Quando i comportamenti generano valore per organizzazioni e

Transcript

Quando i comportamenti generano valore per organizzazioni e
Elite allo Specchio
a cura di Valentina Casali
Quando i comportamenti
generano valore
per organizzazioni e persone
Intervista a Roberto Degli Esposti
Managing Partner di Performant by SCOA, Business Coach e Docente SCOA
Generare valore e perseguire risultati concreti nella sfida al cambiamento che interessa tutte le
organizzazioni, grandi e piccole: è questa la mission di Performant, società di SCOA (The School of
Coaching). Il loro è un metodo specifico che fa leva sui comportamenti. Comportamenti che si possono osservare, replicare e misurare. Ma soprattutto allenare, perché diventino fonte di vantaggio
competitivo e premessa alla crescita individuale e organizzativa. Ospitati nella sede milanese di
Performant, recentemente inaugurata, abbiamo chiesto a Roberto Degli Esposti, Managing Partner
di Performant by SCOA, Business Coach e Docente SCOA, come si fa a valorizzare, innovando, il
patrimonio di conoscenze già a disposizione delle aziende. Come si riconoscono i comportamenti
che producono valore e come generarne di nuovi. Quali, infine, le caratteristiche del metodo di business coaching che Performant ha elaborato.
È una fresca mattina autunnale. Ad
accoglierci la squadra di Performant
quasi al completo. Si respira un clima sereno e creativo; merito delle
persone sorridenti e delle bellissime
installazioni artistiche alle pareti.
Sul muro di ingresso campeggia
una frase, “I comportamenti generano valore”, che racchiude il senso
dell’operare di Performant.
Roberto Degli Esposti ci racconta
di aver voluto ricreare un ambiente confortevole e bello, all’interno
del quale incentivare il confronto
e lo scambio tra i coach. Non è un
caso la scelta di condividere lo spazio con un’altra società loro partner, Exeo Consulting, che integra i
servizi di Performant supportando
le organizzazioni nella definizione
delle strategie e nella crescita delle
6
Novembre/dicembre 2015
risorse umane con piani di sviluppo,
assessment e formazione.
E non è, infine, fortuito nemmeno
il logo di Performant, composto di
tre elementi: un quadrato in basso
a sinistra, che rappresenta la fase
di crisi e messa in discussione delle
certezze, nonché l’ingaggio iniziale
che serve a sostenere un percorso
di cambiamento; una linea curva, ossia il percorso vero e proprio
di trasformazione; infine, un tondo, rappresentazione dell’avvenuto cambiamento. Si tratta di una
sorta di ideale e replicabile ‘ciclo
dell’eroe’: dalla rinuncia alla propria zona di comfort fino alla creazione di un nuovo mondo che potrà
ulteriormente subire una messa in
discussione, in una sorta di “eterno
e continuo cambiamento”.
È da questa idea di cambiamento
perpetuo che prende il via la nostra
intervista.
Sentiamo spesso parlare di
manager che, vittime dalle ‘intemperie’ che caratterizzano
il contesto attuale e lo rendono
instabile, si lasciano andare
alla deriva senza riuscire a cavalcare l’onda del cambiamento; oppure propendono per una
risposta ‘rigida’ che si fa scudo
delle armi della pianificazione e
della programmazione. Dal suo
osservatorio privilegiato, quale
fotografia ci può restituire?
La percezione è che pianificazione e
programmazione non abbiano più
senso in presenza di cambiamenti
economico-sociali velocissimi e re-
&SVILUPPO
ORGANIZZAZIONE
Elite allo Specchio
Roberto Degli Esposti nella sala blu dove si allena all’ascolto e alla contemplazione
pentini. Ciò a cui stiamo assistendo
è un generale ‘disorientamento’, il
quale, in realtà, non è altro che il
frutto di un continuo processo di
trasformazione a cui è necessario
adattarsi. E non solo. Si impone
oggi la creazione di condizioni che
rendano possibile l’adattarsi traendone anche il massimo vantaggio.
Certamente si tratta di un
obiettivo oneroso. Come lo si
persegue?
