Accuse pelose, contraddizioni reali e retropensieri milanesi sul caso

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Accuse pelose, contraddizioni reali e retropensieri milanesi sul caso
Accuse pelose, contraddizioni reali e retropensieri milanesi sul
caso Pereira
Pubblicato il 20/05/2014 @ 11:00 in Giornali,Il Foglio
E’stata l’accusa di conflitto di interessi a creare l’affaire
Pereira. Senza, sarebbe rimasto una polemica, una delle
tante che nascono nel mondo della lirica, e di cui quel
mondo vive. Con quell’accusa, una questione manageriale
diventa politica, una contestazione al sovrintendente diventa un’accusa al sindaco.
Ora quell’accusa è caduta: la decisione del cda di confermare Pereira, seppure solo fino a
tutto il 2015, esclude che nel suo comportamento si configuri il conflitto di interessi. Proprio
la concomitanza con gli scandali dell’Expo, che aveva indotto qualche commentatore a fare di
ogni erba un fascio (o sfascio), ora lo esclude in modo categorico: è impensabile che una
persona come l’avvocato Pisapia abbia voluto coprire anche l’ombra di un sospetto di
scorrettezza amministrativa, tanto meno in questo momento. A Rho come al Piermarini,
urgenza non giustifica indulgenza: punto.
L’accusa di conflitto di interessi ha usato Pisapia per colpire Pereira. Dopo la decisione del
cda, la situazione si è rovesciata: ora chi continua ad accusare Pereira colpisce Pisapia.
Eppure c’è chi continua a infiorare i suoi scritti di maligni ammiccamenti: mastica amaro
perché è fallito l’attacco al sovrintendente o quello al sindaco?
Non è che questo fosse fin da principio il bersaglio e quello il pretesto? Dopo tutto, non è solo
il mondo che ruota intorno alla Scala a essere diviso a Milano, anche in politica ci sono
contrapposizioni, tra regione e comune, e nel comune, all’interno della maggioranza
consiliare.
Ma se non c’è stato conflitto di interessi, la “punizione” inflitta a Pereira, di terminare il
contratto a fine 2015 anziché a fine 2019, appare incongrua. A Pereira è stato contestato di
avere usato poteri che non aveva prima del 1° settembre: come sanzione per un
comportamento non doloso, che non ha recato danno economico, che è improbabile che
venga reiterato nei prossimi tre mesi e che fra tre mesi diventerà non contestabile sul piano
delle scelte artistiche, la pena non rispetta il principio di proporzionalità.
Infatti non si tratta di una pena per il passato, ma di un ammonimento per il futuro; riguarda
non cose fatte ma quelle che si potrebbero fare. Già l’accusa fin dall’inizio sembrava “pelosa”,
posto che in Italia, come osserva Bonomi sulla Stampa, la cultura è molto spesso vittima di
un altro conflitto, quello del disinteresse; la sanzione equivale all’ammissione che dietro il
conflitto presunto ci siano altri conflitti. Non c’era bisogno che arrivasse Pereira per sapere
che la Scala è un mondo complicato, negli equilibri dei vertici, nelle prassi invalse nella
struttura. Che ci sono questioni di poteri, economici e sindacali, privati e soldi pubblici, di
soldi da spendere e soldi da trovare.
A Pereira si deve far sapere che, anche quando avrà tutti i poteri di sovrintendente, la via più
breve tra due punti può non essere la retta, delega o non delega. E in ogni caso avendo meno
tempo davanti, avrà meno tentazione di provarci.
Fiorenzo Tagliabue, che nel cda della Scala rappresenta la regione, ha votato contro. L’aveva
detto fin dall’inizio, “’sto Presepe nun me piace”. Quando voleva un italiano a quel posto
avevamo criticato il suo ottuso pregiudizio campanilista: l’abbiamo sopravvalutato, era più
semplice.