n° 37 Giugno 2014 - William Di Marco

Transcript

n° 37 Giugno 2014 - William Di Marco
ANNO
NUMERO
IV
37
il giornale è anche
sul sito
www.williamdimarco.it
GIUGNO 2014
E-mail:
[email protected]
Approfondimenti culturali e analisi storica
Chorus periodico edito dall’associazione culturale Cerchi Concentrici Promotor - Reg. Tribunale di Teramo n° 641/2010 del 30-12-2010
Direttore Responsabile: William Di Marco - fax. 085.893.34.05 - Stampa: Tipolitorosetana
6 giugno 1944
Settant’anni fa lo sbarco in Normandia
È stato uno dei momenti più importanti della II Guerra mondiale. Non tutto andò come previsto e ci furono molti morti
tra gli alleati e tra i civili francesi. Ma quell’operazione fu determinante per l’esito della guerra a favore di chi portava in
Europa libertà e democrazia
di William Di Marco
UN’IMPRESA CICLOPICA - Lo sbarco in Normandia - che nell’ambito dell’operazione Overlord (cioè Signore
Supremo) aveva lo specifico nome in codice Nepturne - è stata in assoluto l’operazione via mare più imponente della
storia dell’umanità, poiché in una sola nottata furono portate sulla costa francese circa 160.000 uomini e 20.000 mezzi,
con l’impiego di oltre 2.500 navi. Fu il momento cruciale della II Guerra Mondiale e in quel 6 giugno 1944 le sorti del
conflitto furono definitivamente segnate. Non è che se fosse andato male lo sbarco ci sarebbe stato un esito diverso tra
i nazisti e gli Alleati, ma sicuramente il contraccolpo sarebbe stato pesantissimo e la guerra si sarebbe protratta ancora
per molti mesi, aumentando di molto il numero totale delle vittime di una contrapposizione armata senza precedenti.
Il luogo dell’approdo delle truppe anglo-americane fu tenuto segreto per diverse settimane e fino alla fine i depistaggi
risultarono essere il pane quotidiano dei servizi segreti. Era importante che i tedeschi non sapessero il punto preciso
dell’attacco, in modo da non dare dei vantaggi a chi era ad attendere le navi dalla terra ferma. Erwin Rommel (1891-1944),
a capo delle truppe germaniche e astuto comandante di tante battaglie (la volpe del deserto era il suo soprannome),
continua a pag. 2
Come t’invento dei
raccoglitori per bambini
Quanta Energia c’è in un
Incontro
Il secondo spazio dedicato alle tesi
di laurea lo dedichiamo a Giorgia
Pasquini che, laureatasi il in
Disegno Industriale, si è messa a
progettare qualcosa di funzionale
per la raccolta differenziata
dedicata ai bambini che frequentano
i primi anni delle scuole. Ne è uscito
un lavoro certosino
Un convegno su cosa oggi
rappresentano le energie rinnovabili
e su quanto queste potranno
cambiare il mondo ha dato la
possibilità anche di relazionare su
un tema, l’incontro, che di forza
interiore ne ha veramente tanto
di Giorgia Pasquini*
In occasione di un
convegno
tenutosi
all’Istituto
Moretti
di Roseto, mi hanno
invitato a parlare sul
tema: Gli alunni, la
scuola e il territorio:
come incontrarsi? Immediatamente
mi sono venute in mente altre
domande: come incontrarsi? Perché
incontrarsi?
Dove
incontrarsi?
Quando? Eventualmente con chi
INTRODUZIONE
Anche se un corso
di laurea in Disegno
Industriale non è un
corso di medicina,
ciò non toglie che un
designer non possa
sentirsi medico, il medico delle cose.
