4. Razzismo - Facoltà di Scienze della Formazione

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4. Razzismo - Facoltà di Scienze della Formazione
Razzismo e cultura del calcio in Italia
di Carlo Balestri e Carlo Podaliri
Saggio apparso sul libro, curato da Adam Brown Fanatics! - Londra, Routledge, 1998
“Qui in Italia la situazione sta diventando molto pesante. Sono stanco di sentire ogni domenica
gli insulti dei tifosi avversari, più passa il tempo e più peggiora.” (Intervista al giocatore
ghanese Abedì Pelé, 12 Aprile 1996)
Affrontare il problema del razzismo negli stadi italiani significa ripercorrere la storia del tifo di
curva (del tifo ultrà), vero erede della cultura del tifo, e comprendere così le dinamiche che
hanno permesso al razzismo ed all’estremismo di destra di diffondersi e le strategie di
intervento che possono, attualmente, contribuire ad arginare il fenomeno.
E’ un luogo comune di tanti giornalisti italiani così come di molti osservatori stranieri voler
tradurre, per rendere noto, il termine ultrà con il sostantivo inglese Hooligan.
Se andiamo però a controllare il significato dei due termini ci accorgiamo subito che non sono
omologhi. Il termine Hooligan, infatti, deriva dal nome di una banda attiva nell’Inghilterra della
fine dell’800, famosa per la sua aggressività, e connota questi tifosi dunque direttamente come
teppisti; il termine ultrà, viceversa è più onnicomprensivo, esso ha una derivazione
direttamente politica (i fedeli del re di Francia, i gruppi di sinistra post 68), e si riferisce alla
categoria dell’estremismo politico. Tenendo ben presente questa differenza, che non è solo ed
esclusivamente di carattere semantico, prende il via la nostra storia sul tifo ultrà in Italia.
Il football hooliganism inglese ha contribuito alla formazione di gruppi di giovani portatori di
nuove forme di espressione del tifo e di una maggior aggressività in tutti i contesti europei.
Questo fenomeno ha interagito però, nei differenti contesti nazionali, con alcuni elementi
autoctoni di carattere culturale, sociale e politico che hanno determinato tempi, modalità di
ricezione e differenze sostanziali nell’acquisizione del modello inglese.
In Italia, in particolare, il fenomeno ultrà ha dimostrato un tale grado di autonomia rispetto
all’originario paradigma inglese da divenire, a sua volta, nel corso degli Anni Ottanta, un
esempio ed un modello per altri paesi europei (in particolare i paesi che si affacciano sul
Mediterraneo come la Spagna, la Grecia, le Repubbliche della Ex-Jugoslavia, la Francia
Meridionale e parte dei paesi Balcanici).
Nel nostro paese la nascita dei gruppi ultrà si inserisce in un contesto politico anomalo, che
non possiamo evitare, a grandi linee, di delineare.
Una caratteristica della situazione italiana, che trova il suo massimo sviluppo nel periodo che
va dal primo Dopo Guerra fino al termine degli anni Settanta, è rappresentata dal fatto che il
conflitto politico ha investito ogni ambito del sociale; i fenomeni di costume, le manifestazioni
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culturali e sportive venivano rivestite di significato politico all’interno dell’opposizione tra una
visione del mondo clerico-conservatrice (che, in certi e ben distinti casi, poteva avvicinarsi al
filofascismo) ed una visione del mondo legata alla sinistra comunista.
Tale opposizione la si riscontrava anche nel calcio, tanto da delineare delle differenze nelle
squadre in base alla provenienza sociale dei tifosi ed in base alle aree geografiche dove erano
più radicate queste o quelle idee politiche; così a Milano, il Milan rappresentava la squadra dei
ceti popolari (in particolare dei ferrovieri) ed era quindi considerata di sinistra, l’Inter, viceversa
era la squadra della media borghesia cittadina e dell’hinterland milanese e veniva considerata
più vicina a posizioni conservatrici; anche a livello regionale il colore politico si rifletteva
automaticamente sulle squadre più rappresentative per cui nell’ Emilia rossa la squadra del
Bologna non poteva che avere dei tifosi di sinistra così come il conservatore Veneto era
simboleggiato dalla squadra del Verona.
