Il dibattito economico oltre i confini a cura dell`Osservatorio
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Il dibattito economico oltre i confini a cura dell`Osservatorio
Il dibattito economico oltre i confini a cura dell'Osservatorio Economico e Finanziario Area Politiche di Sviluppo Su questo “Numero tre” - All'inizio dell'anno, qualche bilancio e qualche previsione: dal Financial Times (31.12) “Big Read: l'anno in numeri”: i giornalisti del FT presentano le statistiche dell'anno sul mondo, il business, l'economia di mercato, lo sport. - Sempre sullo stesso numero del FT, “Le previsioni in sintesi per il 2016”, dai prezzi del petrolio, alle prossime mosse di Vladimir Putin. - Per il dibattito macroeconomico, Insight propone un intervento di Josh Bivens (director of research and policy all'Economic Policy Institute di Washington) il quale sostiene che il "grande malessere" dell'economia globale è determinato dal deficit della domanda precipuamente causato dalla stagnazione salariale e dalla crescita della disuguaglianza degli ultimi 20 anni. Il titolo dell'articolo, centrato sulla situazione americana, esplicita la tesi sostenuta dall'autore: "Per invertire un futuro di bassa crescita, le retribuzioni dei lavoratori normali devono crescere". Infatti i fondamentali economici resteranno pericolosi se i redditi bassi e medi dei lavoratori normali continuano a subire bassi salari. - Su Social Europe Journal (11.1) Joseph Stiglitz , scrive un interessante intervento "La nuova geoeconomia" in cui, partendo dall'accordo di Parigi sul cambiamento climatico sul cui significato, malgrado i non ottimali risultati, esprime un giudizio abbastanza positivo, critica il fallimento del Doha Round sul commercio internazionale, attaccando la nuova linea dell'Europa e degli US che hanno accantonato gli accordi globali per procedere a pezzi. Il suo giudizio sulla Trans Pacific Partnership-TPP è completamente negativo. - Sull'economia globale, ci sono molti interventi di commento alle nuove turbolenze di borsa e alla situazione economica cinese. Paul Krugman (New York Times 9-10.1) si interroga sugli effetti della crisi cinese sul resto del modo "Quando la Cina inciampa", e dichiara che malgrado i numeri gli suggeriscano il contrario, egli non riesce a stare tranquillo: a fronte di shock inaspettati, non siamo preparati, è la sua tesi. - Joseph Stiglitz interviene su SEJ (4.1): “Perché il grande malessere globale continuerà anche nel 2016" - Sul Financial Times Martin Wolf interviene sugli stessi temi. Anche la sua tesi è che "il disastro economico è un evento improbabile". Tuttavia, data l'instabilità della situazione internazionale, anche lui non è affatto tranquillo. - Wolf torna sull'argomento sul FT del 13.1, con un articolo "Questo scompiglio è il risultato dell'abbaglio della FED", nel quale sostiene che senza una politica che rivitalizzi la domanda, le cose non si stabilizzeranno. E le scelte della FED non vanno nella direzione giusta. - Sempre sul FT (11.1) Wolfgan Munchau affronta il problema della libera circolazione di capitali sostenendo che i "free capital flows possono mettere le economie in un vicolo cieco". L'articolo è interessante perché ripercorre la storia della libera circolazione dei capitali, a partire dalla decisione di Margaret Thatcher nel 1973 di abrogare i controlli sui capitali. Ma si chiede, dato il progressivo deteriorarsi della situazione e la continua instabilità, i controlli potranno tornare? - Sullo stesso numero del FT, Lawrence Summers mette in guarda dal sottovalutare i comportamenti dei mercati "Attenti alle paure dei mercati". L'articolo sostiene che se è corretto gestire l'economia e le singole imprese con attenzione alla profittabilità di lungo termine e non al prezzo di borsa quotidiano, tuttavia sarebbe sbagliato sottovalutare i segnali dei mercati quando sono di lunga durata e provengono da più parti del mondo. proprio come adesso. Sull'Europa e l'eurozona , molti interventi di approfondimento. Poco ottimismo. - Due interventi di Nuriel Roubini: il primo su SEJ (del 31.11) ha un titolo eloquente "L'Europa è condannata al collasso?". Il secondo, sempre su SEJ (6.1) torna sul tema "La questione europea nel 2016" . - Martin Wolf sul FT del 4.1 sostiene che "La molteplicità della crisi EU non è accidentale" - Su SEJ (1.12) Peter Bofinger (del Consiglio tedesco degli esperti) sostiene che le scelte politiche messe in atto in Germania hanno contribuito in modo decisivo a determinare la crisi dell'eurozona "La moderazione salariale in Germania e la crisi dell'eurozona". L'articolo contesta la narrazione convenzionale, sostenendo che l'interpretazione della crisi come causata dal debito pubblico oppure da un eccessivo flusso di capitali all'interno dell'area negli anni precedenti la crisi è corretta ma non è sufficiente. Perché ignora il ruolo della Germania e della sua moderazione salariale. - Anche Simon Wren Lewis in un breve blog su SEJ (31.11) torna sulle responsabilità tedesche sulla crisi dell'eurozona. "Una crisi made in Germany” - Yanis Varoufakis interviene con due articoli scottanti. Il primo su SEJ (16.12) ripercorre i bailouts del suo paese e critica ferocemente ma altrettanto circostanziatamente le scelte della troika "La grande rapina delle banche greche". Il secondo intervento (SEJ 8.1) "Le due monete della Grecia" spiega come funziona il sistema monetario duale di fatto determinato dal divieto di prelievi in banca al fine di contenere la fuga dei capitali. - Su Social Europe Journal il 30.11, Ronald Janssen commenta un paper del FMI che è velatamente critico sulle politiche di stagnazione salariale degli ultimi anni in Europa: “Lost in contraddiction: il FMI e il dumping salariale competitivo nell'EU”. - Marcello Minenna (SEJ 11.1) scrive sugli effetti negativi della caduta dei prezzi del petrolio: “Come il crollo del prezzo del petrolio sta rovinando gli effetti del QE di Mario Draghi”. Sulle trasformazioni tecnologiche e i loro effetti di cambiamento sull'organizzazione aziendale capitalistica. - Robert Reich torna a intervenire sulle share economy (SEJ 30.11): “Perchè la share economy nuoce ai lavoratori. Cosa si deve fare”. - Interviene in materia anche il direttore dell'ETUI (l'istituto di ricerca della CES). Su SEJ 25.11 Philippe Pochet affronta il tema della piattaforma economica della rivoluzione digitale "Una persona una macchina?" - Sulle questioni ambientali, sul New York Times 2.12, Oliver Gedeon (dell'Istituto tedesco degli affari e della sicurezza internazionali) interviene su una tecnica di misurazione dell'anidrite carbonica immettibile nell'atmosfera per far si che, come previsto dall'ONU, il riscaldamento globale non superi di più di 2° le temperature pre-rivoluzione industriale: “Il dubbio budget del carbone”. - Ancora sul NYT (8.1) un articolo che dal caso particolare di un piccolo comune del napoletano, allarga il reportage alla situazione della qualità dell'aria nel nostro paese e l'assenza di una politica nazionale integrata (451) "Nella terra della pizza, una battaglia sulle emissioni di anidrite carbonica" In materia fiscale - Un articolo su SEJ che racconta dell'Olanda come paradiso fiscale. - Su NYT 14.1 un articolo di Dean Baker (codirettore enter for Economic and Policy Research di Washington) affronta il tema, attualissimo, dopo gli ultimi casi di multinazionali che spostano la sede fiscale in paesi più convenienti e fa una proposta singolare, molto US. "Come porre fine alle tasse corporate". Financial Times 31 dicembre 2015 “Big Read: L'anno in numeri. Il 2015 in sintesi” FT reporters presentano le statistiche più avvincenti dell'anno World 3.692: il numero dei migranti morti nel mar Mediterraneo nel 2015 - una statistica fosca. La piaga delle vittime è stata illustrata a settembre quando il corpo di un bambino siriano di tre anni, Ayal Kurdi, ha raggiunto il bagnasciuga in Turchia. Più di un milione di migranti irregolari è arrivato in Europa nel 2015, la maggior parte dalla Siria, dall'Africa e dal sud dell'Asia, nel più grande movimento di persone dalla seconda guerra mondiale. Il flusso ha diviso il continente: Angela Merkel ha spalancato le frontiere tedesche, determinando accuse che avrebbe solo incoraggiato più persone a venire. L'area Shengen di libera circolazione in Europa è apparsa in pericolo quando molti mebri hanno reintrodotto i controlli alle loro frontiere. E l'iniziale benvenuto in Germania ha poi dato luogo a frustrazione e fatica, Questo ha colpito il tasso di gradimento della cancelliera che si è ridotto di 9 punti percentuali in ottobre (54%)., il più basso da almeno 4 anni. Business $750: a settembre, il prezzo di una pastiglia di medicina chiamata Deraprim è balzato da $13.50 a $750, a seguito dell'acquisizione da $55milioni dei diritti di una oscura azienda (Turing Pharameceuticals). L medicina anti-infettiva è usata dai malati di cancro e di HIV e l'aumento del presso ha acceso un dibattito negli US sull'aumento dei costi dei medicinali. Un tweet di Hillary Clinton , la candidata democratica alla prossime elezioni presidenziali, che minacciava un giro di vite sulle "esorbitanti" pratiche di definizione dei prezzi ha spazzato via $162.4 miliardi dai titoli biotech Nasdaq nei sette giorni successivi. Il ceo di Turing, Nartin Shkreli si è dimesso a dicembre, dopo che i pubblici ministeri federali lo hanno accusato di frode sui titoli. Market economy 7%: Per la prima volta in una generazione è probabile che nel 2015 il tasso di crescita della Cina sia sceso sotto il 7%. L'ultima volta in cui è sto più basso è stato nel 1981, quando la Cina era la 10° più grande economia misurata a parità di potere d'acquisto. Ora è la prima. Pechino si è dato l'obiettivo di una crescita del 6.5% per i prossimi 5 anni, anche se molti economisti pensano che sia troppo, ottimistica. Anche così, il tasso di crescita cinese più basso nel 2015, ha contribuito molto di più alla crescita economica del mondo di quando cresceva più del doppio, durante gli anni '80. Sport, culture, media 41: Il numero delle organizzazioni e degli individui accusati dagli investigatori US in una indagine sulla corruzione FIFA. La crisi dell'organo di governo del football è cominciata a maggio, quando ci sono stati 7 arresti a Zurigo durante una riunione della FIFA per eleggere un nuovo presidente. Malgrado le accuse US di appropriazione indebita di $150 milioni da parte dei dirigenti, Sepp Blatter è stat rieletto. Oltre a quella US, un'inchiesta svizzera ha trovato più di 100 transazione bancarie sospette. Alla fine, 4 dei 6 principali sponsors della FIFA hanno chiesto a Blatter di lasciare e alla fine è stato sospeso per 8 anni a causa di un pagamento di 2 milioni di franchi svizzeri al capo della UEFA, Michel Platini. World - 4.4 milioni: il numero dei rifugiati siriani registrati, secondo l'ONU. - 847.819: il totale degli arrivi nell'EU via Mar Mediterraneo, la grande maggioranza attraverso la Grecia; il 28% sono bambini. - 160.000: il numero dei rifugiati che i leader europei hanno concordato di ricollocare in tutta Europa. - 266: il totale dei rifugiati ufficialmente ricollocati fino ad ora dall'Italia e dalla Grecia. - 0: il numero dei dibattiti diretti tra David Cameron e Ed Milliband prima delle elezioni in GB di maggio. - 56: i seggi conquistati dal Partito nazionalista scozzese su 59 totali. Il Labour e i liberaldemocratici hanno perso 75 seggi in tutto l'UK. 1.5-2 gradi centigradi: il target range sopra cui non dovrebbero crescere le temperature concordato al COP21 meeting di Parigi. - 600: l'indice non ufficiale della qualità dell'aria a Pechino in dicembre, un livello considerato azzardoso. La città ha emesso il suo primo "red alert"qualche giorno dopo. - 129: i morti negli attacchi terroristi a Parigi il 13 novembre. - $1.5 milioni: la stima del reddito giornaliero dell'ISIS derivante dal petrolio. - 5.000 (rispetto a 20.000): il numero delle centrifughe consentite all'Iran, dopo l'accordo definito a luglio con sei potenze mondiali. - 1: il "breakout time" in termini di anni, che impiegherebbe l'Iran a costruire la bomba atomica se abbandonasse i termini dell'accordo. - 17: il numero dei repubblicani che hanno lanciato una campagna presidenziale per il 2016; 12 quelli rimanenti. - 24 milioni: l'audience del primo dibattito repubblicano, a confronto coi 3 milioni di 4 anni fa - un aumento attribuito a Donald Trump. - 79%: i seggi conquistati da Aung San Suu nelle elezioni di novembre in Birmania. - 8.615 m: il precedente record di popolazione londinese che era stato raggiunto nel 1939 e che è stato superato all'inizio di quest'anno. Nei prossimi 25 anni è previsto un incremento del 25%. Business - $21 miliardi: La stima dei risparmi fiscali dalla fusione (da 160 miliardi di dollari) tra Pfizer e Allergan. - $664 miliardi: il valore dei mergers annunciati quest'anno nel settore farmaceutico, che valgono il 14% delle mergers&acquisitions complessive per un valore di $4.59 trilioni. - 11 milioni:il numero dei motori Volkswagen EA 189 diesel costruiti con un "defeat device". - 2.2 miliardi: la stima delle perdite potenziali di Ivan Glasemberg, capo esecutivo della Glencore, che ha visto le sue azioni ridursi del 70% nella disfatta dei mercati delle materie prime. - 70 milioni: la multa pagata dalla Takata (auto parts maker) ai regolatori US per avere nascosto le prove che i suoi air bags potevano esplodere. - 24: la velocità oraria in miglia dell'auto Google senza autista prima che fosse fermata, a novembre, per contenere il traffico. - $ 700 miliardi: il valore a febbraio del mercato Apple, che la ha resa la prima azienda a superare quel livello. Da allora il valore si è ridotto a $607 miliardi. - $130 miliardi: il valore del merger proposto tra le aziende chimiche Dow e DuPont. - $62.5 miliardi: il valore del mercato Uber dopo il suo ultimo round of funding - la valutazione più alta per un'azienda tech dopo Facebook. - 14: gli anni di prigione nella sentenza contro Tom Hayes, l'ex trader di UBS accusato di manipolazione del Libor. Ridotti poi a 11 dalla corte di appello UK. - 96.400: il taglio dei posti di lavoro annunciato dalle 11 tra le più grosse banche EU e EU. Markets and economy - 43%: la contrazione dell'indice composto di Shanghai tra il suo picco a giugno e agosto. Ma ha finito l'anno su del 10.5%. - $5 trilioni: il capitale cancellato durante la rotta nella borsa cinese ad agosto. - 0.25%: l'aumento dei tassi annunciato questo mese dalla FED: - 114: il numero dei mesi dall'ultimo aumento della FE£D. Il tasso di disoccupazione US era del 4.6% quando c'è stato l'ultimo aumento nel giugno 2006. Oggi è al 5%. - $36.69: il prezzo al barile del Brent crude il 30 dicembre, l'anno precedente era di $55.60. - 357 miliardi: il deficit di bilancio dell'Arabia §Saudita quest'anno (in moneta saudita) - 86 miliardi di euro: la dimensione del terzo salvataggio greco, convenuto a luglio poco dopo che il paese aveva votato no sui termini di un precedente accordo. - 194.8%: La previsione della Commissione europea per il rapporto debito/PIL 2015 della Grecia, il più alto da quando è entrata nell'eurozona. - 7%: la crescita irlandese nel trerso trimestre, due anni dopo essere uscita da un salvataggio. E' l'economia in crescita più rapida dell'intera eurozona. - $23.7 trilioni: il debito totale delle aziende nei mercati emergenti, cinque volte di più del passato decennio. - 31.2%: la riduzione del valore della moneta brasiliana nei confronti del dollaro nel 2015. - 39%: la crescita del franco svizzero rispetto all'euro quando la banca centrale svizzera ha abbandonato a gennaio l'ancoraggio della sua valuta. Sport, cultura e media - 10.2 milioni di sterline: il prezzo per partita di calcio dalla prossima stagione dei diritti TV UK per la Premier League , in un accordo triennale di £5.136 miliardi. - $238 milioni: il week-end di apertura negli US di Star Wars, che ha battuto il precedente record dell'inizio dell'anno di Jurassic World ($208 milioni). - 2.477,875: gli spettatori alla coppa del mondo di rugby, un nuovo record. - 4,348: le vittorie nelle corse di cavallo di Ap McCoy che si è ritirato quest'anno. - 62%: i votanti irlandesi a favore del riconoscimento del matrimonio gay nelle elezioni di maggio. - £2 miliardi: il costo dello stadio olimpico 2020 del Giappone prima che i progetti per la nuova arena fossero scartati dal primo ministro Abe. - $179 milioni: la vendita della "Femme de Alger" di Picasso a New York in maggio - la somma più alta mai pagata per un dipinto in un'asta. - 93%: gli incontri di tennis vinti quest'anno da Novak Djokovic, il primo uomo a vincere sei masters titles in una stagione. - 2.4 milioni: la prima settimana di vendite record di 25, album di Adele. - 21: l'età di Jordan Spieth quando è diventato il più giovane golfista a vincere l'US Open e Masters nello stesso anno. Nel 2015 le sua vincite PGA hanno superato i 12 milioni di dollari. - $500 milioni: il valore dell'accordo a vita per le sponsorizzazioni della star del basket LeBron James con la Nike. - 4.5: le ore impiegate per la trasmissione delle foto sulla terra da parte dello spacecraft Horizons su Nettuno. Financial Times 31 dicembre 2015 “Le previsioni 2016 per il mondo” Con il nuovo anno, i giornalisti del FT si esercitano in un carosello di previsioni - dal prezzo del petrolio alle prossime mosse di Vladimir Putin Il FT ancora una volta indulge nel rituale delle previsioni dei prossimi 12 mesi. I nostri esperti e commentatori prevedono, sia pure avvertendo cautela, cosa avverrà su ogni cosa, dalle elezioni US al torneo di football Euro 2016. Un breve giudizio sulle previsioni dello scorso anno. Ed Crooks ha previsto correttamente che il prezzo del petrolio si sarebbe ulteriormente ridotto. Una affermazione coraggiosa alla fine di un anno in cui si era già dimezzato. Martin Wolf ha detto che la BCE avrebbe adottato un QE in piena regola, cosa che ha fatto. Clive Cookson ha correttamente sostenuto che Ebola sarebbe stato eliminato nell'Africa occidentale per la fine del 2015. Gideon Rachman ha detto che Putin avrebbe annesso ulteriori territori in Ucraina e in Europa. Non molti lo dicevano alla fine del 2014. Abbiamo fatto un errore. Jonathan Ford era tra quelli che sostenevano che le elezioni politiche in GB sarebbero finite con un parlamento bloccato (è arrivato a prevedere un governo nazionale). Ma l'errore dell'anno scorso non è stato tanto nelle risposte che abbiamo dato, quanto nelle domande che non abbiamo fatto. Non abbiamo previsto la nascita di un terrorismo sponsorizzato dall'ISIS in Francia; che la Russia avrebbe agito militarmente in Siria; e che la crisi dei migranti sarebbe diventata una grave minaccia per l'EU. Anche nel 2016, avverranno eventi che andranno al di là della nostra immaginazione. Hillary Clinton vincerà le elezioni presidenziali US? Si,. Saranno elezioni sulle montagne russe e le più sporche che si ricordino. Clinton sarà messa alla gogna dal suo oppositore repubblicano, Ted Cruz, per i suoi difetti di carattere e la debolezza di fronte ai nemici dell'America. Una grossa parte dell'elettorato porterà il nome della Clinton a emblema di tutto quello che è sbagliato - sull'America di oggi. Ma le elezioni saranno ancora vinte al centro, o in quello che del centro rimane e Cruz sarà troppo a destra rispetto al votante mediano per arrivare alla casa bianca. malgrado sondaggi vicini in modo sconfortante, Clinton vincerà il collegio elettorale. i democratici riprenderanno il Senato. Ma comincerà il suo mandato in una Washington molto polarizzata. Non ci sarà luna di miele. (Edward Luce) La Gran Bretagna abbandonerà l'EU,. nel referendum previsto per il 2016? No.La GB voterà per rimanere nell'EU. Senza entusiasmo o eccitazione ma perchè l'innato senso comune degli elettori britannici alla fine prevarrà. Dimenticati gli argomenti tecnici su come Cameron gestirà per assicurarsi un buon accordo nella sua rinegoziazione o se l'UK recupererà i suoi contributi da Bruxelles nell'aumento dell'investimento e dello scambio. Considerati invece i protagonisti da entrambe le parti. Alla fine gli elettori sceglieranno tra la calma logica dell'ex primo ministro John Major e il populismo di Nigel Farage. La mia puntata è su major. Se sbaglio, la Gran bretagan rischierà tempi veramente turbolenti (Philip Stephen). Tra 12 mesi, Bashar Assad sarà ancora al potere? Si. Assa resterà nominalmente presidente della Siria nel 2016, anche se, in realtà, è stato già ridotto a uno status di grande comandante che a sovrano di uno stato. Militarmente, è stato sostenuto dall'intervento militare russo che ha mirato ai suoi nemici ribelli. Politicamente, un piano russo-americano convenuto nelle ultime settimane intravede 18 mesi di transizione ed è gravito di rischi. Anche nel caso in cui guadagni forza un processo di pace, Assad farà del suo meglio per rimanere saldo nel suo posto di potere a Damasco. (Roula Khalaf) L'anno prossimo, la Banca d'Inghilterra aumenterà i tassi di interesse? No. La BoE flirterà con l'aumento dei tassi per buona parte del 2016. Stuzzicherà, ma alla fine non agirà. Ha buone ragioni per evitare una decisione. L'inflazione salirà oltre lo zero molto lentamente, la crescita salariale è debole, i prezzi del petrolio anche più deboli e la riduzione del deficit eviterà il boom. La BoE è propensa a tentare i suoi nuovi poteri per limitare il credito prima di pensare asi tassi di interesse. Limitate sono anche le conseguenze di un periodo di inflazione superiore al target. Più tardi, nel corso dell'anno, la BoE potrebbe decidere di agire ma anche se lo facesse, non farebbe molta differenza. Per quanto concerne i tassi di interesse, la Gran Bretagna è in quello che il governatore Mark Carney sostiene essere un mondo "basso per lungo tempo", certo per un tempo più lungo del 2016. (Chris Giles). Nel 2016 ci sarà almeno uno dei membri del gruppo del G20 che chiederà un programma di assistenza del Fondo monetario internazionale? Si. All'interno del G20 nessun membro sviluppato avrà bisogno di un salvataggio. Il solo candidato concepibile è l'Italia, data la dimensione enorme del suo debito pubblico. Ma il sostegno della BCE, compreso il quantitative easing, protegge. Il G20 contiene 10 economie emergenti. Alcune sono state colpite dai forti cali dei prezzi delle materie prime (Argentina, Russia, Arabia Saudita, come primi esempi). Alcune hanno significativi deficit di partire correnti (di nuovo viene in mente l'Arabia Saudita insieme al Brasile a al Sud Africa). Sia l'India che il Sud Africa hanno deficit fiscali abbastanza grandi. Altri, come il Brasile, hanno deficit più piccoli ma un considerevole onere di debito pubblico. I paesi che marcano tutte le scatole della instabilità sono l'Argentina, il Sud Africa e il Brasile. Sotto stress, questi paesi hanno recentemente cambiato i ministri delle finanze. L'Argentina ha un nuovo governo che promette un approccio nuovo. Il FMI è pronto. Ameno uno di questi paesi alla fine lo chiamerà in causa? (Martin Wolf) Alla fine dell'anno, Angela Merkel sarà ancora cancelliera della Germania? No. Sebbene il 2015 sia finito con una standing ovation per Angela Merkel alla conferenza del sua CDU, è probabile che il 2016 veda la fine del suo lungo regno come cancelliera. Quell'ovazione è apparsa come la prova conclusiva che il suo lavoro è salvo - malgrado le pressioni causate dall'arrivo in Germania nel 2015 di circa 1 milione di rifugiati. Ma Merkel ha ora promesso di ridurre il flusso di rifugiati l'anno prossimo. E' probabile che si dimostrerà irrealizzabile perchè migranti disperati, aiutati da contrabbandieri di umani continuino a entrare. L'ammirazione per il coraggio della cancelliera e per la sua leadership morale verrà sostituita da incertezza e scontento. Il punto di rottura potrebbe essere una rivolta da parte dei governi locali che si dichiarano incapaci di fare fronte ai numeri.