Pensioni, Quando il part-time incide sulla pensione

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Pensioni, Quando il part-time incide sulla pensione
Pensioni, Quando il part-time incide sulla
pensione
di Franco Rossini
Lo svolgimento del lavoro part-time non determina un allungamento dell'età pensionabile anche
se la minore contribuzione incide sulla misura della pensione.
Un anno di lavoro part-time vale quanto un anno di lavoro a tempo pieno ai fini del conseguimento del
diritto alle prestazioni previdenziali. A differenza di quanto si pensa il lavoro part-time, infatti, non
allontana la pensione ma influisce esclusivamente sulla misura della stessa dato che la retribuzione
percepita dal lavoratore sarà inferiore e ciò si riverbererà inevitabilmente sulla rendita pensionistica. In
sostanza per quanto riguarda il raggiungimento del diritto alla pensione le settimane, i mesi e gli anni di
lavoro svolti in part-time (orizzontale o verticale) sono trattati allo stesso modo delle settimane svolte a
tempo pieno: un anno di part-time viene conteggiato come un anno di lavoro svolto a tempo
pieno. Ovviamente a condizione che sia stato rispettato il minimale Inps per il lavoro dipendente (di poco
superiore a 10mila euro nel 2016). Ad esempio se un soggetto lavora 35 anni a tempo pieno ed altri 8 anni
con lavoro part-time l'anzianità contributiva che potrebbe vantare al termine della carriera lavorativa
sarebbe sempre pari a 43 anni. E potrebbe essere utilizzata, ad esempio, per accedere alla pensione
anticipata. Ciò che cambia è la misura della pensione. A tal fine occorre distinguere se la pensione è
determinata con il sistema contributivo o con il sistema retributivo tenendo in considerazione che, per
effetto della Legge Fornero, tutti i lavoratori, anche chi poteva vantare almeno 18 anni di contributi al 31
dicembre 1995, ha una parte dell'assegno calcolato con il sistema contributivo (dal 1° gennaio 2012).
Questo passaggio risulta particolarmente penalizzante dato che l'accantonamento dei contributi dipende
esclusivamente dalla retribuzione del lavoratore e, pertanto, un dimezzamento della retribuzione dovuta al
part-time si tradurrà in un valore inferiore di contributi sui quali poi sarà calcolato il montante complessivo
della pensione. La pensione contributiva si ottiene, infatti, moltiplicando il montante
contributivo individuale (per il part time il 33% della retribuzione, che è notevolmente inferiore a quella di
un lavoratore a tempo pieno) per il coefficiente di trasformazione. A questo problema sono
particolarmente esposti i giovani entrati nel mondo del lavoro dopo il 1995. Chi è nel sistema contributivo
puro deve, infatti, considerare che questo sistema richiede per l'accesso alla pensione di vecchiaia che il
primo rateo della pensione superi un determinato importo soglia, pari a 1,5 volte il valore dell'assegno
sociale, cioè circa 650 euro al mese. Lavorare per metà della carriera lavorativa con contratti di lavoro parttime potrebbe, pertanto, non far raggiungere il predetto importo e costringere il lavoratore a posticipare
l'accesso finché tale condizione non risulti raggiunta. E' noto infatti che il sistema contributivo prevede una
pensione più elevata quanto più si dilata l'uscita (tramite l'attivazione di coefficienti di trasformazione più
elevati). Solo al perfezionamento di 70 anni di età (requisito però da adeguare alla stima di vita) diviene
possibile uscire a prescindere dall'importo soglia. Chi invece ha ancora parte dell'assegno determinato con
il sistema di calcolo misto (cioè retributivo sino al 2011) ha in linea generale meno da temere dal passaggio
al part-time. Perché l'ordinamento riconosce al lavoratore una retribuzione pensionabile pari a quella che
avrebbe ricevuto se fosse rimasto con un rapporto a tempo pieno neutralizzando la diminuzione
delle retribuzioni pensionabili per il calcolo della quota A (ultimi cinque anni per anzianità maturata entro il
1992) e della quota B (ultimi 10 anni per anzianità maturata dal 1993 sino al 2011). Questo meccanismo
impedisce, dunque, che gli ultimi anni di lavoro svolto a part-time svalutino le quote retributive
dell'assegno; si tratta di una clausola di salvaguardia particolarmente importante. In alcuni casi addirittura
è possibile che il pensionato ci guadagni sulla retribuzione annua media pensionabile rispetto alla
contribuzione a tempo pieno. Ovviamente l'anzianità maturata dal 2012, soggetta al calcolo contributivo,
sarà commisurata all'ammontare dei versamenti effettuati fino al momento delle pensione e, pertanto, in
caso di part-time sarà minore rispetto a quella di un lavoratore a tempo pieno. Per ovviare alla perdita della
contribuzione occorre ricordare che i periodi di lavoro part-time possono essere riscattati, ai fini della
misura del trattamento pensionistico, a condizione che risultino non lavorati e che siano collocati entro il
periodo temporale del rapporto di lavoro. Chiaramente, i contributi versati dal lavoratore contribuiranno
esclusivamente alla determinazione dell'importo del trattamento pensionistico. Essi non generano alcuna
variazione ai fini del diritto a pensione dal momento che a tal scopo sono già valutati per intero.