Non sfuggono a questa regola neanche i primi clubs di tifosi organizzati, creati, nei primi anni
Sessanta, dalle dirigenze delle squadre per avere dei gruppi di sostegno organizzati con il
compito di gestire i biglietti ed organizzare il tifo e le trasferte. Così molti clubs nerazzurri,
organizzati da Servello, uomo del Movimento Sociale Italiano e responsabile della Società,
risultano più vicini a posizioni conservatrici tanto che, proprio dalla scissione da un club
nerazzurro di giovani militanti del Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile dell’MSI, si
formerà il primo gruppo ultrà dell’Inter: i Boys. Alcuni clubs del Torino non nascondono le loro
simpatie per la sinistra, espongono talvolta striscioni di contenuto politico negli stadi e non
mancano di scatenare la rissa quando si imbattono in comizi fascisti1
In un contesto profondamente politicizzato l’entrata sulla scena dei giovani ribelli della seconda
metà degli anni Sessanta, e la conseguente nascita degli ultrà, non si manifesta solo come
comportamento sociale e culturale generazionale, ma si intreccia in maniera profonda con la
dimensione politica.
Le sottoculture stradaiole legate alla musica rock contribuiscono in Inghilterra alla nascita e
allo sviluppo del sistema di regole che è alla base dell’hooliganismo (il forte legame col
territorio, le regole di accesso al gruppo molto selettive, la difesa contro gli intrusi, i
comportamenti aggressivi etc.: esse poi si irradiano attraverso canali diversi, negli altri paesi
europei.In Italia, alcuni di questi stili giovanili acquistano spessore e vigore proprio durante gli
anni (1968/1969) del movimento studentesco e delle grandi lotte operaie e ne rimangono
fortemente influenzati. Nel nostro paese, infatti, il movimento di contestazione non rimane
legato esclusivamente alle realtà studentesche, ma comprende anche larghe fasce di giovani
operai. A partire dall’esperienza di movimento molti giovani si riuniscono in gruppi, in qualche
1
Ad esempio, nel 1964, il club dei Fedelissimi del Torino si scontra con i partecipanti ad un comizio fascista a Bergamo.
Gianfranco Calligarich, in Vie Nuove, 15.4.1965.
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caso in partitini, organizzati in maniera leninista. Sono questi gruppi ad occupare, contrastati
dalle forze dell’ordine o da gruppi di destra similmente organizzati, le piazze e le strade d’Italia
e ad egemonizzare, così, proprio i luoghi in cui le nuove sottoculture fioriscono: accade perciò
che i nuovi stili stradaioli e le ragioni politiche vengano ad intrecciarsi proprio dentro questi
gruppi o che, a margine di questi, le nuove subculture giovanili importate dall’Inghilterra
coniughino al tipico ribellismo giovanile le vocazioni politiche antisistema. E’ questo il caso
degli ultrà. Il primo gruppo ultrà è la Fossa dei Leoni del Milan che nasce nel 1968.
Successivamente nascono i Boys dell’Inter, i Commandos Rossoblu del Bologna e, via via, si
formano altri gruppi che si appropriano di nomi mutuati direttamente dalla sfera politica (a
cominciare da ultras, inaugurato nel 1971 dal gruppo di tifosi della Sampdoria, per continuare
con Tupamaros, Fedayn ma anche Folgore, Vigilantes etc.).
