RITORNO A CASA - Collegio San Carlo

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RITORNO A CASA - Collegio San Carlo
Margherita Grassi – 3 classico A
RITORNO A CASA
Mancavano sei minuti all'arrivo dell'autobus.
Una signora cicciottella e di bassa statura stringeva con forza le pesanti borse della spesa.
Si guardava intorno intimorita dalla folla di persone che, insieme a lei, aspettavano di tornare a casa.
Sentiva lo sguardo di tutti su di sé e cercava disperatamente conferma di questa sua paranoia.
C'era un ragazzo che leggeva attentamente un libro, una coppia che si scambiava dolci effusioni,
gruppi di bambini che scherzavano e parlavano spensieratamente e c'era anche una vecchietta piccola
e rugosa che si sosteneva ad un marito dall'aspetto robusto e bonario.
Niente che potesse davvero preoccuparla.
«Hellen, tranquillizzati, sembri una pazza! Sei solo stanca, tra meno di un'ora sarai a casa ... quindi,
respira» si rimproverò la signora tra sé e sé.
Tornò dunque a concentrarsi sulle proprie scarpe: dei consunti stivaletti di pelle verde con una punta
pronunciata.
Ad un tratto le sembrò che le pieghe della propria scarpa si contorcessero fino a formare un volto che
le stava ... sorridendo?
Spalancò gli occhi sconcertata, sollevò per qualche attimo lo sguardo, ma quando si riconcentrò sugli
stivaletti non riuscì più ad individuare alcuna forma neanche lontanamente riconducibile ad un sorriso.
Si riguardò nuovamente intorno come per cercare tra quelle persone che la circondavano una qualche
occhiata esterrefatta dinanzi a quanto era appena accaduto.
Solo allora si accorse di una ragazzetta appoggiata distrattamente ad un palo che la fissava con
insistenza e con una strana luce negli occhi, quasi divertita.
La osservò perciò timidamente di rimando: una pelle bianca, tanto bianca che le ricordava quasi il
colore del latte, lunghi capelli corvini, che accentuavano ancora di più il contrasto con il volto pulito
ed infantile, gli occhi nascosti da un pesante trucco nero e da un cappuccio, nero anch'esso, calato sul
viso.
La forza che quella ragazzina emanava la metteva in soggezione, distolse lo sguardo.
L'autobus era arrivato finalmente.
Riafferrò le borse della spesa e, immersa in altri pensieri, si affrettò a salire sul mezzo: gli altri
passeggeri la spingevano e le davano spallate.
Riuscì a separarsi dalla massa stipata a forza nella vettura e a sedersi su un sedile, uno degli ultimi
liberi.
Di fianco a lei si era seduto un ragazzo occhialuto e concentrato su di un volume dall'aria pesante, le
dita portate con frenesia al naso sudaticcio per impedire la caduta dei piccoli occhialetti tondi e i
capelli attaccati alla fronte.
Davanti a lei si erano seduti i due vecchietti, moglie e marito, che si tenevano per mano, quasi a darsi
coraggio.
Tranquillizzata dalla solita e nauseante quotidianità la signora sorrise in direzione dei due anziani, il
sorriso le si spense però in un gridolino strozzato.
L'anziana le sorrideva serafica, ma ad Hellen sembrava che stesse piuttosto scoprendo una lunga fila
di denti aguzzi e ben allineati su di un muso affusolato ricoperto di squame gialle e verdi.
I piccoli occhietti mantenevano uno sguardo amorevole ma le sottili pupille verticali certamente non
trasmettevano serenità.
Era diventata un coccodrillo?
Hellen si strinse le mani grassocce e sbatté più volte le palpebre, una volta, due volte, tre volte e...
tutto era tornato normale!
Si mosse inquieta sul freddo sedile, lanciò una disperata occhiata al ragazzo seduto di fianco a lei che
ma sembrava non essersi accorto di nulla.
Si voltò verso gli altri passeggeri, nessuno aveva visto nulla.
Ed ecco la ragazzina, proprio in fondo al veicolo, vicino allo sportello del conducente, che aveva la
medesima espressione ironica stampata sul volto e che trasmetteva la stessa sensazione di disagio.
«Sta bene?»
Si girò spaesata verso la voce che aveva parlato.
L'anziana signora le aveva appena rivolto la parola, ma, a mente lucida, non riusciva a ricordare cosa
le avesse appena chiesto, mosse, quindi, in un cenno di assenso il capo sperando di non sembrare una
pazza, con lo sguardo allucinato e il sudore che le imperlava la fronte.
Accennò nuovamente un sorriso, questa volta molto tirato.
Non fece in tempo però a rialzare il viso che intravide, con la coda dell'occhio, alla sua sinistra, un
muso grigio e con un grosso corno.
Sbiancò immediatamente ma, nel girarsi e nel mettere a fuoco quello che, appena pochi secondi prima
aveva solo intravisto, fece cadere le borse a terra.
Un'enorme testa di quello che somigliava ad un rinoceronte con piccoli occhialetti tondi,
spaventosamente simili a quelli portati dal ragazzo seduto, fino a poco prima, al suo fianco, la stava
fissando con insistenza.
Qualcosa le toccò delicatamente la spalla attirando la sua attenzione.
Spalancò gli occhi inorridita scoprendo che a toccarla era stato un piccolo e largo becco posto su una
testolina con due grandi occhi neri.
Si guardò intorno sempre più terrorizzata dalla situazione: circa una mezza dozzina di bambini che,
dalla cintola in su, avevano le sembianze di opossum, stava raccogliendo il contenuto delle sue borse
e due giovani con corpi da lupo si guardavano l'un l'altro sbigottiti.
Una figura, in fondo alla vettura, rideva.
Una risata così gelida e crudele che la scosse profondamente.
«Perché?» urlò in direzione della ragazzina incappucciata.
«Perché no?» le rispose quella tra le assordanti risate di scherno.
Il fracasso intorno a lei la stordiva, le sembrava che tutti si stessero prendendo gioco di lei.
«Hellen, tranquilla! È solo un brutto sogno: adesso ti sveglierai e sarai ancora sul divano con la
televisione accesa. Sei già tornata a casa. Tranquilla. Sei già a casa» ripeteva febbrilmente nella sua
testa.
L'autobus si era fermato.
Cercò di scendere dal sedile ma era trattenuta da qualcosa per la gola.
Risa, sentiva solo risa.
Si guardò le mani disperata: erano diventati due zoccoli.
Cercò di urlare, ma sentì dalla sua gola uscire solo un ringhio mozzato.
Dalla cabina del conducente vide allora uscire un uomo corpulento e vestito in modo insolitamente
distinto, con una giacca nera e una sottile cravatta abbinata.
Gli lanciò uno sguardo speranzoso in cerca di aiuto.
L'uomo prese però la mano della ragazzina e si girò verso di lei con occhi ricolmi di affetto.
«Papà guarda quell'ippopotamo che si agita disperato» disse quella con voce capricciosa e falsamente
impaurita, puntando il dito smaltato di nero nella sua direzione.
«Non ti può far nulla piccola mia, guarda: è legato»
Una lacrima scese sul grugno tozzo e grigiastro dell'animale.
La ragazzina adesso se ne stava andando con quel signore.
Si girò e si rivolse a lei ghignando.
«Perché no, Hellen?».