo ricadere sulla guancia una ciocca di capelli rossastri. «Sono così infelice... Mi dia da bere, adesso!...». «Quando mi avrà detto tutto quello che sa...». «Ma io non so proprio niente!... Che cosa dovrei sapere?... Prima ho visto Sylvie... Ma il poliziotto è rimasto vicino a me, a sentire quello che dicevamo... Avevo voglia di piangere... Mentre mi dava un bacio, Sylvie mi ha detto sottovoce che era tutta colpa di Joseph...». «E poi ha visto Joseph?». «Sì... Gliel'ho già detto... Mi ha mandata ad Antibes per avvertire Brown che se...». Faceva fatica a parlare. Sembrava che avesse improvvise amnesie, come capita agli ubriachi. In quei momenti guardava Maigret con occhi pieni di angoscia, come se sentisse il bisogno di aggrapparsi a lui. «Non so più... Non mi deve torturare... Sono solo una povera donna... Ho sempre cercato di accontentare tutti...». «No! Aspetti...». Jaja aveva afferrato il bicchiere, ma Maigret glielo tolse dalle mani: ancora un goccio e si sarebbe addormentata, ubriaca fradicia. «E Harry Brown l'ha ricevuta?». «No... Sì... Mi ha detto che se mi trovava ancora tra i piedi mi faceva arrestare...». E all'improvviso, con aria trionfante: «Hossegor!... No!... Hossegor è un'altra cosa... È in un romanzo... Haguenau... Ecco!...». Era il nome della prigione di cui aveva parlato poco prima. «Ho sentito dire che le detenute non possono neanche parlare... Crede che sia vero?...». Mai come quella sera Jaja gli era sembrata tanto svanita. In certi momenti Maigret si chiedeva addirittura se non fosse rimbecillita. «Se Sylvie è complice, andrà di sicuro a...». Allora riprese a parlare più in fretta, sempre più in fretta, mentre le guance le si arrossavano per l'eccitazione. «Stasera, comunque, ho capito tante cose... Quei ventimila franchi, adesso so a cosa servivano... Servivano ad Harry Brown, il figlio di William, per pagare...». «Per pagare che cosa?». «Tutto!». E lo guardò con aria di trionfo, di sfida. «Non sono stupida come sembro... Quando il figlio ha saputo che c'era un testamento...». «Aspetti! Lei aveva letto il testamento?». «William ce ne aveva parlato il mese scorso... Eravamo qui tutti e quattro...». «Cioè lei, William, Sylvie e Joseph...». «Sì... Avevamo bevuto una bottiglia di quello buono, perché era il compleanno di William... E parlavamo di un sacco di cose... Quando aveva bevuto, lui ci raccontava dell'Australia, di sua moglie, di suo cognato...». «E cos'ha detto William?». «Che dopo la sua morte sarebbero rimasti tutti fregati! Ha tirato fuori il testamento e ce ne ha letto una parte... Non tutto... Non ha voluto leggere i nomi delle altre due donne... Ha dichiarato che un giorno o l'altro l'avrebbe depositato da un notaio...». «E questo è successo un mese fa? A quell'epoca Joseph conosceva già Harry Brown?». «E chi lo sa?... Un tipo come lui... Col lavoro che fa conosce un sacco di gente...». «E lei pensa che abbia avvertito il figlio?». «Non sto dicendo questo! Non ho detto niente... Però non posso fare a meno di pensare... Cosa crede? I ricchi non sono mica meglio degli altri... Immagini che Joseph sia andato a raccontargli tutto... Harry Brown facendo finta di niente gli dice che gli piacerebbe avere il testamento... Ma dato che William potrebbe sempre scriverne un altro sarebbe meglio sbarazzarsi anche di lui...». Senza che Maigret se ne accorgesse Jaja si era servita da bere, ed era ormai troppo tardi per impedirle di vuotare il bicchiere. Quando ricominciò a parlare, il commissario fu colpito in piena faccia da una disgustosa zaffata di alcol. Per di più Jaja gli si avvicinava, si chinava su di lui! E aveva un'aria misteriosa, piena di sussiego! «... Sbarazzarsi anche di lui... Era questo che stavo dicendo?... Allora si parla di denaro... Per ventimila franchi... E forse altri ventimila da versare in seguito... Non si sa mai... Dico solo quello che penso... Perché cose del genere non si pagano mai tutte in una volta... Quanto a Sylvie...». «Sylvie era al corrente di qualcosa?». «Quante volte le devo ripetere che non mi hanno detto niente!... Ha bussato qualcuno?...». Di colpo si era irrigidita dalla paura. Per calmarla Maigret fu costretto a dare un'occhiata fuori. Quando tornò, si accorse che lei ne aveva approfittato per bere di nuovo. «Io non le ho detto niente... Non so niente... Ha capito?... Sono una povera donna, io!... Una povera donna che ha perso suo marito e