Da buon medico, infatti, il designer
cura la concezione, la buona
progettazione e la nascita di un
continua a pag. 3
di Doretta Celommi*
continua a pag. 4
Le “torri-luce” del mare
Ed allora potrebbe venir buona
una ideuccia. Perché non pensare,
ad esempio, a delle “vedette” da
realizzare sul lato opposto della
strada in corrispondenza degli
“ostacoli” visivi?
di Ugo Centi*
Sono sempre di più
i tratti dai quali
non vedi il mare,
quando
attraversi
sul marciapiede lato
spiaggia. E sono
destinati a crescere,
purtroppo. Ed allora potrebbe venir
buona una ideuccia. Perché non
pensare, ad esempio, a delle “vedette”
da realizzare sul lato opposto della
strada in corrispondenza degli
“ostacoli” visivi? Non nel tratto
centrale, s’intende, ma a sud ed a
nord, dove c’è spazio sul lato di
continua a pag. 4
6 giugno...
segue da pag. 1
era convinto che lo sbarco avvenisse
nel punto più vicino tra Inghilterra
e Francia, vale a dire a Calais, per la
praticità delle operazioni. Gli Alleati
furono bravi a depistare fino alla fine,
considerando la Normandia una via
più lunga ma anche la più sicura,
grazie a delle spiagge molto piatte,
che avrebbero permesso ai soldati
un più facile raggiungimento della
costa. Di contro gli attracchi delle navi
sarebbero stati problematici, ma il
generale Dwight Eisenhower (18901969, capo delle forze Alleate) aveva
predisposto anche la realizzazione
durante la notte dei moli provvisori,
in modo da facilitare le operazioni
di sbarco dell’enorme quantità di
materiale che le truppe portavano
dietro. Le spiagge coinvolte furono
cinque: Utah, Omaha Beach (dove
ci fu l’approdo più massiccio), Gold,
Juno e Sword
DECINE DI MIGLIAIA DI MORTI
- Se lo sbarco fosse avvenuto dove
gli uomini di Hitler immaginavano,
sarebbe veramente stato un massacro
senza precedenti per gli Alleati.
Infatti in Normandia, nonostante
sulla terra ferma non ci fosse
una copertura adeguata da parte
dell’esercito tedesco, si ebbero oltre
diecimila morti angloamericani e
questo sta a indicare che tipo di strage
poteva essere perpetrata dai tedeschi
se fossero stati lì ad attendere il
nemico. Rommel era convinto che lo
sbarco sarebbe avvenuto almeno un
paio di settimane dopo, al punto tale
che proprio in quei giorni tornò in
Germania a trovare la sua famiglia.
Tale convincimento era dato dal
fatto che a inizio giugno c’era la
bassa marea e il tempo era pessimo.
Il comandante tedesco credeva
fermamente che gli Alleati avrebbero
affrontato l’approdo con l’alta
marea, in modo da portare le navi
più a ridosso della costa, evitando
così le mitragliate dalle postazioni
fortificate poste sulla costa. Così non
fu, perché Eisenhower e Bernard
Law Montgomery (1887-1976, capo
dell’esercito britannico) decisero di
effettuare lo sbarco il 6 giugno, in un
momento in cui si prevedevano solo
poche ore di tregua di una tempesta
che imperversava sulla Manica
in quei giorni. In seguito furono
tantissimi i soldati che raccontarono
che la traversata fu un disastro per
chi soffriva il mal di mare (alcuni
morirono affogati perché lanciati
dalle navi dove l’acqua era molto
alta e l’attrezzatura pesante risultò
una vera trappola). Una volta sulla
spiaggia e superati i “cavalli di
Frisia” (quegli sbarramenti in legno
o in cemento a più punte difficili
da smuovere) e le migliaia di mine,
i soldati alleati furono oggetti di
un massacrante tiro a segno dai
bunker e casematte tedeschi con
mitragliatrici e mortai. Meno male,
quindi, che quella parte di costa era
“quasi” sguarnita, altrimenti sarebbe
stata una ecatombe! Lo sbarco,
tuttavia, riuscì e così le truppe
d’assalto conquistarono l’entroterra
e poco alla volta avanzarono. C’è
da dire che l’aviazione inglese
aveva effettuato i bombardamenti
mirati nell’entroterra, proprio per
facilitare la penetrazione delle forze
di terra. Lo sbarco in Normandia
iniziò a partire dalle ore 6:30 del
mattino di martedì 6 giugno 1944,
anche se le operazioni presero il via
appena dopo la mezzanotte di quel
giorno. In quel modo fu creata una
testa di ponte (un collegamento)
nella Francia ancora interamente
occupata dai nazisti, per poi far
procedere le truppe fino a Parigi,
liberata il 25 agosto, con i tedeschi
che furono costretti pochi giorni
dopo (30 agosto) a ritirarsi oltre il
fiume Senna.