- Questo, a sua volta, provocherà alla fine una sfida alla cancelliera dall'interno della CDU rendendo la sua posizione insostenibile. (Gideon Rachman) Chi vincerà i torneo di football Euro 2016? Il Belgio, il migliore team del mondo, secondo le recenti valutazioni della FIFA. Questo arcano coefficiente esagera la qualità del Belgio ma non in modo esorbitante. Attraverso un avanzato sistema di scouting e coaching - e una politica liberale di naturalizzazione dei migranti - questa piccola nazione in uno stato traballante ha prodotto un fiume di giocatori di elite. Il Belgio può mettere in campo un trio attaccante di Eden Hazard, Kevin de Bruynee Romelu Lukaku, stars della premiere league il cui valore combinato di mercato raggiunge i 150 milioni di sterline. La squadra tedesca è più vecchia, quella spagnola più coesa, ma il Belgio ha molta vera qualità tecnica. Anche la Francia giocatrice ospite alimenta il vantaggio. (Janan Ganesh) La brasiliana Delma Rousseff sarà messa sotto accusa prima dell'inizio delle Olimpiadi di Rio? No. Ma sarà una cosa molto combattuta. Per ora, Rousseff ha probabilmente sostegno sufficiente a fermare il processo. Ma più il tempo passa, più peggiora la recessione del paese e più debole diventa il suo sostegno politico. le procedure di impechment, anche se il parlamento vota per mandarle avanti, cominceranno probabilmente solo il 10 febbraio. Assumendo che il processo, nel suo insieme occupi poi pienamente 180 giorni,la Rousseff potrebbe essere messa sotto accusa a metà agosto. Sarebbe dopo la partenza ufficiale delle Olimpiadi il 5 agosto - ma ancora in tempo per il salto in alto finale il 16 agosto. (John Paul Rathbone) L'anno prossimo, la Cina svaluterà significativamente il renminbi? Si. La Cina ha buone ragioni per voler mantenere stabile il renminbi nei confronti del dollaro durante il 2016 un forte surplus commerciale di merci, enormi riserve monetarie straniere, e il desiderio di dimostrare al mondo che il "redback" è una moneta di riserva che merita. Ma è probabile ancora che il renminbi si depressi a circa 7 Rmb per un dollaro, più basso dell'attuale 6.48. La oscillante economia cinese è probabile abbia bisogno almeno di due tagli dei tassi di interesse mentre il dollaro US è sostenuto da una stretta continuata da parte della FED. Questo determinerebbe un alto deflusso di capitale dalla Cina, sottoponendo la moneta a pressioni al ribasso. E' improbabile che la traiettoria del renminbi sia piana. Questo può essere l'anno più volatile per la moneta cinese. (Jame Kynge) Jeremy Corbyn sarà ancora il leader del labour tra un anno? Si. E per diverse ragioni. La prima è che la maggioranza del partito, se non i suoi deputati, vuole lui. Malgrado la debolezza mostrata dal Labour nei sondaggi, la base del partito sembra contenta della direzione presa dal partito. Poi c'è la congenita lealtà dei parlamentari labour. A differenza dei Tories, il partito non è mai eccelso negli assassini. E in ogni caso, se, come sembra ora probabile, Corbyn modifica le regole del partito per la scelta della leadership, poco chiare, qualsiasi sfida sarebbe dubbia, nel migliore dei casi. Ci è voluta tutta la forza retorica di Ernest Bevin per costringere al ritiro l'ultimo leader pacifista del Labour, George Lansbury nel 1935, quando l'allora capo del sindacato persuase il partito a sollevarsi contro il fascismo. Il labour di oggi sta ancora aspettando il suo Bevin. E' improbabile che lo trovi l'anno prossimo. (Jonathan Ford) Nel 2016, l'Abenomics fallira? No. I risultati dell'abenomics sono variegati ma, nel complesso, essa ha fatto più bene che male all'economia giapponese. Continuerà nel 2016. L'obiettivo centrale - portare l'inflazione al 2% - non è stato raggiunto. A causa del collasso del prezzo del petrolio, l'inflazione, nella sua normale misurazione, sta ancora oscillando intorno alo zero. I governo Abe ha accentuato il problema aumentando prematuramente la tassa sui consumi, togliendo i soldi dalle tasche dei cittadini proprio quando voleva che spendessero. Ma i più ampi obiettivi reflazionistici dell'abenomics stanno funzionando. Esclusi i prezzi energetici, l'inflazione è all'1%. Il debito pubblico ha smesso di crescere come percentuale del risultato economico nominale. Le aziende giapponesi stanno registrando profitti record. Il problema di Abe è che si è impegnato ad aumentare di nuovo nel 2017 la tassa sui consumi. E qui potrebbe verificarsi la crisi. (David Pilling) Gli atleti russi parteciperanno alle olimpiadi del 2016? Si. Non c'è alcuna volontà politica di punire la Russia per avere fatto rinascere il doping di massa dell'era sovietica. Il mese scorso, è diventata il primo paese nella storia a essere sospeso indefinitamente dalle competizioni atletiche fino a quando non proverà di essere pulita. Ma Mosca e l'occidente sono intenzionati a minimizzare l'imbarazzo di un report indipendente che ha elencato alcuni degli abusi peggiori che lo sport abbia visto. Per competere a Rio, la Russia dovrà licenziare i dirigenti che hanno preso parte ai programmi del doping, risolvere i casi disciplinari pendenti, investigare sulla sua cultura doping e dimostrare di essere cambiata. I russi dicono che cio vorrano tre mesi. (Malcom Moore) Nel 2016 si ridurranno le vendite di auto diesel in Europa? Si. Gli europei acquirenti di auto erano già meno innamorati dei motori diesel e le rivelazioni autunnali che la Volkswagen aveva installato un software per imbrogliare nei tests sulle emissioni in 11 milioni di veicoli diesel in tutto il mondo, accentuerà il declino. La penetrazione del diesel tra le nuove auto europee ha raggiunto il 55% nel 2010 e si è rapidamente ridotta in Francia, dove sono stati ridotti i sussidi e lo scetticismo sull'impatto ambientale è aumentato. La VW è un costruttore particolarmente grande di motori diesel e a novembre, dopo lo scandalo, le sue vendite si sono ridotte di più del 20% nei mercati chiave. Nel 2016, la quota del diesel si ridurrà così rapidamente da superare la crescita dell'intero mercato delle auto. (Brooke Masters) Il Brent finirà l'anno sopra i $50? Si. Il mercato 2015 è stato brutale per tutti coloro che credevano in un rapido rimbalzo dal crollo dell'anno precedente. La tenacia della shale industry US e l'aumento della produzione dell'Iraq e dell'Arabia Saudita ha significato che il mondo fosse inondato di greggio. L'anno prossimo, l'abolizione delle sanzioni all'Iran potrebbe portare ancora più petrolio sul mercato. Ancora, i tormenti finanziari dei produttori di petrolio in tutto il mondo li hanno costretti a tagliare i programmi di perforazione, a frenare le forniture future e l'impatto si vedrà con chiarezza. Il brent sotto i $50 a barile è troppo basso perché l'industria faccia gli investimenti necessari a incrociare la domanda globale. Purché l'economia mondiale non scivoli in recessione,questo sembra l'anno in cui i prezzi del petrolio tornino su livelli più sostenibili. (Ed Crooks) George Osborne eliminerà gli sgravi fisc ali sulle pensioni nel suo budget di marzo? Si. Il cancelliere UK ha rimandato di prendere la decisione in materia nell'Autumn Statement di novembre. ma ha mandato un segnale forte che è in arrivo un cambiamento di vasta portata. Gli sgravi fiscali sulle pensioni costano allo scacchiere circa £50 miliardi l'anno. Un ventilato "Pensions Isa (individual savings account)" ridurrebbe fortemente questo conto perchè i lavoratori accumulerebbero invece risparmio dal loro reddito tassato, con la garanzia di riscuoterlo esentasse al momento del pensionamento. Il cambiamento impiegherebbe anni per realizzarsi. Si potrebbero preparare i contribuenti facendo contributi massimi nelle pensioni prima della fine dell'anno fiscale ad aprile. (Claer Barret) Il 2016 sarà l'anno in cui, alla fine, decollerà la realtà virtuale? No, Ma sarà l'anno in cui ci saranno per la prima volta molte sperimentazioni di ciò che un giorno potrà essere la più trasformativa di tutte le tecnologie. La prima visione attraverso un VR headset - i grossi occhiali usati per avere visioni alternative 3D della realtà - è, per la maggior parte, indimenticabile. Ma una grande dimostrazione non fa un'industria. Se i giochi VR stanno iniziando a comparire, c'è carenza di contenuti per gli strumenti. E le applicazioni che lo spingeranno nel mainstream- come la visita di un dottore o un meeting aziendale in uno spazio virtuale - sono più un sogno che la realtà. Tuttavia la tecnologia catturerà la pubblica immaginazione. la realtà fisica non sarà mai più la stessa. Insight 13 gennaio 2016 Josh Bivens*: “Per invertire un futuro di “bassa crescita” i salari dei lavoratori normali devono crescere” *Josh Bivens director of researche and policy at the Economic Policy Institute in Washington L'economia US ha finito il 2015 con un miglioramento nel mercato del lavoro. Nell'ultimo trimestre, i posti di lavoro sono aumentati in media di 284.000 unità al mese e se si osservano bene i dati, si può anche osservare una lieve accelerazione della crescita delle retribuzioni nominali. In molti invocheranno queste cifre per giustificare le decisioni della FED di aumentare per la prima volta dal 2007 i tassi di interesse a breve e sosterranno per di più che le preoccupazioni economiche sollevate dalla grande recessione e dintorni possono ora essere accantonate. Concluderanno poi che l'attenzione può tornare ai sempreverdi temi di policy come il bisogno di ridurre i deficits e di assicurare che l'inflazione salariale e dei prezzi non sfugga di controllo. Tuttavia non solo è prematuro che questa opinione economica - negli US e altrove – abbia acquisito velocità, ma è anche pericoloso. In un articolo recente, Joseph Stiglitz ha già espresso la sua paura che il mondo stia cadendo in un “grande malessere”. Stiglitz ha descritto una “economia dell'inerzia” e ha riconfermato la sua tesi che gli ostacoli che l'economia globale deve affrontare non sono “radicati nell'economia, ma nella politica e nell'ideologia”. Anche gli anni precedenti la grande recessione, i dati indicavano che era diventato sempre più difficile sostenere la crescita necessaria a mantenere la piena occupazione. Avrete probabilmente sentito questo dibattito – l'ex segretario del tesoro US, Lawrence Summers ha preso a prestito (dall'economista Alvin Hansen) il termine “stagnazione secolare” per descrivere questa cronica carenza di domanda. Per quanto io sia d'accordo con la lezione di Hansen (il Keynes americano), il termine “stagnazione secolare” ha contribuito solo a confondere i molti che seguono questa discussione. In termini semplici, cosa ha causato la cronica carenza di domanda? Ci sono molte risposte ma tra di loro prominente è la crescita della disuguaglianza che strangola la crescita della domanda. Fondamentalmente, nell'ultima generazione abbiamo ammucchiato un sacco di soldi verso le famiglie al top della distribuzione del reddito che tendono a risparmiare una quota più ampia di reddito rispetto alle altre famiglie. Questi risparmi hanno bisogno di essere canalizzati negli investimenti in capacità produttiva al fine di non creare carenze di domanda. Ma questa traslazione di risparmio in investimenti che creano lavoro ha richiesto nel tempo tassi di interesse sempre più bassi. Ma con i tassi a breve precipitati a zero, questa transizione senza fine del risparmio agli investimenti che creano lavoro si è fermata. Per decenni l'economia – almeno secondo le supposizioni dominanti – ha teso non solo a muoversi rapidamente verso la piena occupazione ma ha cercato di andare oltre il pieno impiego e di provocare un surriscaldamento dell'economia. Per questo il compito primario dei policymakers è di tenere la situazione sotto controllo. Così, per esempio, negli US la FED ha dovuto sempre vigilare per tenere a bada l'inflazione - inflazione sia salariale che dei prezzi. Se l'economia avesse teso verso livelli di disoccupazione sempre più bassi, questo avrebbe incitato i lavoratori a fare richieste salariali che i datori di lavoro non avevano altra scelta che assecondare, ma che la sottostante produttività dell'economia non poteva distribuire. Così le imprese alzavano i prezzi per aggiustare i costi del lavoro e questo incitava i lavoratori a chiedere paghe nominali più alte per fare fronte ai prezzi più alti - ed eravamo nella spirale salari/prezzi. E in questo mondo, con la domanda aggregata che non è mai corsa dietro all'offerta, ogni deficit commerciale che emergeva poteva avvenire solo perché le famiglie americane, i businesses e i governi non risparmiavano a sufficienza. Queste erano le idee dominanti che seguivano i policymakers macroeconomici, idee che hanno portato alla selvaggia recessione dell'inizio degli anni '80 costruita da aumenti dei tassi di interesse che pure erano stati considerati coraggiosi e necessari. Queste idee hanno portato anche un'intera generazione di analisti della politica fiscale di tutto lo spettro politico a preoccuparsi di ridurre i deficits di bilancio al fine di assicurare che i tassi di interesse non crescessero tagliando fuori gli investimenti privati. Si sono ovviamente verificati episodi in cui la crescita della domanda è crollata senza ambiguità dietro la crescita dell'offerta – le persone normali le chiamano “recessioni”. Ma queste recessioni si pensava fossero naturalmente brevi e poco profonde – o almeno brevi e poco profonde fino a quando i tassi di interesse tornavano per incanto a ridursi. Nulla di tutto ciò descrive il mondo in cui ci troviamo ora. L' inflazione salariale e dei prezzi è preoccupantemente bassa, non alta. Lungi dall'agire come vigilanti che puniscono la sregolatezza del governo, i mercati dei bonds attuali stanno scommettendo positivamente su più debito pubblico da assorbire. E i tassi di cambio sono spinti da influenze molto lontane dalle decisioni di risparmio degli americani e gli squilibri commerciali che risultano dai movimenti del tasso di cambio contano molto per la salute economica delle nazioni. Vale la pena qui di fare una rapida deviazione per chiedersi se le idee di policy dominanti della teoria macroeconomica che ho fin qui descritto siano giuste o no. Tra il 1979 e il 1995, per esempio, la FED ha tenuto il tasso di disoccupazione persino sotto la propria stima (probabilmente troppo conservativa) del “tasso naturale”. Come conseguenza, nel periodo in esame, i tassi di inflazione salariale e dei prezzi si sono ridotti significativamente e continuativamente. Una causa chiave è stata la stagnazione o la riduzione dei salari della vasta maggioranza dei lavoratori americani (il 70% di quelli più in basso). Gli ultimi anni '90 hanno visto una rapida crescita dei mercati del lavoro ( cioè, in termini crudi, un sacco di gente lavorava e l'economia andava bene). Questo episodio è stato forse, in realtà, molto più grande di quando sembri oggi nel policymaking americano. A metà degli anni '90, per esempio, parecchi economisti di tutto lo spettro politico proclamavano fiduciosamente che il tasso di disoccupazione non sarebbe potuto scendere sotto il 5.5% senza scatenare un'accelerazione dell'inflazione salariale e dei prezzi. Poi la disoccupazione ha cominciato a ridursi sotto questa percentuale e ci è rimasta per un periodo significativo. Tuttavia, il risultato non è stato un'accelerazione della crescita salariale e dei prezzi. Invece i lavoratori hanno visto il primo aumento vero delle retribuzioni orarie aggiustate all'inflazione da una generazione. Questi risultati dovrebbero aumentare il desiderio dei policymakers di scandagliare fino a che punto possa ridursi la disoccupazione senza determinare un'inflazione insostenibile. Se si fosse seguita l'opinione generale della metà degli anni '90 invece di abbandonarla (e di questo va dato merito a Alan Greenspan, presidente della FED), milioni di americani non avrebbero avuto opportunità di lavoro alla fine degli anni '90 e 10 milioni avrebbero perso il primo aumento salariale della loro vita. Altrettanto istruttive ma in modo meno felice, sono le cause della forza dei mercati del lavoro alla fine degli anni '90. Sono state costruiti su una bolla – l'IT e la bolla della borsa. Quando nel 2001 questa bolla è scoppiata, è seguita una inevitabile recessione. E mentre la recessione del 2001 è stata corta e leggera, la ripresa e l'espansione che è seguita è stata recisamente anemica – la peggiore nella storia post-bellica. Ed era chiara la ragione di tale debolezza – una carenza di domanda aggregata così estrema che nel 2003 Bernanke (quando era governatore della FE ma non ancora il suo presidente) faceva discorsi per rassicurare la gente che la FED avrebbe potuto respingere la deflazione se ce ne fosse stato bisogno. In breve, all'inizio degli anni 2000 avrebbe dovuto essere già cristallinamente chiaro che la generazione della domanda era un problema enorme. La ripresa post-2001 e l'espansione alla fine hanno guadagnato un po' di forza – ma solo quando aiutate da una bolla di 7 trilioni di dollari di ricchezza immobiliare. Anche con questa spinta, il tasso di disoccupazione e le altre misure della salute del mercato del lavoro non si sono mai avvicinati ai picchi degli anni '90. I salari aggiustati all'inflazione per il 70% al bottom si sono ridotti negli ultimi anni dell'espansione. Alla fine la bolla immobiliare è scoppiata, causando una crisi finanziaria e ( cosa più importante per la maggior parte degli americani e per gli altri) lasciando un grosso buco nella domanda aggregata perché le famiglie non potevano più sostenere i consumi prendendo prestiti con le loro case a garanzia. Questo buco non è mai stato adeguatamente riempito, lasciando la ripresa lenta e ancora incompleta sette anni dopo la grande recessione. E questo porta alla domanda chiave: cosa significa per i policymakers? La cronica carenza di domanda ha molte implicazioni. La più immediata è che la FED deve smettere di pensare che l'economia americana sia costantemente sul filo del rasoio dello scatenamento di una spirale prezzi/salari se i tassi di interesse restano troppo bassi troppo a lungo. Negli ultimi decenni, il più grosso problema salariale nell'economia US non è che i salari sono cresciuti ma che è piuttosto difficile farli crescere. La stretta dei tassi di interesse può aspettare fino a quando l'inflazione attuale non cambia. I policymakers devono resistere alla tentazione di mettere la riduzione del deficit sopra gli altri obiettivi. I deficits di bilancio non fanno danno quando avvengono in tempi di domanda stagnante. Quando l'economia è a zero lower bound – quando il tasso di interesse è vicino a zero – essi migliorano la domanda in un sistema fortemente affamato di domanda stessa. Per di più non è probabile che ci sia una carenza di ragionevoli progetti di investimento pubblico da intraprendere. Per esempio, ancora non fissiamo il prezzo del carbone in questa economia, così gli investimenti privati nell'efficienza energetica e nella riduzione delle emissioni sono radicalmente insufficienti. Ancora oltre,come nota Stiglitz “il mondo intero ha bisogno di aggiornarsi di fronte alla realtà del riscaldamento globale”. Allora perchè non aumentare l'investimento pubblico in tale area? Il ritorno marginale sul primo miliardo di spesa su tali investimenti è quasi infinito nel valore assicurativo che offre sulla protezione contro i disastri climatici. Infine torniamo alla crescita della disuguaglianza che è la causa principale della cronica carenza di domanda. La ragione principale (e sufficiente) per cercare di frenare o anche invertire l'aumento della disuguaglianza è semplicemente che rappresenta il modo più affidabile di migliorare le condizioni di vita delle famiglie a reddito basso o moderato. Ma emerge anche che se invertiamo questa crescita della