Questo processo di adattamento non
è semplice e molto ha a che vedere
con la dimensione emotiva, spesso
non troppo tenuta in considerazione dalle organizzazioni. Tuttavia
alcune aziende cominciano a capire
che lavorare sulle soft skill – come
leadership, followership, engagement,
orientamento al cambiamento – è un
buon modo per affrontare con successo le trasformazioni in atto. A mio
avviso, ciò richiede la comprensione
di un’ulteriore verità. E cioè che il
cambiamento è molto più simile a
un processo biologico che non a una
mera concatenazione meccanica di
eventi. La riflessione su questo tema
non è ancora giunta pienamente a
maturazione, ma si intravedono i primi segnali di consapevolezza.
Quali sono le difficoltà maggiori all’emergere di tale consapevolezza? Perché le persone
fanno così fatica a operare una
svolta?
Perché non sono abituate ad ascoltare, prima di tutto. Questo per via di
una cultura gerarchica che prevede
Roberto degli Esposti
Laureato in Economia e Commercio all’Università Bocconi di Milano, ha speso i primi nove anni della sua carriera
in una società internazionale di consulenza impegnandosi prevalentemente in progetti nei settori retail, finanza,
moda ed editoria. Passato poi a ruoli manageriali, prima come Direttore del personale poi come Amministratore
Delegato, ha avuto incarichi sempre mirati al cambiamento, se non veri e propri turnaround. Nel suo percorso professionale ha lavorato per aziende sia imprenditoriali sia controllate da fondi di investimento. Terminata questa fase,
si è concentrato su progetti di start up, con un ruolo manageriale e imprenditoriale.
Managing partner e business coach, opera oggi in SCOA su progetti di coaching di impresa e sviluppo organizzativo. Ha creato una linea di business rivolta alle PMI italiane, finalizzata allo sviluppo delle performance aziendali
con conseguente arricchimento dell’offerta di servizi di SCOA. Si è inoltre dedicato al rafforzamento e sviluppo del
team di professionisti SCOA sia attraverso nuovi inserimenti sia con la realizzazione di team di lavoro.
&SVILUPPO
ORGANIZZAZIONE
Novembre/dicembre 2015
7
Elite allo Specchio
che vi siano persone che istruiscono e persone che vengono istruite.
In tali contesti l’ascolto non è contemplato; in entrambe le direzioni
e, a maggior ragione, nel senso che
va dal basso verso l’alto. Ciò che, a
prescindere dal modello organizzativo, occorre instillare nelle persone
è un’attitudine all’ascolto reciproco,
a cominciare dai manager. Dunque
allenare ad assumere comportamenti che generino valore.
Quali sono questi comportamenti? E come li si distingue
dagli altri?
Esistono due categorie di comportamenti, quelli che funzionano e quelli che non funzionano. Ovviamente
in riferimento allo specifico contesto e non in maniera aprioristica.
Per sapere se un comportamento
funziona lo si deve osservare con
gli occhi degli altri nella dimensione della comunicazione, sia quella
one-to-one sia quella che avviene
all’interno dei gruppi.
E per generarne di nuovi?
I comportamenti non sono altro che
la rappresentazione osservabile delle
competenze e, come tali, hanno la caratteristica di essere replicabili, dunque allenabili. Ma anche misurabili.
Per attivarne di nuovi è basilare la
volontà dei singoli di acquisirli. Senza
l’ingaggio personale o della squadra
non c’è allenamento che tenga.
Certamente non è facile né scontato,
perché l’essere umano tende a mettere in atto i comportamenti che già
conosce, percorrendo la via della conservazione. Ciò costituisce un grande
ostacolo alla trasformazione e sono i
manager, per primi, a dover percepire il pericolo. Loro normale tendenza
è, infatti, la convinzione di non avere
più nulla da imparare. Per i collaboratori, invece, è più semplice.
Ci spiega?
Si tratta del fenomeno della semplificazione imitativa. In molte aziende i
collaboratori tendono ad assumere i
comportamenti del capo perché quei
comportamenti sono associati al successo personale. Ma se è il capo, per
primo, a non sentire l’ingaggio personale, è molto difficile che riesca a
trasmetterlo ai collaboratori.
Il cambiamento deve pertanto partire dalla testa. Ma chi e
come deve essere il leader?
Chiunque può essere leader e non
sempre bisogna esserlo. Per conseguire gli obiettivi e ottenere il successo
del team un bravo capo deve anche
imparare a essere follower. Le relazioni all’interno dell’organizzazione
e dei team evolvono, infatti, e mutano
costantemente, in ragione di un ambiente in cambiamento e in funzione della trasformazione degli attori
stessi. Nella dinamica che si genera,
a ciascuno può accadere di giocare il
ruolo del leader e di vestire i panni
del follower. Sono le situazioni a dettare i comportamenti da adottare, i
quali, una volta osservati, determinano l’assunzione del comando (leader)
o il sostegno alla realizzazione (follower). Un esempio calzante è quello
della pallacanestro. Il buon capitano
è colui che sa fare un passo indietro
e passare la palla alla persona più
adatta, in quello specifico contesto, a
trasformare il tiro in canestro.
