Elogio della psicoterapia.

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Elogio della psicoterapia.
Elogio della psicoterapia.
La formazione tra conoscenza di sé e costruzione di un nuovo sé.(*)
di Felice Pannone
“Molte volte al giorno mi rendo conto
di come la mia vita esteriore e interiore
sia costruita sull’opera dei miei simili,
sia vivi che morti, e di quanto impegno
devo applicare a mia volta per restituire
quanto ho ricevuto” A. Einstein
“Che ci piaccia o no, siamo noi la causa
di noi stessi. Nascendo in questo mondo,
cadiamo nell’illusione dei sensi,
crediamo a ciò che appare. Allora ci assale
la paura e dimentichiamo che siamo Divini,
che possiamo modificare il corso degli eventi”.
G. Bruno
“Se non ti vedi ancora interiormente bello,
fa come lo scultore di una statua
che deve diventare bella. […] E non smettere
di scolpire la tua propria statua interiore”. Plotino
“”
Desidero fare una dichiarazione d’amore un po’ particolare, una dichiarazione
d’amore alla professione di psicoterapeuta. E’ una dichiarazione d’amore fatta di
passione, entusiasmo, riflessioni e azioni conseguenti. Penso che il nostro sia il
lavoro più interessante ed entusiasmante del mondo, e questo per una serie di
peculiari motivi. Qui proverò a descriverne tre: i primi due attengono, in particolare,
ai risvolti intersoggettivi, sociali e culturali del fare psicoterapia; il terzo, che tratto in
modo più diffuso e articolato, riguarda il complesso percorso formativo dello
psicoterapeuta così come lo concepiamo all’I.P.R., mettendone in evidenza
soprattutto l’opportunità trasformativa che esso può rappresentare, anche alla luce
delle recenti ricerche e scoperte delle “nuove scienze”.1
Primo motivo. Ci permette di aiutare gli altri, realizzando in questo modo il
bisogno di compensazione che ciascuno di noi si porta dentro per avere a sua volta
ricevuto ciò di cui aveva bisogno. L’immagine archetipica dell’aiuto è costituita dal
rapporto genitori/figli e, più in generale, adulti/bambini. Come si sa, l’essere umano
1
Per nuove scienze si intendono quelle aree della ricerca scientifica (teoria dei sistemi, fisica quantistica, teoria delle stringhe,
medicina energetica, epigenetica, ecc.) che si muovono all’interno di un paradigma olistico basato sull’interconnessione di tutte le
cose. L’aggettivo “nuove” non ha una valenza cronologica, ma vuole indicare la costruzione di una nuova visione dell’universo
derivante dalla sinergia tra saperi antichi, campi di indagini ed elaborazioni più attuali e alcune recenti scoperte rese possibili dalla
moderna ipertecnologia.
(*) Rielaborazione dell’intervento “La conoscenza di sé” presentato al Convegno dell’ I.P.R. “Intergruppo. Cambiamento e apprendimento nella
formazione in gruppo”, Napoli, 29-30 giugno 2012.
è l’unica specie neotenica, cioè la specie che ha bisogno delle cure parentali per un
tempo particolarmente lungo. I genitori sono grandi, capaci, pieni di risorse, i figli
sono piccoli, incompleti, bisognosi; per cui i genitori danno ai figli quello di cui hanno
bisogno. Questa fondamentale dinamica andrebbe riconosciuta nella sua essenza, al
di là di tutti gli elementi razionali, emotivi e comportamentali che, attraverso
complessi processi inter e transgenerazionali (5), vengono comunque trasmessi, nel
bene e nel male, alle nuove generazioni.
E’ da questo riconoscimento che può scaturire quel processo di accettazione
dei genitori così come sono, senza pretese, rivendicazioni o illusori quanto
fallimentari tentativi di cambiarli; processo che non ha nulla a che fare con un
moralistico “buonismo”, ma che costituisce invece la via maestra per collegarsi a
quella misteriosa, pervasiva, infinita forza che è la vita. I genitori rappresentano,
infatti, solo il tramite attraverso cui la vita prende forma in noi e, se non vengono
assunti nel nostro animo con amore, possono diventare (attraverso i sentimenti
negativi che spesso i figli nutrono verso di loro: rabbia, risentimento, odio, ecc.) un
serio ostacolo che impedisce il libero fluire dell’energia vitale. Accettare i genitori è,
quindi, condizione fondamentale per accettare i loro doni, in primo luogo quello
della vita, e alimentare così dentro di sé quel sentimento di gratitudine che ci spinge
poi ad aiutare gli altri. Chi non riesce ad aiutare gli altri diventa chiuso, solitario,
triste. Aiutare serve, quindi, anche a se stessi, perché pochi sentimenti sono così
appaganti come la gratitudine per aver ricevuto. Se il nostro animo viene orientato
dalla gratitudine, possiamo inoltre renderci conto di quante persone in tante e
diverse circostanze ci hanno fornito aiuto, spinta, forza per andare avanti, superare
difficoltà e continuare il nostro percorso personale e professionale di esseri umani in
evoluzione.