disuguaglianza possiamo fare anche parecchia strada per avviare a soluzione il problema della croniche carenze della domanda. E' un progetto ambizioso di lungo periodo. L'aumento della disuguaglianza dipende fondamentalmente da una riduzione del potere contrattuale dei lavoratori a reddito basso o moderato. Per cambiare questa situazione non basta aumentare il minimum wage o la generosità dei sussidi salariali (sebbene sia a favore di entrambi! E quest'anno negli US già 5 stati e 9 città stanno considerando l'aumento del m.w. A $15 l'ora.). Un'inversione reale tuttavia avverrà solo se ci sarà un forte e durevole spostamento del potere economico verso i lavoratori a reddito basso o moderato. Questo, a sua volta, avverrà solo con una vasta gamma di leve di policy: una politica economica espansiva per rafforzare i mercati del lavoro, una politica del lavoro per definire minimi salariali e altre protezioni per i lavoratori e la sorveglianza sulle violazioni. Poi c'è la politica fiscale per rendere meno profittevole per i chief executives e i managers con alte retribuzioni la manipolazione delle regole del gioco al fine di portare più soldi verso di sé, una politica regolatoria per assicurare che il settore finanziario non diventi un drenaggio a livello di economia della produttività di altre aree. Ancora, dovremmo guardare a una politica internazionale che assicuri che la domanda aggregata no sia portata via verso altri paesi che gestiscono il valore delle loro monete per guadagni competitivi. Infine, last but not least, una restaurazione dei diritti dei lavoratori per formare sindacati e contrattare collettivamente. Social Europe Journal 11 gennaio 2016 Joseph Stiglitz: “La nuova geo-economia” L'anno scorso è stato memorabile per l'economia globale. Non solo la performance complessiva è stata deludente ma sono avvenuti profondi cambiamenti - per il peggio e per il meglio - nel sistema economico globale. La cosa più considerevole è stato l'accordo di Parigi sul clima del mese scorso. Di per sè, l'accordo è del tutto insufficiente a limitare la crescita del riscaldamento globale all'obiettivo di 2 gradi sopra il livello preindustriale. Ma questo ha messo tutti sull'avviso: il mondo si muove, inesorabilmente verso l'economia verde. Un giorno non molto lontano, i carburanti fossili saranno ampiamente superati. Così chi investe nel carbone ora lo fa a suo rischio e pericolo. Con più investimenti che stanno venendo alla ribalta, i loro finanziatori controbilanceranno, almeno dovremmo sperare, le potenti lobbyes dell'industria del carbone che mette a rischio il mondo per i suoi miopi interessi. Tuttavia, lo spostamento da un economia high-carbon, dove spesso dominano il carbone, gas e il petrolio, è solo uno dei grandi cambiamenti nell'ordine della geo-economia globale. Molti altri sono inevitabili, data l'impennata della quota della Cina nella produzione e nella domanda globali. La nuova Banca per lo Sviluppo, istituita dai BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) era stata lanciata nel corso dell'anno, diventando la prima principale istituzione finanziaria internazionale guidata dai paesi emergenti. E, malgrado la resistenza del presidente Obama, è stata istituita anche la Banca asiatica di investimento per le infrastrutture guidata dalla Cina e comincerà ad operare questo mese. Gli US hanno agito con maggiore saggezza per quanto concerne la moneta della Cina. Non hanno ostacolato l'ammissione del renminbi ai diritti speciali di prelievo (SDRs),il paniere delle monete di riserva del FMI. In più, dopo cinque anni da quando il governo Obama ha concordato modesti cambiamenti nei diritti di voto della Cina e di altri mercati emergenti al FMI - un piccolo gesto verso le nuove realtà economiche - il Congresso US ha alla fine approvato la riforma. Le decisioni geo-economiche più controverse dell'anno scorso hanno riguardato il commercio. Quasi inosservata dopo anni di colloqui saltuari, il Doha Development Round - che aveva iniziato a riaffrontare gli squilibri nei precedenti accordi commerciali troppo sbilanciati verso i paesi sviluppati - ha avuta una silenziosa tumulazione. L'ipocrisia dell'America - che sostiene il libero commercio rifiutando però di abbandonare i sussidi al cotone e alle altre materie prime agricole - aveva posto ostacoli insormontabili ai negoziati di Doha. Al posto dei colloqui globali sul commercio, gli US e l'Europa hanno montato una strategia dividi et impera basata sulla sovrapposizione di blocchi e accordi commerciali. Come risultato, quello che si riteneva essere un regime globale di libero scambio ha aperto la strada a un discordante regime di gestione del commercio. Il commercio per buona parte delle regioni del Pacifico e dell'Atlantico sarà governato tramite accordi, migliaia di pagine piene di regole complesse che contraddicono i principi di base dell'efficienza e del libero flusso delle merci. Gli US hanno concluso negoziati segreti su quello che può dimostrarsi essere il peggior accordo da decenni a questa parte, il cosiddetto TPP (Trans Pacific Partnership) e ora hanno di fronte un'ardua battaglia per la ratifica, con tutti i principali candidati democratici alle primarie presidenziali e molti dei repubblicani che si sono espressi contro di esso. Il problema non è tanto con le previsioni dell'accordo commerciale ma con il capitolo "investimenti" che vincola fortemente la regolazione sulla salute, l'ambiente e la sicurezza e anche con le regolazioni finanziarie con significativi impatti macroeconomici. In particolare, il capitolo sugli investimenti conferisce agli investitori stranieri il diritto di citare in giudizio i governi nei tribunali privati internazionali quando ritengono che le regolazioni dei governi contravvengano ai termini del TTP (così come definiti in più di 6.000 pagine). Nel passato, tali tribunali hanno interpretato il requisito del "trattamento giusto ed equo" degli investitori stranieri come terreno per colpire le nuove regole governative - anche se non sono discriminatorie e sono adottate semplicemente per proteggere i cittadini dagli enormi pericoli scoperti più recentemente. Se il linguaggio è complesso - e invitante per costosi avvocati a contrapporre potenti corporations contro governi con scarsi mezzi - persino le regolamentazioni che proteggono il pianeta dalle emissioni di gas serra sono vulnerabili. Le sole regole che sembrano sicure sono quelle che riguardano le sigarette (cause intentate contro l'Uruguay e l'Australia per la richiesta di modeste etichette sull'azzardo per la salute hanno avuto troppa poca attenzione). Ma restano diverse domande sulla possibilità di cause in una miriade di altre aree. Per di più una previsione di "nazione più favorita" assicura che le corporations possono rivendicare il miglior trattamento offerto in ognuno dei paesi ospitanti. Questo mette in atto una corsa al basso - esattamente l'opposto di quello che il presidente Obama ha promesso. Anche il modo con cui Obama ha sostenuto il nuovo accordo sul commercio ha dimostrato quanto il suo governo abbia perso di vista l'economia globale emergente. Ha detto ripetutamente che il TTP avrebbe determinato il soggetto che avrebbe scritto le regole per il commercio del 21esimo secolo. L'approccio corretto è invece arrivare collettivamente a tali regole, avendo sentito tutte le voci, e in modo trasparente. Obama ha cercato di perpetuare il "business as usual", laddove le regole per il governo del commercio e dell'investimento globali sono scritte dalle corporations americane per le corporations americane. E questo dovrebbe essere inaccettabile per tutti coloro che sono impegnati sui principi democratici. Chi cerca un'integrazione economica più ravvicinata ha la speciale responsabilità di sostenere con forza le riforme della governance globale: se l'autorità sulle politiche interne è ceduta a corpi sovranazionali, allora la redazione, la attuazione e l'applicazione delle regole e dei regolamenti devono essere particolarmente sensibili alle preoccupazioni democratiche. Purtroppo, nel 2015, non è sempre stato così. Nel 2016 dovremmo sperare che il TTP sia sconfitto e che inizi una nuova era di accordi per il commercio che non premiano i potenti e puniscono i deboli. L'accordo di Parigi sul clima può essere il precursore dello spirito e della mentalità necessari a sostenere una vera cooperazione globale. New York Times 9-10 gennaio 2016 Paul Krugman: “Quando la Cina inciampa” Allora, i problemi della Cina causeranno una crisi globale? La buona notizia è che i numeri, come li ho letti, non sembrano sufficientemente grandi. La cattiva notizia è che potrei sbagliare, perchè spesso il contagio globale sembra, alla fine, essere peggiore di quanto direbbero i numeri. E la notizia peggiore è che se la Cina determinerà uno shock negativo al resto del mondo, siamo molto impreparati alla conseguenze. Solo per cominciare, le cose cui prestare attenzione: è chiaro da un pò di tempo che l'economia cinese è in difficoltà. Quanto grande sia tale difficoltà e difficile dirlo perchè nessuno crede alle statistiche ufficiali cinesi. Il problema di base è che il modello economico della Cina, che involve risparmio molto alto e consumi molti bassi, è stato sostenibile fino a quando il paese è potuto crescere molto velocemente, giustificando l'alto investimento. Questo a sua volta è stato possibile quando la Cina aveva vaste riserve di lavoro rurale disoccupato. Ma non è più così, e la Cina deve ora risolvere il difficile problema della transizione a una crescita molto più bassa senza finire in recessione. Una strategia ragionevole avrebbe dovuto portare ad acquistare tempo con l'espansione del credito e la spesa per infrastrutture, riformando nel contempo l'economia in modi da mettere più potere d'acquisto nelle mani delle famiglie. Purtroppo la Cina ha perseguito solo la prima metà della strategia: ha comprato tempo ma poi lo ha sperperato. Il risultato è stato una rapida crescita del debito, buona parte del quale dovuto alle "banche ombra" insufficientemente regolate e una minaccia di tracollo finanziario. Così la situazione cinese sembra piuttosto truce - e nuove cifre hanno rinforzato le paure di un atterraggio duro, portando non solo a una caduta nelle borse cinesi, ma anche a una forte riduzione dei prezzi di borsa in tutto il mondo. Ok. Fino ad ora male. E qualche persona brillante pensa che le implicazioni globale siano veramente spaventose; George Soros le sta paragonando al 2008. Come suggerito sopra, tuttavia, ho avuto difficoltà a fare i numeri per questo tipo di catastrofe. Si, la Cina è una grande economia, che conta per circa un quarto del manifatturiero del mondo, così quello che avviene lì ha implicazioni per tutti noi. E la Cina compra ogni anno più di 2 trilioni di dollari in beni e servizi dal resto del mondo. Ma è un mondo grande, con un PIL totale esclusa la Cina di più di 60 trilioni di dollari. Anche una drastica caduta delle importazioni cinesi sarebbe solo un colpo modesto alla spesa del mondo. Che dire dei legami finanziari? Una delle ragioni per cui la crisi dei subprimes americani è diventata globale nel 2008 è stata che gli stranieri in generale e le banche europee in particolare si sono dimostrate fortemente esposte alle perdite sulle securities US. ma la Cina ha il controllo dei capitali - cioè non è molto aperta agli investitori stranieri - così c'è molto poco spillover dalle borse che affondano e anche da eventuali domestic debt defaults. Tutto ciò dice che mentre la Cina stessa è in grossi problemi, le conseguenze per il resto del mondo dovrebbero essere gestibili. Ma devo ammettere che non sono troppo rilassato, come mi direbbe di essere l'analisi appena fatta. Se vi piace, non riesco ad avere il coraggio del compiacimento. Perchè? Parte della risposta è che i cicli economici tra le nazioni sembrano spesso più sincronizzati di quanto dovrebbero essere. Per esempio, l'Europa e gli Stati Uniti esportano reciprocamente solo una piccola frazione del loro prodotto, ma spesso hanno recessioni e riprese contestuali. I legami finanziari possono essere una parte della storia, ma si può anche sospettare che ci sia contagio psicologico: buone o cattive notizie in una delle principali economie colpisce gli spiriti animali delle altre. Così io temo che la Cina possa esportare i suoi guai in modo che, a prima vista, non si vede; che i problemi del regno di mezzo avranno in un modo o nell'altro effetti depressivi sulla spesa per investimento in America e in Europa così come negli altri mercati emergenti. E se le mie preoccupazioni sono vere, siamo spaventosamente impreparati a gestire lo shock. Dopo tutto, chi risponderebbe allo shock della Cina e come? La politica monetaria sarebbe probabilmente di scarso aiuto. Con i tassi di interesse ancora vicini allo zero e l'inflazione ancora sotto il target, la FED avrebbe, in ogni caso, scarsa possibilità di combattere una economia in calo e ha probabilmente ridotto ulteriormente la sua efficacia segnalando la sua impazienza di aumentare i tassi di interesse alla prima contingenza. Intanto, la BCE sta già spingendo ai limiti il suo mandato politico nel tentativo, fino ad ora privo di successo, di aumentare l'inflazione. E mentre la politica fiscale - essenzialmente spendendo di più per bilanciare gli effetti della minore spesa cinese - sicuramente funzionerebbe, quante persone credono che i repubblicani sarebbero recettivi di un nuovo programma di stimolo di Obama o che i politici tedeschi guarderebbero gentilmente a uno proposta di deficits più grossi in Europa? Ora, la mia previsione è che le cose non stanno ancora così male - brutta in Cina ma solo un pò turbolenta altrove. E veramente, veramente spero che la previsione sia giusta, perché non sembra che da qualche parte ci sia alle viste un nine-day wonder piano B. Social Europe Journal 4 gennaio 2016 Joseph Stiglitz: “Perché il grande malessere dell'economia globale continuerà nel 2016” Il 2015 è stato dappertutto un anno difficile. Il Brasile è caduto in recessione. L'economia della Cina ha sperimentato le prime asperità serie dopo quasi 40 anni di crescita vertiginosa. L'eurozona ha cercato di evitare un crollo a causa della Grecia ma la sua quasi stagnazione è continuata, contribuendo a quello che certamente sarà visto come un decennio perduto. Quanto agli US, il 2015 si supponeva fosse l'anno che finalmente avrebbe chiuso il libro della Grande Recessione cominciata nel 2008; invece la ripresa US è stata mediocre. Infatti Christine Lagarde, managing director del FMI, ha definito la condizione attuale dell'economia globale come il Nuovo Mediocre. Altri, rimandando al profondo pessimismo dopo la fine della II guerra mondiale, temono che l'economia globale possa scivolare in depressione o quanto meno in una stagnazione prolungata. All'inizio del 2010, nel mio libro Freefall che descrive gli eventi che avevano portato alla Grande Recessione, avevo avvertito che senza risposte appropriate, il mondo rischiava di scivolare in quello che ho definito il Grande malessere. Purtroppo avevo ragione: non abbiamo fatto quello che serviva e siamo finiti precisamente dove temevo saremmo finiti. L'economia di tale inerzia è facile da comprendere, e ci sono a disposizione rimedi pronti. Il mondo è alle prese con una deficienza di domanda aggregata, determinata dalla combinazione della crescita della disuguaglianza e da una insensata ondata di austerità fiscale. Quelli al top della distribuzione del reddito e della ricchezza spendono molto di meno di quelli in basso, così se il denaro va verso l'alto, la domanda decresce. E paesi come la Germania, che mantengono un continuo surplus esterno contribuiscono in modo significativo al problema chiave della domanda insufficiente. Nello stesso tempo, gli US soffrono di una forma più lieve dell'austerità fiscale che prevale in Europa. Infatti gli occupati nel settore pubblico US si sono ridotti di 500.000 unità rispetto a prima della crisi. Con una normale espansione, dal 2008, l'occupazione pubblica sarebbe dovuta crescere di circa 2 milioni di unità. Inoltre, buona parte del mondo si confronta - con difficoltà - con il bisogno di una trasformazione strutturale: dal manifatturiero ai servizi in Europa e negli US, da una economia export-led a una economia domesticdomand-driven in Cina. Allo stesso modo, la maggior parte delle economie natural-resources-based dell'Africa e dell'America latina non sono riuscite a sfruttare il boom dei prezzi delle materie prime determinato dalla crescita della Cina per creare economie diversificate; ora sono alle prese con le conseguenze della depressione dei prezzi delle loro principali esportazioni. I mercati, da soli, non hanno mai potuto realizzare tali trasformazioni con facilità. Ci sono enormi bisogni globali non affrontati che potrebbero determinare la crescita. Le infrastrutture, da sole, potrebbero assorbire trilioni di dollari di investimenti, non solo nel mondo in via di sviluppo ma anche negli US, che da decenni sotto-investe nelle sue infrastrutture core. Inoltre, il mondo intero deve aggiornarsi per fronteggiare la realtà del riscaldamento globale. Se le nostre banche sono tornate a un ragionevole stato di salute, hanno dimostrato tuttavia di non essere in grado di realizzare i loro fini. Eccellono nello sfruttamento e nella manipolazione del mercato, ma hanno fallito nella loro essenziale funzione di intermediazione. Il nostro sistema miope e disfunzionale si trova tra i risparmiatori long-term (per esempio i fondi sovrani e i fondi pensioni) e l'investimento long-term nelle infrastrutture. L'ex presidente della FED Ben Bernanke ha detto una volta che il mondo soffre di un eccesso di risparmio. Il che sarebbe vero se il risparmio fosse stato investito in inutili case scadenti nel deserto del Nevada. Invece nel mondo reale c'è carenza di fondi; anche progetti con alti ritorni sociali spesso non trovano finanziamenti. La sola cura per il malessere del mondo è aumentare la domanda aggregata. Aiuterebbe una profonda redistribuzione del reddito su vasta scala, come aiuterebbe una profonda riforma del sistema finanziario - non solo per impedirgli di danneggiare il resto del mondo, ma anche per far sì che le banche e le altre istituzioni finanziarie facciano quello che si suppone debbano fare: determinare l'incontro tra il risparmio long-term e il bisogno di investimenti altrettanto long-term. Ma alcuni dei problemi più importanti del mondo richiedono un investimento pubblico. Tale spesa è necessaria nelle infrastrutture, nella scuola, nella tecnologia, nell'ambiente e nella facilitazione delle trasformazioni strutturali necessarie in ogni angolo del globo. Gli ostacoli di fronte all'economia globale non sono radicati nell'economia, ma nella politica e nell'ideologia. Il settore privato ha creato la disuguaglianza e il degrado ambientale con cui oggi dobbiamo fare i conti. I mercati, da soli, non potranno risolvere questi e gli altri problemi critici che essi stessi hanno creato o recuperare prosperità. Sono necessarie politiche pubbliche attive. Questo significa superare il feticismo del deficit. La qual cosa ha senso per paesi come la Germania e gli US che possono indebitarsi a tassi di interesse reali di lungo termine negativi per fare gli investimenti necessari. Allo stesso modo, nella maggior parte degli altri paesi, i tassi di ritorno dell'investimento pubblico superano di gran lungo il costo del finanziamento. Per i paesi il cui indebitamento è vincolato, c'è una via d'uscita, basata sull'antico principio del moltiplicatore del pareggio di bilancio: un aumento della spesa pubblica accompagnato da un aumento delle tasse stimola l'economia. Purtroppo questi paesi, compresa la Francia, sono impegnati in contrazioni volta a riequilibrare il bilancio. Finalcial Times 6 gennaio 2016 Martin Wolf: “Perché il disastro economico è un evento improbabile” C'è una grande quantità di rovina in una nazione. Questo è stato il saggio rimprovero di Adam Smith a un corrispondente preoccupato della rovina che sarebbe seguita ai capovolgimenti nella guerra contro le colonie del Nord America. Se c'è una grande quantità di rovina in un singolo paese, ce ne è anche di più nell'economia del mondo. E comunque, in qualche modo si continua ad andare avanti. Misurata a parità di potere d'acquisto, l'economia del mondo cresce ogni anno dal 1946. E' cresciuta, seppure a mala pena, anche nel 2009, subito dopo la crisi finanziaria globale. Il periodo tra il 1900 e il 1946 era stato più instabile del periodo del capitalismo gestito che è seguito. Anche così, l'economia del mondo è cresciuta sempre tranne che in 9 anni. L'economia guidata dall'innovazione che è emersa alla fine del 18esimo e del 19esimo secolo e si è diffusa in tutto il mondo nel 20esimo e 21esimo, continua a crescere. Questo è il fatto più importante. Non cresce ovunque in modo uniforme - al contrario. Non diffonde i suoi benefici tra le persone in modo egualitario - anche qui, al contrario. Ma cresce. E' cresciuta l'anno scorso. E buona parte delle previsioni più plausibili dice che crescerà anche quest'anno. L'economia del mondo non può crescere in eterno. Ma si fermerà solo quando l'economia di Thomas Malthus seppellirà quella di Schumpeter - cioè quando i vincoli delle risorse compenseranno l'innovazione. Non siamo di certo ancora a questo punto. Dal 1900, la produzione mondiale è cresciuta a un tasso solo del 3% all'anno. Tale è il potere dell'interesse composto, che nel periodo, la produzione mondiale si è espansa di 30 volte. La produzione è cresciuta relativamente piano nella prima parte del 20esimo secolo e relativamente veloce tra il 1947 e l'inizio degli anni '70. Intrigantemente, è cresciuta un pò più rapidamente con l'economia keynesiana del dopoguerra che con il revival conservatore lanciato