I team in grado di esprimere i migliori risultati sono proprio quelli al
cui interno i ruoli di leadership e di
followership sono continuamente e
tacitamente riassegnati, in vista della situazione da affrontare.
I grandi leader sono dunque,
prima di tutto, eccellenti
follower…
Sì, ed essere follower è un mestiere
ricco di sfide, tanto quanto essere
leader. Il miglior allenamento che si
possa fare è quello all’umiltà.
L’installazione artistica di Anja Puntari che accoglie i visitatori nella nuova sede. I visitatori sono invitati
a inserire una moneta all’interno di uno o più di questi salvadanai, ognuno dei quali rappresenta una
competenza che necessita allenamento
8
Novembre/dicembre 2015
Quindi l’allenamento alla leadership dei capi parte dall’acquisizione di un comportamento umile. Su che cosa, invece,
occorre lavorare per stimolare
la leadership nei collaboratori?
Prima di qualsiasi altra cosa, è importante lavorare sulla responsabilizzazione e, di conseguenza, sulla
&SVILUPPO
ORGANIZZAZIONE
Elite allo Specchio
cultura dell’errore. Non sempre i
capi accettano che i collaboratori
imparino dagli errori e i sistemi di
performance management certamente non premiano chi sbaglia
nel perseguimento degli obiettivi.
Occorre pertanto superare questa
visione, ponendo le condizioni organizzative affinché l’errore non
solo non venga sanzionato, ma possa anche essere compreso.
Il secondo passo consiste nell’aiutare le persone a uscire dai propri
successi. Perché non c’è niente di
più dannoso del successo quando
si vuole cambiare. Crogiolarsi nel
successo porta spesso a replicare nel
futuro un comportamento considerato ‘vincente’ nel passato. Mutate
le condizioni e gli obiettivi non è
detto che lo stesso comportamento
sia altrettanto funzionale.
E qui entra in gioco la dimensione della ‘crisi’. La leadership, indipendentemente da chi la esercita,
diventa determinante nel produrre
una trasformazione quando è capace di generare delle crisi.
Il successo come freno al cambiamento e la crisi come motivo scatenante. Possiamo approfondire?
Nella crisi si generano sempre nuove opportunità. I capi devono, dunque, guidare la dimensione emotiva
dei collaboratori nella comprensione che le crisi sono necessarie. E
poi produrre le condizioni affinché
dalla crisi si possa uscire, non tanto attraverso l’elaborazione, quanto
Roberto Degli Esposti nella sala viola dedicata all’innovazione e al change management
tramite la messa in pratica di un
comportamento.
Sono la pratica e la persistenza della
pratica nel perseguire i propri obiettivi
a produrre la trasformazione. E l’allenamento non è altro che la replica di
una pratica volta al suo affinamento.
Il compito del manager nell’individuare obiettivi chiari per
la squadra e nell’allenare le
persone a raggiungerli presuppone un massiccio lavoro sulla
comunicazione, che è sempre
scambio reciproco tra due parti
– una emittente e una ricevente
–, all’interno del quale assume
importanza la dimensione del
feedback…
Già il fatto che nella lingua italiana
non esista una traduzione appropria-
ta del termine ‘feedback’ impone una
riflessione. La traduzione concettuale sarebbe ‘critica’. Ma considerare il
feedback una critica porterebbe ad
annullare il concetto di scambio reciproco. Piuttosto che allenarsi a dare
feedback, mi sembra allora più utile allenarsi a riceverlo e a ricercarlo, ognuno per la propria crescita personale.
Non vi è poi bisogno di individuare
degli spazi o dei momenti ad hoc
per scambiarsi il feedback. Il feedback può, infatti, essere non verbale
e del tutto intangibile. Basta dunque
mettersi all’ascolto per cogliere quei
segnali, anche fisici, che portano a
smettere un comportamento che
non funziona e a generarne di nuovi. Aumentare le capacità di ascolto
è l’unico modo perché il feedback
trovi terreno fertile.
