Guglielmo di Ockham

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Guglielmo di Ockham
Estratto da C. Marmo, “Guglielmo di Ockham”, in Filosofie nel tempo, a cura di P. Salandini e R. Lolli, opera
diretta da G. Penzo, volume I: Dalle origini al XIV secolo, tomo II, Roma, Spaziotre, 2001, pp. 1157-1188.
Guglielmo di Ockham
(Venerabilis Inceptor o Doctor Invincibilis)
di
Costantino Marmo
Introduzione
Nato probabilmente nella contea del Surrey, in Inghilterra, intorno al 1288, Guglielmo di
Ockham è già frate minore francescano nel 1306 e studia all’università di Oxford, dove si
avvia alla carriera di magister in teologia. Qui commenta i libri delle Sentenze di Pier
Lombardonegli anni 1317-1319. Viene poi mandato ad insegnare filosofia nello studio
generale dell’Ordine francescano a Londra (di questo periodo rimangono i commenti alle
opere logiche e alla Fisica di Aristotele, oltre alla Summa logicae – d’ora in avanti SL). Nel
1324 è convocato alla corte papale di Avignone per rispondere alle accuse di eresia
rivoltegli forse da Giovanni di Rodington. Si reca ad Avignone dove trascorre quattro anni
in attesa che l’apposita commissione esamini le proposizioni incriminate. È probabile che
ad Avignone si sia dedicato alla stesura degli ultimi due libri di Quaestiones quodlibetales
(Qdl.). All’inizio del 1328 incontra Michele da Cesena, Ministro Generale dell’Ordine,
anch’egli ad Avignone con il Procuratore dell’Ordine, Bonagrazia da Bergamo, per
rispondere dell’accusa di eresia che il pontefice Giovanni XXII aveva loro rivolto nel corso
della disputa sulla povertà dell’Ordine francescano. Nel maggio 1328, valutati i rischi di
una prolungata permanenza ad Avignone, Michele, Bonagrazia e Guglielmo fuggono dalla
corte papale e si rifugiano presso l’imperatore Ludovico il Bavaro a Pisa. Nel 1330 lo
seguono a Monaco di Baviera, assieme a Marsilio da Padova. Nel 1331, il Capitolo
generale dei francescani, tenutosi a Perpignano, espelle dall’Ordine Michele da Cesena e i
suoi seguaci. Alla corte imperiale, Ockham compone numerosi libelli e trattati di carattere
polemico e di argomento ecclesiologico e politico, tra i quali il l’Opus nonaginta dierum, il
Breviloquium (Brev.) il Dialogus e le Octo quaestiones de potestate papae. Muore
probabilmente nel 1347, alla vigilia dell’epidemia di peste nera che sconvolgerà l’Europa.1
Logica, semantica e ontologia
1.1. Termini, proposizioni e argomentazioni
La struttura di SL rispetta una tradizionale tripartizione della logica in tre parti
principali: la prima riguarda i termini, la seconda le proposizioni e la terza le
argomentazioni. La terza parte, includendo una trattazione molto dettagliata della
sillogistica (con proposizioni modali e non) e delle inferenze non sillogistiche (teorie delle
consequentiae), oltre che delle argomentazioni fallaci, corrisponde solo in parte a quelle
discipline che oggi sono note coi nomi di ‘logica (o calcolo) delle proposizioni’, ‘logica (o
calcolo) dei predicati’ e ‘logica modale’. Naturalmente, è assente l’aspetto assiomatico e di
calcolo automatico che queste discipline oggi presentano, ma alcune caratteristiche della
logica proposizionale (come l’implicazione materiale, per esempio) sono chiaramente
presenti. La logica di Ockham (ma il discorso, per molti aspetti, può estendersi alla logica
medievale in genere) contiene di più, per certi versi, e di meno, per altri: per fare un altro
esempio, Ockham non riconosce il legame di dipendenza della logica dei predicati
(sillogistica) rispetto a quella proposizionale (consequentiae) (ciò che si trova invece in altri
1
Cfr. W.J. Courtenay, The Academic and Intellectual Worlds of Ockham, in The Cambridge Companion to
Ockham, a cura di P.V. Spade, Cambridge University Press, 1999, pp. 17-30.
autori contemporanei, come Walter Burleigh, o di poco successivi, come Alberto di
Sassonia). E si potrebbe continuare per molte pagine.2
Uno degli aspetti più interessanti e caratteristici della logica di Ockham è senz’altro lo
sviluppo della tradizionale teoria della suppositio terminorum in una compiuta semantica
per le proposizioni elementari (categoriche, ovvero costituite da soggetto, copula e
predicato nominale). Un’esposizione, per quanto succinta, della teoria della suppositio di
Ockham, tuttavia, non può tralasciare la definizione della nozione di ‘segno’ che quella
presuppone.