Tutti questi gruppi risentono chiaramente del fascino esercitato dal modello hooligan inglese:
le occasioni di confronto tra squadre italiane e quelle inglesi creano, infatti, le condizioni
perchè dei gruppi, formati prevalentemente da giovani, si identifichino con un certo tipo di
abbigliamento e con un certo settore dello stadio che diventa off limits per gli altri sostenitori,
sostengano la squadra per tutto l’arco della partita con cori incessanti, attivino comportamenti
violenti nei confronti dei tifosi avversari. Ma gli ultrà italiani si trovano in casa un altro modello:
quello dei gruppetti politici estremi, che occupano le strade e le piazze e rappresentano un
modello ben visibile di militanza, spirito di gruppo e durezza. E’ chiaro, quindi, che al di là della
contiguità non episodica tra gli ambienti di curva e la gente che partecipa alle manifestazioni, i
gruppi di ultrà tendano ad uniformarsi spontaneamente allo stile di questi gruppi, distillandone
tra l’altro le caratteristiche di forma e organizzazione, insieme ad alcune caratterizzazioni
controculturali. Addirittura, l’influenza di questo modello ha una ricaduta in termini di
spontanea adesione di vari ultrà ai gruppi di estrema sinistra, anche se questi ultimi non
mettono mai in atto sistematiche campagne di reclutamento negli stadi.
Diverso sembra
essere il caso della formazione di gruppi ultrà da parte di esponenti dell’estrema destra
verificatasi nell’Inter, nella Lazio e nel Verona. In questi casi sembra proprio che l’MSI, cacciato
dalle strade e dalle piazze,
abbia tentato di servirsi strumentalmente di certo ribellismo
giovanile presente nelle curve per indirizzarne i comportamenti: così a Milano sono esponenti
della organizzazione giovanile del MSI a fondare i Boys Inter ed a Roma la presenza nelle file
della Lazio di militanti di estrema destra non più giovanissimi è elevatissima2.
Ed è proprio la combinazione tra una cultura del calcio meno legata ad un pubblico operaio ed
il debito contratto con il modello dei gruppi politici a far si che il movimento ultrà non si basi su
una comunità esclusivamente working class (come avviene in Inghilterra), ma interessi diverse
classi sociali: sia cioè composto anche da “chi ha già sperimentato la violenza di massa in
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ambito politico” (non solo proletari ma anche piccoli e medi borghesi, non solo di sinistra ma
anche di destra) e da “chi l’ha sperimentata nella pratica della soddisfazione dei bisogni”
(bande di quartiere)3.
Occupiamoci però, più in dettaglio, di alcune specifiche caratteristiche che differenziano, in
questo periodo, i gruppi italiani da quelli europei. Vediamo cioè come la commistione tra tifo e
forme della politica viene introiettata dai gruppi ultrà, manifestandosi nel loro modo di agire, e
nelle forme e nell’organizzazione di cui si dotano.
Gli ultrà, anche se sono predisposti alla violenza quanto i loro cugini britannici e formano le
loro amicizie ed inimicizie calcistiche sulla base delle rivalità tradizionali tra le varie squadre,
aggiungono da subito a queste delle rivalità o delle amicizie basate sul credo politico (così gli
ultrà del Bologna di sinistra sono rivali degli ultrà di Verona di destra e sono gemellati con gli
ultrà del Milan di sinistra). In più il loro abbigliamento è direttamente mutuato dai gruppi
politici di strada; eskimo e giacche mimetiche con gli stemmi del gruppo, jeans e
passamontagna o fazzoletto calati sul viso avvicinano l’ultrà al guerrigliero metropolitano.
Inoltre, negli stadi italiani compaiono i tamburi di latta, presi a prestito dalle manifestazioni
politiche degli operai e utilizzati per accompagnare i cori, e vengono scanditi incessantemente
slogan mutuati dalla politica. Compaiono anche i grandi striscioni e le enormi bandiere che
caratterizzavano le manifestazioni di piazza ed i cortei.