che...». Scoppiò di nuovo a piangere, ed era questa la cosa più patetica. «Jaja, secondo lei cos'ha fatto William quel giorno, tra le due e le cinque?». La donna lo guardò senza rispondere e senza smettere di piangere. Ma i suoi singhiozzi suonavano già meno convinti. «Sylvie era andata via un po' prima di lui... Non pensa che avrebbero potuto, per esempio...». «Chi?». «Sylvie e William...». «Avrebbero potuto cosa?». «Che ne so, io!... Incontrarsi da qualche parte... Sylvie non è poi brutta... È giovane... E William...». Maigret, che non le toglieva gli occhi di dosso, proseguì con finta indifferenza: «Allora, si trovano da qualche parte... Joseph li sta aspettando e sistema William...». Jaja non disse niente, ma guardò Maigret aggrottando le sopracciglia, come se facesse un immenso sforzo per comprendere. Non c'era da stupirsi: con tutto quello che aveva bevuto, doveva avere la vista annebbiata e la mente confusa. «Harry Brown viene a sapere dell'esistenza di un testamento e commissiona il delitto... Sylvie attira William in un luogo sicuro... Joseph lo sistema... Poi Harry Brown, dietro loro istruzioni, consegna il denaro a Sylvie in un albergo di Cannes...». Jaja non si mosse. Ascoltava, sbalordita o inebetita. «Quando Joseph viene arrestato, manda lei, Jaja, da Harry a dirgli che se non lo tira fuori, dirà tutto!». Jaja lanciò un grido: «È così!... Sì, è così!...». Si era alzata in piedi: ansimava, e non si capiva se stesse per scoppiare in singhiozzi o per mettersi a ridere. D'un tratto si prese la testa fra le mani con un gesto convulso e si scompigliò i capelli pestando i piedi. «È andata così!... E io... io che...». Maigret rimase seduto, guardandola un po' stupito. Stava per avere una crisi di nervi o per svenire? «Io... Io...». Fu un gesto imprevedibile. Jaja afferrò di colpo la bottiglia e la scagliò per terra, mandandola in pezzi con gran fracasso. «Io che...». Attraverso le due porte si vedeva soltanto il chiarore di un lampione e si sentiva il cameriere che tirava giù la saracinesca del bar di fronte. Doveva essere tardissimo. Da molto tempo non passavano più tram. «Non voglio, capisce!» gridava Jaja con voce stridula. «No!... Questo no!... Non voglio... Non è vero... È...». «Jaja!». Ma non si calmò neanche sentendosi chiamare per nome. Sembrava una furia, e con la stessa rapidità con cui aveva afferrato la bottiglia si chinò e raccolse qualcosa, gridando: «Haguenau no!... Non è vero!... Sylvie non ha...». In tutta la sua carriera, Maigret non aveva mai assistito a una scena così tremenda. Jaja aveva in mano un frammento di vetro. Continuando a gridare, si tagliò il polso proprio in corrispondenza della vena... Aveva gli occhi fuori dalle orbite e sembrava impazzita. «Haguenau... Io... Sylvie no!...». Maigret riuscì finalmente ad afferrarla per le braccia, ma in quell'istante un fiotto di sangue gli schizzò sulla mano e sulla cravatta. Per qualche secondo Jaja, attonita, smarrita, guardò quel sangue rosso che colava: il suo sangue. Poi svenne. Maigret la sostenne per un istante, poi la lasciò scivolare a terra, cercando di bloccare la vena col dito. Bisognava trovare un legaccio. Si guardò ansiosamente intorno: c'era un ferro da stiro attaccato alla presa. Si alzò e strappò il filo, mentre il sangue continuava a colare. Tornò da Jaja, che ormai non si muoveva più. Le avvolse il filo intorno al polso e strinse con tutte le sue forze. Il vicolo era rischiarato solo dalla luce del lampione. Il bar di fronte era chiuso. Maigret uscì con passo malfermo. Respirando l'aria tiepida della notte, si diresse verso la strada più illuminata, a duecento metri di distanza. Da lì si vedevano le luci del casinò, le macchine, gli autisti riuniti a gruppi vicino al porto. Gli alberi degli yacht oscillavano appena. Un vigile era fermo in mezzo all'incrocio. «Un medico... Al Liberty Bar... Presto...». «È quel piccolo locale che...?». «Sì! Proprio quello che...» urlò Maigret spazientito. «Ma faccia presto, perdio!». CAPITOLO DECIMO: IL DIVANO I due uomini salivano con mille precauzioni, ma il corpo era pesante e la scala stretta. Perciò la povera Jaja, tenuta per le spalle e per i piedi e piegata in due, urtava ora contro la ringhiera ora contro il muro, oppure strisciava sui gradini. Aspettando di poter salire, il dottore si guardava intorno incuriosito, mentre Jaja gemeva piano come un animale tramortito. Era un gemito