1.2. Segni naturali e intelletto: il linguaggio mentale
SL si apre con un capitolo dedicato alla definizione della nozione di ‘termine’ (su cui
torneremo). Prima di concluderlo Ockham aggiunge una nota, dedicata ai critici più tenaci
(propter protervos), sulla duplice accezione del termine ‘segno’:
(i) In un modo [il termine ‘segno’] indica tutto ciò che una volta appreso fa conoscere qualcos’altro, sebbene
3
non faccia pervenire la mente alla prima conoscenza di qualcosa, come è stato spiegato altrove, ma a una
conoscenza attuale che viene dopo una conoscenza abituale. E la parola significa naturalmente in questo
modo, come qualunque effetto significa la sua causa, come anche il circolo davanti alla taverna indica il vino.
Ma in questo contesto non parlo del segno secondo un’accezione così generale.
(ii) In un altro modo si intende per ‘segno’ ciò che fa conoscere qualcosa ed è destinato a supporre per
quella stessa cosa (natum est pro illo supponere) o per essere aggiunto a tale segno in una proposizione,
come i sincategoremi e i verbi e quelle parti della proposizione che non hanno un significato determinato, o
che ha per natura la proprietà di essere composto da tali termini, come nel caso della proposizione. E
considerando il vocabolo ‘segno’ secondo tale accezione la parola come suono vocale non è segno naturale
4
di nulla.
La seconda accezione di segno è quella che Ockham considera centrale per la
costruzione della propria filosofia del linguaggio e ha la caratteristica di far conoscere il
proprio significato in modo primario e non derivato, non fondandosi cioè su procedimenti
inferenziali o di rappresentazione iconica. Il suo carattere principale consiste nello stare
per (supponere pro) il proprio significato in modo naturale, cioè senza dipendere da alcuna
stipulazione arbitraria precedente. Il segno in senso proprio, quindi, non coincide in alcun
modo con le parole di una qualsiasi delle lingue esistenti, quanto piuttosto con i termini
mentali o concetti che, secondo quel che afferma Agostino nel suo De trinitate, “non
appartengono ad alcuna lingua, poiché rimangono solo nella mente e non possono essere
proferiti esternamente, sebbene le parole orali (voces) in quanto segni a essi subordinati
vengano pronunciate esternamente”.5 Una conferma della sostanziale identità tra la
significazione dei concetti e lo “stare per” in modo naturale viene dal confronto con la
discussione dedicata da Ockham alla definizione dei diversi sensi del verbo ‘significare’ in
senso logico (quindi non nel suo senso più generale che include anche la significazione
2
Sulla logica di Ockham si possono vedere il classico E.A. Moody, The Logic of Williamo Ockham, Sheed
Ward, New York, 1935; M. McCord Adams, William Ockham, Notre Dame (Indiana), University of Notre
Dame Press, 1987, vol. I, part 2, pp. 317-492; C.G. Normore, Some Aspects of Ockham’s Logic, in The
Cambridge Companion, cit., pp. 31-52. Per uno sguardo sintetico sulla storia della logica medievale, si veda
W.K. Kneale e M. Kneale, Storia della logica, Einaudi , Torino, 1972 (ed. orig. The Development of Logic,
Clarendon, Oxford, 1962).
3
Cfr. Ordinatio, d. 3, q. 9, in OTh II, pp. 544-551 (trad. it. parziale in Guglielmo di Ockham, Scritti filosofici, a
cura di A. Ghisalberti, Nardini, Firenze, 1991, pp. 142-148).
4
SL I, 1, OPh I, pp. 8-9 (trad. it. in Ockham, Logica dei termini, a cura di P. Müller, Rusconi, Milano, 1992, p.
92; cfr. anche la trad. in O. Todisco, Guglielmo d’Occam filosofo della contingenza, Ed. Messaggero,
Padova, 1998, pp. 191-199, con testo a fronte).
5
SL I, 1, OPh I, p. 7 (trad. it. in Ockham, Logica, cit., p. 91).