da Margareth Thatcher e Ronald Reagan negli anni '80. Si consideri ora la volatilità. La volatilità del mercato tra il 1914 e il 1919 era dovuta alla prima guerra mondiale; quella degli anni '30 alla Grande Depressione; e quella degli anni '40 alla seconda guerra mondiale. L'insostenibilità degli anni '70 e dell'inizio degli anni '80 era dovuta agli shocks petrolifer. Oltre a tutto cii, innescati o aumentati dalla guerra (Yom Kippur war del 1073 e l'invasione dell'Iraq del 1980).Il finanziamento inflattivo della guerra del Vietnam ha dato luogo allo sfondo inflattivo all'instabilità. Alla fine ha portato alla disinflazione da parte della FED sotto Paul Volcker. La recessione del 1990 e del 1991 è stata di nuovo dovuta alla disinflazione e alla prima guerra del Golfo, che ha seguito l'invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein. La recessione del 1998 è stata determinata dalla crisi finanziaria asiatica, quella del 2001 dallo scoppio di una enorme bolla della borsa e quella del 2009 dalla crisi finanziaria occidentale. Questo quadro del passato indica il tipo di eventi di cui ci si dovrebbe preoccupare. In breve, questi sembrano tre: le guerre, gli shocks inflattivi (forse legati alle guerre e ai balzi dei prezzi delle materie prime); e le crisi finanziarie. Questi fenomeni possono essere legati: le guerre innescano l'inflazione se sono finanziate con mezzi inflattivi. In questa luce, si considerino i rischi attuali. Alcuni analisti sono convinti da anni che l'alta inflazione deriva dall'ampliamento dei bilanci della banche centrali. Hanno torto, è abbastanza possibile che le banche centrali controllino gli effetti delle loro politiche sull'espansione del credito e della moneta. Un secondo tipo di rischi, anch'esso incessantemente promosso è quello della crisi finanziaria. I rischi più grandi sembrano essere nelle economie emergenti. Ma è probabile che tali rischi possano essere contenuti o si Oltre a tutto ci dimostrino gestibili a livello globale. Se il peggio arriva al peggio, i risultati è probabile siano più simili a quelli del 1998 che a quelli del 2009. Il terzo genere di rischi è il disordine geopolitico e il conflitto. Possiamo identificare una scoraggiante lista di preoccupazioni:l'enorme sovraccarico della capacità di agire dell'EU; la possibile uscita della GB dall'EU; lo svuotamento dell'alleanza occidentale; la crescita delle pressioni populiste nei paesi ad alto reddito, dimostrata dal successo di Marine Le Pen e dall'ascesa del Trumpismo; l'incertezza sull'economia cinese e anche sul suo futuro politico; l'ascesa dello jiadismo globale e i particolarmente dell'ISIS, l'organizzazione terroristica più potente del mondo; il revanscismo russo; le dispute tra le grandi potenze, in particolare tra la Russia e gli US e la tra la Cina e gli US; le frizioni in Medio Oriente soprattutto tra Iran e Arabia Saudita; il fallimento dello stato; la piena dei rifugiati; e il ritiro degli US dal loro ruolo egemonico. Oltre a tutto ciò, c'è il declino della legittimazione e dell'efficacia di molte democrazie ad alto reddito, la fragile auto-considerazione di molti altri poteri, il caos in larghe parti del mondo e la contestualità di tutto ciò che evidenzia il bisogno di una efficace governance globale in un mondo integrato e interdipendente. Se uno si vuole preoccupare, ci sono molte ragioni per farlo. Ma dal punto di vista economico, ciò che conta non è tanto se il mondo sarà ben governato: non lo sarà. Ciò che conta di più è se si eviterà il disastro. Come apparirebbe un simile evento? Una guerra tra le grandi potenze potrebbe essere un modo. L'elezione di un bellicoso che non sappiamo alla presidenza degli US potrebbe essere un altro. Una guerra tra Iran e Arabia Saudita sarebbe un disastro. La sostituzione del regime saudita con l'Isis sarebbe un altro ancora. Una guerra nucleare tra India e Pakistan sarebbe un altro. Il collasso dell'EU potrebbe dimostrarsi un altro. La possibilità cumulata che almeno uno di tali disastri avverrà è più grande della chance di ciascuno di loro. Ciononostante la probabilità che nessuno di essi si verificherà è certo più grande. Si ricordi: c'è sempre una grande quantità di rovina nell'economia del mondo. Financial Times 13 gennaio 2016 Martin Wolf: “Questo scompiglio è il risultato dell'abbaglio della FED” Si dice che i bull markets scalino un muro di preoccupazione. Ci sono di certo molte ragioni per preoccuparsi. Ma i mercati non stanno più salendo, cosa che indica che il bull market è morto. La cosa non dovrebbe sorprendere, dal momento che i mercati hanno già un valore alto. In effetti, dal giugno 2014, l'indice composito Standard & Poor del mercato US ha marcato il passo. Secondo il rapporto prezzi/guadagni ciclicamente corretto di Robert Shiller, il mercato US è stato valutato in modo significativamente più alto di adesso solo durante le disastrose bolle scoppiate nel 1929 e nel 2000. Il noto metodo di misurazione del valore del prof.Shiller non è perfetto. Ma è un monito che le valutazioni di borsa sono già generose e che un bull market continuato potrebbe essere pericoloso. Ancora più importante, è in corso un riequilibrio di portafoglio. Il cambiamento più rilevante è nella percezione delle prospettive economiche e finanziarie delle economie emergenti. Ne consegue che il capitale sta ora abbandonando le economie emergenti Sono questi deflussi che guidano il dollaro forte. Per questo la decisione della FED di stringere la politica monetaria sembra un grosso abbaglio. Nel nuovo Report sulle prospettive economiche globali, la World Bank mette in luce la dimensione della disillusione con (e dentro) le economie emergenti. Nota che metà delle borse dei 20 paesi in via di sviluppo più grandi hanno avuto contrazioni del 20% e più dai loro picchi del 2015. Le monete degli esportatori di materie prime (compresi Brasile, Indonesia, Malesia, Russia, Sud Africa) e dei grandi paesi in via di sviluppo soggetti a crescenti rischi politici (Brasile e Turchia) sono caduti a minimi pluriennali nei confronti del dollaro e in termini di ponderazione commerciale. Nel terzo trimestre del 2015, gli investitori globali hanno ritirato circa 52 miliardi di dollari di equity e di fondi obbligazionari dai mercati emergenti: il più grosso deflusso trimestrale registrato. Gran parte di tale deflusso è costituito dal debito a breve e dai deflussi bancari dalla Cina, combinati con la riduzione delle spese in Russia. Ma nel terzo trimestre del 2015 deflussi di portafoglio e di capitale a breve si sono verificati anche altrove. I flussi netti di capitale verso le economie emergenti e di frontiera si sono ridotti a zero, il livello più basso dalla crisi del 2008-09. Una importante caratteristica non è solo la riduzione degli afflussi ma anche la dimensione dei deflussi dalle economie colpite. Cosa c'è dietro? Una ragione è la stretta monetaria US. Un'altra è l'impatto della contrazione dei prezzi delle materie prime su diverse economie emergenti, comprese Russia, Brasile e Sud Africa. Ma un altro fattore ancora è l'instabilità geopolitica, soprattutto in Medio oriente. Gli scandali di corruzione tendono a emergere quando le maree economiche si ritirano. Non è sorprendente che la leadership del Brasile sia coinvolta in un grande scandalo che si sta allargando. Il presidente cinese Xi Jimping sta cercando di pulire le stalle, ma l'inseguimento della corruzione danneggia esso stesso la fiducia. Ma la ragione più importante di tutte è la consapevolezza del deteriorarsi delle performances delle economie emergenti - in termini ciclici e, cosa più importante, in termini strutturali. Dei 5 BRICS solo l'India sta avendo una ripresa. Peggio, tra il 2010 e il 2014, in media, circa un terzo del rallentamento tra le 24 economie emergenti più grandi è stato strutturale. Una preoccupazione particolare è determinata dal declino della crescita della "produttività totale dei fattori" - una ampia misura di efficienza. Preoccupante è anche il rallentamento della crescita del commercio, esso stesso in parte risultato, in parte causa della crescita più debole. La globalizzazione sta perdendo dinamismo. La Cina è di gran lunga l'economia emergente più importante. Le turbative del mercato hanno ridotto la fiducia nella competenza della sua leadership. Ma è vitale comprendere che i suoi problemi non sono trattabili con rapide correzioni tecnocratiche. L'economia è estremamente sbilanciata con tassi di risparmio incredibilmente alti, tassi di investimento dispendiosamente alti e debito alto. Un modo naturale per risolvere questo problema potrebbe essere consentire il deflusso di capitali, una grossa svalutazione del renminbi e in tal modo la riemersione di grossi surpluses delle partite correnti. Ma tale "soluzione" minaccerebbe la stabilità nel resto dell'economia del mondo, in particolare perchè l'eurozona e il Giappone hanno già scelto la stessa opzione. Pechino sta resistendo alla pressione: dal 2014, le riserve monetarie straniere lorde si sono ridotte di $660 miliardi (17%). Ma se questo continua (e sicuramente lo farà) le autorità dovranno stringere i controlli sui capitali minando in tal modo le riforme; o permetteranno al tasso di cambio di crollare, la qual cosa destabilizzerebbe il mondo. Quello che sta accadendo nelle economie in via di sviluppo colpisce direttamente la vita di molti miliardi di persone. E' inoltre di importanza economica globale. Un'altra serie di bolle creditizie che nelle economie emergenti stanno fragorosamente scoppiando. Questo lascerà un'eredità di shocks finanziari e se mal gestito, di cattivo debito. Ma ripulire le conseguenze degli errori finanziari - un'esperienza familiare in modo deprimente - è solo una parte della sfida di fronte al mondo. Ugualmente importante è trovare un nuovo potente motore della domanda poichè quelle nuove farfugliano e muoiono. Non è chiaro dove lo si possa trovare. Ma il resto del mondo spera, probabilmente eccedendo in ottimismo, che gli US forniranno ciò che cerca. Purtroppo non sarà così. Non sarebbe stato così anche se la FED avesse scelto di non aumentare i tassi. Il prossimo aggiustamento di un'economia del mondo così dipendente dalle bolle creditizie sarà difficile. Non sarà probabilmente un completo disastro. Ma non sarà neppure divertente. Financial Times 11 gennaio 2016 Wolfgang Munchau: “Free capital flows possono mettere le economie in un vicolo cieco” Quando, nel 1973, Margaret Thatcher ha assunto il potere in Gran Bretagna, una delle sue prime decisioni come primo ministro è stata quella di eliminare i controlli sui capitali. E' stato l'inizio di una nuova era e non solo per la Gran Bretagna. Da allora la libera circolazione dei capitali è diventata un assioma del moderno capitalismo globale. E' anche una delle "4 libertà" del mercato unico europeo (insieme con il libero movimento delle persone, dei beni e dei servizi). Potremmo ora chiedere se la rimozione di uno strumento di policy come i controlli sui capitali possa avere contribuito a una successione di crisi finanziarie. Per rispondere a ciò, è istruttivo rivisitare il dibattito di trenta anni fa, quando molti in Europa investirono le loro speranze nella combinazione del libero scambio, la libera mobilità dei capitali, un tasso di cambio fisso e una politica monetaria indipendente - quattro policies che il fu economista italiano Padoa Schioppa definì un "quartetto incoerente". Ciò che voleva intendere era che quella combinazione è logicamente impossibile. Se la Gran Bretagna, diciamo, fissasse il suo tasso di cambio al marco tedesco e se il capitale e i beni si potessero muovere liberamente attraverso le frontiere, la Bank of England dovrebbe seguire le politiche della Bundeskank. All'inizio degli anni '90, la Gran Bretagna ha messo alla prova questo "quartetto impossibile", unendosi al mercato unico europeo e agganciando la sua moneta a quella della Germania. La musica si è presto fermata; dopo meno di due anni nel meccanismo del tasso di cambio,la sterlina è ritornata al cambio fluttuante. Altri paesi europei hanno preso una strada diversa, sacrificando l'indipendenza monetaria e creando una moneta unica. Entrambe le scelte erano internamente coerenti. Quello che è cambiato da allora è la cresciuta importanza della finanza cross border. Molti mercati emergenti non hanno un'infrastruttura finanziaria propria, sufficientemente forte. Le aziende e gli individui perciò contraggono prestiti da stranieri denominati in euro o dollari. L'America Latina è dipendente dalle finanze US, proprio come l'Ungheria dipende dalle banche austriache. Con la fine del QE negli US e l'aumento dei tassi di interesse, il denaro viene drenato dai mercati emergenti che si basano sul dollaro. Teoricamente, è compito di una banca centrale fermare il caos conseguente, cosa che, la teoria economica standard suggerisce, dovrebbe essere in grado di fare fino a quando segue un target inflattivo domestico. Ma se gran parte dell'economia è finanziata da denaro straniero, il suo spazio di manovra è limitato - come ha spiegato l'economista francese Helene Rey. Nei tempi buoni, scopre la prof. Rey, i flussi di credito nei mercati emergenti sono stati il propellente per le locali bolle dei prezzi degli assets. Quando, anni dopo, la liquidità si inaridisce e il denaro bollente torna nei paradisi sicuri del nord America e dell'Europa, il paese viene lasciato in subbuglio. C'è molto poco che la banca centrale possa fare per moderare gli afflussi e i deflussi del denaro straniero. A meno che non si accetti come inevitabile l'instabilità finanziaria, si deve pensare presto a imporre sui capitali controlli di una varietà particolarmente ostinata - del genere che comprende il dire agli investitori stranieri che la loro liquidità non è desiderata. Il punto è evitare che l'hot money entri nei tempi buoni e fermare il suo deflusso nei tempi cattivi. Questo non è argomento di conversazione elegante tra policymakers. I banchieri centrali hanno invece spacciato un concetto conosciuto come regolazione macroprudenziale, una versione ammorbidita dei controlli dei capitali. L'idea è di dare un'aggiustatina agli incentivi: quando nasce una bolla immobiliare, la banca centrale impone qualche tetto ai prestiti, per esempio mettendo un limite massimo al rapporto prestito/valore. Potrebbe anche chiedere al governo di aumentare i bolli o altre tasse sulle transazioni. La Spagna ha tentato tali misure durante gli anni pre-crisi. Non è riuscita a fermare la crescita di una delle più grandi bolle immobiliari della storia. Un'azione più drastica, come lasciare l'euro e imporre il controllo dei capitali, potrebbe avere evitato la calamità. La Spagna non ha fatto né l'una né l'altra cosa, ma tra non molto sicuramente qualcuno lo farà. Il libero movimento del capitale non può essere sostenuto in punto di principio quando i costi economici sono così devastanti. I controlli sui capitali erano comuni nel nostro passato pre-thatcheriano. Potrebbero ritornare. Financial Times 11 gennaio 2016 Lawrence Summers: “Attenti alle paure dei mercati finanziari” Spesso alla fine dell'anno i mercati sono volatili, per poi sistemarsi con l'inizio del nuovo anno. Non quest'anno. I mercati europei e US hanno chiuso venerdì al punto più basso dopo una settimana molto difficile, malgrado un forte report sull'occupazione US. La settimana ha visto il fortissimo declino della borsa e della moneta cinesi. Il prezzo del petrolio si è ridotto anche a causa della forte tensioni tra Arabia Saudita e Iran. Una settimana in cui le cattive notizie dai mercati hanno fatto sorgere due domande sulle prime pagine. In che modo i policy makers e i forecasters dovrebbero valutare i mercati speculativi in quanto indicatori delle prospettive future? E quanto dovrebbero essere allarmati di una prospettiva di una recessione globale? I mercati sono più volatili dei fondamentali che cercano di valutare. L'economista Paul Samelson 50 anni fa ha detto per scherzo "la borsa ha previsto nove delle ultime cinque recessioni". L'ex segretario del Tesoro Robert Rubin aveva ragione quando cercava regolarmente di rassicurare gli ansiosi politici durante la presidenza Clinton che "il mercato sale, il mercato scende" nei giorni in cui le mosse del mercato creavano gioia o ansia. I migliori executives gestiscono le loro aziende con un occhio alla profittabilità di lungo termine e non al prezzo di borsa quotidiano. E i policymakers fanno il loro meglio quando si concentrano sul rafforzamento dei fondamentali dell'economia piuttosto che sulle fluttuazioni giornaliere del mercato. Però, dal momento che i mercati valutano costantemente il futuro e aggregano il punto di vista di un numero enorme di partecipanti, danno spesso avvertimenti preziosi quando cambiano le condizioni. Studi hanno mostrato che le previsioni dei mercati fanno un lavoro migliore dei sondaggisti nel prevedere i risultati elettorali. Gli studi di Hollywood usano tali mercati per giudicare la probabilità di successo dei loro films. I policymakers che considerano le mosse del mercato come mera speculazione, spesso fanno un serio errore. I mercati hanno capito la gravità della crisi del 2008 ben prima della FED. Hanno afferrato l'insostenibilità dei tassi di cambio fissi in Gran Bretagna, Messico e Brasile mentre le autorità la negavano ancora e hanno visto il rallentamento o la recessione ben prima delle previsioni in numerosissimi casi. Se talvolta mandano falsi allarmi e non dovrebbero essere seguiti pedissequamente, tuttavia non va sottovalutato neppure che la saggezza convenzionale non riconosce essenzialmente mai l'addensarsi di una tempesta. L'economista riporta che, guardano dentro i grandi paesi negli ultimi decenni, ci sono stati 220 casi in cui a un anno positivo di crescita ne è seguito un altro di contrazione. Mai una volta le previsioni del FMI hanno anticipato le recessioni nell'aprile dell'anno di crescita. I segnali dovrebbero essere presi seriamente quando durano a lungo e provengono da molti mercati, specie con le attuali indicazioni di mercato per le quali nei prossimi 10 anni, l'inflazione non raggiungerà il suo target né il Europa, né negli US né in Giappone. E' particolarmente infausto quando i mercati non riescono a correre con quelle che dovrebbero essere buone notizie. E' concepibile che gli sviluppi cinesi riflettano la psicologia del mercato e le maldestre risposte di policy e che la risposta dei mercati mondiali è un esempio di contagio effimero. Ma ne dubito. L'anno scorso, come riportano le sue statistiche ufficiali, circa il 20% della crescita della Cina è stata dovuta al suo settore dei servizi finanziari, che ora, in rapporto al suo PIL, è grande come quello britannico e i livelli di debito cinesi sono straordinariamente alti. Questo non è un fatto di salute o di crescita sostenibile. Negli ultimi anni la crescita della Cina è derivata soprattutto dagli enormi investimenti in infrastrutture; tra il 2011 e il 2013, la Cina ha versato più cemento e calcestruzzo di quanto abbiano fatto gli US in tutto il 20esimo secolo. Questo è troppo insostenibile. Anche se è sostituito dai servizi interni, il contributo della Cina alla domanda globale delle materie prime si ridurrà. L'esperienza suggerisce che il miglior indicatore delle prospettive economiche di un paese è la decisione dei suoi cittadini di tenere il capitale a casa o di esportarlo all'estero. Il renminbi è sotto pressione perché i cittadini cinesi vogliono spostare all'estero il loro denaro. Non fosse che per il recente sostanziale esaurimento delle riserve della Cina, il renminbi sarebbe ulteriormente crollato. Tradizionalmente, gli sviluppi internazionali hanno avuto un effetto limitato sulle economie EU e US perché si è potuto bilanciarle attraverso azioni monetarie. Per questo, l'economia US è robustamente cresciuta durante la crisi finanziaria asiatica perché la FED ha abbassato i tassi di interesse. Con i tassi essenzialmente a zero, nei paesi industriali tuttavia questa opzione non è più percorribile e i problemi di politica estera è probabile abbiano un effetto molto più diretto sulla performance economica. A causa della dimensione della Cina, la sua potenziale volatilità e lo spazio limitato per convenzionali manovre di politica monetaria, il rischio globale per la performance economica in US, Europa e molti mercati emergenti è grande come in qualsiasi momento che ricordi. I policymakers dovrebbero sperare per il meglio e prepararsi per il peggio. Social Europe Journal 30 novembre 2015 Nouril Roubini: “L'Europa è condannata al collasso?” Sono in tour europeo per due settimane in un momento in cui si potrebbe essere o molto pessimisti o costruttivamente ottimisti sulle prospettive europee. Prima le cattive notizie: Parigi è triste se non depressa dopo gli attacchi terroristi dell'inizio del mese. La crescita economica in Francia resta anemica, i disoccupati e i molti musulmani sono maldisposti e l'estrema destra di Marine Le Pen è probabile vada bene alle prossime elezioni regionali. A Bruxelles, semi-deserta e segregata a causa del rischio di attacchi terroristi, le istituzioni EU devono ancora escogitare una strategia unificata per gestire il flusso dei migranti e dei rifugiati, per affrontare l'instabilità e la violenza nell'immediato vicinato europeo. Fuori dall'eurozona, a Londra c'è preoccupazione sugli effetti di ricaduta finanziari ed economici dell'unione monetaria. E la crisi dei migranti e i recenti attacchi terroristici significano che il referendum sulla permanenza nell'EU - che si terrà probabilmente l'anno prossimo - potrebbe portare l'UK a uscire. Seguirebbe la rottura dello stesso UK perchè la brexit porterebbe gli scozzesi a dichiarare l'indipendenza. Intanto a Berlino, la leadership della cancelliera Merkel è sottoposta a pressione crescente. La sua decisione