Secondo motivo. Ci permette di contribuire alla diffusione di un’ “ecologia
della mente”, cioè di migliorare il mondo intorno a noi, stimolando una maggiore
armonia negli individui, nelle coppie, nelle famiglie, nei rapporti interpersonali. La
“cura” in psicoterapia va intesa, infatti, come opportunità di crescita e non come
mera risposta ripartiva al malessere, alla sofferenza, alla patologia. Ogni crisi
(familiare, di coppia, individuale) può essere, se affrontata in un’ottica evolutiva,
generativa di cambiamento e di costruzione di nuove possibilità di vita, più
funzionali, articolate ed interessanti. Passare, per esempio, da una concezione dei
2
rapporti caratterizzati dal senso di colpa, dal lamento, dall’accusa, dal risentimento
ad un approccio mentale basato sulla responsabilità e sull’intersoggettività significa
promuovere un individuo più presente e vitale, capace di avere una maggiore cura e
attenzione a sé e agli altri, un approccio gentile e rispettoso verso il mondo in cui
vive, un atteggiamento di cooperazione per il bene comune, in grado di accettare i
propri limiti e di provare gratitudine per ciò che ha ricevuto.
Terzo motivo. Consente di realizzare quella meravigliosa avventura che è la
conoscenza di sé2. Avventura che comincia subito, dai primi momenti della
formazione, dai primi incontri del gruppo, e poi prosegue senza sosta, perché il
nostro è un lavoro che ci “costringe” ad una continua attenzione a se stessi.
L’obiettivo fondamentale della formazione, così come all’I.P.R. la intendiamo e la
intenzioniamo, è la crescita personale e professionale di ciascun individuo e, più in
generale, il pieno sviluppo delle sue potenzialità (2). Asse portante di questo
progetto è lo studio di sé. Per studiare se stessi occorre servirsi di teorie, strumenti e
metodi utili allo scopo.
In particolare è necessario acquisire una mente sistemica, la capacità, cioè, di
pensare, sentire ed agire in modo sistemico. Assiomi basilari di questo modo di
concepire se stessi e il mondo in cui viviamo sono:
1)Nell’universo tutto è collegato in un campo non locale e olografico(6):
questo comporta che ogni sua parte risulta interconnessa a tutte le altre e ogni suo
elemento riflette l’intero su scala ridotta. Le ricerche delle “nuove scienze”
dimostrano, in un modo sempre più chiaro e coerente, che ciascuno di noi è
collegato non solo con ciò che attualmente fa parte del nostro mondo vitale, ma
anche con tutto ciò che è esistito nel corso dei tempi e, inoltre, con eventi che non
sono ancora accaduti. Einstein dichiarò più volte la sua convinzione che passato,
presente e futuro siano intimamente collegati e che insieme formino la quarta
dimensione, una realtà che denominò spazio-tempo. “La distinzione tra passato,
presente e futuro”, affermò, “è solo una cocciuta e persistente illusione”(9).
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Conoscere se stessi è condizione fondamentale per poter costruire e far evolvere una relazione terapeutica improntata
sull’interagire consapevole e non sull’agire reattivo. Il processo di conoscenza di sé (che naturalmente non si può mai considerare
del tutto compiuto) è quindi elemento costitutivo basilare per formare un professionista della relazione terapeutica che,
ovviamente, deve conoscere e padroneggiare anche teorie, tecniche, metodi e regole del fare terapia. E’ in questo senso che, nel
nostro modello formativo, crescita personale e crescita professionale sono aspetti integrati di un unico processo evolutivo.