2
dei segni nella prima e più estesa accezione del termine). Riportiamo qui solo le prime due
accezioni:
I logici usano il termine ‘significare’ in molti modi. (i) Infatti in un senso si dice che un
segno significa qualcosa quando suppone o è destinato a supporre per quella cosa, nel
modo in cui quel nome può essere predicato, attraverso il verbo ‘è’, di un pronome
dimostrativo che si riferisce a quella cosa (…). (ii) In un altro modo si intende ‘significare’
quando un segno può supporre per qualcosa in una proposizione vera al passato o al
futuro o al presente o in una proposizione modale. E in questo modo ‘bianco’ non solo
significa ciò che ora è bianco, ma anche ciò che può essere bianco.6
Come è stato messo in evidenza da studi recenti, i concetti semplici costituiscono per
Ockham i termini di un pensiero linguisticamente articolato, un autentico linguaggio
mentale che articola le modalità umane del conoscere e fornisce quindi il quadro di
riferimento per la teoria della conoscenza nel suo complesso.7 Che il concetto sia un
segno non è una tesi nuova;8 ciò che rappresenta un’autentica novità è l’idea che i
concetti, al pari delle parole scritte o espresse verbalmente, costituiscano un vero e
proprio linguaggio, dotato di una propria sintassi e di una semantica (la teoria della
suppositio).9 Se i logici della precedente generazione si erano dibattuti nel dilemma se i
suoni linguistici significassero principalmente le cose o i concetti, per Ockham suoni
linguistici e concetti rappresentano due sistemi di significazione distinti delle stesse cose
(o delle cose stesse), ma connessi da un rapporto gerarchico: i concetti sono i segni primi
e principali delle cose per le quali stanno, mentre i suoni linguistici (e, in subordine, i grafi
della scrittura) le significano solo in dipendenza dalla significazione concettuale: se questa
cambiasse (ipotesi irreale per le capacità umane, ma non esclusa dal campo delle
possibilità aperte all’intervento divino), ipso facto cambierebbe anche quella dei
corrispondenti suoni linguistici.
1.3. La teoria della suppositio
La definizione ockhamista della suppositio si pone chiaramente nella linea oxoniense che,
in opposizione a quella parigina o continentale, la considera come una proprietà dei
termini solo in quanto inseriti in un contesto proposizionale:10 un termine isolato dal
contesto non possiede la capacità di stare per qualcosa, quindi – a rigore – non è neppure
significativo. La nozione di suppositio, in effetti, è più estesa di quella di significatio:
esistono ben due tipi di suppositio che non riguardano il significato del termine. Un
termine, espresso verbalmente o per iscritto, è assunto in modo significativo solo quando
si trova in suppositio personalis, ovvero sta per la cosa o le cose alle quali l’imposizione
originaria lo ha associato; è assunto in modo non significativo quando si trova in suppositio
simplex, ovvero sta per il corrispondente concetto, o in suppositio materialis, ovvero sta
6
SL I, 33, OPh I, p. 95 (trad. it. in Ockham, Logica, cit., pp. 157-158; cfr. anche la trad. in Ockham, Scritti
filosofici, cit., pp. 148-150).
7
Si veda più avanti il par. 2.
8
Si veda il capitolo dedicato a Ruggero Bacone e alla sua teoria del segno.
9
Per una valutazione della novità apportata da Ockham in tema di linguaggio mentale, si vedano i lavori di
C. Panaccio, From Mental Word to Mental Language, in «Philosophical Topics» 20/2, 1992, pp. 125-147;
Les mots, les concepts et les choses. La sémantique de Guillaume d’Occam et le nominalisme d’aujourd’hui,
Bellarmin-Vrin, Montréal-Paris, 1991; Le discours intérieur de Platon à Guillaume d'Ockham, Seuil, Paris,
1999; Semantics and Mental Language, in The Cambridge Companion, cit., pp. 53-75; D. Chalmers, Is
There Synonymy in Ockham’s Mental Language?, in The Cambridge Companion, cit., pp. 76-99.
10
Cfr. SL I, 63, OPh I, p. 193 (trad. it. in Ockham, Logica, cit., p. 236). Sulle due tradizioni, si veda A. de
Libera, The Oxford and Paris Traditions in Logic, in The Cambridge History of Later Medieval Philosophy.
From the Rediscovery of Aristotle to the Disintegration of Scholasticism, 1100-1600, Cambridge University
Press, Cambridge-London-New York, 1982, pp. 174-187.
3
per se stesso in quanto suono, grafo, funzione grammaticale (nome, verbo, ecc.) o logica
(soggetto, predicato, ecc.).
L’ulteriore classificazione dei tipi di suppositio personalis11 segue in larga parte quella del
suo contemporaneo, e avversario filosofico, Walter Burleigh, differenziandosene per
l’ultimo tipo, la confusa tantum:
suppositio discreta: è la proprietà caratteristica, tipica dei nomi propri (come ‘Socrate’) o
dei termini singolari (come ‘quest’uomo’), di stare per singoli individui in una proposizione
singolare;
suppositio communis: è quella dei termini comuni di stare per una pluralità di individui in
una proposizione;
2.1.) suppositio communis determinata: è quella del soggetto di una proposizione
indefinita come ‘qualche uomo corre’ ed è definita come la suppositio che consente di
inferire una disgiunzione di proposizioni singolari che abbiano come soggetti gli individui
denotati dal termine stesso: così da ‘qualche uomo corre’ si può ‘discendere’ alla
proposizione disgiuntiva ‘Socrate corre o Platone corre o Cicerone corre’ e così via per
tutti gli uomini esistenti;
2.2.) suppositio communis confusa, è distinta in due sottotipi:
2.2.1.) confusa et distributiva: è quella tipica del soggetto di una proposizione
universale affermativa come ‘ogni uomo è animale’ ed è definita come quella che permette
di inferire la congiunzione di tutte le proposizioni che hanno come soggetti i referenti del
termine comune e lo stesso predicato: da ‘ogni uomo è animale’ si può inferire la
congiunzione ‘Socrate è animale e Platone è animale e Cicerone è animale’ e così via;
2.2.2.) confusa tantum: è quella tipica del predicato di una proposizione universale
come ‘ogni uomo è animale’ ed è definita come quella che permette di inferire una
proposizione universale con predicato disgiunto ovvero formato dalla disgiunzione tra i
termini singolari che denotano i referenti del termine comune: da ‘ogni uomo è animale’ si
può così inferire ‘ogni uomo è questo animale o quell’animale o quell’altro animale’ e così
via. I precedenti logici, compresi Bacone e Burleigh, avevano definito quest’ultimo tipo di
suppositio proprio a partire dall’impossibilità di inferire alcunché.12
La teoria della suppositio terminorum, così riformulata da Ockham, gli permette di definire
le condizioni di verità di tutti i tipi di proposizioni categoriche (aventi cioè la forma: soggetto
+ copula + predicato) attraverso la riduzione di tutte le proposizioni a congiunzioni o
disgiunzioni di proposizioni singolari (qualcosa di analogo a ciò che Bertrand Russell
avrebbe chiamato ‘proposizioni atomiche’).
