Patronati, migliaia di firme contro i tagli

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Patronati, migliaia di firme contro i tagli
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a cura dello Spi nazionale in collaborazione con Spi Marche
14 novembre 2014
tutti i numeri del mese corrente
Cgil: sciopero generale il 5 dicembre
i due lampi di oggi
1 - Patronati, migliaia di firme contro i tagli
2 - Un deus ex machina per l’eurozona
www.rassegna.it
Patronati, migliaia di firme contro i tagli
Solo dal web oltre 100 mila adesioni alla petizione contro i tagli ai patronati contenuti nella legge di
stabilità. Il 15 novembre manifestazioni in tutta Italia. Piccinini (Inca): grazie a tutti quelli che ci stanno
sostenendo
La petizione unitaria contro i tagli ai patronati contenuti nella legge di Stabilità ha superato la soglia delle
100 mila adesioni on line, attraverso il sito istituzionale dell'Inca. “Un risultato straordinario – si legge sul
sito del Patronato della Cgil - a cui vanno aggiunte le numerose firme raccolte con i moduli cartacei dalle
strutture del patronato della Cgil territoriali. Non è esagerato stimare, perciò, che il sostegno pervenuto
all'Inca abbia abbondantemente superato le 100 mila firme. Un fiume in piena inarrestabile che continua
ad affluire senza interruzione”.
La presidente dell'Inca, Morena Piccinini, ringrazia “tutti coloro che stanno firmando la petizione” e “che
sono con noi ai presidi davanti all’Inps, all’Inail e alle prefetture; che con il loro affetto e la loro volontà
vogliono difendere il Patronato e tutte le persone che giorno per giorno rispondono con dedizione e
impegno alle tante richieste di tutela. Sono loro il nostro patrimonio umano che ha capito che non siamo
noi la casta da combattere”.
Il 15 novembre ci sarà una giornata di mobilitazione per iniziativa del Ce.Pa. (il coordinamento che
raggruppa i principali patronati Acli, Inas, Inca e Ital) con iniziative unitarie in tutte le province italiane e
con manifestazioni regionali. Nelle principali piazze saranno allestiti stand e si terranno incontri pubblici,
con l'intento di sensibilizzare l'opinione pubblica.
La protesta, che sta ricevendo anche attestati di solidarietà da parte di parlamentari e di istituzioni, quali
Inps e Inail, continuerà “finché il Governo non si impegnerà a cancellare la norma che prevede una
riduzione di 150 milioni di euro del fondo Patronati, pari a circa il 35 per cento delle risorse complessive
ad esso destinate”, si legge in una nota congiunta dei patronati.
I patronati lanciano l’allarme su dei tagli che, se confermati, “cancelleranno il diritto di ogni persona ad
avere l'assistenza previdenziale e socio-assistenziale gratuita garantita da questi istituti”. “Inoltre –
continua la nota - il numero di coloro che rischiano di perdere il lavoro si attesta attorno al 70% degli
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Un deus ex machina per l’eurozona
La Banca del Giappone ha appena deciso acquisti di titoli di Stato per il 16% del Pil. Se lo facesse anche
la Bce la crisi finirebbe, ma non può: anche se volesse l’opposizione politica non lo consentirebbe. Ma
proprio sul fronte politico il 2015 può riservare sorprese
di Antonio Lettieri
Ogni volta che l’allarme cresce nell’eurozona, torna a salire l’invocazione di un deus ex machina, che è
poi sempre Mario Draghi, presidente della Bce.
La situazione economica non potrebbe essere peggiore. Sei anni dopo l’inizio della crisi, l’eurozona, per
insipienza politica o per una perversa scelta ideologica, lungi dal risolverla, tende ad approfondirla
(Paladini). Gli storici troveranno materia per indagare il processo politico che paralizza il cuore
dell’Europa, e non potranno non rimanerne stupiti.