Il gruppo ultrà risulta anche molto più aperto all’esterno dei gruppi hooligan; sempre alla
componente controculturale è da imputare, infatti, sia la discreta presenza femminile nel
gruppo (assente nei gruppi europei), sia le attività di tesseramento dirette, come accade per il
proselitismo politico, ad aumentare il numero degli iscritti (oltre che all’autofinanziamento).
Tutte queste caratteristiche riflettono una differenza organizzativa sostanziale rispetto al
modello inglese. Infatti,
mentre tra gli inglesi ed i tifosi di curva degli altri paesi europei
prevalgono le attività spontanee (i cori, le sciarpate, e tutte quelle attività che si esauriscono
nel giorno della partita), tra gli italiani le esigenze, mutuate dalla politica, di produrre attività
collaterali di socializzazione e di attivare la partecipazione di tutta la curva diventano prioritarie
e presuppongono un’organizzazione che va oltre la domenica ed è fatta di riunioni
infrasettimanali, di lavoro per l’ideazione e l’allestimento di coreografie spettacolari capaci di
coinvolgere tutta la curva, di produzione di vario materiale per l’autofinanziamento del gruppo
etc.
Rimangono da sottolineare, per avere un quadro complessivo, alcune ulteriori caratteristiche.
Gli ultrà, in questo simili ai primi hooligans inglesi, si sentono molto attaccati ai colori della loro
squadra e sono legati in maniera profonda alla cultura popolare del tifo. Occupano, infatti, il
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Cfr. Paese Sera del 6.11.1975.
Cfr. Marchi, Valerio (a cura di), Ultrà, Roma, Koinè, 1994, pg. 187.
settore dei popolari, assistono rigorosamente in piedi alla partita, rimestano a piene mani nella
tradizione. Rivitalizzano così, la consuetudine napoletana di utilizzare petardi, fumogeni e
mortaretti all’entrata in campo delle squadre, rendendola un elemento spettacolare all’interno
delle loro coreografie. Riportano anche in uso la tradizione di rappresentare il funerale degli
avversari con tanto di corteo interno allo stadio al seguito di una bara coperta dalla bandiera
della squadra avversaria.
Il recupero di certe tradizioni popolari del tifo, connesse alle altre caratteristiche del tifo ultrà,
rappresentano un forte potenziale di attrazione ed un potente strumento di conferimento di
identità nei confronti dei tifosi più giovani, e rendono più agevole il compito costantemente
perseguito da questi gruppi, recuperato anch’esso dalla sfera della politica: quello della ricerca
continua di una egemonia sull’intera curva
E’ con queste caratteristiche che il movimento ultrà si sviluppa negli anni ‘70; si assiste, così,
nel corso degli anni, ad una sua crescita costante e ad un considerevole aumento degli scontri
fra tifoserie contrapposte.
E’ solo tuttavia nel 1975, precisamente il 21 dicembre del 1975, che il fenomeno ultrà dimostra
ufficialmente di essersi radicato al seguito delle maggiori squadre, tanto da indurre la
Federazione Italiana Gioco Calcio a lanciare, dopo i violenti scontri verificatisi nel campionato
74/75, “la giornata dell’amicizia” contro i commandos della violenza.
Ci si avvicina così a quella che possiamo definire la seconda fase del movimento ultrà e che
può essere delimitata dall’arco temporale 1977-1983.
In questo periodo, negli altri paesi europei, si può notare una crescita sostanziale degli atti di
violenza dovuta alla sempre crescente specializzazione militare dei gruppi di hooligans. A ciò
concorrono diversi fattori tra i quali la maggior capacità nel pianificare gli scontri causata
dall’inasprimento delle misure di sicurezza e dal maggior controllo esercitato dalla polizia, e,
non ultimo, l'avvento delle subculture giovanili della seconda metà degli anni Settanta.
Soprattutto lo stile skinhead diventa predominante all'interno degli stadi nordeuropei e, in virtù
della sua sempre più organica caratterizzazione xenofoba e razzista, procura uno spostamento
a destra dei gruppi di hooligans più violenti, che viene favorito anche dai contemporanei
tentativi di strumentalizzazione operati dai gruppi di estrema destra all’interno degli stadi
inglesi e tedeschi.