1.4. Ontologia e linguaggio: termini assoluti e termini connotativi
Se il primo e il secondo senso di ‘significare’, visti sopra, si riducono al riferimento a
oggetti esistenti al momento dell’enunciazione oppure esistenti prima o dopo oppure solo
possibilmente esistenti (grazie al potere di ampliamento del riferimento riconosciuto ai
tempi verbali e ai verbi modali), il terzo e il quarto senso ampliano la gamma degli elementi
linguistici che possono fungere da significanti rispetto a un significato. Oltre ai termini che
stanno direttamente per qualcosa e solo per esso (i cosiddetti “termini assoluti”), esistono
infatti altri termini (detti “connotativi”) che derivano da essi e, pur assumendo un significato
proprio (nel primo o nel secondo senso), mantengono in qualche modo anche quello dei
termini primitivi. È il classico caso della derivazione paronimica: da ‘forza’ deriva ‘forte’
che, se da un lato sta per (ovvero significa, nel primo senso) tutti gli individui dotati di una
certa qualità, consignifica (o connota) anche quella qualità (ovvero ciò che li rende forti).
11
Cfr. SL I, 69-70, OPh I, pp. 208-212 (trad. it. cit., pp. 247-250; trad. it. parziale in Todisco, Guglielmo
d’Occam, cit., pp. 215-223).
12
Si veda sopra il capitolo dedicato a Ruggero Bacone.
4
La distinzione tra termini assoluti e connotativi non coincide, tuttavia, con quella
tradizionale tra termini astratti e concreti. Se coi termini di qualità (come ‘forza’ o
‘bianchezza’ rispetto a ‘forte’ o ‘bianco’) coincide, coi termini di sostanza (come ‘umanità’
rispetto a ‘uomo’) vale esattamente il contrario: è il termine astratto (connotativo) che
deriva da quello concreto (assoluto) ed è equivalente a un’espressione complessa del tipo
“uomo in quanto tale”. Può accadere anche che, mentre il concreto sta per i propri
referenti presi singolarmente (come ‘plebeo’), l’astratto corrispondente (‘plebe’) stia per gli
stessi referenti presi collettivamente. Assoluto quindi è quel termine che significa solo nel
primo o nel secondo senso di ‘significare’, il connotativo corrispondente significa invece
secondariamente o indirettamente gli stessi oggetti significati dall’assoluto e direttamente
qualcosa di diverso. Inoltre, il termine assoluto è suscettibile di una definizione reale, che
esplica l’essenza della cosa significata, mentre quello connotativo può ricevere solo una
definizione nominale che spiega soltanto ciò che significa quel nome, ovvero da quale
assoluto esso derivi: ‘bianco’, per esempio, definito come ‘qualcosa cui inerisce la
bianchezza’, sta per il qualcosa e connota la qualità della bianchezza.13
La distinzione tra i due tipi di termini, che svolge un ruolo assolutamente centrale anche
nella filosofia naturale di Ockham, e quella tra le rispettive definizioni rimandano a delle
precise scelte in campo filosofico-linguistico e ontologico: Ockham si oppone decisamente
a tutte quelle filosofie del linguaggio che fanno corrispondere troppo strettamente alle
entità e alle distinzioni linguistiche entità e distinzioni ontologiche, come le teorie realiste
(moderate o radicali che siano) degli universali. Chi aderisce a queste filosofie, finisce per
spiegare il funzionamento del linguaggio facendo ricorso a più entità di quanto sia
necessario: il principio di economia (il famoso ‘rasoio di Ockham’: frustra fit per plura quod
potest fieri per pauciora) suggerisce di limitare le entità che rendono vere le proposizioni
della scienza a quelle assolutamente indispensabili. Per Ockham, ciò comporta
innanzitutto l’eliminazione di ogni entità universale o comune, realmente condivisa da più
individui differenti per numero (la specie uomo, corrispondente all’astratto ‘umanità’, per
esempio); in secondo luogo, l’eliminazione delle relazioni, intese come entità che uniscono
realmente gli individui e si aggiungono ad essi in maniera da essere numerate al pari degli
individui effettivamente esistenti o delle loro qualità (la relazione di somiglianza, per
esempio, che si aggiunge agli individui informati dalla medesima qualità); infine, le
quantità, continue o discrete che siano, e altre presunte entità come il tempo o il
movimento. Secondo Ockham, ciò che esiste è individuale e cade o nella categoria di
sostanza o in quella di qualità. A partire da questo forte assunto ontologico, Ockham
costruisce la sua filosofia della conoscenza e della natura. Gli universali, così come le
relazioni, le quantità e le qualità concrete, sono solo termini o concetti, oggetto di analisi
metalinguistica.14
13
Cfr. Appendice 1.