L’aspetto più inquietante è l’ostinata persistenza delle politiche che hanno già dimostrato il loro
fallimento. Di fronte a questa situazione si ripete con crescente frequenza l’appello al grande sacerdote di
Francoforte che controlla le chiavi della politica monetaria.
L’appello ha un senso, se si considera il ruolo fondamentale che ha svolto in America la Federal Reserve.
Ora, mentre questa si accinge a dichiarare conclusa la sua missione, è la Banca centrale giapponese a
decidere una vasta manovra shock per portare il Giappone fuori dalla crisi. E’ molto probabile che proprio
le clamorose decisioni della Banca giapponese abbiano rilanciato l’attenzione sulla Banca centrale
europea, e rafforzato la determinazione di Mario Draghi di tornare a intervenire con misure “non
convenzionali” per scongiurare il rischio incombente di una lunga e distruttiva deflazione.
In ogni caso, l’esempio giapponese, ipoteticamente applicato all’eurozona mette in gioco non solo gli
strumenti tipici della politica monetaria, ma lo stesso paradigma politico che governa l’eurozona.
Proviamo a vedere più da vicino di che si tratta.
La Banca centrale giapponese, come ricorda Martin Wolf (Financial Times, 5/11/14), ha deciso di
acquistare titoli del debito pubblico in una misura equivalente al 16 per cento del PIL. Per dare un
significato concreto a questa decisone, possiamo dire che per paesi come l'Italia e la Francia, un’analoga
misura da parte della Bce equivarrebbe all’acquisto annuo di titoli di Stato nell’ordine di 250 miliardi
euro. Poiché, assumendo l’esempio della Banca centrale giapponese si tratterebbe di titoli con una
maturità a lungo termine di 7/10 anni, e con tassi d’interesse nominali prossimi allo zero e tassi reali
negativi, saremmo di fronte al progressivo consolidamento di una parte molto rilevante del debito,
sostanzialmente affrancato dall’onere degli interessi.
I paesi dell’eurozona in difficoltà, da un lato, si gioverebbero di un ridotto ricorso al mercato per il
rinnovo del debito pregresso, beneficiando di una riduzione dei tassi; dall’altro, potrebbero impiegare una
parte delle risorse rese disponibili dalla Banca centrale per una massiccia operazione di rilancio della
crescita e dell’occupazione.
La realizzazione di un insieme di investimenti pubblici infrastrutturali contribuirebbe a mobilitare una
massa di investimenti privati, oggi paralizzati dalla recessione, e genererebbe un immediato ritorno in
termini di occupazione, di aumento del reddito delle famiglie e dei consumi, spezzando il perverso circolo
vizioso che combina bassa (o nessuna) crescita con l’aumento del rapporto debito/PIL.
Non si tratta di fantasie estemporanee. La massiccia e prolungata manovra monetaria con la liberazione di
enormi risorse per il bilancio ha consentito agli Stati Uniti di ricondurre il Pil al disopra del livello
antecedente alla crisi, e di ridurre la disoccupazione al di sotto del 6 per cento.
Può l’eurozona contare su una politica analoga? In linea di principio, non si vede perché no. Il punto è
che per essere praticabile questa politica dovrebbe superare due ostacoli. Il primo è l’opposizione della
Germania a manovre della Bce non più puramente difensive - come quelle adottate per salvare l’euro da
un incombente collasso - ma esplicitamente dirette all’espansione dei bilanci statali per consentire
l’aumento degli investimenti pubblici, ormai unico strumento efficace di contrasto alla catastrofica
combinazione di recessione e deflazione.
Il secondo ostacolo non riguarda il contrasto sulle scelte di politica monetaria, ma la decisione,
squisitamente politica, di accantonamento del Fiscal compact, che impone una marcia forzata verso il
pareggio strutturale del bilancio e un drastico abbattimento del debito, in un quadro di bassa crescita,
quando non di recessione, che rende inattuabili questi obiettivi privi di senso.
Dunque, il ricorso al grande sacerdote di Francoforte è il segno della disperazione e insieme della
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