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2)Il tutto è maggiore della somma delle parti. Se si mettono insieme una serie
di elementi, la loro inevitabile interconnessione va a costituire una realtà che è
qualcosa di più e di diverso dalla semplice, matematica somma degli stessi elementi.
Un gruppo, una famiglia, una coppia, per esempio, costituiscono dei sistemi che
hanno delle caratteristiche peculiari proprio in quanto sistemi e non descrivibili o
spiegabili osservando i singoli individui o sommando le rispettive caratteristiche. La
cosa interessante da sottolineare è che il tutto non solo è una qualità emergente al
di là della somma dei singoli elementi, ma fa parte esso stesso, in quanto tutto, dei
singoli elementi.
3)L’osservatore costruisce, in una dinamica di profonda implicazione, la realtà
che osserva. Con le parole di F. Capra, “la caratteristica cruciale della teoria dei
quanti è che l’osservatore è necessario non solo per osservare le proprietà di un
fenomeno atomico, ma anche per determinarne le proprietà. […] L’elettrone non
possiede proprietà oggettive indipendenti dalla mia mente”(8). Questo significa che
la realtà non è fatta da un osservatore che scruta un mondo “là fuori”, bensì che il
soggetto è profondamente implicato con questo mondo, di cui egli stesso è
costituito, e che il processo della conoscenza coincide con il processo di creazione di
una determinata realtà.
4)La mente non è riducibile al cervello, ma è costituita dall’interconnessione
tra le parti e il tutto (entanglement) secondo leggi che vanno al di là della fisica
newtoniana (8,12,14). La considerazione che le funzioni del cervello sono associate
con la mente non significa che sia il cervello a creare la mente; così come il fatto che
i circuiti elettrici di un televisore consentono la ricezione di un determinato
programma non significa che essi creino il programma.
Questi principi basilari di una concezione sistemica della realtà sono tanto
coerenti ed eleganti, quanto di difficile comprensione per un modo di pensare
improntato al determinismo lineare e costituiscono, di per sé, una vera e propria
rivoluzione teorico-epistemologica, con tutti i conseguenti, profondi e radicali
risvolti pratici, relazionali e di responsabilità individuale: dobbiamo, infatti, tener
conto che non solo i nostri comportamenti, ma anche i nostri pensieri, i nostri
desideri e i nostri modi di sentire influenzano, attraverso complessi processi di
trasmissione e risonanze, noi stessi, gli altri e il mondo in cui viviamo.
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Un altro elemento fondamentale per lo studio di sè è costituito dalla
concezione dell’essere umano a vertice sistemico, cioè dal modello di articolazione
intersistemica elaborato da Luigi Baldascini, ai cui principali testi rimando per un
adeguato approfondimento(1,3,4). Qui, in estrema sintesi, voglio solo elencare
quelli che, secondo me, sono gli assi portanti di questo modello: una concezione
sistemica dell’essere umano osservato e descritto a partire dalla normalità, e non
dalla patologia; l’isomorfismo tra mondi intrapsichici e mondi interpersonali; la
“mobilità” e l’”immobilità” intra e inter-sistemica; la teoria degli stili di personalità;
la sincronica compresenza, pur nella diacronicità del loro sviluppo storico, dei
sistemi interni ed interpersonali con le loro complesse interconnessioni.
La valenza di questo modello si articola, a mio modo di vedere, almeno su tre
livelli: 1)a livello teorico, esso costituisce un’articolata elaborazione che, da un
vertice chiaramente sistemico, coniuga in una sintesi complessa e
metodologicamente coerente l’intrapsichico e l’interpersonale, descrivendone le
profonde, costitutive connessioni e i processi di reciproco influenzamento; 2)a livello
clinico, fornisce una preziosa, quanto precisa, chiave d’ingresso per costruire e
alimentare una relazione terapeutica creativa ed efficace; 3)a livello evolutivo, indica
direzioni e metodologie per procedere nel processo di crescita, che si traduce,
sostanzialmente, in una maggiore armonia sia dei sistemi interni sia dei rapporti tra
il sé e il mondo.
La metodologia e il contesto in cui si articola questo lavoro di studio di sé è la
dimensione gruppale. Sappiamo, come ci indica Baldascini in un suo articolo (2), che
il gruppo funziona sia come specchio, sia come prisma: in quanto prisma, scompone
la molteplicità interna di ciascun componente; come specchio, restituisce
all’individuo, spesso in modo amplificato, quanto questi proietta sugli altri.