Sulla filosofia del linguaggio di Ockham, e i suoi rapporti con l’ontologia, la bibliografia è molto vasta. Basti
qui ricordare i volumi più recenti: McCord Adams, William Ockham, cit., part 1 “Ontology”, pp. 3-313; J.
Biard, Logique et théorie du signe au XIVe siècle, Vrin, Parin, 1989, capp. 2-4; P. Alféri, Guillaume
d’Ockham. Le singulier, Minuit, Paris, 1989; C. Panaccio, Les mots, les concepts et les chose, cit.; C.
Michon, Nominalisme. La théorie de la signification d’Occam, Vrin, Paris, 1994; P.V. Spade, Ockham’s
Nominalist Metaphysics: Some Main Themes, in The Cambridge Companion, cit., pp. 100-117; G. Klima,
Ockham’s Semantics and Ontology of the Categories, in The Cambridge Companion, cit., pp. 118-142.
14
5
2.Teoria della conoscenza
2.1. L’articolazione linguistica della conoscenza e la natura dei concetti
La strategia di fondo seguita da Ockham nella costruzione della propria teoria della
conoscenza consiste nella «elaborazione della struttura del pensiero sulla base di
un’analogia con la struttura delle proposizioni».15 I concetti, come si è detto, corrispondono
ai termini semplici del linguaggio verbale, coi quali condividono la proprietà dello ‘stare per’
ma non quella della convenzionalità, e la loro composizione permette di attingere quel tipo
di conoscenza complessa che è la scienza.16
Sulla natura dei concetti la posizione di Ockham cambia, sotto la spinta delle critiche di
alcuni suoi contemporanei (tra i quali il francescano Walter Chatton), dalla teoria che
considera i concetti delle entità costruite (ficta) dall’intelletto, che costituiscono l’oggetto
degli atti di comprensione, a quella che li identifica con questi ultimi.17 Anche in questo
caso, il principio di economia svolge un ruolo fondamentale: se i processi cognitivi
possono essere spiegati senza fare ricorso a entità di tipo particolare (che, tra l’altro, non
rientrano nel quadro tradizionale delle categorie e quindi neppure nelle due sole categorie
ontologiche ammesse da Ockham), se ne può fare tranquillamente a meno. L’eliminazione
dei ficta, come oggetti degli atti dell’intelletto (così come quella delle species, sensibili e
intelligibili18), e l’adozione della tesi dell’identità tra concetti e atti di comprensione
comporta l’adesione a una concezione del rapporto conoscitivo tra uomo e realtà come un
rapporto diretto e non mediato da alcun tipo di filtro e l’attribuzione ai concetti (come atti)
delle caratteristiche tradizionalmente attribuite alle species.19 La relazione che lega i
concetti (e gli altri atti della conoscenza sensibile e intellettiva) alle cose è infatti duplice:
da un lato, essi assomigliano alle cose che significano e, dall’altro, ne sono un effetto. È
questa duplice relazione a fondare, dal punto di vista teorico, il rapporto di significazione
naturale che i concetti intrattengono con le cose individuali.20 L’astrazione, ovvero il
processo cognitivo cui tradizionalmente si attribuiva la funzione di formare i singoli
concetti, trova in Ockham una trattazione più complessa, assumendo un ruolo
fondamentale, assieme all’intuizione, nella costruzione della scienza.21
15
Cfr. J. Boler, Ockham on Evident Cognition, in «Franciscan Studies» 36, 1976, pp. 85-98 (cit. a p. 98).
Su cui si veda più avanti, par. 2.3.
17
Cfr. Adams, William Ockham, cit., vol. I, pp. 71-107.
18
Su cui si veda il par. 2.2.