In Italia le dinamiche in parte divergono da quelle sviluppatesi negli altri contesti europei. E'
vero infatti che i gruppi di ultrà tradizionalmente egemonizzati dalla destra consolidano la loro
posizione; tuttavia, l'occupazione dell'immaginario e degli spazi del leisure time è ancora tutta
controllata dalla sinistra.
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I gruppi fortemente egemonizzati da leadership di sinistra non vengono minacciati da nessun
tipo di penetrazione da parte di gruppi di destra estrema. Lo stesso arrivo dello stile skinhead
è posticipato di qualche anno e limitato ad alcune situazioni particolari.
Tuttavia anche nel nostro paese è in atto un aumento della violenza che va, però, messa in
stretta relazione con la parabola finale dei movimenti politici degli anni '70 la cui rabbia ed il
cui isolamento esplodono ferocemente nel 1977, portando ad un innalzamento del livello dello
scontro con la polizia, con la destra e tra gli stessi gruppi di sinistra.
Così come nelle piazze, durante le manifestazioni, si fa un sempre crescente uso di armi
improprie, anche negli stadi compaiono con maggiore regolarità coltelli, spranghe, pistole
lanciarazzi. I nomi dei nuovi gruppi continuano a risentire della congiuntura politica: molti
gruppi si definiscono Brigate, in riferimento ai gruppi terroristici di quegli anni così come
compaiono molti simboli legati al terrorismo di sinistra (la stella a cinque punte delle Brigate
Rosse) e di destra (l’ascia bipenne simbolo di Ordine Nuovo).
Sempre più spesso, per evitare il controllo della polizia, gli scontri cominiciano a situarsi fuori
dagli stadi.
L'aumento della violenza diventa tragicamente evidente con la morte di un tifoso laziale
avvenuta nel 1979 prima di un derby tra Roma e Lazio. Nella stessa giornata si verificano
scontri violenti, con numerosi feriti, ad Ascoli, a Milano e a Brescia.
In questo periodo, comunque, i grandi gruppi hanno praticamente il controllo e l’egemonia
sull’intera curva; anche se viene accentuato il carattere bellicoso e si alza il livello dello
scontro, le modalità nell’attivazione dei comportamenti violenti seguono ancora le regole della
"Violenza come strumento" mutuate dai gruppi politici. Prima di entrare non tanto nel gruppo,
quanto nel nucleo delle persone più attive nel gruppo, i novizi debbono passare una serie di
prove e dimostrare di essere affidabili non solo da un punto di vista militare, ma anche sul
versante
dell'organizzazione
e
del
comportamento
generale.