L’appartenenza al gruppo costituisce la forza che consente di sperimentare,
progressivamente, cambiamenti rispetto alle consuete, rassicuranti, familiari
modalità di pensare, sentire ed agire. L’individuo che sente un forte e solido legame
con il gruppo richiama l’esperienza di un bambino che, avvertendo un legame sicuro
con la figura genitoriale, può consentirsi di esplorare territori fisici, emotivi e
cognitivi inediti e sempre più ampi.
Tenendo presente questa complessità di teorie, strumenti e metodi, da dove
si parte in questa avventura dello studio di sé? Naturalmente dalla famiglia, dal
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contesto, cioè, che costituisce la nostra primaria appartenenza, il nostro imprinting
relazionale. Momento e strumento particolarmente significativo è, a questo
proposito, il genogramma, peculiare chiave d’accesso allo svelamento e allo studio
delle matrici e dei copioni familiari (7,10,11). Attraverso l’esperienza del
genogramma il protagonista ha la possibilità di percepirsi dentro e fuori il proprio
copione familiare; è attore di quella rappresentazione, ma anche voce fuori campo
che narra la storia; si perde e si confonde nelle emozioni, nei miti, nelle trame delle
diverse generazioni che animano la storia, ma di tanto in tanto ne emerge, si ritrova,
prende fiato ed ha la possibilità di guardare da un punto di vista nuovo: può scoprire
così che il copione che sta recitando fa parte di un romanzo più ampio, scritto a più
mani e da diverse generazioni.
Il copione rappresenta una forza psicologica, un campo mentale che spinge un
individuo a recitare il ruolo assegnatogli e in cui egli tende man mano ad
identificarsi. Esso ha le caratteristiche di una realtà olografica, nel senso che ciascun
membro della famiglia, pur essendo una parte che svolge un determinato tipo di
ruolo e di funzione, lo porta in sé nella sua interezza.3 Un copione si manifesta,
sostanzialmente, attraverso una serie di abitudini cognitive, emotive e
comportamentali intorno a cui si articola la vita di ciascuno di noi. Gran parte della
nostra esistenza, dalla selezione delle amicizie alla scelta del lavoro o del partner, si
svolge cercando di consolidare le nostre abitudini e di confermare l’immagine di noi
stessi che abbiamo costruito insieme con le figure significative in una trama che
attraversa le generazioni. Ognuno di noi può constatare, infatti, quanto siamo più o
meno attaccati (cercando di difenderli in tutti i modi possibili) alla nostra immagine
e al nostro copione, che sembrano costituire la nostra vera identità. Appare
evidente, quindi, che ciò che caratterizza un copione di vita, oltre l’aspetto
fenomenologico che si esprime, come dicevamo prima, attraverso una serie di
abitudini, sembra essere l’inconsapevolezza e la meccanicità con cui viene recitato. Il
cambiamento, in generale, risulta così difficile proprio perché siamo “prigionieri” sia
della meccanicità che della necessità di reiterare le nostre abitudini che ci
rassicurano e ci preservano dall’incontro con il diverso e con l’ignoto.
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Un ologramma è caratterizzato da questa straordinaria peculiarità: se si impressiona una pellicola con una determinata immagine
attraverso una particolare procedura, e poi si taglia questa pellicola in tanti piccoli pezzettini, ciascun pezzettino conterrà l’intera
immagine.
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Questo complesso lavoro di studio di sé viene stimolato e sostenuto dal
gruppo, che è parte fondamentale dell’esperienza. Il protagonista del genogramma
ha la possibilità, attraverso il gruppo, di confrontarsi con una pluralità di esperienze,
emozioni, sentimenti, idee che lo stimolano e lo arricchiscono; ma, soprattutto,
possono consentirgli, forse per la prima volta, di relativizzare il proprio romanzo
familiare, di prenderne le giuste distanze, di riconoscerlo come parte di sé, ma anche
di trascenderlo, per cercare le strade che lo possano condurre oltre, realizzando così
il proprio cammino di differenziazione e di individuazione. E’ vero, infatti, che
ciascuno di noi è la propria storia; ma è anche vero che questa storia può essere
vista dal di fuori, ripensata con una capacità riflessiva e di osservazione che va al di
là della totale identificazione. Occorre essere consapevoli che, insieme ai nostri
copioni, agli schemi, ai mandati, agli assoggettamenti e alle identificazioni, convive
in noi una spinta all’autonomia, alla differenziazione, all’individualità; una spinta,
cioè, a realizzare il proprio vero sé e a diventare, oltre che attori, anche autori della
propria esistenza; ad esprimere, in definitiva, la propria creatività. In altri termini, il
lavoro su di sé non deve significare soltanto il rivivere e rielaborare i traumi del
passato, ma anche, e soprattutto, far emergere il piacere di vivere, la gioia
dell’esserci e la sensazione dell’unicità del proprio destino che è presente in
profondità in ciascuno di noi.