19
Cfr. sopra il capitolo dedicato alla moltiplicazione delle specie in Ruggero Bacone. Sulla nozione di specie
intelligibile e la sua evoluzione, si veda anche L. Spruit, Species intelligibilis. From Perception to Knowledge,
vol. I: Classical Root and Medieval Discussions, Brill, Leiden-New York-Köln, 1994; cfr. anche E. Stump, The
Mechanisms of Cognition Cognition: Ockham on Mediating Species, in The CambridgeCompanion, cit., pp.
168-203. Sullo sviluppo della teoria della conoscenza nel tardo medioevo, si vedano anche K.H. Tachau,
Vision and Certitude in the Age of Ockham: Optics, Epistemology, and the Foundations of Semantics: 12501345, Brill, Leiden, 1988; R. Pasnau, Theories of Cognition in the Later Middle Ages, Cambridge University
Press, 1997.
20
Cfr. Adams, William Ockham, cit., vol. I, pp. 109-141; Panaccio, Le mots, les concepts, les choses, cit., pp.
120-130.
21
Sulla conoscenza intuitiva la bibliografia è molto estesa; tra i lavori recenti si possono vedere, oltre a
Adams, William Ockham, cit., part 3 “Theory of knowledge”, vol. I, pp. 495-629 (in part. pp. 501-509); E.
Karger, Ockham’s Misunderstood Theory of Intuitive and Abstractive Cognition, in The Cambridge
Companion, cit., pp. 204-226 (con ampi riferimenti bibliografici) e Stump, The Mechanisms of Cognition, cit.,
pp. 181-195.
16
6
2.2. Intuizione e astrazione: la conoscenza dell’individuale
L’elaborazione della teoria della conoscenza di Ockham, e della sua distinzione tra i
diversi tipi di conoscenza, ha come punto di partenza la riflessione scotista su questi temi.
Giovanni Duns Scoto22 riconosce che l’uomo, nella sua condizione terrena, non è in grado
di cogliere appieno l’individuo nella singolarità (haecceitas), ciò che è possibile invece agli
angeli e a Dio. All’intelletto umano, in quanto facoltà superiore rispetto ai sensi, è possibile
tuttavia conoscere tutto ciò che è possibile cogliere attraverso i sensi; e poiché i sensi
possono conoscere in qualche modo l’individuale, lo stesso potrà fare l’intelletto.
L’intuizione dell’individuale definita da Scoto non è quella piena e completa che solo nella
vita ultraterrena sarà possibile, ma è quella che, in questa vita, è sufficiente a riconoscere
l’esistenza e la presenza di un oggetto singolare posto in prossimità del soggetto
conoscente. L’astrazione, d’altro canto, si distingue per Scoto dall’intuizione per il fatto di
essere indifferente all’esistenza o alla non esistenza, alla presenza o all’assenza
dell’oggetto. Essa si rivolge infatti, come è attestato dalla tradizione aristotelica,
all’essenza della cosa (quidditas rei), a ciò che, in quanto universale, è indifferente
all’esistenza e alla non esistenza. Mentre a livello della conoscenza intuitiva intellettuale,
Scoto aveva eliminato la presenza di entità mediatrici, come le specie sensibili, per
sostenere una teoria della conoscenza diretta dell’individuale, a questo livello ripropone la
teoria delle specie intelligibili come rappresentazioni appropriate della natura comune o
essenza e come condizioni necessarie per generare una conoscenza nell’intelletto
possibile.23
La teoria della conoscenza di Ockham si fonda non solo, come si è detto, sull’ipotesi di
uno stretto parallelismo tra articolazione del linguaggio e degli atti cognitivi, ma anche
sull’eliminazione di ogni entità che possa fungere da intermediario tra l’intelletto e la realtà
(aspetto che emerge con maggiore chiarezza con l’adozione della teoria dei concetti come
atti intellettivi). È in questo quadro che occorre inserire la ridefinizione ockhamista della
distinzione tra conoscenza intuitiva e astrattiva. Per Ockham, infatti, entrambe
corrispondono ad atti di intellezione semplice (corrispondono a concetti o termini mentali
semplici, cioè non proposizionali), ma si differenziano per la capacità o incapacità di
rendere evidenti proposizioni mentali contingenti (di tempo presente), ovvero di fondare la
certezza nella verità di queste proposizioni. Una proposizione contingente è quella in cui
viene espresso uno stato di cose non necessario, suscettibile cioè di mutamento: così ad
esempio è contingente la proposizione che afferma «questo cavallo è bianco» o «c’è un
cavallo». La conoscenza intuitiva è definita da Ockham come quella conoscenza semplice
grazie alla quale è possibile conoscere con evidenza una qualsiasi verità contingente,
come quelle esemplificate. La conoscenza astrattiva invece è quella che non permette di
conoscere con evidenza questo tipo di verità (e, in un senso molto lato, include tutti i tipi di
conoscenza, anche complessi, diversi dall’intuizione).
