La lettera aperta al Presidente Napolitano

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La lettera aperta al Presidente Napolitano
P e n s i o n i C o mp a r t o s i c u r e z z a e d i f e s a :
un colpo al cuore dello Stato
Lettera aperta al Sig. Presidente della Repubblica On. Giorgio Napolitano
Signor Presidente,
siamo sinceramente e profondamente rammaricati nel vederci costretti a sottoporre
all’attenzione della più alta carica dello Stato una problematica che, a nostro avviso,
avrebbe potuto e dovuto essere affrontata in tutt’altro ambito e, soprattutto, con
approccio metodologico e filosofia d’intervento profondamente differenti.
Non è la prima volta infatti che, nella nostra storia recente, ricorre la necessità di
“armonizzare” il sistema previdenziale che interessa coloro i quali sono preposti a vigilare
sulla sicurezza interna ed esterna del Paese: Ella rammenta senz’altro che, con la legge 335
del 1995, venne introdotto per la generalità dei lavoratori dipendenti il sistema di calcolo
contributivo e che questo venne poi esteso ai “lavoratori in divisa” dal d.lgs. 165 del 1997.
Ma quella volta le cose andarono molto diversamente perché per mesi vi furono riunioni,
tenute regolarmente presso il Viminale, sia a livello tecnico che a livello politico, con la
presenza dei Ministri dell’interno e del lavoro, nonché la partecipazione dei sindacati e delle
rappresentanze del personale, tutti orientati verso un comune obiettivo: estendere a noi le
novità introdotte per gli altri, nel rispetto della nostra specificità e, quindi, senza penalizzarci.
A nostro parere quell’obiettivo venne sostanzialmente colto perché, insieme al sistema di
calcolo contributivo, vennero introdotti anche meccanismi di perequazione che tenevano
conto di un concetto fondamentale: sia per l’usura che comporta la nostra attività, che per
le caratteristiche fisiche richieste, a partire da una determinata età anagrafica il nostro
datore di lavoro non ci ritiene più adatti a svolgere i nostri specifici compiti istituzionali.
In altre parole non siamo noi che vogliamo evitare di lavorare fino all’età prevista per tutti gli
altri, ma è lo Stato che ci manda via perché non più idonei: quei meccanismi vennero quindi
introdotti NON per privilegiarci, ma solo per evitare di PENALIZZARCI e nessuno lo sa meglio
di lei, all’epoca Ministro dell’interno che, insieme all’allora Ministro del lavoro on. Tiziano
Treu, presso il Viminale assunse l’iniziativa e portò a compimento la gestazione del decreto.
Ci permettiamo dunque di richiamare oggi la sua autorevolissima attenzione sullo schema
di decreto approntato dal Ministero del lavoro e consegnato ieri al Ministero dell’interno in
cui, invertito il ruolo d’iniziativa, appare pressoché annullata la filosofia perequativa del ‘97,
a danno dei lavoratori in divisa di età media e giovane, che rischiano di avere una pensione
pari alla metà dell’ultimo stipendio, pur lavorando fino all’età massima per loro prevista.
Svariati sono gli aspetti che lasciano fortemente perplessi, ma più di tutti inquieta un
interrogativo: quale prospettiva di vita si offre a questi colleghi che, non per loro scelta o
responsabilità, si vedono preclusa la possibilità di raggiungere una pensione che abbia un
coefficiente di trasformazione - rispetto all’ultimo stipendio - pari a tutte le altre categorie,
rischiando in concreto di finire in una condizione di povertà?
Eppure solo pochi mesi fa il Presidente del Consiglio ci aveva detto, di persona ed a Palazzo
Chigi, di considerarci “il cuore dello Stato”: ci sia consentito di dubitare che Egli abbia preso
visione di un testo dove oggi lo Stato che abbiamo scelto di servire, penalizzandoci rispetto a
tutti gli altri con un palese eccesso di delega, vibra un durissimo colpo ad un suo organo vitale.
La preghiamo pertanto, facendo appello alla sua nota e puntuale sensibilità istituzionale, di
voler esercitare il suo alto compito di vigilanza e le prerogative presidenziali su un
regolamento che, così come ci viene sottoposto, violando i noti principi di gerarchia delle
fonti del diritto, va ben oltre la delega ad “armonizzare” i requisiti minimi di accesso alla
nostra pensione, rivoluzionandone invece i relativi meccanismi di calcolo.
Non chiediamo di sottrarci alla responsabilità di contribuire al risanamento della finanza
pubblica nazionale, né di ottenere privilegi rispetto al necessario rigore su questo terreno:
chiediamo solo di essere chiamati a contribuirvi seguendo principi di equità e giustizia, a
mente anche del fatto che, a tutt’oggi, siamo l’unica categoria di dipendenti pubblici per la
quale non è stata ancora realizzata quella previdenza complementare indispensabile a
sorreggere un sistema previdenziale basato sul calcolo contributivo.
Signor Presidente, nel ribadirLe profonda fiducia ed incondizionata stima, con questo accorato
appello in definitiva chiediamo al Capo dello Stato di salvaguardarne il suo stesso cuore.
Roma, 3 aprile 2012
Il Segretario generale
Oronzo Cosi