di tenere la Grecia nell'eurozona, la sua scelta, coraggiosa ma impopolare, di fare entrare quest'anno un milione di rifugiati, lo scandalo Volkswagen e l'affievolirsi della crescita economica (dovuto alla recessione cinese e dei mercati emergenti) la hanno esposta alla critica del suo stesso partito. Francoforte è una città divisa sulla policy: la Bundesbank continua a opporsi al Quantitative Easing e alla politica dei tassi negativi, mentre la BCE è pronta a fare anche di più. Ma i parsimoniosi risparmiatori tedeschi - famiglie, banche e compagnie di assicurazione - sono furiosi contro le politiche della banca centrale europea che tassa loro (e gli dei paesi core dell'eurozona) per sussidiare i debitori della periferia dell'eurozona, accusati di essere sconsiderati spendaccioni. In questo ambiente, non è a portata di mano quella unione economica, bancaria, fiscale e politica piena che sarebbe necessaria a una unione monetaria stabile: l'eurozona core si oppone a maggiore solidarietà e condivisione del rischio nonchè a una integrazione più rapida. E i partiti populisti, di destra e di sinistra - antiEU, anti-euro, anti-migranti, anti-mercato - stanno rafforzandosi in tutta Europa. Ma di tutti i problemi che l'Europa ha di fronte, è la crisi dei migranti quella che potrebbe diventare esistenziale. Nel Medio oriente, in Africa del Nord, nella regione che si estende dal Sahel al Corno d'Africa ci sono 20 milioni di sfollati; guerre civili, violenza e fallimenti di stati stanno diventando la norma. Se l'Europa ha difficoltà ad assorbire un milione di rifugiati, come potrà gestirne 20 milioni? A meno che non difenda le sue frontiere esterne, Shengen collasserà e torneranno le frontiere interne, mettendo fine alla libertà di movimento - un principio chiave dell'integrazione europea - all'interno della maggior parte dell'EU. Ma la soluzione proposta da qualcuno -chiudere le porte ai rifugiati - peggiorerebbe soltanto il problema destabilizzando paesi come la Turchia, il Libano e la Giordania che ne hanno già assorbiti milioni. E pagare la Turchia e gli altri per tenersi i rifugiati sarebbe costoso e insostenibile. Il problemi del medio oriente più largo (inclusi Afghanistan e Pakistan) e dell'Africa non possono essere risolti solo con mezzi militari e diplomatici. I fattori che guidano questi ed altri conflitti peggioreranno: il cambiamento climatico sta accelerando la desertificazione ed esaurendo le risorse idriche con effetti disastrosi sull'agricoltura e le altre attività economiche e questo innescherà la violenza attraverso gli sfaldamenti religiosi, etnici, sociali ecc. Niente meno che l'esborso di risorse finanziarie, tipo un massivo Piano Marshall, soprattutto per ricostruire il Medio oriente, assicurerà una stabilità di lungo termine. L'Europa saprà e vorrò accollarsi la sua quota? Se non si troveranno le soluzioni economiche, alla fine i conflitti di queste regioni destabilizzeranno l'Europa con milioni di disperati senza speranza che tenderanno a radicalizzarsi e ad accusare l'occidente della loro miseria. Anche con un improbabile muro intorno all'Europa, molti troverebbero una strada per entrare - e alcuni continueranno per i decenni a venire a terrorizzare l'Europa. Per questo alcuni commentatori, infiammando le tensioni, parlano di barbari alle porte e paragonano la situazione europea alla fine dell'Impero Romano. Ma l'Europa non è condannata al collasso. Le crisi attuali potrebbero portare a unavis maggiore solidarietà , una maggiore condivisione del rischio, una ulteriore integrazione istituzionale. La Germania potrebbe assorbire i rifugiati (sebbene non a un ritmo di un milione all'anno). La Francia e la Germania potrebbero provvedere a pagare per gli interventi militari contro lo stato islamico. Tutta l'Europa e il resto del mondo - gli US e i paesi ricchi del Golfo - potrebbero fornire molto denaro per il supporto ai rifugiati e al fine di finanziare gli stati falliti e di provvedere opportunità economiche a centinaia di milioni di musulmani e africani. Queste scelte sarebbero fiscalmente onerose per l'Europa e il mondo - e gli attuali targets fiscali dovrebbero essere adeguati nell'eurozona e nel resto del mondo. L'alternativa però sarebbe il caos globale o, come ha avvertito papa Francesco - l'inizio della III guerra mondiale. E c'è la luce in fondo al tunnel per l'eurozona. E' in corso una ripresa ciclica, sostenuta per i prossimi anni da un monetary easing e da regole fiscali sempre più flessibili. Una maggiore condivisione del rischio comincerà nel settore bancario (con la prossima assicurazione sui depositi di dimensione europea) e alla fine saranno adottate proposte più ambiziose per l'unione fiscale. Le riforme strutturali -sebbene lentamente continueranno e aumenteranno gradualmente le crescita potenziale e reale. In Europa le crisi - anche se lentamente - hanno portato a maggiore integrazione e risk sharing. Oggi, il rischio di sopravvivenza sia per l'eurozona (a partire dalla Grecia) che per la stessa EU (a partire dalla brexit), porterà leaders illuminati a sostenere il percorso verso una unificazione più profonda. In un mondo in cui esistono e sono in crescita grandi potenze (US, Cina, India) e potenze revisioniste più deboli (Russia e Iran), un'Europa divisa è un nano geopolitico. Per fortuna, leaders illuminati a Berlino - ce ne sono diversi, malgrado la percezione del contrario - sanno che il futuro della Germania dipende da un'Europa forte e integrata. Essi, insieme agli altri leaders europei, comprendono che questo richiederà forme appropriate di solidarietà, compresa una politica estera unificata, che possa affrontare i problemi del vicinato europeo.vis Ma la solidarietà comincia in casa. E significa respingere i barbari populisti e nazionalisti all'interno, sostenendo la domanda aggregata e le riforme pro-crescita che assicurino una ripresa più resiliente dei posti di lavoro e dei redditi. Social Europe Journal 6 gennaio 2016 Nouriel Roubini: “La questione europea nel 2016” All'inizio dell'anno, abbiamo un mondo in cui i rischi geopolitici e geo-economici si stanno moltiplicando. La maggior parte del Medio oriente è in fiamme, sollevando l'idea che potrebbe essere alle viste una lunga guerra sunnito-sciita (come la guerra dei trenta anni europea tra cattolici e protestanti). L'ascesa della Cina sta alimentando una vasta serie di dispute territoriali in Asia e sta sfidando la leadership strategica degli US nella regione. E l'invasione russa dell'Ucraina è apparentemente diventata un semi-conflitto, ma che potrebbe riaccendersi in qualunque momento. C'è anche la possibilità di un'altra epidemia, come lo scoppio di SARS, MERS, Ebola e altre malattie infettive hanno dimostrato negli ultimi anni. Si sta anche profilando una minaccia di cyber warfare, e attori non statali e gruppi stanno creando conflitto e caos da medio oriente all'Africa del nord e sub-sahariana. Last but not least, il cambiamento climatico sta già causando un grosso danno, con eventi meteorologici estremi che stanno diventando sempre più frequenti e letali. Ma è l'Europa che può dimostrarsi il ground zero della geopolitica nel 2016. Per cominciare, l'uscita della Grecia dall'euroozona può essere stata solo posticipata e non evitata, poiche la riforma pensionistica e altre riforme strutturali stanno mettendo il paese in collisione con i creditori europei. La Grexit, a sua volta, potrebbe essere l'inizio della fine dell'unione monetaria poiché gli investitori comincerebbero a chiedersi quale altro membro - forse persino un paese core (per esempio la Finlandia) - sarebbe il successivo ad uscire. Se si verifica le grexit, l'uscita dell'UK dall'EU può diventare più probabile. A confronto di un anno fa, la probabilità di una brexit sono aumentate per diverse ragioni. I recenti attacchi terroristici in Europa, così come la crisi dei migranti hanno reso ancora più isolazionista l'UKi. Con la leadership di Jeremy Corbyn, il Labour è più euroscettico. E il primo ministro David Cameron si messo in un angolo con la richiesta di riforme dell'EU che anche i tedeschi - i più simpatetici con l'UK - non possono accettare. A molti in Gran Bretagna, l'EU appare come una nave che affonda. Se si verificasse la brexit, cadrebbero anche altri domino. La Scozia potrebbe decidere di abbandonare l'UK, portando a una rottura della Gran Bretagna. Questo potrebbe ispirare altri movimenti separatisti - a partire forse dalla Catalogna - a spingere con ancora più forza per l'indipendenza. E i membri nordici dell'EU potrebbero decidere che, insieme alla GB, farebbero bene a uscire anch'essi. Quanto al terrorismo, il semplice numero dei jiadisti nativi significa che per l'Europa la domanda non è se ma quando e dove avverrà un altro attacco. E attacchi ripetuti potrebbero ridurre moltissimo il business e la fiducia dei consumatori e fermare la già fragile ripresa economica dell'Europa. Coloro che sostengono che la migrazione pone anche una minaccia esistenziale all'Europa hanno ragione. Ma la questione non è il milione di nuovi entrati in Europa nel 2015. Sono i 20 milioni e più che si sono spostati, sono disperati e cercano di sfuggire alla violenza, alla guerra civile, al fallimento dello stato, alla desertificazione, al collasso economico in larghe parti del medio oriente e dell'Africa. Se l'Europa non è in grado di trovare una soluzione coordinata a tale problema e imporre una frontiera esterna comune, l'accordo Shengen collasserà e i confini interni tra i membri EU riappariranno. Intanto l'austerità e la fatica delle riforme nella periferia dell'eurozona - e tra i membri non-eurozona dell'EU come Ungheria e Polonia - si stanno scontrando con la fatica del salvataggio nell'area core. I partiti populisti di destra e di sinistra - con la loro ostilità condivisa al libero scambio alla migrazione, all'islam e alla globalizzazione - stanno diventando più popolari in tutta Europa. Syriza è al potere in Grecia; una coalizione di sinistra è al governo in Portogallo; e l'elezione spagnola potrebbe portare una significativa incertezza politica e di policy. Partiti virulentemente anti-migranti e antimusulmani stanno diventando più popolari nell'Europa core, comprese l'Olanda, la Danimarca, la Finlandia e la Svezia. In Francia, il Fronte Nazionale di estrema destra è arrivato vicino a vincere in diverse regioni all'inizio del mese e la sua leader Le Pen potrebbe andare bene alle elezioni presidenziali del 2017. In Italia, inoltre, il primo ministro Renzi è sotto attacco da parte dei due partiti populisti anti-euro che sono cresciuti nei sondaggi. E la leadership della cancelliera Merkel è ora minacciata in Germania a seguito della sua coraggiosa ma controversa decisione di permettere ad almeno 1 milioni di richiedenti asilo di entrare nel paese. In breve, la distanza tra ciò che serve all'Europa e ciò che gli europei vogliono sta crescendo e il gap potrebbe produrre guai nel 2016. L'eurozona e l'EU hanno di fronte molteplici sfide, le quali tutte richiedono una risposta collettiva. Ma ciò che vediamo sono gli stati membri che adottano un approccio sempre più nazionale, minando in tal modo la possibilità di soluzioni di dimensione europea (la crisi migratorio è un caso tragico). L'Europa ha bisogno di più cooperazione, integrazione, risk sharing e solidarietà. Invece gli europei sembrano abbracciare il nazionalismo, la balcanizzazione, la divergenza e la disintegrazione. Financial Times 4 gennaio 2016 Wolfgang Munchau: “La molteplicità della crisi dell'Europa non è accidentale” Entrando nella seconda metà del secondo decennio del secolo, l'EU si sta dividendo lungo tre linee di faglia. Una divide il prospero nord dal sud indebitato. Una seconda separa le frange euroscettiche dal centro filoeuropeo. Una terza è tra la parte occidentale socialmente liberale e la parte orientale sempre più autocratica. Questo è uno scenario di frattura e di disintegrazione. E' difficile fare specifiche previsioni per il 2016. Ci sono, naturalmente, molti rischi noti. Un referendum britannico sull'EU. Un flusso continuo di rifugiati. L'allargarsi degli squilibri economici. Un crollo della Grecia. Il sistema bancario italiano quasi insolvente e l'emergere di tensioni tra la Germania e la periferia dell'eurozona sulla politiche fiscali. La crescita del terrorismo jiadista. L'incertezza politica in Spagna e Portogallo. La crisi dell'Ucraina, ancora lontana da una soluzione. Lo scandalo delle emissioni Volkswagen che è svanito dalle coscienze ma minaccia di colpire uno dei pilastri restanti della forza industriale del continente. Con così tante crisi contestuali, trovo più utile guardare al grande quadro - al rischio sistemico che non deriva da alcuna crisi in particolare ma dal confrontarsi con tante contemporaneamente. Fatto il primo passo nell'approfondimento, ci si accorge che la molteplicità delle crisi non è accidentale. Se si crea un'unione monetaria senza istituzioni economiche, politiche fiscali e sistemi legali condivisi, alla fine si sbatte contro un muro. Allo stesso modo, una zona di libera circolazione senza passaporto senza una controllo congiunto alle frontiere non può durare. Qui c'è un modello. L'EU ha una tendenza innata a brutti compromessi e a costruzioni per il tempo buono. L'anno scorso non è cambiato nulla di fondamentale eccetto che questo problema è apparso più chiaro a molte più persone. La rottura, quando arriva, può ancora shoccarci. Ma offre anche opportunità. Credo che l'errore più grande che l'EU possa commettere sarebbe quello di continuare sulla vecchia strada. La cosa più probabile è che i grandi cambiamenti siano imposti più che dai politici e dai diplomatici, direttamente dall'elettorato - attraverso un referendum come quello che ci sarà in GB. Il processo EU ha tendenza ad evitare spostamenti improvvisi. Le cose verranno a parte quando la pressione dalle capitali nazionali diventerà troppo forte. C'è il pericolo che ciò inneschi una disintegrazione incontrollata. Ma ci sono buone possibilità che i leaders politici dell'Europa siano sufficientemente saggi da agire con spirito costruttivo. Un voto britannico per l'uscita dall'EU può, nel lungo periodo, innescare una più ampia trasformazione dell'EU in un inner group di paesi che cerca una integrazione più profonda e un outer group, in cui la Gran Bretagna e altri paesi si trovino perfettamente a loro agio. Una rottura dell'eurozona, che mi aspetto arriverà a un certo punto, offre anch'essa l'opportunità di una risistemazione più ampia. Una volta che si pensa all'euro come a un sistema di cambi fissi con una moneta condivisa, invece che come a una unione monetaria irreversibile, la nebbia mentale si solleva. Tale sistema potrebbe funzionare solo tra un piccolo gruppo di paesi con ampie convergenze economiche. Fin dagli anni '70, l'Austria e la Germania hanno mantenuto un tasso di cambio quasi fisso. Perché non dovrebbero continuare così per altri 50 anni? Fin dagli anni '80, la Francia e la Germania hanno mantenuto un tasso di cambio essenzialmente fisso. Perché dovrebbero cambiare ora? L'argomento di una integrazione politica ed economica più profonda tra Germania e Francia resta fondamentalmente forte - molto più forte dell'argomento di un'integrazione politica ed economica di una EU in cui alcuni paesi sono parte di un'unione monetaria e altri non hanno alcuna intenzione di unirvisi mai. Non c'è mai stata una logica convincente nell'argomento che un mercato unico richieda una moneta unica. Ma la logica inversa tiene. Paesi con una moneta unica richiedono una integrazione di mercato molto più profonda di paesi che mantengono una propria moneta. Se, come si dovrebbe, si accettasse l'EU come una unione contenente una molteplicità di monete, si dovrebbe accettare che non è un mercato unico, ma una selezione di mercati distinti. al di là della frammentazione economica, l'Europa si sta anche dividendo politicamente tra est e ovest. Sia l'Ungheria che la Polonia hanno eletto governi di destra euroscettici. Entrambi hanno limitato l'indipendenza della magistratura e la libertà di stampa. Da qualche tempo credo che l'allargamento dell'unione non sia stato, come sostenuto, una grande opportunità storica, ma un errore storico. L'allargamento ha aggiunto ulteriori divisioni all'Europa e ha reso disfunzionale l'EU. Vedo pertanto la frammentazione e la rottura non come minacce da evitare ma come opportunità da cogliere. Le mie aspettative per il 2016 sono che vedremo maggiori rotture. La mia speranza è che saranno gestite bene. Social Europe Journal 1 dicembre 2015 Peter Bofinger*: “La moderazione salariale in Germania e la crisi dell'eurozona” *Peter Bofinger (prof. di economia alla Wurzburg University. Membro del German Council of experts) La "consenus narrative" dell'eurozona sostiene che la Crisi non dovrebbe essere pensata come una crisi originata dal debito pubblico. Invece considera come veri colpevoli i grandi flussi di capitale infraeurozona dei dieci anni precedenti la Crisi. Questo articolo sostiene che, mentre la narrativa è corretta, non è tuttavia completa. Con la sua concentrazione sui paesi in deficit, ignora il ruolo della Germania, di gran lunga lo stato membro più grande e il suo contributo agli squilibri negli anni che hanno preceduto la crisi. Una narrativa che non tiene conto della moderazione salariale tedesca non è completa. Questa "consensus narrative" è servita da un articolo "Riavviare l'eurozona", pubblicato su Vox il 20.11. Nel 1999, quando è partita l'eurozona, la Germania aveva un tasso di disoccupazione che, sebbene sotto la media dell'eurozona, era ancora troppo alto per i suoi standards. La soluzione al problema della disoccupazione è stata tipica del sistema corporativo tedesco. Già nel 1995, Klaus Zwickel, capo del potente sindacato IG Metall, aveva fatto la proposta di un "Patto per il lavoro". Dichiarava esplicitamente la sua volontà di accettare la stagnazione delle retribuzioni reali,cioè un aumento delle retribuzioni nominali che compensasse solo l'inflazione, se i datori di lavoro si fossero impegnati a creare più lavoro. (Wolf 2000). Questo portò al "Patto per il lavoro, l'istruzione e la competitività" che fu realizzato da Gerard Schroeder nel 1998. Il 20 gennaio 2000, sindacati e associazioni datoriali dichiaravano esplicitamente che gli aumenti di produttività non sarebbero stati utilizzati per aumentare le retribuzioni reali ma per accordi che aumentassero l'occupazione. Essenzialmente, la "moderazione salariale" è stata un tentativo esplicito di svalutazione interna del tasso di cambio reale. "Moderazione salariale" non è necessariamente espressione di un più debole potere contrattuale del sindacato che, al contrario, si era convinto che avrebbe creato più lavoro. Anzi ha accettato anche esplicitamente deroghe a livello aziendale dei contratti collettivi, quando una azienda era in difficoltà economiche. Il governo ha contribuito alla moderazione salariale riducendo i contributi sociali in cambio di tasse indirette più alte e spostando sui dipendenti una parte del tasso di contribuzione per l'assistenza sanitaria dei datori di lavoro. Gli effetti della moderazione salariale si sono rispecchiati nello sviluppo dei costi unitari del lavoro. Dal 1999 al 2008, mentre i costi per unità di lavoro nell'economia tedesca sono rimasti più o meno costanti, nel settore manifatturiero, che è caratterizzato da un alto tasso di sindacalizzazione, si sono ridotti quasi del 9%. Per il funzionamento ideale dell'eurozona, i costi unitari del lavoro di ciascun stato membro dovrebbero aumentare in linea con l'obiettivo inflattivo della BCE. Questo porterebbe a tassi di inflazione nazionali vicini al target BCE. Confrontato con questo tasso benchmark, che per l'eurozona si assumeva fosse dell'1.9%, nel 2008, le retribuzioni tedesche erano quasi del 20% più basse. Nello stesso periodo, i costi unitari del lavoro nel resto dell'eurozona si sono sviluppati sopra questo target, specialmente in Spagna, Irlanda e Grecia. La moderazione salariale ha contribuito agli squilibri dell'eurozona attraverso diversi canali. Primo, l'indice inflattivo IPCA tedesco è stato per molti anni inferiore al target inflattivo della BCE e anche inferiore all'indice IPCA del resto dell'eurozona. Uno studio della BCE sui 5 paesi più grandi dell'eurozona, ha dimostrato che un positivo (negativo) differenziale deflattore del PIL si era riflesso su costi unitari del lavoro relativamente più alti (bassi), sui profitti e le tasse indirette (BCE 2003). A livello dell'eurozona, il tasso inflattivo tedesco più basso compensava i tassi di inflazione sopra la media, soprattutto in Spagna, Irlanda e Grecia. Poiché l'indice IPCA per l'intera eurozona era più o meno in linea con il suo target, la BCE ha mantenuto costantemente dal giugno 2003 al dicembre 2005 al livello, una politica dei tassi molto bassi,al 2%. Con un solo tasso di interesse nominale, nei paesi dell'eurozona a inflazione alta il tasso reale era basso, mentre era relativamente alto in Germania. Perciò i differenziali inflattivi possono essere aumentati dal versante della domanda. Un secondo canale di trasmissione è stato la forte debolezza della domanda interna tedesca che aveva fortemente decelerato a causa della moderazione salariale. Il tasso di crescita annuale che, nel periodo 1995-2000 era stato dell'1.7%, nel periodo 2000-2005 si è ridotto a -0,1%. Nel resto dell'eurozona il tasso di crescita della domanda interna era stato del 3.2% nel primo periodo, scendendo al 2% nel secondo. Per il resto dell'eurozona dunque la debole domanda interna tedesca ha implicato una forte decelerazione dei proventi da esportazione di beni e servizi in Germania. Il tasso medio annuo della crescita dei proventi da esportazione in Germania che, nel periodo 1995-2000, era stato dell'8.2%, si è