L’esistenza e la prossimità al soggetto conoscente di un cavallo di colore bianco, assieme
al corretto funzionamento degli organi di senso e dell’intelletto, produce la conoscenza
intuitiva del cavallo, del colore bianco e dell’inerenza del secondo nel primo, il che vuol
dire che il soggetto conosce con evidenza che la proposizione “c’è un cavallo bianco” (o
“questo cavallo è bianco”) è vera. In questo Ockham sembra riprendere sostanzialmente
le posizioni di Scoto, ma non è così. Pur riconoscendo, infatti, che l’esistenza e la
presenza dell’oggetto esterno sono condizioni necessarie della conoscenza intuitiva nel
corso naturale delle cose, esse non lo sono in assoluto. Qui, come in altre questioni, entra
in gioco la potenza assoluta di Dio che – secondo la definizione – può fare tutto ciò che
non implica contraddizione. Nell’ipotesi che Dio, andando contro all’ordine naturale (da lui
22
23
Cfr. sopra, il capitolo dedicato Ruggero Bacone.
Cfr. Spruit, Species intelligibilis, cit., p. 266.
7
stesso stabilito), decidesse di intervenire sostituendo la propria azione alla causalità
ordinaria dell’oggetto esterno e distruggendo nel contempo l’oggetto stesso, il soggetto
avrebbe ugualmente la conoscenza intuitiva dell’oggetto, ma con una radicale differenza:
egli conoscerebbe infatti non la proposizione “c’è un cavallo bianco”, ma piuttosto la
proposizione “non c’è alcun cavallo”. Si tratterebbe della conoscenza intuitiva di un
oggetto non esistente.24
La teoria può apparire bizzarra e far pensare a un Dio ingannatore che, al pari del genio
maligno di Descartes, possa illudere l’uomo, al punto da mettere in crisi l’affidabilità della
conoscenza sensibile e portare a conclusioni scettiche, ma non è così. In primo luogo, la
teoria della conoscenza intuitiva del non esistente è assolutamente coerente con le sue
concezioni ontologiche: nella realtà esistono solo oggetti individuali ed assoluti (la cui
esistenza cioè non dipende in alcun modo da quella dell’altro), appartenenti alle categorie
di sostanza e qualità (cfr. sopra par. 1.4.). Gli atti di conoscenza non fanno eccezione: essi
sono delle qualità che esistono nella mente (o anima razionale). L’intervento divino che si
esplica al di fuori dell’ordine naturale delle cose fa leva sulla radicale indipendenza e
contingenza delle cose individuali esistenti: così la conoscenza intuitiva di un oggetto è
una qualità che, in quanto tale, può sussistere per intervento straordinario di Dio
indipendentemente dall’esistenza dell’oggetto (cosa che normalmente non accade: non si
può intuire ciò che non esiste, così come non si può conoscere con evidenza una
proposizione esistenziale negativa, come “non c’è alcun cavallo”). Se in questo caso Dio
inducesse la conoscenza evidente della proposizione “c’è un cavallo (bianco)”, allora
sarebbe un ingannatore, con tutto quel che ne consegue; ma Ockham si guarda bene dal
sostenere una simile posizione e afferma invece che la conoscenza intuitiva del non
esistente produce nel soggetto conoscente l’evidenza della proposizione “non c’è alcun
cavallo”. Il Dio onnipotente di Ockham non inganna l’uomo, semplicemente abbrevia, col
suo intervento, il percorso che porta alla conoscenza di quella verità contingente e rende
evidente ciò che nel corso naturale delle cose non sarebbe tale. La conoscenza evidente
di una verità contingente negativa infatti non è immediata, ma deriva da un complesso
processo inferenziale; nel corso naturale delle cose, la conoscenza intuitiva si limita a
produrre l’evidenza di giudizi esistenziali affermativi e solo grazie alla potenza assoluta di
Dio può ottenere l’evidenza di un giudizio esistenziale negativo. L’esperimento mentale
dell’intervento divino permette così ad Ockham di eliminare il nesso tra conoscenza
intuitiva, da un lato, ed esistenza e presenza dell’oggetto, dall’altro, per ricercare ciò che è
veramente essenziale ad essa, concludendo perciò che la conoscenza intuitiva è “quella
mediante la quale si conosce che una cosa esiste quando esiste e che non esiste quando
non esiste”.25
2.3. La scienza e i suoi oggetti
Posto che la scienza è un habitus cognitivo di tipo complesso e produce un atto di
assenso rivolto a proposizioni, anziché a termini (o ai loro significati) come l’intuizione e
l’astrazione, Ockham distingue quattro sensi del termine ‘scienza’.26
In primo luogo si dice scienza la conoscenza certa di una proposizione vera: la certezza in
questo caso non deriva dalla conoscenza diretta delle cose (Ockham parla infatti di
certezza e non di evidenza): ne sono esempi il fatto che io sappia che Roma è una grande
città, benché non l’abbia mai vista, o che una certa persona sia mio padre (o mia madre),
benché non ne abbia le prove. Le proposizioni in questione vengono accolte solitamente
perché un qualche testimone degno di fede me le ha comunicate. Il fondamento della
24
Ord., Prol., q. 1, OTh I, pp. 38-39 (si veda il testo tradotto in Appendice 2).