Anche
l’attivazione
di
comportamenti violenti avviene solo in occasione di incontri tra tifoserie storicamente avverse
e con consistenti nuclei di ultrà. L’erogazione della violenza viene, quindi, in qualche maniera
controllata: se qualcuno dimostra di non sapersi muovere e di non saper ascoltare i più grandi,
mettendo a repentaglio la sicurezza del gruppo, viene emarginato e allontanato
Nello stesso periodo, il movimento ultrà aumenta numericamente e consolida le sue strutture
organizzative. In questi anni si vanno formando, sempre sul modello dei partiti di estrema
sinistra, i primi Direttivi. La funzione dei Direttivi è quella di coordinare le attività svolte dai
gruppi ultrà che, nel frattempo, sono aumentate, visto che iniziano ad occupare l'ambito delle
attività tipiche dei club organizzati, curando in particolare l’ organizzazione delle trasferte e la
gestione di un certo quantitativo di biglietti. E' in questa fase che si sente la necessità di
intrattenere maggiori rapporti con la Società. Per esemplificare la divisione del lavoro
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all'interno dei gruppi ultrà alla fine degli anni '70 citiamo parte di una intervista ad un capo
ultrà del Torino:”Siamo otto dirigenti....di questi ognuno ha le sue mansioni. Quelle delle
donne riguardano più che altro gli aspetti finanziari e la responsabilità quasi totale del
montaggio delle bandiere e dei tamburi. Noi ci occupiamo più dei rapporti con la società... Ci
sono incarichi specifici: chi si occupa delle trasferte, interessandosi dei prezzi e degli orari dei
noleggi dei pullman; chi dei materiali (fare aggiustare le bandiere, comperare aste, tamburi,
etc); chi di cancelleria, adesivi, magliette; chi si occupa del tifo (coriandoli fiaccole); chi di
andare al Torino calcio a prendere i biglietti, ad intrattenere rapporti,; chi, infine, si occupa dei
rapporti con gli altri club...Quanto al finanziamento, una volta ci finanziavamo mediante
collette generali, fatte non solo tra noi, e la vendita del nostro materiale: magliette, adesivi,
sciarpe con scritto ultras. Adesso, siccome al Torino non è parso molto elegante, ci dice di
documentare le spese e poi ce le rimborsa”4
Nel periodo 1983-89 il movimento ultrà raggiunge tutti gli stadi di provincia e le serie inferiori,
e coinvolge giovani provenienti da tutti gli strati sociali5. La partecipazione al gruppo ultrà non
risulta legata automaticamente a situazioni di disagio sociale: nei gruppi ultrà vi sono, anzi,
soggetti che hanno buoni lavori e spesso un livello di istruzione elevato (Laurea, diploma),
ragazzi provenienti da famiglie ricche, persone sposate e stabilizzate; e spesso sono proprio le
più ricche cittadine di provincia ad esprimere alcuni dei gruppi più duri e radicali di ultrà
(Ascoli, Cesena, Verona, Udine).
Infatti, è proprio in queste piccole cittadine che si esprime nella maniera più originale l'
interazione tra funzionamento delle logiche della cultura ultrà e le tradizionali rivalità
campanilistiche e regionalistiche. In questo periodo, infatti, i localismi, come soggettività
capaci di conferire una forte identità, assumono, all’interno del mondo ultrà, un ruolo
predominante. In precedenza, l’attivazione dei comportamenti violenti nei confronti degli
intrusi (tifosi avversari, polizia) era sempre collegabile alla difesa del proprio territorio (la curva
ed idealmente la città ed i colori della squadra), ma si connetteva ad un clima, una tensione
politica capace di fornire un surplus di coesione identitaria e di aggregare, quindi, non solo in
funzione della logica amico-nemico. Negli anni ottanta, con il riflusso dei movimenti politici, la
situazione viene a mutare. Avviene così che allì’interno del movimento ultrà, vi sia la tendenza
a conferire maggiore importanza al senso di appartenenza locale e ad utilizzare
sistematicamente le contrapposizioni campanilistiche e regionalistiche nella individuazione degli
ultrà da considerare nemici: si sovrappone cioè, alla logica della curva come spazio liberato,
quella della curva come piccola patria. E’ così che spirito di gruppo, culto della durezza e
4
5
Antonio Roversi, Calcio , tifo e violenza, Bologna, Il Mulino, 1992, pgg. 53/54.
A. Roversi op.cit., pag. 143-161;
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organizzazione paramilitare, coniugati all’attaccamento morboso alla piccola patria, proprio per
la loro contiguità con i valori di estrema destra, preparano il terreno ad un fertile inserimento
di atteggiamenti razzisti e xenofobi negli stadi.
A potenziare la tendenza alla radicalizzazione dei sensi di appartenenza concorre, inoltre, il
periodo di crisi attraversato dai grandi gruppi.