ridotto al 3.1% nel periodo 2000-2005. Se Wyplosz (2013) sostiene che alla radice dei percorsi divergenti dei paesi dell'eurozona c'è la domanda interna, questa tesi è compatibile con la narrativa che considera la moderazione salariale come una parte importante degli squilibri all'interno dell'eurozona. Questo porta al terzo canale di trasmissione. Mentre la moderazione salariale ha avuto un effetto immediato sulla domanda interna tedesca, nel tempo ha anche migliorato la price competitiveness e il suo export. Il miglioramento della bilancia dei pagamenti negli anni tra il 2000 e il 2007 è dovuto alla debole domanda di importazione della Germania e all'aumento delle sue esportazioni al resto dell'eurozona. La situazione era diversa prima del 1999 quando le importazioni e le esportazioni e le importazioni della Germania da e per il resto dell'eurozona crescevano in parallelo. L'impatto del miglioramento della competitività sulla bilancia commerciale tedesca è stato stimato in un report del Sachverstandigenrat (2014) che mostra che la price competitiveness ha un effetto significativo sul saldo di conto corrente da un defict dello 0.3% nel 1997 a un surplus dell'1.5% nel 2007. Un impatto molto forte della moderazione salariale tedesca sugli attuali squilibri all'interno dell'eurozona si trova anche su un paper di LeMoigne e Ragot (2015). Usando un modello quantitativo del commercio internazionale, hanno trovato che la moderazione salariale tedesca è responsabile di circa la metà della divergenza in termini di bilancia commerciale e spiega un aumento di più del 2% del tasso di disoccupazione francese. Uno studio di Kollmannn e altri (2015) arriva al risultato che una forte domanda esterna e i guadagni di competitività tedeschi (moderazione salariale e miglioramenti tecnologici) sono le importati determinanti dei surpluses esterni tedeschi. Secondo questo paper, dalla metà degli anni 2000, sono state importanti soprattutto le scosse positive del tasso di risparmio tedesco. Tuttavia, poiché il tasso di risparmio delle famiglie private è rimasto più o meno costante, è difficile spiegare l'aumento delle partite correnti con l'invecchiamento della società tedesca o con le riforme pensionistiche. In più, il risparmio delle famiglie era molto più alto negli anni 1990s quando le partite correnti mostravano un piccolo deficit. La vera scossa del risparmio è avvenuta nel settore della società non finanziarie. Nel periodo 1991-2000 il tasso di risparmio medio delle società non finanziarie è stato vicino allo zero, mentre nel periodo 2001-2010 è stato del 2%. Questo risultato è dipeso dalla crescita dei profitti, soprattutto tra il 1997 e il 2007. Poiché la moderazione salariale ha contribuito a profitti più alti, può essere considerata come una determinante della scossa del risparmio nel settore corporate. Una narrativa della crisi dell'eurozona che non tiene conto degli effetti della moderazione salariale dell'erurozona dimentica che è un'economia aperta con forti legami commerciali con gli altri membri dell'eurozona. Sarebbe difficile spiegare perché tale forte svalutazione interna, che è considerata una determinante chiave della storia di successo della Germania negli anni 2000, non abbia avuto significative ripercussioni sul resto dell'eurozona. La moderazione salariale ha portato al declino dei costi unitari del lavoro e a un indice inflattivo IPCA in Germania sotto al valore del target BCE. Poiché questo ha compensato per tassi di inflazione superiori nel resto dell'eurozona, la BCE non ha potuto aumentare la sua politica dei tassi sebbene ci fossero significativi segnali di surriscaldamento nei paesi in deficit. La moderazione salariale ha causato la stagnazione della domanda interna tedesca che ha avuto un impatto negativo sulla sua domanda di beni e servizi dal resto dell'eurozona. La moderazione salariale ha gradualmente migliorato la price competitiveness della Germania che ha portato al deterioramento delle bilance dei pagamenti del resto dell'eurozona. Infine la moderazione salariale ha causato profitti più alti nel settore corporate che hanno determinato un tasso di risparmio più alto in questo settore. Il risparmio della famiglie in Germania è stato più o meno costante dal 1999. Social Europe Journal 15 dicembre 2015 Simon Wren Lewis: “Una crisi made in Germany” Il titolo del mio ultimo articolo sull'Indipendent può sembrare una selvaggia esagerazione. Ma se stiamo parlando di una crisi che ha avuto un impatto sulla disoccupazione dell'intera eurozona, (eccetto la Germania) piuttosto che solo della periferia, allora penso che sia invece ragionevole. Sono stati i policymakers tedeschi che hanno insistito sulla politica di austerità generale per l'eurozona in risposta ai problemi della periferia dell'eurorozona stessa. E' stata l'influenza della Bundesbank e di altri in Germania che ha aiutato la BCE ad alzare i tassi di interesse nel 2011 e ha ritardato il programma di QE fino al 2015. Queste due cose insieme hanno determinato una seconda recessione nell'eurozona. Anche se rimaniamo ai paesi periferici, la crisi fuori dalla Grecia sarebbe stata molto più gestibile se il programma OMT della BCE (che permetteva alla BCE di agire come prestatore sovrano di ultima istanza) fosse stato attuato nel 2010 invece che nel 2012.Sono stati i politici in Germania che hanno cercato di dichiarare illegale il programma OMT. E non ho ancora accennato all'impatto della Germania sulla Grecia. Potrei anche aggiungere (sebbene non nell'articolo) che se l'eurozona avesse adottato fin dal 2000 sensate regole fiscali anti-cicliche, la dimensione della crisi della periferia sarebbe stata ridotta e la Germania ha avuto un grosso ruolo nelle regole centrate sul deficit che sono state realmente adottate. Certo non è stata la Germania a determinare la sregolatezza nel comportamento del governo greco. Certo non è stata la Germania a costringere le banche irlandesi a prestiti sconsiderati. Le banche tedesche possono avere facilitato entrambi, ma lo hanno fatto anche le banche di altri paesi core come la Francia e nell'UK per quanto conti. Ma l'influenza tedesca ha aiutato a ingigantire la crisi della periferia e la Germania è stata centrale nel trasformare la crisi della periferia in un evento esistenziale che ha fortemente colpito tutti i paesi dell'eurozona eccetto la Germania stessa. Social Europe Journal 16 dicembre 2015 Yanis Varoufakis: “La GRANDE RAPINA DELLE BANCHE GRECHE” Dal 2008, i salvataggi bancari hanno comportato una significativo trasferimento di perdite private ai contribuenti europei e americani. L'ultimo salvataggio bancario greco costituisce un ammonimento su come la politica – in questo caso quella europea - è orientata verso la massimizzazione delle perdite pubbliche per discutibili benefici privati. Nel 2012, l'insolvente stato greco ha preso in prestito 41 miliardi di euro (pari al 22% del reddito nazionale che stava riducendosi) dai contribuenti europei per ricapitalizzare le insolventi banche commerciali del paese. Per un'economia nella stretta di un debito insostenibile, e la connessa spirale debito/inflazione, il nuovo debito e la stringente austerità cui era stato condizionato è stato una palla al piede. Tuttavia , ai greci era stato promesso che il bailout avrebbe messo al sicuro una volta per tutte le banche del paese. Nel 2013, una volta che le tranches dei finanziamenti erano state trasferite dall'European Financial Stability Facility (ESFS), il fondo dei salvataggi dell'EU, al suo omologo greco, l'hellenic financial stability facility (HFSF), questo ha pompato circa 40 miliardi di euro in 4 banche “di sistema” in cambio di azioni senza diritto di voto. Qualche mese dopo, nell'autunno 2013, è stata orchestrata una seconda ricapitalizzazione, con una nuova emissione di azioni. Per rendere le nuove azioni attraenti per gli investitori privati, la troika dei creditori ufficiali della Grecia (FMI, BCE e Commissione Europea) ha deciso di offrirle con il considerevole sconto dell'80% sui pressi che HFSF, a nome dei contribuenti europei, aveva pagato qualche mese prima. Da notare che all'HSFS è stato impedito di partecipare imponendo sui contribuenti una diluizione enorme della loro quota di partecipazione. Annusando possibili guadagni a spese dei contribuenti, gli hedge funds stranieri sono corsi ad approfittarne. A prova del fatto che aveva compreso l'improprietà di quanto avvenuto, la Troika ha imposto al governo greco di immunizzare da incriminazioni i membri del board dell'HSFS per non avere partecipato alla nuova offerta di azioni e per la conseguente scomparsa di metà dei 41 miliardi di capitale iniettato dai contribuenti. La troika ha celebrato l'interesse degli hedge funds come la prova che il suo salvataggio bancario aveva ripristinato la fiducia del settore privato. Ma l'assenza degli investitori di lungo termine ha rivelato che l'afflusso di capitale era puramente speculativo. Gli investitori seri hanno capito che le banche restavano in seri guai malgrado l'ampia iniezione di fondi pubblici. Dopo tutto, la Grande Depressione della Grecia ha causato che la quota di prestiti in sofferenza è salita al 40%. A febbraio 2014, mesi dopo la seconda ricapitalizzazione, Blackrock la società di asset management, ha riportato che il crescente volume di crediti in sofferenza necessitava di una consistente terza ricapitalizzazione. A giugno 2014, il FMI faceva trapelare la notizia che servivano più di 15 miliardi di ricapitalizzazione delle banche – una grossa quantità di denaro allora fu messo nel secondo pacchetto di salvataggio della Grecia. Alla fine del 2014, con il secondo salvataggio a corto di tempo e di denaro e con il governo che era prossimo a dovere restituire altri 22 miliardi di debito entro il 2015, per i dirigenti della troika non c'era più alcun dubbio. Per mantenere la pretesa che il programma greco funzionava bene, era necessario un terzo bailout. Il problema di un terzo bailout era duplice. Primo, il governo greco amico della troika aveva scommesso la sua sopravvivenza politica sull'impegno che il secondo salvataggio del paese sarebbe stato completato a dicembre 2014 e sarebbe stato l'ultimo. Diversi governi dell'eurozona si erano assicurati l'accordo dei loro parlamenti assumendo lo stesso impegno. La conseguenza è stata che il governo è collassato e a gennaio 2015, è stato eletto il nostro governo di Syriza con il mandato a sfidare proprio la logica di questi “bailouts”. Come ministro delle finanze del nuovo governo, ero determinato a che qualsiasi nuova ricapitalizzazione bancaria avrebbe evitato le trappole dei due precedenti. Si sarebbero dovuti fare nuovi prestiti solo dopo che il debito greco fosse stato considerato percorribile e non si sarebbero iniettati più fondi pubblici nelle banche commerciali fino a quando non fosse istituita una nuova entità, una bad bank per gestire le sofferenze. Purtroppo la Troika non era interessata a una soluzione razionale. Il suo obiettivo era schiacciare un governo che aveva osato sfidarla. E ci ha schiacciato ingegnerizzando una corsa agli sportelli durata sei mesi, facendo chiudere le banche greche a giugno e causando la capitolazione al terzo prestito di bail out della troika del primo ministro Alexis Tsipras a luglio La prima mossa significativa è stata la terza ricapitalizzazione bancaria a novembre. I contribuenti hanno dato ulteriori 6 miliardi attraverso l'HSFS ma è stato di nuovo impedito loro di acquistare le azioni offerte agli investitori privati. Come risultato, malgrado iniezioni di capitale per approssimativi 47 miliardi di euro (41 a novembre 2013 e 6 nel 2015), la quota di capitale dei contribuenti è crollata da più del 65% a meno del 26% mentre gli hedge funds e gli investitori stranieri (per esempio John Paulson, Brookfield, Faifax, Wellington e Highfilds) hanno acquisito più del 74% del capitale bancario investendo solo 5.1 miliardi di euro. Anche se dal 2013, gli hedge funds hanno perso soldi, l'opportunità di un take over sull'intero sistema bancari greco per tale cifra ridicola si è dimostrata irresistibile. Il risultato è un sistema bancario ancora inondato di sofferenze e colpito da una recessione che continua. E con l'ultimo round di ricapitalizzazione, il costo della determinazione della troika a rimanere ferma sulla pratica dell'extend and pretend è ulteriormente cresciuto. Mai prima di ora i contribuenti avevano pagato così tanto per così poco. Social Europe Journal 8 gennaio 2016 Yanis Varoufakis: “Le due monete della Grecia” Si immagini che sia permesso a un depositante nello stato US dell'Arizona di prelevare solo pochi soldi liquidi ogni settimana e di essere sottoposto a restrizioni su quanto denaro possa trasferire telematicamente a un conto bancario in California. Tali controlli di capitale,se mai si verificassero, porterebbero alla fine del dollaro come moneta unica, perchè tali vincoli sono del tutto incompatibili con un'unione monetaria. La Grecia oggi (e Cipro prima di lei) offre un caso di studio di come i controlli dei capitali biforchino una moneta e distorcano l'incentivo al business. Il processo è chiaro. Una volta che i depositi in euro sono imprigionati all'interno di un sistema bancario nazionale, la moneta essenzialmente si divide in due: bank-euro (BE) e euro di carta o liberi (FE). Immediatamente emerge un tasso di cambio informale tra le due monete. Si consideri un depositante greco propenso a convertire una grossa somma di BE in FE (ad esempio per pagare spese mediche all'estero o per restituire un debito aziendale a una entità non greca). Assumendo che tali depositanti trovino possessori di FE disponibili ad acquistare i loro BE, emerge un cambio sostanziale BEFE, che varia con la dimensione della transazione, l'impazienza relativa dei detentori di BE e la durata attesa dei controlli dei capitali. Il 18 agosto 2015, poche settimane dopo avere staccato la spina dalle banche greche (rendendo in tal modo inevitabili i controlli di capitale), la BCE e la sua branca greca, la Banca della Grecia, hanno in realtà formalizzato un regime monetario duale. Un decreto del governo ha decretato che "è proibito il trasferimento del rimborso anticipato, parziale o totale di un credito in una istituzione creditizia, escluso il rimborso per cassa o le rimesse dall'estero". Le autorità dell'eurozona hanno permesso alle banche greche di negare ai loro clienti il diritto al rimborso di mutui o crediti in BE, incentivando in tal modo il tasso di cambio BE-FE. E, continuando a permettere pagamenti in BE delle tasse in mora, prescrivendo allo stesso tempo che la FE, in quanto valuta separata più forte, potesse solo estinguere il debito commerciale bancario, le autorità europee hanno riconosciuto che la Grecia ha ora due euro. Gli effetti reali del regime monetario duale sull'economia e la società greca possono essere capiti solo dalla perniciosa interazione tra i controlli di capitale e le "riforme" (essenzialmente aumenti delle tasse, riduzione delle pensioni e altre misure contrazionarie) imposte dalle autorità dell'eurozona al paese. Si consideri il seguente seducente esempio. Le aziende greche cadono approssimativamente in due categorie. In una categoria c'è un grosso numero di piccole imprese che stanno asfissiando sotto la richiesta dell'ufficio delle imposte che chiede il pagamento anticipato e immediato del 100% delle tasse corporate ogni anno (come stimate dalle autorità fiscali). Il secondo gruppo comprende le aziende quotate il cui depresso turnover danneggia il valore, già diminuito, delle loro azioni e la loro posizione con le banche, i fornitori e i potenziali clienti (i quali tutti sono riluttanti a sottoscrivere contratti di lungo termine con un'azienda underperforming). La coesistenza, nella stessa economia depressa, di questi due tipi di business, fa nascere opportunità inattese per gli scambi-ombra senza i quali il business potrebbe chiudere i battenti permanentemente. Una pratica diffusa coinvolge due aziende, ad es. Micro (una piccola impresa familiare che deve effettuare una grossa anticipazione fiscale) e Macro (una azienda quotata a responsabilità limitata che deve dimostrare un turnover più alto di quello che ha realmente) Macro concorda di emettere fatture per beni e servizi (non esistenti) resi a Micro, fino a diciamo 20.000 euro. Micro conviene di pagare 24.600 euro nel conto bancario di Macro (il prezzo più il 23% di tassa sul valore aggiunto) in base all'intesa che Macro rimborserà i 20.000 euro a Micro. In questo modo, al costo di 4.600 euro Micro riduce i suoi proventi tassabili di 24.600 euro mentre Macro migliora il suo turnover di una cifra pari a 20.000' euro. Ma ahimè, a causa del controllo sui capitali, Macro non può rimborsare Micro in FE nè può fare un bonifico di 20.000 euro al conto bancario in BE di Micro (per non essere scoperti dalle autorità). Così per chiudere l'accordo, Micro e Macro si rivolgono a un venditore molto liquido. Questo è normalmente il proprietario di una stazione di rifornimento di gas che alla fine di ogni giornata è ben fornito di liquidità e che, per ragioni di sicurezza e al fine di pagare i suoi fornitori di carburante è obbligato a depositare i sui contanti in banca, cambiando FEs di maggior valore in BEs di minore valore. L'accordo reciprocamente conveniente è completato quando macro trasferisce il 20.000 euro in BE al proprietario della stazione di servizio che poi consegna una somma più piccola di FE (cash) al proprietario della Micro, intascando la differenza. Il fatto che questo accordo informale benefici tutte le parti evidenzia la terribile inefficienza dell'attuale politica fiscale (cioè tasse punitive del business); evidenzia inoltre come il controllo dei capitali possa ingigantire tale inefficienza. Lo stato raccoglie da Micro IVA aggiuntiva (perdendo la tassa corporate che Micro comunque non può pagare); Macro gode dei benefici di un turnover apparentemente più alto; e il proprietario della stazione di servizio riduce le sue perdite convertendo FE in BE. L'altra faccia è che l'attività economica è sovrastimata e, cosa più importante, che la riforma diventa anche più difficile dal momento che gli imprenditori interiorizzano la necessità di trovare nuove strade creative di elusione delle regole. Il solo obiettivo del controllo dei capitali imposto alla Grecia l'estate scorsa, è stato quello di costringere il governo ribelle del paese a capitolare alla fallimentari politiche dell'eurozona. Ma una conseguenza non prevista è stata la formalizzazione di due monete parallele (euro-denominate). Combinato con la tassazione punitiva causata dal rifiuto dell'Europa di riconoscere l'insostenibilità del debito pubblico greco, il regime monetario duale produce incentivi non previsti per le transazioni informali in un paese che ha una disperata necessità di sconfiggere l'informalità. La realtà delle due valute greche è la più vivida dimostrazione della frammentazione dell'unione monetaria europea. A confronto, l'Arizona non è mai apparsa così bene. Social Europe Journal 30 novembre 2015 Ronald Janssen: “Lost in contraddiction: il Fondo Monetario Internazionale e il dumping salariale competitivo nell'eurozona” Una nota di discussione dello staff recentemente pubblicata dal FMI affronta l'argomento che la stretta salariale in parte dell'eurozona è pericolosa e deflattiva poichè non migliorerà la posizione competitiva relativa di nessuno mentre taglierà la domanda interna ovunque. Poichè il FMI è stato sempre un convinto sostenitore dell'esperimento in corso nell'eurozona, di sostituzione della svalutazione monetaria con quella salariale, vale la pena dare un'occhiata più da vicino al suo lavoro. Il FMI basa la sua scoperta su una simulazione per la quale la crescita salariale nominale di un gruppo di 5 paesi che rappresentano un peso economico pari al 30% dell'eurozona (Grecia, Italia, Spagna, Portogallo e Irlanda) si è ridotta del 2% negli ultimi 2 anni. Cosa importante, tale simulazione è portata avanti in base all'assunto che la BCE ha le mani legate per quanto riguarda il taglio degli interessi perchè questi sono già vicini a zero. E anche in base all'assunto che la crescita retributiva più bassa è stata pienamente trasmessa ai prezzi nazionali, il che implica assenza di tagli alle retribuzioni reali. Il FMI non sottolinea gli effetti negativi e i pericoli di una svalutazione retributiva operata su base comune. L'impatto della moderazione salariale (2%) in tutti e 5 i paesi colpiti dalla crisi sul livello complessivo dell'attività economica dell'eurozona è negativo. Il PIL dell'area è dello 0.5% inferiore al livello che altrimenti ci sarebbe stato. Intanto l'inflazione è spinta verso il basso di un ulteriore punto percentuale. L'ultimo numero rappresenta la differenza tra la bassa inflazione e la completa deflazione. ...........ma il quantitative easing può sistemare le cose Il FMI tuttavia non si arrende facilmente e tenta di salvare il suo tradizionale messaggio politico per il quale, anche se è intrapreso da più stati membri nello stesso momento, il dumping salariale resta ancora una cosa buona. Per farlo, il FMI invoca la politica alternativa di QE . Se non è possibile per la politica monetaria tagliare i tassi di interesse a breve, allora la BCE dovrebbe riconcentrare la sua macchina stampa-denaro nell'acquisto di bonds a più lungo termine, in modo che i tassi di interesse di lungo termine possano essere ulteriormente abbassati. Il paper del FMI procede poi a fare una ulteriore simulazione per la quale la politica di QE della BCE abbassa i tassi di interesse a lungo termine di 50 punti base. Il FMI dimostra come cambiano i risultati. Nello scenario che combina la moderazione salariale del 2% delle quattro economie in crisi con il QE della BCE, il risultato economico complessivo