Rep. II, q. 13, OTh V, p. 256.
26
Cfr. Expos. in Physic., Prol., OPh IV, pp. 5-6.
25
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fiducia che sta alla base di questo tipo di conoscenza, come vedremo (cfr. par. 4.2.), è la
volontà.
In un secondo senso, la scienza consiste nella conoscenza evidente di una proposizione
vera, causata dalla conoscenza immediata o mediata dei termini: nel primo caso si tratterà
della conoscenza evidente di una proposizione contingente, nel secondo della conoscenza
di una conclusione che può essere logicamente tratta da una proposizione conosciuta con
evidenza, come i principi primi della dimostrazione acquisiti a partire da proposizioni
empiriche.
In un terzo senso, scienza è la conoscenza evidente di una proposizione necessaria, di
una proposizione cioè sempre vera. Occorre dire che le proposizioni tradizionalmente
considerate necessarie, come “l’uomo è animale” o “l’uomo si compone di anima e corpo”,
non lo sono dal punto di vista di Ockham: nessuna delle due sarebbe vera, infatti, se non
esistesse alcun uomo. Anche nell’universo radicalmente contingente di Ockham, tuttavia,
è possibile trovare delle proposizioni necessarie: esse possiedono la struttura della
proposizione condizionale ‘se... allora...’ e mantengono la loro verità anche in assenza
degli oggetti per cui stanno i termini che le compongono. Così, ad esempio, è necessaria
“se c’è un uomo, allora è animale” oppure “se questo è un uomo, allora è composto di
anima e corpo”, che esibiscono la struttura metafisica dell’essere umano al pari (e meglio,
per Ockham) di quelle sopra citate.
Nell’ultimo senso, scienza è la conoscenza evidente di una verità necessaria ottenuta da
premesse necessarie per mezzo di sillogismi validi: essa si differenzia dall’opinione, dalla
congettura e dalla fede (primo senso), dalla conoscenza intuitiva o da quella da essa
derivata (secondo senso) e dalla conoscenza dei principi primi necessari (per se noti); il
suo carattere proprio è quello di essere una conoscenza derivata dimostrativamente da tali
principi e corrisponde alla conoscenza scientifica così come era stata teorizzata da
Aristotele nei Secondi analitici e divulgata nell’Occidente latino dal commento di Roberto
Grossatesta.
Come si può evincere da quanto detto, la posizione di Ockham circa l’oggetto della
scienza è coerente con l’ipotesi di un parallelismo stretto tra articolazioni della conoscenza
e articolazioni del linguaggio. L’oggetto della scienza, in ognuno dei sensi indicati, è una
proposizione vera, più precisamente una proposizione mentale. La scienza, tuttavia, può
essere considerata sia come un habitus cognitivo unico, sia come una collezione di
habitus. Nel secondo caso, il suo oggetto non sarà unico, ma plurale: tanti saranno i suoi
oggetti quante sono le proposizioni oggetto di assenso. Stesso discorso vale per il
soggetto della scienza: contrariamente a quanto sostenuto dai suoi predecessori, e da
Scoto in particolare, Ockham ritiene che non esista un soggetto unico di una disciplina
come la metafisica (l’essere in quanto tale), che contenga in sé virtualmente tutte le
conclusioni che attorno ad esso possano essere tratte. Per Ockham soggetto della
scienza come habitus unico è il soggetto della proposizione conosciuta e di conseguenza
non esiste un unico soggetto della scienza intesa come collezione di habitus. Per quel che
riguarda la metafisica, si potrà tuttavia concedere che alcuni soggetti abbiano un certa
priorità dal punto di vista della predicazione (l’essere, che si dice di un numero vastissimo
di soggetti in modo univoco) o da quello della perfezione (Dio, che per alcuni è il soggetto
della metafisica).
Molti contemporanei di Ockham, non ultimo il papa avignonese Giovanni XXII, rimasero
molto insoddisfatti della tesi proposizionalista circa l’oggetto e il soggetto della scienza
proposta da Ockham e la criticarono aspramente. Se la scienza reale - sostenevano avesse come oggetto una proposizione mentale, in cosa si differenzierebbe dalla logica o
scienza razionale? La risposta di Ockham a questo tipo di critiche era molto tranquilla: le
proposizioni non fungono da oggetto di scienza in quanto tali, ma solo in quanto i loro
termini stanno per delle realtà (suppositio personalis) o per dei concetti (suppositio
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simplex) o, nel caso di proposizioni verbalmente espresse, per se stessi (suppositio
materialis). La teoria della significazione costituisce per Ockham il cardine della teoria
della scienza e dell’oggettività del sapere scientifico.
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