così debole, così stranamente modulato che, nonostante risuonasse dappertutto, non si riusciva a capire da dove provenisse, come accade con la voce emessa dai ventriloqui. Nella bassa camera al mezzanino, Maigret preparò il letto e aiutò gli agenti ad adagiarvi Jaja. La donna era pesante ed inerte, eppure sembrava una grossa bambola di segatura. Chissà se si rendeva conto di quel che stava accadendo, se sapeva dove si trovava... Ogni tanto apriva gli occhi, ma il suo sguardo sembrava fisso nel vuoto. Continuava a gemere, ma il suo volto rimaneva immobile. «Soffre molto?» chiese Maigret al dottore. Era un vecchietto cortese, meticoloso, stupito di trovarsi in un posto come quello. «Credo che non soffra per niente. Forse è un po' troppo sensibile. O ha paura...». «È cosciente di quel che accade?». «A vederla non si direbbe. Eppure...». «È ubriaca fradicia!» disse Maigret con un sospiro. «Mi chiedevo soltanto se il dolore le avesse fatto passare la sbornia...». I due agenti aspettavano istruzioni. Anche loro si guardavano intorno con curiosità. Le tende non erano chiuse. Dietro la finestra della casa di fronte, in una stanza buia, Maigret intravide il profilo di un volto. Abbassò l'avvolgibile e fece segno a uno degli agenti di avvicinarsi. «Per favore, vada a prendere la donna che ho fatto mettere in cella oggi pomeriggio. Una certa Sylvie. Ma non l'uomo!». E rivolto all'altro: «Mi aspetti di sotto». Il dottore aveva fatto tutto quel che c'era da fare. Dopo aver fermato il sangue con le pinze emostatiche, aveva suturato la vena, e ora guardava un po' seccato quel donnone che continuava a lamentarsi. Per darsi un contegno le sentiva il polso, le toccava la fronte e le mani. «Può venire un momento, dottore?» disse Maigret, che se ne stava appoggiato al muro in un angolo della stanza. E a bassa voce: «Vorrei che approfittasse del fatto che è quasi incosciente per farle una visita generale... Gli organi principali, s'intende...». «Come vuole! Come vuole!». L'anziano dottore era sempre più sbigottito, e certo si chiedeva se Maigret fosse un parente di Jaja. Scelse degli strumenti nella sua borsa e senza fretta, ma con scarsa convinzione, cominciò a misurarle la pressione. Perplesso, ripeté l'operazione per tre volte, quindi si chinò sul petto di Jaja, le aprì la vestaglia e cercò un asciugamano pulito da stendere fra il suo orecchio e il seno della donna. In camera non ce n'erano. Allora prese il suo fazzoletto. Quando infine si raddrizzò aveva un'aria preoccupata. «È chiaro!». «Che cosa?». «Che non ne ha ancora per molto! Il cuore è parecchio affaticato. Per di più è ipertrofico, e la pressione è spaventosamente alta...». «Insomma quanto le resta da vivere?». «Questa è un'altra faccenda... Se fosse una mia paziente, le prescriverei un periodo di assoluto riposo, in campagna, e una dieta molto severa...». «E niente alcol, naturalmente!». «Soprattutto niente alcol! E un'igiene assoluta!». «In questo modo la salverebbe?». «Non ho detto questo! Diciamo che la farei vivere un anno di più...». Colpiti dal silenzio che si era improvvisamente creato, tesero entrambi l'orecchio. Si sentiva la mancanza di qualcosa, e quel qualcosa era il gemito di Jaja. Si voltarono verso il letto e la videro: aveva sollevato la testa, e la teneva appoggiata ad una mano. Lo sguardo era duro, il respiro affannoso. Aveva sentito tutto. Aveva capito. Guardava il dottore come se lo ritenesse responsabile del suo stato. «Si sente meglio?» chiese quest'ultimo tanto per dire qualcosa. Allora Jaja, sprezzante, si sdraiò di nuovo senza aprir bocca e chiuse gli occhi. Il medico non sapeva se ci fosse ancora bisogno di lui. Cominciò a riporre gli strumenti nella borsa, e ogni tanto annuiva come parlando tra sé. «Credo che lei possa andare!» gli disse Maigret quando ebbe finito. «Mi sembra che non ci sia più niente da temere...». «Non immediatamente, almeno...». Quando se ne fu andato, Maigret si sedette su una sedia ai piedi del letto e caricò la pipa, perché l'odore di farmacia che impregnava la stanza gli dava la nausea. Non sapendo dove mettere la bacinella che il medico aveva usato per lavare la ferita, la nascose sotto l'armadio. Era calmo e assorto. Il suo sguardo si soffermò sul viso di Jaja, che sembrava più gonfio del solito, forse perché i capelli un po' radi, gettati all'indietro, lasciavano scoperta una larga fronte bombata, con una piccola