dell'eurozona aumenterebbe lievemente (circa dello 0.5% del PIL), mentre l'inflazione nel medio periodo non calerebbe. In termini di composizione regionale il resto dell'eurozona (al di fuori dei 5 paesi) starebbe ancora perdendo attività economica (-0.4% del PIL) mentre i 5 paesi colpiti dalla crisi guadagnerebbero significativamente aumentando il PIL del 2%. Quest'ultima cifra permette al FMI di rimanere fermo sulla visione che, dato che la BCE continuerà con il QE, strizzare le paghe resta ancora il modo giusto per uscire dalla crisi per le economie oppresse dal debito dell'eurozona. Se questo poi determina un lieve arretramento nelle altre economie dell'eurozona (che tuttavia stanno andando abbastanza bene!), pazienza. Il Quantitative Easing non è la pallottola magica che il FMI pretende sia. Il QE è fondamentalmente una politica in cui la BCE pompa il denaro che sta stampando nella economia attraverso massicci acquisti di assets finanziari come i bonds sovrani e anche i bonds privati e, in qualche caso, anche capitale. La speranza, fondamentalmente, è che questo extra (e spesso enorme!) volume di denaro sarà usato, in un modo o nell'altro, da famiglie e aziende per consumare o investire. Tuttavia, che l'operazione stampa denaro riesca a riaccendere la domanda aggregata dipende da quello che in realtà fanno coloro che possiedono gli assets finanziari con il nuovo denaro che ricevano in cambio. Le banche, per esempio, possono trovare piuttosto difficile prestare questo denaro extra se le famiglie e le aziende sono già altamente indebitate e perciò riluttanti a prendere nuovi prestiti. E mentre le famiglie ricche (che possiedono il grosso degli assets finanziari) guadagneranno molto più valore vendendo il loro portafoglio di bonds e assets a un prezzo più alto di quello che lo avevano originariamente pagato, ci sono scarse possibilità che questa liquidità sia realmente spesa in beni e servizi poichè la propensione al consumo del 1% fino al 10% delle famiglie più ricche è molto più bassa di quella media. Il FMI è certo consapevole delle difficoltà che ci sono nel trasmettere il denaro aggiuntivo iniettato nella nuova domanda usando i mercati degli assets. Tuttavia nasconde questa consapevolezza in una nota a margine (numero 28). Vale la pena riconoscere anche che non è neppure chiara la prova dell'effetto delle politiche non convenzionali sul risultato economico. Chung e altri (2012) concludono che gli acquisti di assets da parte della Federal Reserve....non hanno evitato che il vincolo dei zero lower bonds non abbia avuto effetti avversi di prim'ordine sulla attività reale e sull'inflazione. C'è tuttavia un modo per assicurare che il denaro stampato dalla banca centrale finisca effettivamente in più domanda aggregata. Se il nuovo denaro che la BCE stampa è usato per finanziare direttamente un aumento dei deficits pubblici e della spesa pubblica, preferibilmente in investimenti pubblici, allora l'impatto sulla domanda aggregata è pienamente assicurato. Purtroppo questa strada è fermamente preclusa nell'eurozona. Il primo problema è che alla BCE è esplicitamente proibito dal trattato europeo di finanziare direttamente i deficits pubblici. Questo obbligo giuridico potrebbe forse essere aggirato dalla BCE se acquistasse immediatamente da un intermediario finanziario sul mercato secondario bonds sovrani di nuova emissione. In questo caso, tuttavia, tutte le regole fiscali messe in atto dall'Europa, dal Patto di Stabilità al Fiscal Compact entrerebbero in funzione e trasformerebbero l'azione della BCE in un progetto destinato al fallimento. La struttura fiscale europea si è sempre basata sul taglio del deficit e mai sulla iniezione di domanda aggregata determinata da un aumento della spesa in deficit. La simulazione del FMI resta silente su: un rilancio congiunto delle retribuzioni migliorerebbe la crescita e ripristinerebbe la stabilità dei prezzi. Infine, il paper del FMI continua a promuovere una politica salariale deflattiva in larga parte dell'eurozona. Dato che l'economia dell'eurozona stessa è già molto vicina all'orlo della deflazione e dati i problemi relativi all'attuazione di politiche non convenzionali come il QE, il FMI prescrive dunque una politica che sa non avrà alcuna possibilità di successo. Qual'è l'alternativa? Qui, il FMI stesso (probabilmente inconsapevolmente) offre indirettamente la prova che contraddice il suo consiglio politico sulla moderazione salariale deflattiva. Infatti un altro scenario esplorato nel paper del FMI è quello che accade nei 5 paesi in crisi quando la moderazione salariale del 2% non è limitata ad essi ma è applicata all'intera eurozona e questo, di nuovo, nel quadro attuale di tassi di interesse che già sono a zero. Emerge che il risultato è devastante. I cinque paesi in crisi vedrebbero una riduzione dell'1% del PIL e, con l'inflazione in riduzione del 2%, sarebbero intrappolati nella deflazione. La ragione è ancora il bound zero lower. Se il passo dell'inflazione scende mentre i tassi di interesse nominali restano allo stesso livello, allora i tassi di interesse reali aumentano e scendono (in modo durevole) le domanda e l'investimento. Questo scenario dà un chiaro accenno su cosa avverrebbe se, come sta chiedendo la CES, le retribuzioni fossero aumentate in modo concertato tra tutti i paesi dell'eurozona. In questo caso, nessuno stato membro perderebbe competitività relativamente a un altro perchè tutti aumenterebbero le retribuzioni. Inoltre, con l'inflazione ben al di sotto dell'obiettivo di stabilità dei prezzi della BCE, questa non ha alcuna ragione di premere il grilletto sui tassi di interesse per ripristinare l'inflazione, soffocando di nuovo la crescita e disciplinando le retribuzioni. Tuttavia, se l'inflazione sale e la BCE non aumenta i tassi di interesse nominali, allora i tassi reali scendono e la domanda aggregata cresce. In altre parole, le forze in funzione sono esattamente l'inverso dello scenario del FMI sotto il quale tutti i membri dell'eurozona moderano le loro politiche salariale. Si possono pertanto prevedere risultati inversi ai risultati descritti nel paper. Il risultato economico nei paesi in crisi non diminuirebbe ma crescerebbe dell'1%. E l'inflazione sarebbe sollevata da (sotto) zero a un tasso vicino all'obiettivo di stabilità dei prezzi della BCE. La domanda pertanto è perchè il FMI, invece di inventare tutti gli argomenti, possibili e impossibili al fine di continuare con il pericoloso esperimento della svalutazione salariale, non esplora ulteriormente l'ipotesi positiva di ricostruire istituzioni e dinamiche salariali in tutta l'eurozona? Che sia una questione di cecità ideologica? Social Europe Journal 11 gennaio 2016 Marcello Minenna: “Come il crollo del prezzo del petrolio sta rovinando l'effetto del Q.E. di Mario Draghi” Il 2015 sarà ricordato come l'anno in cui il crollo del prezzo del petrolio non ha determinato una veloce riduzione della sua produzione. A prima vista,questo sembra un fenomeno molto strano. Sebbene la riduzione del prezzo è stata enorme (-75% in 18 mesi) non è stata la più veloce: nel 2008, con il crollo della Lehman Brothers, il prezzo è crollato dal livello stellare di $147 a $35 in solo 6 mesi. Tuttavia, in quel caso, per via della recessione globale, con la produzione in rapido calo di quasi 1 milione di barili, i prezzi sono stati aiutati a riprendersii in pochi mesi. Ora invece, la produzione sta mostrando una buona crescita: nel 2015 il mondo ha estratto 95 milioni di barili contro i 93 del 2014. Il mercato è allagato di petrolio. Centinaia di gigantesche petroliere sono parcheggiate a carico pieno di fronte ai principali hubs della distribuzione: i paesi esportatori stanno aspettando un rimbalzo del prezzo e preferiscono pagare i prezzi di trasporto piuttosto che svendere il petrolio. Apparentemente, questo bizzarro scenario rimuove le preoccupazioni razionali sull'inadeguata risposta della produzione di petrolio in coerenza con gli aumenti del prezzo del petrolio così come verificatosi nel decennio precedente. Questo fenomeno di apparente isteresi della crescita della produzione del petrolio può essere spiegata solo comprendendo lo straordinario mix di coincidenze che lo rende possibile. La crescita dello shale oil US è la prima causa, poiché ha completamente riformato il mercato e ha aggiunto 5 miliardi di barili all'offerta globale. Nel 2010-2014, i prezzi sopra i $100 hanno stimolato investimenti enormi nelle riserve di petrolio di difficile estrazione: queste riserve erano note fin dagli anni '50 ma sostanzialmente ignorate a causa della difficoltà di produrre con profitto. I fondi di investimento US, alimentati da una liquidità a costo zero iniettata dalla FED nel sistema finanziario e affamati di rendimenti in un ambiente di interessi bassi, avevano sostenuto indiscriminatamente questi tentativi. Anche lo scenario geopolitico ha giocato un ruolo centrale: l'OPEC ha cessato quasi di esistere sotto gli interessi centrifughi dei principali paesi produttori che sono concentrati soprattutto sul mantenimento della loro quota di mercato. L'Arabia Saudita, isterico leader della produzione di petrolio, ha incoraggiato attivamente una strategia di dumping sui prezzi, con l'intento dichiarato di spingere fuori dal mercato i produttori US. Pur se razionale, questa strategia non ha ancora portato il risultato desiderato: i fondi speculativi garantiscono ai trivellatori US un flusso costante di denaro a basso costo, anche se la maggior parte dell'industria dello shale oil ha operato in perdita - di sicuro l'anno scorso. E' possibile che l'imminente ciclo di stretta sui tassi di interesse US si dimostri un passo decisivo verso l'abbandono dell'esperimento dello shale oil. Infatti gli hedge e i mutual funds esposti sul settore del petrolio stanno avendo una grossa crisi che potrebbe fermare i richiesti flussi di finanziamento verso le imprese di trivellazione in difficoltà. Ma nulla può essere dato per garantito. Tutto quello di cui abbiamo bisogno è l'inflazione! Quello che è certo è che il prezzo del petrolio ha acceso un'ondata di deflazione in tutti i paesi sviluppati. Non è sorprendente che l'eurozona sia stata colpita più severamente di altri. Già alle prese con un lungo credit crunch, le grandi e le piccole imprese europee hanno visto la loro quota di profitti in costante riduzione durante il processo di disinflazione. A novembre 2015, l'inflazione dell'eurozona è affondata in territorio negativo e appare già chiaro che i dati di dicembre non varieranno significativamente, tenendo conto di un'altra contrazione del 10% del prezzo del petrolio. Questa deflazione ha pertanto sabotato le strategie di espansione monetaria intraprese dalle banche centrali, desiderose di usare l'inflazione per alleggerire gli enormi debiti pubblici dei paesi dell'OCSE. Ovviamente questo non è un obiettivo "corretto" nei circoli ufficiali, ma è visto con benevolenza il fatto che diverse agenzie pubbliche responsabili del debito pubblico nei paesi dell'eurozona accoglierebbero con calore tassi di inflazione più alti per tenere sotto controllo i bisogni finanziari. Anche qui, è in funzione un feedback perverso. Come intuitivamente si comprende, la contrazione dei costi energetici ha aiutato la ripresa dei consumi privati e la produzione industriale sia nei paesi periferici che in quelli core (i consumi delle famiglie tedesche sono aumentati fortemente di +0.6% nel terzo trimestre del 2015), ma non abbastanza per creare pressione sui prezzi. Di converso, la riduzione del prezzo del petrolio e di altre materie prime (ferro, argento, rame) ha compresso le aspettative di inflazione di lungo periodo. In altri termini, il settore finanziario sta basando i suoi scambi e le strategie di copertura sulla previsione del persistere della stagnazione del livello dei prezzi. In un simile scenario, le misure della BCE possono fare molto poco. In parole semplici, la BCE e le sue sorelle gemelle dell'OCSE possono prestare denaro alle banche a interesse zero, con l'intento di stimolare la crescita dei prestiti all'economia reale. Tuttavia le banche non hanno incentivi a investire fuori dei mercati finanziari poichè, con la deflazione, la profittabilità delle imprese è bassa. E questo non è sorprendente: con i prezzi che scivolano, è difficile fare profitti. Inoltre il rischio sottostante l'investimento nell'economia reale resta alto e gli standards regolatori globali impongono il duro requisito di aumentare le riserve per i crediti in sofferenza. Di conseguenza, per una banca è più semplice comprare titolo di stato che prestare: non solo con il suo QE la BCE è già pronta a comprarli, ma i regolatori EU sono più rilassati sui titoli pubblici e non richiedono di accantonare riserve di liquidità. Il risultato finale è semplice: la liquidità addizionale resta intrappolata nel sistema finanziario, il credito non riesce a riprendersi e l'inflazione resta a un punto morto. Dopo la recente decisione della BCE del 3 dicembre 2015, i mercati hanno punito il QE di Draghi considerandolo "non abbastanza" per contrastare la deflazione. In realtà, anche se le aspettative dei mercati fossero pienamente corrisposte, è altamente improbabile che la BCE otterrebbe poco di più degli (scarsi) risultati attuali. Piaccia o no, è quell'oro nero che detta il passo dell'inflazione. Social Europe Journal 30 novembre 2015 Robert Reich: “Perchè la sharing economy sta nuocendo ai lavoratori - e cosa si deve fare” In questa stagione è particolarmente utile riconoscere quanti americani non hanno un lavoro stabile. La cosiddetta "share economy" include contractors indipendenti, i lavoratori temporanei e i lavoratori autonomi, i part-timers e i free lancers e free agents. Si stima che tra 5 anni più del 40% della forza lavoro americana starà in tali forme di lavoro incerte; in un decennio ci starà la maggior parte degli americani. Già due terzi dei lavoratori americani vivono di busta paga in busta paga. Questo trend sta spostando tutti i rischi economici sui lavoratori. Una contrazione della domanda o un improvviso cambiamento dei bisogni dei consumatori o un infortunio o una malattia personale, possono rendere impossibile pagare i conti. Elimina le protezioni del lavoro come il minimum wage, la sicurezza sul lavoro, il congedo familiare o medico e il lavoro straordinario. E mette fine alla assicurazione finanziata dal datore di lavoro - la social security, il risarcimento dei lavoratori, i trattamenti di disoccupazione e l'assicurazione sanitaria garantita dal datore di lavoro in base all'Affordable Care Act. Nessuno stupore, se in base ai sondaggi quasi un quarto dei lavoratori americani è preoccupato che in futuro non guadagnerà a sufficienza. Una percentuale molto più alta rispetto al 15% di dieci anni fa. Tale incertezza può creare grandi difficoltà anche alle famiglie. Secondo una nuova ricerca, è probabile che i figli di genitori che lavorano in orari imprevedibili e fuori delle ore lavorative quotidiane standard avranno minori skills di conoscenza e più problemi comportamentali. Che fare? I tribunali sono sommersi di cause di lavoro sull'errore di classificazione dei dipendenti come "indipendent contractors", determinando una profusione di criteri e di definizioni. Dovremmo invece puntare alla semplicità: chiunque paghi più della metà del reddito di una persona o gli fornisca più della metà delle ore lavorative dovrebbe essere responsabile di tutte le protezioni e della assicurazioni cui un lavoratore abbia titolo. In più, per ripristinare qualche certezza nelle vite delle persone, dobbiamo spostarci dalla assicurazione sulla disoccupazione verso l'assicurazione di un reddito. Diciamo, per esempio, che se il tuo reddito mensile è del 50% inferiore al reddito medio mensile che hai ricevuto da tutti i tuoi lavori nei precedenti 5 anni,con l'assicurazione sul reddito, riceverai automaticamente metà della differenza per il periodo di un anno. E' possibile avere un'economia flessibile e provvedere anche ai lavoratori qualche livello minimo di sicurezza. Una società decente non richiede niente di meno. Social Europe Journal 25 novembre 2015 Philippe Pochet*: “Una persona, una macchina? La piattaforma economica della rivoluzione digitale” *Philippe Pochet, direttore generale dell'ETUI - l'istituto di ricerca della CES Prima della "rivoluzione digitale" le cose erano abbastanza semplici. Un taxi equivaleva a una macchina più un autista. Questo autista poteva essere un lavoratore autonomo oppure dipendente da una società di taxi - o altrimenti il membro di una cooperativa. Pagava le tasse e i contributi sociali. Il taxi driving era un'occupazione, generalmente a full time e a lungo termine (eccetto nei casi di secondo lavoro). La sola relativamente marginale - alternativa era l'autostop.. La rivoluzione digitale - per essere più precisi l'emergere delle piattaforme digitali - ha fondamentalmente alterato questa semplice equazione. Oggi "persona+auto" può essere la somma di almeno quattro diverse combinazioni, la prima delle quali è quella sopra descritta, sebbene arricchita di qualche miglioramento tecnologico (applicazioni mobile, GSP ecc). La seconda combinazione è quella di un lavoro part-time portato avanti per qualche ora al giorno o a settimana, generalmente congiuntamente a qualche altro status o attività (studente, disoccupato, occupato, o lavoratore autonomo, pensionato o anche autista di taxi). Questa combinazione si applica a Uber e ad altri agenti simili su cui abbiamo sentito parlare di meno, come il nuovo Flex service lanciato da Amazon che trasforma ciascuno di noi in un potenziale "ragazzo delle consegne" pagato a cottimo. Quale è lo status di questi lavoratori? Non è chiaro - come dimostrano in particolare i recenti tentativi dei lavoratori di Uber di ottenere lo status di dipendenti. La terza possibilità è ridurre i propri costi di trasporto personali - generalmente per i viaggi lunghi - offrendo di condividere la propria auto con le altre persone normali. Questo è il genere di arrangiamento "car-pooling" organizzato dalla piattaforma Blablacar: un servizio a pagamento per la sharing economy. Ma la natura della transazione non è chiara neanche qui: è una sorta di contratto "cost-sharing"? La quarta combinazione, infine, è dare in affitto la propria auto - per una settimana, un week-end quando non la si usa - ad altri utenti. Anche questa combinazione - un modo per realizzare reddito extra che contribuisce al costo per il funzionamento dell'auto - è diventata più facile attraverso le piattaforme digitali. Dovrebbe essere chiamato rental service contract? Diventa perfettamente possibile guadagnarsi da vivere facendo il taxista, aggiungere un pò di extra con Uber, trasportare passeggeri sulla base di una privata condivisone della corsa o affittare la propria auto come servizio. Ma nulla di tutto ciò è lineare. Quali sono le conseguenze fiscali e sulla sicurezza sociale di questi nuovi tipi di transazione? Il caso di Uber, i cui aspetti di sicurezza sociale, tassazione e proft-making sono del tutto poco chiari, ha catturato l'attenzione dei media. Ma le stesse domande sorgono per Blablacar; una indagine ha dimostrato che senza di essa, i passeggeri avrebbero guidato la propria auto o preso il treno. Indirettamente, questo solleva la questione dell'investimento pubblico nel trasporto collettivo; se si riduce il costo dell'uso dell'auto, sono colpiti i prezzi relativi. Analogamente, il proprietario dell'auto che affitta il suo veicolo non paga né contributi sociali né tasse sul tempo richiesto per lavare l'auto e prepararla, per firmare il contratto e così via, laddove nelle aziende private di affitto delle auto i lavoratori pagati per svolgere tali compiti pagano le tasse e i contributi sociali dai loro guadagni. La rivoluzione digitale ci porta verso situazioni senza precedente applicabili a categorie di persone e lavoratori sui quali sappiamo abbastanza poco. Chi sono gli autisti Uber? Chi sono le persone che affittano le loro auto o offrano passaggi a passeggeri paganti? Questa diversificazione del binomio "one person-one car" riflette uno sviluppo che sta emergendo anche in altre aree dove quello che era questione di uso privato part time di un bene costoso (una macchina, un appartamento, strumenti...) è diventata per il proprietario l'affitto di un asset per un range di usi e attività che generano reddito. Nascono perciò molte domande su questi cambiamenti: domande su persona/lavoratore, cui abbiamo alluso, ma anche su piattaforma/datore di lavoro, sulla localizzazione dei profitti (e delle tasse), su monopolio e competizione, sul finanziamento dei modelli locale o sociale, sullo sviluppo regionale, sulle responsabilità individuali e collettive. Questi cambiamenti ci chiamano a una riflessione complessiva a livello europeo. New York Times 2 dicembre 2015 Oliver Gedeon*: “Il dubbio budget del carbone” *Oliver Gedeon, capo della divisione E.U. al German Institute for international and security affairs Negli ultimi anni, il concetto di un budget globale del carbone si è imposto come elemento chiave nel dibattito politico sul cambiamento climatico. Il budget definisce l'ammontare totale dell'anidrite carbonica che possiamo emettere nell'atmosfera per mantenere il riscaldamento sotto i 2°, come definito dall'ONU. Il concetto di budget è abbastanza semplice: se la somma totale delle restanti emissioni è definita esplicitamente, allora avremo una road map per l'azione politica ed economica. Per rispettare il budget, l'International Panel on Climate Change (IPCC) stima che entro il 2050, dovremo ridurre le emissioni serra globali tra il 40 e il 70% circa rispetto ai livelli del 2010. Ciò fatto, le emissioni dovrebbero ridursi a zero entro la fine del secolo. Ma quando i delegati si sono incontrati a Parigi