L’IMPORTANZA
DELLO
SBARCO - Lo sbarco permise agli
Alleati di creare la seconda via di
accesso nell’Europa continentale,
dopo quella intrapresa un anno
prima circa in Sicilia e che aveva
posto fine al governo Mussolini.
In quei giorni di giugno, come
già riportato su queste colonne
nello scorso numero, avveniva la
liberazione di Roma (4 giugno) e una
settimana dopo le truppe canadesi,
neozelandesi, inglesi e di altre
nazionalità avanzavano sulla costa
adriatica, liberando definitivamente
l’Abruzzo e il teramano il 15
dello stesso mese. Furono giorni e
settimane decisive per l’esito della
2
guerra e ciò che avvenne nel nord
della Francia fu importantissimo
per fiaccare la forza dell’esercito
nazista. Dall’est, intanto, l’Unione
Sovietica avanzava verso il
confine germanico e Hitler cercava
di temporeggiare e incitare i
suoi attraverso una speranza:
l’arma segreta. I laboratori del
sanguinario dittatore tedesco
stavano, in effetti, per metter a
punto un congegno distruttivo
molto simile alla bomba atomica
ed alcuni esperimenti effettuati in
segreto (a cui assistettero anche
degli osservatori italiani mandati
da Mussolini, ritiratosi nella
Repubblica di Salò), diedero dei
risultati sbalorditivi. La storia,
poi, ci ha detto tutt’altro e oggi
stiamo ancora qui a parlare di
diritti, di democrazia e di libertà,
grazie al sacrificio umano
di migliaia di giovani che
combatterono affinché i
totalitarismi fossero del
tutto
cancellati.
Nella
Seconda Guerra Mondiale
due di questi regimi
nefasti finirono: per il
terzo c’è voluto un po’ più
di tempo, ma la nemesi
storica ci sarà e indosserà
le vesti di un muro. Questa
barriera voleva scindere i
puri dagli impuri, senza capire
che le idee e la libertà non possono
essere imprigionati da steccati o
palizzate: spaziano come il vento
e come il vento sanno superare gli
ostacoli piccoli piccoli dell’uomo.
PERCHÉ SI DICE D-DAY? Con tale denominazione ormai si
indica lo sbarco in Normandia del
6 giugno del 1944. Quel termine è
entrato nella storia come “il giorno
stabilito”, con la “D” iniziale che
sta per “day”. In italiano sarebbe
il “giorno-giorno” per indicarne
uno specifico, più comunemente
chiamato anche “giorno X”. Per
questo anche in Francia viene
chiamato “Jour-J”. Tuttavia va
anche detto che gli americani
utilizzarono questo rafforzamento
della “D” iniziale come se volessero
prolungarne la pronuncia, in
modo da comunicare una durata
maggiore di quel lasso di tempo
stabilito. Tant’è che il “D-Day”
viene anche definito “il giorno più
lungo”. Per analogia anche l’ora ha
la stessa struttura, quando viene
indicata come “l’ora X”: in inglese
diventa “H-Hour”.
Come t’invento...
segue da pag. 1
oggetto, tentando in questo modo
di donare qualcosa di sano e
migliore al mondo e alle persone
che lo vivono.
Oltre tutto, il designer è chiamato
ad affrontare anche la morte dei
propri oggetti e lo fa ideando un
sistema affinché alcuni organi dei
propri oggetti, o addirittura tutto il
corpo, possano essere trapiantati e
dar vita ad altri oggetti, esattamente
come accade per gli umani. È
proprio di quest’ultimo particolare
che si occupa il mio progetto, della
conclusione di un ciclo di vita che
ne dà vita ad un altro, attraverso
la realizzazione della raccolta
differenziata.