cicatrice sopra la tempia. A sinistra del letto c'era il divano. Jaja non stava dormendo. Maigret ne era sicuro. Il ritmo della sua respirazione non era regolare, e le ciglia chiuse fremevano spesso. A cosa stava pensando? Sapeva che lui era lì e che la osservava. E ora sapeva che il suo corpo era distrutto e che non aveva più molto da vivere. A cosa stava pensando? Quali immagini scorrevano dietro quella fronte bombata? Di scatto Jaja si mise a sedere sul letto, guardando Maigret con occhi smarriti e gridando freneticamente: «Non mi lasci sola!... Ho paura!... Dov'è?... Dov'è il dottore?... Non voglio...». Maigret le si avvicinò per calmarla e, quasi senza volerlo, le disse: «Sta' tranquilla, vecchia mia!». Già, una vecchia! Una povera vecchia grassa e piena di alcol, con le caviglie così gonfie che camminava come un elefante. Eppure un tempo ne aveva fatti di chilometri, su e giù lungo lo stesso marciapiede, nella zona della porte Saint-Martin! Jaja lasciò docilmente che il commissario le adagiasse la testa sul cuscino. Forse non era più ubriaca. Si sentivano i movimenti dell'agente che, rimasto solo nel retrobottega, aveva trovato una bottiglia e si versava da bere. Di colpo lei tese l'orecchio e chiese ansiosamente: «Chi è?». Ma in quel momento nel vicolo si udirono altri rumori. Dei passi in lontananza, e poi una voce femminile rotta dall'affanno - aveva camminato in fretta! - che chiedeva: «... Perché nel bar è tutto spento?... Che cosa...?». «Sst!... Faccia piano...». Dei colpi leggeri alla porta. L'agente che andava ad aprire. Ancora rumori nel retrobottega, e infine i passi di qualcuno che saliva di corsa le scale. Jaja, atterrita, guardava Maigret con un'espressione angosciata, e quando vide che si dirigeva verso la porta fu lì lì per mettersi a urlare. «Voi due potete andare, grazie!» gridò il commissario scostandosi per lasciar entrare Sylvie. La ragazza si fermò di colpo in mezzo alla stanza, tenendosi una mano sul cuore che batteva all'impazzata. Aveva dimenticato il cappello. Non riusciva a capire cosa stesse accadendo, e guardava il letto con gli occhi sbarrati. «Jaja...». Dalla cucina giungeva un tintinnio di bicchieri: l'agente che aveva già bevuto stava di certo versando da bere all'altro. Poi la porta d'ingresso si aprì e si richiuse, e si udirono dei passi che si allontanavano in direzione del porto. Maigret era così silenzioso e immobile che quasi non ci si accorgeva della sua presenza. «Jaja, cara...». Ma Sylvie non fece neppure l'atto di avvicinarsi. Qualcosa la tratteneva: lo sguardo gelido della vecchia puntato su di lei. Allora Sylvie si voltò verso Maigret balbettando: «Non è mica...». «Non è mica cosa?». «Niente... Non so... Che cos'ha?». Stranamente, malgrado la porta chiusa e la distanza, si sentiva il tic tac della sveglia: un tic tac così rapido e così ritmato da dare l'impressione che le lancette, a forza di girare vorticosamente, stessero per spezzarsi. Era chiaro che Jaja stava per avere un'altra crisi. Aveva gli occhi lucidi, la gola secca, e fremiti di tensione percorrevano il suo grosso corpo flaccido. Eppure teneva duro, si sforzava di dominarsi, mentre Sylvie, disorientata, non sapeva che cosa fare, né dove andare, né come comportarsi, e se ne stava in mezzo alla stanza a testa bassa, con le mani strette al petto. Maigret fumava tranquillamente, senza dar segni di impazienza. Sapeva che il cerchio stava ormai per chiudersi. Non c'erano più misteri, e nulla di imprevisto poteva più accadere. Ogni personaggio era al suo posto: le due Martini, la giovane e la vecchia, nella villa dove stilavano l'inventario con l'aiuto del signor Petitfils; Harry Brown al Provençal, dove attendeva con calma i risultati dell'inchiesta continuando a dirigere i suoi affari per telefono e per telegrafo... Joseph in carcere... All'improvviso Jaja, ormai all'estremo limite della sopportazione e con i nervi a pezzi si mise a sedere sul letto. Guardava Sylvie con occhi pieni di rabbia, additandola con la mano sana. «È stata lei!... Questa vipera!... Questa puttana!». Aveva urlato quello che per lei era il peggior insulto. Le lacrime cominciarono a scorrerle sul viso. «Io la odio, capisce?... La odio!... È stata lei!... Mi ha ingannata per non so quanto tempo!... E sa come mi chiamava?... La vecchia!... Sì! La vecchia!... E io che...». «Sta' giù, Jaja» disse Maigret. «Se no starai