Un aspetto molto importante del processo di conoscenza di sé è la progressiva
consapevolezza che tutto ciò che abitualmente proiettiamo sugli altri in realtà ci
appartiene; che tutto ciò che ci infastidisce o ci inquieta dell’altro sono parti di noi
che non accettiamo o che non riusciamo a “sistemare”; che il “diverso”, in fondo,
abita dentro di noi e aspetta solo di essere riconosciuto e di acquisire la legittima
cittadinanza. E’ solo questa consapevolezza che ci può aiutare veramente a
comprendere e ad essere compassionevoli con noi stessi e con gli altri; a pacificare
le nostre parti in conflitto; a spingerci e sostenerci, con amore e passione, nello
sforzo costante di migliorare noi stessi. In fondo, i veri antidoti alla malattia, alla
depressione, alla violenza, all’avvilimento, all’autocommiserazione non possono che
essere la gioia, la leggerezza, la responsabilità, la creatività.
Riattraversare il proprio passato, riconoscere le diverse presenze
nell’avvicendarsi delle generazioni, riappropriarsi delle proiezioni e delle diversità
attribuite agli altri, essere consapevoli del proprio copione familiare e personale può
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significare, allora, non subirlo come accadimento, malefico o benefico che sia, ma
assumerlo pienamente come la propria determinata identità, a partire dalla quale
aprirsi alla propria indeterminata creatività. In fondo, viviamo una condizione
apparentemente paradossale: in noi convivono sia le catene che ci tengono
prigionieri sia le ali che ci consentono di volare, sia i rassicuranti confini che
delineano la nostra identità sia i trepidanti, inediti orizzonti verso l’espansione del
proprio essere: solo noi abbiamo la possibilità e la responsabilità di scegliere quale
delle due opzioni vogliamo realizzare.
Se scegliamo la seconda, allora occorre impegnarsi, oltre ad essere coraggiosi
esploratori di sé, anche operosi scultori di sé. Già Plotino, nelle Enneadi (13), utilizza
la metafora della scultura ed esorta ciascuno ad essere scultore della propria statua:
“ritorna in te stesso e guarda: se non ti vedi ancora interiormente bello, fa come lo
scultore di una statua che deve diventare bella. Egli toglie, raschia, liscia, ripulisce
finchè nel marmo appaia la bella immagine: come lui, leva il superfluo, raddrizza ciò
che è obliquo, purifica ciò che è fosco e rendilo brillante e non smettere di scolpire
la tua propria statua interiore”. E che altro ci sforziamo di fare, nel percorso di
formazione, nel lavoro di crescita personale e professionale, se non “raschiare”,
“lisciare”, “ripulire” il nostro essere da tutte le incrostazioni che hanno in qualche
modo “soffocato” la nostra vitalità e creatività? La nostra evoluzione, legata
indissolubilmente al perseguimento del bello, si realizza infatti attraverso lo
sgretolare l’abitudine di essere se stessi: occorre disarticolare, cioè, l’attaccamento
al “noto”, al “familiare”, al “già vissuto” e l’ostinata tendenza a ritornare al noioso,
soporifero eppure tanto rassicurante “identico”.
Una soggettività non intenzionata da una volontà e un potere di influenzare
l’inverarsi di determinati eventi nell’oceano di possibilità di cui è fatta la realtà si
costituisce inevitabilmente e quasi esclusivamente attraverso le influenze genetiche,
ambientali, familiari, storiche, sociali, ecc. che la modellano e la strutturano nel
corso del tempo. Come dimostrato con sempre maggiore evidenza dalla fisica
quantistica (6,12), a livello subatomico le infinite possibilità di cui è costituita la
realtà rispondono all’attenzione dell’osservatore trasformandosi in materia, in eventi
determinati. Tutto ciò che esiste in potenza esiste simultaneamente, per cui
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l’osservatore è potenzialmente in grado di far “collassare”4, cioè di far inverare, un
infinito numero di possibili realtà. In altri termini, se si riesce ad immaginare un
evento futuro, a desiderare un determinato cambiamento, esso, a livello potenziale,
esiste già nel campo quantistico e aspetta solo di essere osservato, di essere oggetto
di attenzione consapevole. Se la mente può influenzare in modo così decisivo la
realtà subatomica, allora possiamo pensare, coerentemente, che essa è in grado di
influenzare qualsiasi possibilità.