Performant by SCOA
Performant by SCOA nasce nel maggio 2015 con lo scopo di dare un nome a un brand di servizi rivolti alle
imprese. Performant by SCOA possiede già un portfolio di esperienze e di successo maturato in SCOA negli
ultimi anni, attraverso l’applicazione degli strumenti e delle metodologie del Business Coaching nelle aziende.
Performant by SCOA supporta le organizzazioni nella loro trasformazione partendo dal principio che il sostegno all’abilitazione di nuovi comportamenti generi valore. Performant by SCOA è effective business coaching,
ovvero il sostegno allo sviluppo delle performance di singoli individui, di team e di intere organizzazioni.
&SVILUPPO
ORGANIZZAZIONE
Novembre/dicembre 2015
9
Elite allo Specchio
E come avviene l’apprendimento dei coach che si affidano a voi?
La nostra scuola di coaching si rivolge a coloro che esercitano o aspirano a esercitare il mestiere di coach.
Come all’interno dei percorsi che
proponiamo alle aziende, anch’essa
ha per nucleo dell’apprendimento il
modello PROVA. L’obiettivo è dunque quello di stimolare, finanche
nei professionisti, la generazione di
un equilibrio che gli permetterà di
migliorare le proprie performance
e di intervenire migliorando quelle
degli altri (i coachee). Solo coach
che hanno raggiunto il giusto bilancio tra dimensione emotiva e logica possono aiutare le persone nelle
aziende a trovare il loro equilibrio e
a fare la differenza.
Roberto Degli Esposti ci accoglie nella nuova sede
Oggi si sente tanto parlare di
aziende etiche e di carte dei
valori. Ma come si fa a compiere il salto dalla teoria alla
pratica? Come, cioè, i valori si
rendono vitali?
Bisogna farli leggere attraverso i
comportamenti. È, anche in questo
caso, una questione di allenamento.
Noi aiutiamo le aziende sostenendole con percorsi di coaching, individuali e di gruppo, alla cui base sta
sempre un concetto: il bilancio tra la
dimensione emotiva e quella logica.
Quando queste due dimensioni trovano una ragionevole coesistenza, le
persone entrano nelle condizioni di
far evolvere i propri comportamenti.
Qual è la specificità del modello di coaching che avete elaborato e che utilizzano tutti i vostri coach?
Il nostro approccio si può riassumere nell’acronimo PROVA, che sta
per Presente, Orizzonte, Via e Azione. Consiste nel fare in modo che le
10
Novembre/dicembre 2015
persone, attraverso il percorso di
coaching, comprendano la situazione presente, definiscano l’orizzonte
a cui tendere, traccino una via attraverso cui raggiungerlo ed entrino
in azione.
Appena entrano in azione, inizia il
nostro compito che è quello di allenatori. L’allenamento avviene in
‘palestre comportamentali’ e consiste nell’esercitare i comportamenti
all’interno della propria agenda e
nel rispetto degli impegni preesistenti. Non si tratta dunque di un
lavoro in più.
Dopodiché interveniamo, in sessioni successive, cercando di stimolare
una riflessione sui comportamenti
adottati e sulla loro funzionalità o
meno rispetto alle specifiche situazioni che si verificano in agenda.
È il coachee che deve acquisire la
consapevolezza dei propri comportamenti, imparando a distinguere se quel comportamento è stato
utile oppure no e come lo si può
migliorare.
Facendo leva sui principi e gli
strumenti del coaching sono
tante le aziende che avete aiutato nel migliorare la propria
performance. Quali sono i vantaggi concreti per chi sceglie di
affidarsi a voi nello sviluppo
del proprio capitale umano?
A contraddistinguerci è il fatto di
avere messo le tecniche dell’executive e business coaching a servizio della generazione di valore. La
scuola è il nostro fiore all’occhiello e
considero un ulteriore motivo di orgoglio il fatto che stiamo lavorando
per far sì che la stessa possa offrire
non solo percorsi alle persone che
aspirano a diventare coach, ma anche a coloro che vogliono utilizzare
gli strumenti caratteristici del coaching nel proprio mestiere e nella
gestione delle sfide quotidiane;
questo con maggiore consapevolezza dei propri comportamenti e una
più ampia attenzione all’ascolto.
Se vogliamo vivere il presente con
gli occhi del futuro, il coaching è il
giusto strumento per iniziare la trasformazione.
&SVILUPPO
ORGANIZZAZIONE