male...». «Oh! Senta, lei...». E d'un tratto, con ritrovata energia: «Ma non l'avrete vinta!... Non andrò ad Haguenau... Ha capito bene!... Oppure ci andrà anche quella lì... Non voglio... Non voglio...». Aveva la gola così secca che istintivamente si guardò attorno cercando da bere. «Va' a prendere la bottiglia!» disse Maigret a Sylvie. «Ma... È già...». «Va'...». Il commissario si avvicinò alla finestra per accertarsi che dalla casa di fronte nessuno li osservasse, ma dietro i vetri non vide nulla. Un pezzetto di vicolo dal selciato sconnesso... Un lampione... L'insegna del bar di fronte... «Lo so che lei la protegge perché è giovane... Forse le ha già fatto qualche proposta... Anche a lei...». Sylvie ritornò e porse a Maigret una bottiglia di rum piena a metà. Aveva gli occhi cerchiati e sembrava sfinita. Jaja, intanto, sogghignava sarcastica: «Ora che sto per crepare posso bere, non è così?... L'ho sentito, il dottore...». Bastava quel pensiero a metterla in agitazione. Aveva paura di morire, e i suoi occhi erano pieni di terrore. Ciò nonostante prese la bottiglia e bevve avidamente, fissando ora Maigret ora Sylvie. «La vecchia che sta per crepare!... Ma io non voglio!... Deve crepare prima lei... Perché è colpa sua...». D'un tratto smise di parlare, come se avesse perso il filo del discorso. Maigret aspettava, immobile. «Ha parlato?... Sono sicura che ha parlato, se no non l'avrebbero rilasciata... E io intanto che cercavo di farla uscire... Perché non è vero che è stato Joseph a mandarmi dal figlio, ad Antibes... Sono stata io... Capisce?...». Ma sì! Maigret capiva tutto! Da almeno un'ora non aveva più nulla da scoprire. Indicò il divano con un gesto vago. «Non era William che dormiva là, vero?». «No, non dormiva là!... William dormiva qui, nel mio letto!... William era il mio amante!... Veniva per me, solo per me, ed era lei che dormiva sul divano, lei, che io tenevo in casa mia per pietà... Non l'aveva ancora capito?...». Gridava con voce roca. Ormai bastava lasciarla parlare. Tutto quello che per tanto tempo aveva accumulato nel profondo del suo animo veniva ora alla luce, ed emergeva la vera Jaja, la Jaja più autentica. «La verità è che io l'amavo, che William mi amava!... Lui lo capiva che non è colpa mia se non sono istruita, se non ho ricevuto un'educazione... Ed era felice accanto a me... Me lo diceva... Soffriva quando doveva andar via... E quando arrivava era come uno scolaro che finalmente va in vacanza...». Parlava e piangeva, e il suo viso si contrasse in una strana smorfia, resa ancora più grottesca dalla luce rosa del paralume. E per di più aveva un braccio bloccato dalla medicazione! «E io che non sospettavo niente! Sono stata una stupida! Si è sempre stupidi in questi casi! Ero io a invitarla, a dirle di restare, perché mi sembrava che la casa fosse più allegra con un po' di gioventù...». Sylvie non si muoveva. «La guardi! Mi prende in giro anche adesso! È sempre stata così, e io, imbecille che non sono altro, mi dicevo che era per la timidezza... E mi commuovevo... Se penso che si metteva le mie vestaglie per provocarlo, mostrando tutto quello che ha da mostrare! «Perché lei lo voleva!... Lei e quel magnaccia di Joseph... William aveva un bel po' di soldi, perbacco!... E loro... «Lo vuol sapere? Il testamento...». Afferrò la bottiglia e bevve così avidamente che si sentì il gorgoglio del liquido nella sua gola. Sylvie ne approfittò per guardare Maigret con occhi supplichevoli: si reggeva in piedi a stento, vacillava. «È qui che Joseph l'ha rubato... Non so quando... Di certo una sera che avevamo bevuto... William ce ne aveva parlato... E Joseph ha subito pensato che il figlio l'avrebbe pagato bene, quel pezzo di carta...». Maigret ascoltava distrattamente quel racconto di cui intuiva gli sviluppi. Osservava invece la camera, il letto, il divano... William e Jaja... E Sylvie sul divano... Il povero William, evidentemente, aveva fatto il confronto... «Ho cominciato a sospettare qualcosa quando un giorno, a tavola, ho visto che Sylvie, alzandosi, lanciava un'occhiata a Will... Non ci potevo ancora credere... Ma subito dopo William ha detto che doveva uscire anche lui... Di solito non se ne andava mai prima di sera... Non ho detto nulla... Mi sono vestita...». La scena madre, che Maigret aveva ricostruito da tanto tempo! Joseph passa a fare una visitina, con il testamento già in tasca! Sylvie si prepara