Le conseguenze di tutto questo sono straordinarie: è possibile, allora, se si
vuole sperimentare un autentico percorso di evoluzione creativa, che non può che
essere intenzionale, uscire da una condizione in cui l’eredità, la famiglia, l’inconscio,
la società, la buona o la cattiva sorte decidono quasi totalmente del nostro destino.
E’ possibile, cioè, diventare attivi e consapevoli autori (scultori) della propria
esistenza. Certo, il cambiamento non è cosa facile. Disattaccarsi dalle proprie
rassicuranti abitudini, relativizzare le proprie costitutive identificazioni, avventurarsi
al di là delle familiari mappe di orientamento richiede impegno, dedizione, forza e il
collegamento a qualcosa di più grande rispetto alla dimensione di vita attuale,
spesso improntata alla semplice sopravvivenza, nonché l’aspirazione ad un nuovo e
più vasto orizzonte, a nuove e creative possibilità per cui vale la pena investire
energie. Mi piace, quindi, immaginare (che, ora sappiamo, è condizione per
realizzare) questa possibilità. Sarebbe bello, appunto, non sprecare l’occasione che
abbiamo in questa vita per fare di sé un’opera meravigliosa, una vicenda esistenziale
unica e irrepetibile, una gioiosa energia capace di espandere il proprio essere,
superando di volta in volta ostacoli, paure, confusioni, confini. E’ un’impresa
individuale che necessita, però, di un gruppo. E’ un progetto intimamente soggettivo
che va, però, realizzato insieme: bisogna costruire una mente gruppale
interconnessa, articolando la parte con il tutto, il particolare con l’universale,
l’individuo con il gruppo, condizione necessaria per procedere nel cammino di una
autentica, originale, creativa evoluzione personale…
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La realtà della fisica quantistica è probabilistica: essa è costituita da un insieme di diversi stati presenti contemporaneamente, in
“sovrapposizione quantistica”. Nel momento in cui si va ad osservare/misurare, si va a modificare quell’insieme di stati. Il “collasso”
in uno stato misurabile, e quindi appartenente alla nostra realtà conosciuta, è causato, quindi, dall’interazione tra lo strumento che
misura, l’osservatore con la sua coscienza e l’elemento osservato. Con le parole del fisico tedesco P. Jordan, “non solo le
osservazioni perturbano ciò che deve essere misurato, ma esse lo producono”.
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Bibliografia
1) Baldascini L. (1993) Vita da adolescenti, Milano, Franco Angeli
2) Baldascini L. (1996) “Il gruppo in formazione: apprendimento e
cambiamento”, in “Terapia Familiare”, 52, Roma, Edizioni A.P.F.
3) Baldascini L. (2002) Legami terapeutici, Milano, Franco Angeli
4) Baldascini L. (2008) L’adozione consapevole, Milano, Franco Angeli
5) Baldascini L. (2012) Trasmissione inter e trans generazionale “non locale”,
sito web I.P.R.
6) Bohm D. (1996) Universo, mente, materia, Como, Red Edizioni
7) Bowen M. (1979) Dalla famiglia all’individuo, Roma, Astrolabio
8) Capra F. (1997) La rete della vita, Milano, Rizzoli
9) Einstein A. (1997) Pensieri di un uomo curioso, Milano, Mondadori
10)
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11) Pannone F. (2008) “Genogramma e modello di articolazione
intersistemica”, in Baldascini L., L’adozione consapevole, cit.
12) Penrose R. (2006) La strada che porta alla realtà. Le leggi fondamentali
dell’universo, Milano, Rizzoli
13)
Plotino (204-270 d.C.) Enneadi, Milano, Rusconi, 1992
14) Pribram K. (1977) Languages of the Brain, Monterey, Wadsworth
Publishing
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