Il target al quale si rivolge è quello
dell’infanzia e consente ai bambini
di approcciarsi alla tematica in
modo completamente nuovo e
divertente.
RICERCA
In molte case e in molte scuole
italiane sono da poco entrate, o
stanno entrando, nuove abitudini
come quella di effettuare la raccolta
differenziata.
Questo
perché
finalmente stanno entrando in
vigore pian piano delle norme, in
ogni comune, che hanno come fine
la tutela dell’ambiente e, quindi,
dei materiali. Essendo una tematica
piuttosto giovane, ancora non
gode della presenza sul mercato di
prodotti adatti o pratici all’uso: in
particolare non si rivolge affatto al
mondo dei più piccoli, unica risorsa
concreta per la riuscita reale di
queste normative tutelanti.
Questi dati subiscono, inoltre, delle
variazioni a seconda delle zone
d’Italia: a nord le percentuali sono
incoraggianti ma, scendendo verso
sud, purtroppo, anche le percentuali
si abbassano.
I giocattoli presenti nel mercato
oggi dunque non entrano in
contatto con il mondo dei rifiuti,
ma il panorama offre una tipologia
di gioco educativo, molto spesso
rispondente
a
caratteristiche
tecnologiche piuttosto alte. Il
progetto vuole raccogliere la
parte “educativa” di questo
mercato, ma fa riferimento a
giochi più classici come linea di
riferimento. In particolare al gioco
degli incastri di legno, in cui le
forme corrispondono all’oggetto
da infilare. Questo principio è la
linea guida del progetto che mira
alla riduzione del volume tramite
l’adattamento del rifiuto.
Approfondendo le indagini nelle
scuole d’infanzia e primarie,
risultano molto presenti i cestini
gettacarte o, laddove purtroppo
mancassero fondi, anche secchi
di vernice vuoti. L’elemento
interessante è senza dubbio la
misura dei loro diametri, che
si aggira sempre intorno i 29,5
o 30cm, permettendo di fare
un ragionamento di tipo più
industriale che specifico per il
progetto. Le tipologie di rifiuto da
riciclare prese in considerazione
sono due, carta e plastica, i
più maneggiati dai bambini,
soprattutto nelle scuole. Questo
implica la presenza di due oggetti
da identificare come coperchi
del cestino. I colori scelti per la
realizzazione sono due: blu per la
carta e il giallo per la plastica, come
percentuale europea più diffusa.
SVILUPPO
Per capire cos’è questo oggetto,
Pat, bisogna dimenticare per
un attimo il classico gesto che si
effettua quando si getta qualcosa:
un oggetto che non ci serve più,
che scartiamo, viene gettato e
dimenticato. In questo caso invece
il rifiuto si trasforma in un altro
oggetto, in un gioco; Pat è quindi
un filtro, una bacchetta magica
che trasforma i rifiuti in giochi
da infilare nei fori (con la forma
più adatta), favorendone l’atto di
riduzione e l’avvicinamento dei
bambini al mondo della raccolta
differenziata.
Il prodotto si presenta come un
coperchio forato e morbido da
applicare sul cestino. L’interfaccia
comunica proprio attraverso i
fori che indicano al bambino di
inventare un modo per ridurre
il volume dei propri materiali.
Attraverso la sua interfaccia
possiamo stabilire che Pat non è un
gioco ma un trasformatore.
Il disegno delle forme è studiato su
3
prove effettuate sui materiali ridotti
e può essere interpretato a proprio
piacimento: in una particolare
angolazione troviamo anche il
richiamo ad un viso.
Anche se Pat non è un gioco,
permette ai rifiuti di diventarlo
e, proprio per questo sistema,
viene introdotto il sistema della
regola, obbligatorio nel gioco: la
regola sta nei colori che vanno
rispettati, quindi nell’associazione
del materiale, da rispettare con
qualunque tipo di percorso creativo
da parte del bambino. Stessa meta
con percorsi diversi e indefiniti.