prima del solito e si mette a tavola vestita di tutto punto, in modo da potersene andare subito dopo pranzo... Jaja sorprende uno sguardo d'intesa... Non dice nulla... Mangia... Beve... Ma non appena William esce si infila in fretta e furia un cappotto... Nel bar non c'è più nessuno! La casa è vuota! La porta chiusa... Tutti a rincorrersi l'un l'altro. «E sa dove lo aspettava, lei?... All'Hôtel Beauséjour... E io, giù in strada, andavo su e giù come una pazza... Avevo voglia di bussare alla loro porta, di supplicare Sylvie di ridarmi William... All'angolo della strada c'è un negozio di coltelli... E mentre loro... mentre loro erano di sopra io guardavo la vetrina... Non capivo più nulla... Stavo male... Sono entrata... Ho comprato un coltello a serramanico... E intanto piangevo... «Poi sono usciti insieme... William era cambiato, sembrava ringiovanito... Ha persino accompagnato Sylvie in una pasticceria e le ha comprato una scatola di cioccolatini... «Si sono salutati davanti al garage... «Allora mi sono messa a correre... Sapevo che sarebbe tornato ad Antibes... L'ho aspettato sulla strada, subito fuori città... Era già buio... Mi ha vista... Si è fermato... «Gli ho gridato: "Prendi!... Questo è per te!... E questo è per lei!..."». Ricadde sul letto con il corpo raggomitolato e il viso bagnato di lacrime e di sudore. «Non so neanche come ha fatto ad andarsene... Forse mi ha dato una spinta e poi ha chiuso la portiera... «Ero sola in mezzo alla strada, e per poco un autobus non mi ha investita... Non avevo più il coltello... Forse era rimasto nella macchina...». L'unico particolare a cui Maigret non aveva pensato: il coltello! E William Brown, gli occhi già offuscati, aveva sicuramente avuto la presenza di spirito di gettarlo in un cespuglio! «Sono tornata tardi...». «Capisco... Qualche bicchiere...». «Mi sono svegliata nel mio letto, e stavo malissimo...». Si mise di nuovo a sedere: «Ma non andrò ad Haguenau!... Non ci andrò!... Non riuscirete a mandarmi là... Il dottore ha parlato chiaro: sto per crepare... E questa puttana...». Si udì il rumore di una sedia che Sylvie stava tirando verso di sé. Vi si lasciò cadere di traverso, svenuta. Fu uno svenimento lento, progressivo, ma non simulato. Aveva le orbite infossate, le narici affilate, cerchiate di giallo. «Ben le sta!...» gridò Jaja. «La lasci perdere!... Però... Non lo so... Non so più nulla... Forse è stato Joseph a organizzare tutto... Sylvie!... Cara Sylvie...». Chino sulla ragazza, Maigret le dava dei colpetti sulle mani e sulle guance. Vide Jaja che afferrava la bottiglia e beveva un'altra volta, anzi aspirava letteralmente l'alcol, che le provocò violenti colpi di tosse. Poi quella enorme bambola emise un gemito e affondò la testa nel cuscino. Allora Maigret prese Sylvie fra le braccia, la portò al piano di sotto e le bagnò le tempie con dell'acqua fresca. Lei aprì gli occhi, e le sue prime parole furono: «Non è vero...». Una disperazione profonda, assoluta. «Voglio che lei sappia che non è vero... Non voglio sembrare migliore di quello che sono... Ma non è vero... Voglio molto bene a Jaja!... Era lui che insisteva... Mi capisce?... Erano mesi che mi guardava con gli occhi stralunati... Mi supplicava... Non potevo certo rifiutare, visto che tutte le sere, con altri uomini...». «Sst! Parli piano...». «Meglio se mi sente! E se riflettesse un po' capirebbe... Non avevo detto niente neppure a Joseph, per paura che volesse approfittarne... Gli ho dato un appuntamento...». «Uno solo?». «Uno solo... Ha capito?... È vero che mi ha comprato dei cioccolatini... Sembrava impazzito... Mi faceva quasi paura... Mi trattava come una ragazzina...». «Non c'è altro?». «No! Non sapevo che era stata Jaja a... No! Lo giuro! Anzi, pensavo che fosse stato Joseph... Avevo paura... Mi ha detto che dovevo tornare all'Hôtel Beauséjour, dove qualcuno mi avrebbe consegnato del denaro...». E a voce più bassa: «Che cosa potevo fare?». Dal piano di sopra giungevano di nuovo dei gemiti. Gli stessi gemiti di poco prima. «È ferita gravemente?». Maigret alzò le spalle, salì al primo piano e vide che Jaja dormiva pesantemente, gemendo nel sonno. Ridiscese. Sylvie aveva i nervi a pezzi e sussultava ad ogni minimo rumore. «Dorme!» bisbigliò Maigret. «Sst...». Maigret ricaricò la pipa, mentre Sylvie, che non aveva capito, lo guardava con terrore. «Resti con lei... E quando si sveglierà