questa settimana per quello che si prevede sia il summit più decisivo dell'ONU sul clima, eravamo già in pericolo di bruciare il budget. Se i piani sottoposti da più di 180 governi vengono realizzati, l'umanità avrà consumato tutto il suo carbone al più tardi nel 2040. Dunque, non sembra più realistico restare al budget delineato dell'IPCC. Allora che fare? E' qui che entrano in gioco il pensiero magico, la contabilità discutibile e le aspettative dubbie sulle future tecnologie. Si chiamano emissioni negative. Le emissioni negative sono il rovescio della medaglia delle emissioni. L'idea è sviluppare una tecnologia che rimuova l'anidride carbonica direttamente dall'atmosfera. Questo permetterebbe emissioni di combustibili fossili molto più alte nei prossimi decenni. Per compensare, dovremmo cominciare a rimuovere dall'atmosfera quantità di anidride carbonica sempre maggiori per arrivare alla fine alle emissioni zero dell'IPCC entro il 2070 e andare anche oltre. Risolto il problema climatico - almeno secondo i modelli del clima. Ma in questo scenario c'è un problema. Il Programma ambientale dello stesso ONU lo ha messo in evidenza in un report lo scorso anno:"teoricamente l'assorbimento del carbone o le emissioni negative potrebbero essere realizzati attraverso una estesa riforestazione e crescita delle foreste o attraverso schemi che combinino l'uso della bioenergia con la cattura e l'immagazzinaggio del carbone. Ma la fattibilità su larga scale di questi schemi è ancora incerta. Anche se sembrano fattibili su piccola scala, resta la domanda fino a che grado possono essere attuati senza avere conseguenze inaccettabili sul piano sociale, economico e ambientale" Gli scienziati del clima e gli economisti stanno scommettendo su una nuova tecnologia chiamata Bioenergia con la cattura e l'immagazzinamento del carbone (Beccs). Questa tecnologia coinvolge la coltivazione di vegetali a crescita rapida, per assorbire l'anidride carbonica dall'atmosfera. Gli alberi o le culture energetiche sarebbero poi bruciati in impianti energetici e le emissioni sarebbero catturate e pompate sotto terra. Beccs potrebbe anche essere collegato ai processi industriali, coinvolgendo biomasse, come cartiere o impianti di etanolo. Ma al momento, la tecnologia Beccs non esiste in scala. Per ottenere le emissioni negative che sono una componente essenziale dei modelli IPCC, dovremmo piantare circa 500 milioni di ettari di culture per biomasse. Questo richiederebbe anche enormi capacità di trasporto e immagazzinamento dall'anidride carbonica estratta dall'atmosfera. Questa vasta impresa è tradotta nei calcoli dei ricercatori sul clima, dei gruppi ambientalisti e dei policy makers quando sostengono che l'obiettivo di 3.6 gradi può ancora essere raggiunto. Includere le emissioni negative in questi modelli ha un vantaggio decisivo: permette agli economisti del clima di aumentare significativamente i carbon budgets calcolati dagli scienziati del clima. Entrambi basano i loro calcoli sulla stessa quantità di emissioni. Ma poiché i budgets degli economisti comprendono anche le emissioni negative, essi permettono emissioni fossili significativamente più alte nei prossimi decenni, mettendo in tal modo il mondo in debito di carbone. Questi debiti di carbone accumulati dal superamento dei budgets originari saranno ripagati nella seconda metà del secolo. Questa è almeno la speranza. Il pubblico ha preso poca nota di queste considerazioni e anche i policy makers sono spesso inconsapevoli della quantità di emissioni negative che gli economisti del clima assumono per il futuro. I modelli IPCC prevedono emissioni negative di circa 600 gigatoni di anidride carbonica entro il 2010, il che equivale a più di dieci anni delle attuali emissioni. Questa è la quantità di anidride carbonica che dovremo rimuovere dall'atmosfera. Dobbiamo essere onesti. Questo approccio poggia su qualche calcolo dubbio e assume l'esistenza di tecnologie i cui rischi non sono stati adeguatamente studiati, o discussi pubblicamente. Bisogna ammettere che non tutte le tecnologie che si potrebbero usare per rimuovere l'anidride carbonica dall'atmosfera richiederebbero enormi aree di terra o capacità di immagazzinamento del carbone. Ma questo non significa che i metodi alternativi, come la cattura diretta o la calcinazione degli oceani dovrebbero affrontare una minore opposizione dell'opinione pubblica. Abbiamo bisogno di discutere seriamente gli effetti delle tecnologie disegnate per rimuovere il carbone dall'atmosfera e per avere tale discussione non solo tra gli scienziati ma anche a livello politico. Poiché proprio ora rischiamo di ripetere lo stesso errore che ci ha portato alla crisi finanziaria: poggiare su modelli economici completamente distaccati da quello che avviene nel mondo reale. New York Times 8-10 gennaio 2016 “Nella terra della pizza, una battaglia sulle emissioni di anidrite carbonica” Se c'è un'etichetta con la quale non vuole essere conosciuto Antonio Falcone, un dottore diventato sindaco, è quella di "sindaco anti-pizza". Ma così è diventato famoso quando, sindaco di una piccola città dell'hinterland napoletano, alla fine di dicembre ha emesso un'ordinanza che bandiva l'uso dei forni a legna non provvisti di filtri per ridurre l'inquinamento atmosferico. Il divieto colpisce le case con i camini così come i fornai, i ristoranti e -cosa più controversa- le pizzerie con forno a legna, la gloria gastronomica di un'area conosciuta come il luogo di nascita di una delle esportazioni italiane più rinomate. Garantita l'indignazione. "Siamo stati paragonati alla Cina" si è lamentato Pasquale Tufano, del ristorante La Vigna, indispettito dal fatto che la mezza dozzina di pizzerie della città siano state equiparate a un paese, la cui capitale, Pechino ha decretato il suo primo allarme rosso il mese scorso. Il sindaco è stato attaccato sui social media. Ci sono state proteste pubbliche e richieste di sue dimissioni. "Sono diventato un sindaco anti-pizza" ha detto Falcone, aggiungendo di avere agito solo negli interessi di San Vitaliano. "Sono responsabile per la salute dei cittadini di questa città. Dovevamo partire da qualche parte". Nei fatti, Falcone è stato uno delle dozzine di sindaci italiani che il mese scorso hanno adottato misure di emergenza dopo che una prolungata siccità ha ripetutamente spinto l'inquinamento dell'aria oltre i limiti legali. Roma, che sta cercando di ridurre le emissioni delle auto per aiutare a ripulire l'aria, ha fatto ricorso alla circolazione a targhe alterne. Milano ha vietato il traffico per tre giorno consecutivi con scarsi risultati. Milano ed altre città hanno anche vietato i fuochi di artificio la notte di fine anno. L'Italia è uno dei paesi peggiori in Europa per qualità dell'aria. Ha un nord pesantemente industrializzato, fornaci private mantenute male, crescente congestione di traffico, diffuso utilizzo del diesel e anni di ridotta spesa per investimenti infrastrutturali sul trasporto su rotaia e sul trasporto pubblico, dicono gli ambientalisti. Anche la geografia sfavorisce l'Italia, con le sue montagne e le valli che impediscono la necessaria circolazione dell'aria. Uno studio governativo del 2015 ha scoperto che 30.000 italiani muoiono ogni anno a causa dell'inquinamento atmosferico. Con i livelli di inquinamento cresciuti quest'inverno, e le municipalità che hanno imposto divieti sulle fonti inquinanti, il ministero dell'ambiente ha tenuto un incontro di emergenza a Roma con i rappresentanti delle regioni e dei comuni italiani. Il gruppo ha proposto di ridurre le temperature nelle case e negli uffici, di ridurre i limiti di velocità nelle città, di rottamare le vecchie auto, di incoraggiare il trasporto pubblico e di limitare l'uso dei camini. Ma nessuna delle misure è legalmente vincolante e in mancanza di un approccio nazionale integrato alla lotta all'inquinamento - l'Italia ne è priva - la responsabilità ricade interamente sui sindaci come Falcone. L'ordinanza locale pone un termine al 29 febbraio perché le pizzerie e le altre aziende si provvedano di filtri adeguati. A partire dal 1 marzo, gli ispettori cominceranno a fare i loro giri. "Stiamo dando tempo per prepararsi. E' una questione di civiltà" ha detto Tulliano Caprino che dirige l'ufficio tecnico della città. Che vengano gli ispettori dice Giovanni Arricchiello del ristorante Il Cavallino nel centro commerciale ai bordi di san Vitaliano. Come gli altri pizzaioli ha già i filtri al suo forno così l'ordinanza non dovrebbe riguardarli. "Non puoi ottenere una licenza senza di essi" ha detto a proposito dei filtri, mostrando una cartellina che contiene la foto del suo ad ala tecnologia e i risultati dell'annuale manutenzione del ristorante. La maggioranza delle pizzerie di san Vitaliano hanno filtri appropriati. A parte i forni a legna per la pizza, Falcone ha detto che la cause principali dell'inquinamento di S. Vitaliano restano un mistero. Il traffico può essere intenso ma la città, con circa 15.000 abitanti a nord est di Napoli è piuttosto piccola, ha detto, e non ci sono grandi industrie. Ma la città confina con uno snodo autostradale ed è parte dell'area napoletana, densamente popolata, in una regione conosciuta per l'incenerimento di rifiuti tossici ad opera della criminalità organizzata. Vincenzo Russo, il membro del consiglio comunale responsabile per l'ambiente ha suggerito che il colpevole potrebbe essere il pellet poco costoso, trattato chimicamente, usato nei forni e nelle caldaie. I leaders di S. Vitaliano, ha detto, hanno anche cominciato, insieme alla vicina Università Federico II di Napoli, uno studio per verificare - tra le altre cause possibili - quale impatto possa avere avuto sul vicinato l'impianto di incenerimento di Acerra, una città a meno di 12 miglia di distanza. "Ma il messaggio che è passato è quello del sindaco anti-pizza." ha detto Russo. Quando Falcone ha organizzato un incontro con i rappresentanti delle città vicine per discutere del tema dell'inquinamento, hanno partecipato solo due esponenti di medio livello, ha detto. I residenti dicono di essere stati i soli ad essere messi in evidenza e sono stati punti solo perché S. Vitaliano è la sola città nell'area ad avere un monitor per la qualità dell'aria che è entrato in attività l'anno scorso. "L'inquinamento è un problema reale per tutta l'area, ma solo noi abbiamo un monitor e così siamo finiti sotto il fuoco incrociato" ha detto Tufano, la cui pizzeria, La Vigna, è attrezzata coi filtri. Ha detto di avere speso buona parte delle ultime due settimane a rassicurare i clienti che la sua pizzeria non era stata fermata. " Ho dovuto spiegare di avere tutte le carte in ordine" ha detto "Se non altro, ha detto loro di non accendere i loro camini". La pioggia caduta in tutta Italia all'inizio dell'anno, ha ridotto l'inquinamento e potrebbe, come in passato, avere aiutato a eliminare il problema. "Siamo i primi a cui piace la pizza, ma la questione è più grande. E' in gioco un disastro antropologico" ha detto Falcone, a difesa della sua ordinanza. "la cosa importante è rendere consapevoli e attente le persone". Ma alcuni esperti e ambientalisti, pur se sostenitori delle misure proposte dal governo italiano, restano scettiche sui risultati che si possono ottenere senza uno sforzo coordinato a livello nazionale."Dobbiamo decarbonizzare la nostra società, investire in una vera economia verde" ha detto Nicola Pirrone, direttore dell'Istituto per la ricerca sull'inquinamento atmosferico del CNR italiano. Non abbiamo ancora una visione strategica di lungo termine". I pizzaioli irridono, anche in considerazione del fatto piuttosto ovvio che l'aria inquinata si muove, e si sono lamentati che l'ordinanza avrebbe prodotto poco di buono se applicata solo a S. Vitaliano, a mala pena un blip nell'area della grande Napoli. "Che stanno facendo gli altri sindaci? Si comportano come se nulla stesse accadendo" ha detto Antonio Mercadante un fornaio che ha detto che il suo forno è accettabile. Egli ha capito perché il sindaco ha emesso l'ordinanza, ma se le altre città non prendono le loro misure, è sol"una barzelletta". Social Europe Journal 5 gennaio 2016 “Olanda come paradiso fiscale” Dal primo gennaio, i Paesi Bassi avranno la Presidenza dell'Unione europea. Questa è una buona occasione per puntare i riflettori su un una spesso misconosciuta caratteristica di questo paese: l'Olanda è uno dei più grandi paradisi fiscali in Europa, anzi nel mondo. Mentre ministro delle finanze Jeroen Dijsselbloem - capo dell'Eurogruppo - denuncia a più riprese la "non volontà" della Grecia di riformare il proprio sistema fiscale, la compagnia mineraria canadese Gold Eldorado si può permettere di non pagare le tasse in Grecia utilizzando le leggi del paese dello stesso Dijsselbloem. I Paesi Bassi hanno criticato aspramente le banche cipriote nel 2013 accusandole di riciclaggio di denaro (russo), ma gli oligarchi sono stati invitati nel 2013 e 2014 presso l'ambasciata olandese in Ucraina per un seminario tenuto da studi legali privati olandesi su come evadere le tasse attraverso i Paesi Bassi. Recentemente la Commissione europea ha deciso che le speciali agevolazioni fiscali olandesi per Starbucks sono illegali ai sensi delle norme europee sugli aiuti di Stato. Questi non sono eventi isolati. Un pilastro importante del complesso finanziario-politico olandese è proprio quello di attirare capitali stranieri, con un ricco menu di incentivi fiscali e sussidi. I Paesi Bassi hanno accordi fiscali con molti paesi. In particolare, i diritti per i brevetti non sono tassati. Le aziende pagano per royalties a società di comodo, abbassando artificialmente i loro profitti. Eventuali ricavi sono praticamente non tassati e quando si ritorna alla società madre – non sono tassati nel paese di origine perché sono già stati tassati (anche se ad un tasso pari a zero). Viceversa, i profitti da (formalmente) controllate estere sono tassati al ritorno al quartier generale olandese. E' relativamente facile fondare una società di comodo nei Paesi Bassi. Tutto ciò che serve è una casella postale (I Rolling Stones e gli U2 hanno uffici in Herengracht ad Amsterdam, anche se non sono stati mai visti in quei lidi). Avere una società di comodo in Olanda è anche conveniente in caso di arbitrato regolamentare. Non a caso molte società veicolo di Lehman Brothers possono essere fatte risalire ai Paesi Bassi. Le grandi imprese possono inoltre ricevere sovvenzioni per tutti i tipi di attività che sono (o dovrebbero essere) parte delle attività quotidiane. Il principio è che si debba sovvenzionare l'innovazione, e ci sono inoltre 75 diverse sovvenzioni per le imprese che assumono disoccupati. Le imposte possono inoltre essere ulteriormente ridotte sottraendo i pagamenti dei tassi di interesse (come è prassi in molti paesi). Se c'è ancora qualche tassa da pagare, le imprese (almeno le multinazionali come Starbucks) possono negoziare accordi fiscali speciali con il Ministero delle Finanze. Questi ruling non sono pubblici, e sconosciuti financo ai membri del Parlamento. Questo non ha impedito ad una coalizione storica di socialdemocratici e alla destra radicale PVV di presentare un disegno di legge nel 2013 (passato con l'aiuto della destra del partito liberale VVD), che ha dichiarato che i Paesi Bassi non sono un paradiso fiscale e che ha chiesto al governo a scoraggiare l'uso del termine. Per essere chiari, i Paesi Bassi sono invece proprio un esempio da manuale di cosa sia un paradiso fiscale. Ci sono 12.000 “società casella postale” che fatturano 4 miliardi di euro (un record mondiale). Ottanta delle cento più grandi aziende di tutto il mondo hanno una “società casella postale” olandese; Il 48 per cento delle aziende Fortune 500 ha una società di comodo nei Paesi Bassi. Diciannove delle venti maggiori aziende quotate portoghesi elude le tasse attraverso i Paesi Bassi. La Grecia perde milioni ogni anno attraverso l'evasione fiscale operata attraverso i Paesi Bassi. Nel 2009 il presidente americano Obama ha definito i Paesi Bassi (così come l'Irlanda) un paradiso fiscale. Il FMI è d'accordo, affermando che i Paesi Bassi hanno "una legislazione speciale che offre vantaggi alle multinazionali che utilizzano questo paese come passaggio". Questo è ciò di cui in Europa ci sarebbe bisogno di parlare la prossima volta che un ministro olandese invocherà di ridurre le pensioni greche o di aumentare l'IVA portoghese. New York Times 14 gennaio 2016 Dean Baker*: “Come porre fine alle tasse corporate” *Dean Baker, co-direttore del Center for Economic and Policy Research Quasi tutti i chief executives americani hanno lo stesso sogno: non essere soggetto alla tassa sul reddito delle società. Per molti questo significa lobbying al Congresso per cambiare il codice fiscale Ma per un numero crescente, implica anche trucchi sempre più creativi - e di successo per evitare la loro obbligatorietà. L'ultima mania è la "inversion". Negli ultimi anni un numero crescente di grandi companies americane sono state disposte a essere acquisite da companies più piccole, con il quartier generale convenientemente alla Bahamas o in qualche altro paradiso fiscale. Una company allora deve pagare le tasse solo nel paradiso fiscale; sfugge così alle tasse americane sul reddito corporate. Per esempio, Pfizer, l'azienda farmaceutica, è stata acquisita da un'azienda molto più piccola con il quartier generale nella low-tax Irlanda. Sebbene gli US abbiano una legge fiscale che prevede il prelievo più alto sul reddito corporate nel mondo sviluppato, da decenni cancellazioni e scappatoie erodono gli introiti del governo. Nel 2014, le tasse sul reddito corporate hanno ammontato solo all'1.9% del PIL. Meno del 2.6% medio degli anni '70 anche se i profitti sono vicini ai picchi post bellici come quota del reddito nazionale. IL governo Obama sta cercando un giro di vite sulle inversions ma è una battaglia che perderà. Si troveranno altri trucchi. Il che ci lascia con due strade possibili. Se prendiamo pochi soldi dalle corporations dobbiamo colmare questo deficit con altre fonti di introiti. O possiamo muoverci su un approccio radicalmente nuovo alla tassazione corporate. L'elusione fiscale è un enorme spreco di risorse e di energia. Ci piacerebbe vedere Pfizer concentrata nello sviluppo di medicinali migliori e non su come ridurre i suoi obblighi fiscali. Il settore corporate nel suo insieme dedica un'enorme quantità di denaro e di intelletto nel guioco fiscale,e questo dà un contributo pari a zero all'economia. Molti dei maghi che costruiscono questi schemi diventano molto ricchi rendendo il gioco fiscale un fattore di disuguaglianza di reddito. Per queste ragioni dovremmo studiare strade migliori per estrarre una quota di profitto corporate a fini pubblici. Per fortuna c'è una vecchia idea che potrebbe fare il lavoro. Si supponga che, invece di tassare i profitti corporate, chiedessimo alla companies di girare al governo un certo numero di azioni senza diritto di voto. Sulla percentuale discutiamo dopo (vorremmo pareggiare quello che idealmente dovremmo prendere dalle tasse corporate ora, presumibilmente tra il 17 e il 35%). Ma prima concentriamoci sul principio. Le azioni sarebbero non trasferibili, eccetto nel caso di fusioni e acquisizioni, ma altrimenti sarebbero trattate proprio come tutte le altre azioni. Se la company ha pagato un dividendo agli altri azionisti, allora deve pagare lo stesso dividendo akl governo. Se ricomprasse il 10% delle sue azioni, allora ricomprerebbe anche il 10% delle azioni del governo, allo stesso prezzo. Nel caso di un take over, l'acquirente dovrebbe pagare lo stesso prezzo per azione al governo e agli altri azionisti. In questo modo, non c'è possibilità per la company di sfuggire al suo obbligo. Una porzione di qualsiasi profitto faccia, andrà automaticamente al governo. Si elimina in tal modo anche il costo enorme e lo spreco associato all'ottemperare o all'evitare la tassa sul reddito corporate (ci sarebbero costi di start up e di monitoraggio, naturalmente, ma niente come quello che richiede l'attuale applicazione). E i proventi federali cresceranno perchè le companies avranno incentivi ciò che è più profittevole e non a minimizzare i loro obblighi fiscali. Se avessimo attualmente in atto tale sistema e la Pfizer decidesse di spostarsi in Irlanda, il suo acquirente dovrebbe acquistare le azioni in mano al governo a qualsiasi prezzo avesse pagato le altre azioni della Pfizer. Poiché, presumibilmente, potremmo richiedere che anche le aziende straniere che fanno una parte sostanziale dei loro profitti negli US diano azioni, anche la company irlandese pagherà qui le tasse. Idealmente, sostituire la tassa sul reddito con l'emissione di azioni sarebbe obbligatorio. Ma potrebbe essere fatto anche su basi opzionali. Potremmo dare alle companies la scelta se pagare l'attuale tassa o girare al governo la percentuale di azioni stabilita. Se scegliamo la percentuale giusta,molte companies sceglieranno l'opzione azioni. Questo, tra l'altro, renderà molto più facile per il sistema fiscale interno di concentrarsi sulle aziende che non hanno scelto di fare l'accordo. Con le loro azioni, queste ci hanno detto infatti che possono sfuggire al loro obbligo fiscale. Questa non è di per se una nuova idea:è un popolare "what if" tra gli economisti accademici da anni. Ma nessuno l'ha mai portata alla discussione politica perché, fino a poco fa, il sistema della tassazione corporate funzionava ragionevolmente bene. Non devi essere uno di sinistra per riconoscere che è sempre meno così. Il cambiamento da una tassazione sul reddito corporate alla partecipazione azionaria non sarebbe una buona notizia per l'industria dell'elusione fiscale o per le corporations che guidano l'elusione fiscale. Ma sarebbe un guadagno, enorme per tutti gli altri.