Tra le caratteristiche principali
del prodotto troviamo: il fattore
educativo, la sicurezza, la pulizia,
la resistenza, la durata e il costo
decisamente basso.
DEFINIZIONE
Di particolare importanza è il
materiale
utilizzato,
silicone
alimentare,
che
permette
l’adattabilità a diverse misure
di diametro: questo permette di
comprare il prodotto singolo e non
necessariamente abbinato con un
cestino particolare; qualora non si
disponesse di un cestino con tale
diametro, non sarebbe difficile da
trovare, poiché molto diffuso.
Il silicone alimentare permette un
processo di produzione tramite
stampo pilota. È possibile scegliere
tra due strade: quella dello stampo
manovrato
manualmente
in
alluminio e quella dello stampo
automatico in alluminio. Il primo
avrebbe per l’azienda un costo
di circa 700€ e consentirebbe di
produrre circa 500/600 pezzi al
costo di 2,8€ cadauno, il secondo
costerebbe invece al produttore
2000€ circa ma consentirebbe di
stampare migliaia di pezzi al costo
di 0,5/0,6€ ciascuno.
Proprietà fondamentali del silicone
sono:
l’effetto
antiaderente,
l’elasticità, resistenza da -30 a
+300°C.
*Laureata il 30 gennaio 2013
in Disegno Industriale
presso l’Università
di San Marino
Quanta energia...
segue da pag. 1
incontrarsi? Per dire cosa? Per
giungere a quale obiettivo? E tanto
ancora. Incontrarsi è certamente il
fulcro della mia riflessione a voce
alta in questa iniziativa odierna,
che è già un modo per stare
insieme. Infatti oggi la nostra
Aula Magna accoglie persone
qualificate che, a livelli diversi,
hanno ruoli di responsabilità.
L’incontrarsi presuppone una
“volontà comune” di almeno
due o più persone che avvertono,
percepiscono, sentono di avere
qualcosa in comune da dirsi e
da fare. L’incontrarsi, inoltre,
consente di avviare una “sana
comunicazione”
dei
propri
intenti e noi a scuola sappiamo
quante
abilità
fondamentali
sono racchiuse nel termine
“comunicazione”: ascolto attivo,
fiducia in se stessi e negli altri,
rispetto reciproco, volontà di
capire l’altro senza pregiudizi,
critiche negative e interpretazioni
Le “Torri Luce”...
segue da pag. 1
ponente. Si pianterebbero piccole
istallazioni nello stile, faccio per
dire, dei “trampolini” dei bagnini,
o di piccolo “fungo”, o magari
del tipo “mulino a vento”, non
ci starebbero male. Logicamente
da progettare accessibili e
senza barriere, sarebbero una
“attrazione” per adulti e bambini.
Un motivo per spostare lo sguardo
quando sei sul marciapiede
e mettersi “da un altro punto
di vista” quando ci sali sopra.
Strutture leggere, naturalmente,
a basso costo, “aeree” nel senso
Fukasiano (architetto della fiera di
Milano, per capirsi) del termine. E
così mi sono messo a fantasticare. E
da quell’osservatorio immaginato
ho pensato: in una “torre” di
queste si potrebbero ospitare dei
libri, da scambiare liberamente
a scaffale aperto, come si dice. In
una altra magari troverebbe posto
arbitrarie. L’incontrarsi vuol dire
anche prestare attenzione, fermarsi
e stare in silenzio, condividere le
proprie opinioni, decidere insieme
il dafarsi. Incontrarsi è quindi
dedicare il proprio tempo e farlo
coincidere con il tempo degli
altri. Richiede inoltre uno spazio,
una capacità di agire, definire,
produrre, pensare, cooperare,
ognuno con i propri mezzi, le
proprie risorse e peculiarità. E
richiede indubbiamente Energia,
come capacità di compiere un
lavoro insieme, per lo stesso fine.