le dica che me ne sono andato... Per sempre...». «Ma...». «Le dica che è stato tutto un brutto sogno, un incubo...». «Ma... Non capisco... E Joseph?». Lui la guardò negli occhi. Aveva le mani in tasca e ne tirò fuori le venti banconote che erano sempre rimaste lì. «Lo ama?». E lei: «Lo sa anche lei che ci vuole un uomo! Se no...». «E William?». «Era una cosa diversa... Lui apparteneva ad un altro mondo... Lui...». Maigret si diresse verso la porta. Mentre girava la chiave nella serratura, si voltò per l'ultima volta. «Faccia in modo che non si senta più parlare del Liberty Bar... Capito?...». La porta si aprì sull'aria fredda della strada. Dal suolo esalava un'umidità simile alla nebbia. «Commissario, io non credevo che lei fosse così...» balbettò Sylvie, che non sapeva più cosa dire. «Io... Jaja... Le giuro che è la donna migliore del mondo...». Maigret si voltò, alzò le spalle e si incamminò verso il porto. Subito dopo il lampione, si fermò per accendere la pipa che si era spenta. CAPITOLO UNDICESIMO: UNA STORIA D'AMORE Maigret allungò le gambe, guardò negli occhi il suo interlocutore e gli porse un foglio di carta bollata. «Posso?...» chiese Harry Brown, gettando un'occhiata ansiosa alla porta dietro cui si trovavano il segretario e la dattilografa. «È SUO». «Vorrei precisare che sono pronto a versare un'indennità a quelle donne... Centomila franchi per ciascuna, ad esempio... Lei mi capisce?... Il problema non è il denaro, ma lo scandalo... Se quelle quattro venissero laggiù e...». «Capisco». Dalla finestra si scorgevano la spiaggia di Juan-les-Pins, un centinaio di persone in costume da bagno distese sulla sabbia, tre ragazze che facevano ginnastica con un istruttore alto e magro e un algerino che andava da un gruppo all'altro con un cesto di noccioline. «Lei crede che centomila franchi...?». «Benissimo!» disse Maigret alzandosi. «Ma non ha bevuto nulla!». «Va bene così, grazie!». Harry Brown, impeccabile ed impomatato, esitò un attimo, poi azzardò: «Vede, signor commissario, per un po' ho creduto che lei mi fosse ostile... In Francia...». «Sì!». Maigret si diresse verso la porta e l'altro lo accompagnò. Ma il suo tono appariva meno sicuro: «... uno scandalo non è così grave come...». «Buongiorno!». Maigret si inchinò leggermente senza tendere la mano e lasciò quell'appartamento dove si trattavano grosse partite di lana. «In Francia... In Francia...» borbottò scendendo le scale ricoperte da una passatoia rossa. In Francia, cosa? Come si chiamava la relazione tra Harry Brown e la vedova o divorziata di Cap Ferrat? Una storia d'amore! E la storia di William con Jaja o con Sylvie, allora...? Camminando lungo la spiaggia, Maigret era costretto a girare intorno a tutti quei corpi seminudi con la pelle abbronzata, messa in risalto dai costumi da bagno colorati. Boutigues lo aspettava vicino alla cabina dell'istruttore di ginnastica. «E allora?». «Fine!... William Brown è stato ucciso da un ignoto malvivente che voleva rubargli il portafoglio...». «Ma...». «Ma cosa?... Non vogliamo grane!... Dunque...». «Eppure...». «Non vogliamo grane!» ripeté Maigret guardando il mare azzurro e piatto come una tavola su cui scivolavano alcune canoe. «Qui non c'è posto per uno scandalo!». «Vede quella giovane donna col costume da bagno verde?». «Ha le cosce troppo magre». «Be'!» esclamò Boutigues con aria di trionfo. «Lei non indovinerà mai chi è... La figlia di Morrow...». «Morrow?». «Il re dei diamanti... Uno dei dieci uomini più ricchi...». Il sole era caldo. Maigret col suo abito scuro stonava in mezzo a quella gente seminuda. Dalla terrazza del casinò venivano ondate di musica. «Prende qualcosa?». Boutigues portava invece un abito grigio chiaro e ostentava il solito garofano rosso all'occhiello. «Le avevo detto che qui...». «Sì... Qui...». «Non le piace questo posto?». E con gesto lirico indicò la baia di un azzurro incredibile, Cap d'Antibes con le sue ville bianche nascoste nel verde, il casinò giallo come un bignè alla crema, le palme sul lungomare... «Vede quel tipo grasso là in fondo col costume da bagno a righe? È il direttore del più importante giornale tedesco...». E Maigret, î cui occhi erano di un grigio spento dopo la notte insonne, borbottò: «E allora?». «Ti ho fatto il baccalà in umido. Sei contento?». «Non puoi immaginare quanto!». Boulevard Richard-Lenoir. L'appartamento di Maigret. Sotto la finestra aperta, qualche sparuto ippocastano su cui spuntavano le prime foglioline. «Che cos'era poi quella storia?». «Una storia d'amore! Ma mi avevano detto: "Non vogliamo grane"...». I gomiti sulla tavola, Maigret mangiava di gusto il suo baccalà parlando con la bocca piena. «Un australiano che non ne poteva più dell'Australia e delle pecore...». «Non capisco». «Un australiano a cui un giorno è venuta voglia di fare la bella vita e l'ha fatta...». «E poi?». «E poi, niente!... Lui si è messo a fare la bella vita e sua moglie, i suoi figli e suo cognato gli hanno tagliato i viveri...». «Non è molto interessante!». «Per niente! È quel che dicevo io... Lui però ha continuato a vivere là, sulla Costa Azzurra...». «Dicono che sia bellissima...». «Stupenda!... Ha affittato una villa... Poi, siccome si sentiva solo, ci ha portato una donna...». «Ora comincio a capire!». «Aspetta, aspetta... Passami la salsa... Ci hai messo poche cipolle». «Sono le cipolle di Parigi che non hanno sapore... Ce ne ho messo mezzo chilo... Va' avanti...». «La donna si è sistemata nella villa insieme a sua madre...». «Sua madre?». «Sì... Allora la cosa ha perso tutto il suo fascino e l'australiano è andato a cercarsi una distrazione altrove...». «Si è preso un'amante?». «Quella ce l'aveva già! Con tanto di madre al séguito! Ha scovato una specie di bar con una brava vecchia che beveva insieme a lui...». «Che beveva?». «Sì! E quando avevano bevuto vedevano la vita con altri occhi... Si sentivano il centro del mondo... Si facevano delle confidenze...». «E poi?». «Quella brava vecchia credeva che fosse finalmente la volta buona». «E cioè?». «Che qualcuno si fosse innamorato di lei!... Credeva di aver trovato l'anima gemella!... E tutto il resto...». «Il resto cosa?». «Niente... Erano una coppia! Una coppia della stessa età... Una coppia che riusciva ad ubriacarsi in sintonia...». «E poi cos'è successo?». «C'era una ragazza, una specie di figlioccia... Una certa Sylvie... Il vecchio ha perso la testa per Sylvie...». La signora Maigret guardò il marito con aria di rimprovero. «Ma cosa dici!». «La verità! Lui si è infatuato di Sylvie, ma Sylvie non voleva per via della vecchia... Alla fine però ha dovuto cedere, perché nonostante tutto l'australiano era il personaggio principale». «Non riesco a capire...». «Non fa niente... L'australiano e la ragazza si sono incontrati in un albergo...». «Hanno ingannato la vecchia?». «Esatto! Vedi che riesci a capire! Allora la vecchia si è resa conto di non contare più nulla e ha ucciso l'amante... Questo baccalà è veramente squisito...». «Continuo a non capire...». «Che cosa non capisci?». «Perché la vecchia non è stata arrestata. In fondo è stata lei a...». «Niente affatto!». «Come niente affatto?». «Passami il piatto... Mi avevano detto: "Soprattutto, non vogliamo grane!"... Vale a dire niente drammi passionali! Perché i figli, la moglie ed il cognato dell'australiano sono persone importanti... Persone disposte a spendere molti soldi per recuperare un testamento...». «E adesso cosa c'entra il testamento?». «Sarebbe troppo complicato... Insomma, era una storia d'amore... Una vecchia ha ucciso il suo amante, un vecchio come lei, perché la tradiva con una giovane». «E che fine hanno fatto quelle due?». «La vecchia ha tre o quattro mesi di vita... Dipende da quanto berrà...». «Da quanto berrà?». «Sì... Perché è anche una storia di alcol...». «È troppo complicato!». «Più di quanto tu non creda! La vecchia, che ha ucciso, morirà fra tre o quattro mesi, o cinque, o sei, con le gambe gonfie ed i piedi in una tinozza». «In una tinozza?». «Va' a vedere in un dizionario di medicina come si muore di idropisia...». «E la giovane?». «Lei è ancora più disgraziata... Perché vuole bene alla vecchia come se fosse sua madre... E poi perché ama il suo magnaccia...». «Il suo...? Non ti capisco... Usi certe parole...». «E il magnaccia perderà i ventimila franchi alle corse!» proseguì Maigret imperturbabile senza smettere di mangiare. «Quali ventimila franchi?». «Non ha importanza!». «Non ci capisco più niente!». «Neanch'io... O meglio, ci capisco anche troppo... Mi hanno detto: "Non vogliamo grane!"... Ecco qua!... Non se ne parlerà più... Una povera storia d'amore che è finita male...». E d'un tratto: «Non c'è un po' di verdura?». «Volevo fare dei cavolfiori, ma...». E Maigret commentò fra sé: «Anche Jaja voleva un po' d'amore, ma...».