Gli alunni si incontrano a scuola
negli innumerevoli spazi protetti
che ogni edificio scolastico, di
ogni ordine e grado, offre, mette
loro a disposizione. Le discipline
con i loro linguaggi specifici,
filtrate dagli insegnanti, diventano
gli strumenti che facilitano e
permettono gli incontri, le relazioni
tra insegnanti, alunni, personale
scolastico, attraverso il canale
lungo, tortuoso e avvincente
della conoscenza e del sapere.
L’Energy Lab Group è il laboratorio
privilegiato dove i nostri studenti,
abilmente guidati da oltre dieci
anni, sperimentano i mille modi con
cui possono utilizzare ed esprimere
Energia. È il luogo della creatività,
dei pensieri che si trasformano
in parole e comportamenti: sani,
condivisi, perseguibili per giungere
all’obiettivo stabilito. Il progetto
diventa, “incontro dopo incontro”,
concretezza, quindi si vede, si può
toccare, si ascolta, si costruisce, è
realtà a cui tutti i partecipanti
offrono il loro prezioso contributo
per crescere, acquisire nuove
competenze, scoprire risorse
personali e talenti. L’Energia
è una parola fondamentale
e imprescindibile che entra
in tutti gli ambiti del Sapere.
Noi dell’Energy Lab Group
ci muoviamo dentro questo
termine cercando di cogliere,
per trasmetterlo ai nostri alunni,
le opportunità infinite che la
parola stessa racchiude, se usata
ragionevolmente nei molteplici
contesti in cui prende forma
spesso inaspettatamente. Quindi
il delicato processo educativo
che si compie ogni mattina nelle
aule con gli alunni ha come
fattore comune la ricerca, il
buon uso e il costante e graduale
incremento della propria Energia
che si trasforma, come se fosse
sinonimo, in conoscenza, rispetto,
responsabilità, consapevolezza
e
comunicazione
autentica.
L’Energia appartiene, è inclusa
in ognuno e serve per crescere,
svilupparsi,
comprendere
e
partecipare attivamente ad una
sana politica energetica nella
scuola, nel nostro territorio e nel
villaggio globale che considera
i nostri giovani cittadini del
mondo in grado di organizzare
la loro vita in modo pieno,
dignitoso e onesto.
un micro-museo del mare, e poi
ancora dei grandi cannocchiali e
delle comode panchine dove, se si
vuole, sedere solo a contemplare.
Un punto, anzi, tre o quattro punti,
dove l’impazienza tesa e sgarbata
di questa società che, come dice
il filosofo Vito Mancuso, sembra
tornare primitiva, lasci spazio ad
un minimo di “felicità” spaziale.
E la notte le vedrei illuminate
tenuamente,
fotovoltaicamente
alimentate, a far da “faro” a
qualche innamorato. Insomma,
degli anticorpi contro le asprezze
di questo vivere contando: i soldi
che a volte mancano altre sono
troppi, le amicizie che vanno e
vengono, gli amori dell’estate.
Adesso filosofeggio, direte voi
– ed è vero – ma guardo questo
lungomare che mi attrae e credo
che lo meriti. Credo che meriti un
senso… narrativo, se non troppo
astrologico vi sembra il paragone!
Ecco, dare un senso a questo mare.
Un rapporto affettivo, in altro
dire. Una memoria condivisa.
Su questa spiaggia prima o poi
passeranno tutti: sono passate
le nostre mamme ed i nostri
papà, passiamo noi adesso,
passeranno i nostri bambini.
Diamogli un senso, foss’anche
solo la felicità effimera di quei
trenta secondi per un caffè. Se
sol fosse compagno, questo
mare, per uscire una manciata di
minuti dalla nebbia depressiva
d’oggidì! Sto divagando lo so.
La fantasia mi sta prendendo
la penna, anzi mi sta facendo
scorrere la tastiera. Non rileggo
neanche quanto scritto di getto
qui sopra. Lo affido a voi lettori.
Spero solo che vi comunichi
un attimo d’azzurro nel vostro
personale “cielo” di colori: ogni
tanto volare con l’airone fa bene,
o almeno non fa male a nessuno,
penso.
*Docente di Scuola Superiore
*Direttore del stio Web
Controaliseo