I grandi gruppi si trovano a fronteggiare l’aumento delle misure di sicurezza dentro gli stadi;
aumenta anche il controllo della polizia sui gruppi in trasferta e si intensificano i controlli nei
luoghi di passaggio degli ultrà. Si verifica, inoltre, il primo ricambio generazionale nelle
gerarchie dei gruppi ultrà. Alcuni leader carismatici, che intersecavano alla loro attività di ultrà
anche la militanza politica, lasciano la curva, spesso a causa dei numerosi provvedimenti
repressivi a loro carico (sia per fatti di stadio, sia per fatti riguardanti la politica). Altri escono
dai gruppi o perdono influenza per problemi di droga. Contemporaneamente iniziano a
formarsi in curva altri gruppi, composti da ragazzi molto giovani (14-16 anni), molto spesso
maltollerati dai gruppi ufficiali. Essi si ritagliano un loro spazio in curva, dietro il loro striscione;
i nomi di questi gruppi fanno percepire fin dal principio una differente ispirazione rispetto ai
gruppi nati negli anni '70: nascono i "Wild Kaos", gli "Sconvolts", i "Verona Alcool", i "Nuclei
Sconvolti" etc. Si tratta di gruppi interessati principalmente alle occasioni di scontro, coinvolti
in pieno nella cultura dello sballo e dell'eccesso. Il loro modello di riferimento non è più quello
del guerrigliero di strada metropolitano ma quello di Alex, il piccolo super-teppista di "A
Clockwork Orange", la cui effige inizia a comparire in molte curve al posto di quella di "Che
Guevara". I nuovi gruppi sono il risultato di un periodo in cui nella società civile predominano
l'edonismo, l'esibizionismo, il disimpegno politico e sociale. Il paradigma stilistico di molti dei
nuovi ultrà, spesso fortemente sciovinisti, violenti ed intolleranti è quello del paninaro. (stile
giovanile assimilabile a quello dei Casual)
Questi gruppi, nati tutti tra il 1983 e il 1985, si dimostrano più adatti a sfuggire alle nuove
strategie repressive della polizia; sfuggono con maggiore facilità al controllo disfacendosi dei
segni di distinzione e di riconoscimento dell'ultrà, rompono o mettono in crisi con il loro
comportamento incontrollato i gemellaggi preesistenti, utilizzano sistematicamente armi da
taglio.
In virtù di queste caratteristiche molti di questi gruppi mettono in crisi il "monopolio della
violenza" esercitato sino allora dai gruppi storici, che era legato al concetto della “violenza
come strumento”, da utilizzare solo in determinati casi e secondo regole precise, e diventano i
teorici della violenza pura, dell’azione per l’azione da praticare sempre e comunque;
divengono, quindi, un polo di attrazione alternativo per tutti coloro che privilegiano all'interno
del gruppo ultrà l'opzione militare.
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Mentre, però, in altri paesi europei la crescente tendenza alla specializzazione dei gruppi più
duri ed aggressivi ha portato ad una loro progressiva separazione dagli altri supporters, in
Italia questo processo non si è verificato. Gli ultrà italiani, in effetti, si sentono parte di un
movimento la cui cultura, forte ed aggregante, agisce da collante nel tenere insieme gruppi e
soggetti molto diversi. Dunque nuovi gruppi e gruppi storici non mettono in discussione
l’appartenenza reciproca all’universo ultrà. Le dinamiche di conflitto sono quindi governate
dalle regole interne al mondo ultrà e in molte situazioni tutti i gruppi, quelli storici e quelli di
recente formazione, entrano in competizione tra loro per la conquista dell’egemonia su tutta la
curva. La lotta si svolge ancora, però, dentro le coordinate della tradizione della cultura ultrà
italiana. I nuovi gruppi non si mettono in competizione con i gruppi storici solo sul piano della
capacità militare. In molti casi il confronto si compie anche sul piano della capacità
organizzativa e della presenza visiva in curva. E’ questo il periodo in cui le coreografie di curva
divengono sempre più complesse e originali, e, quindi, più costose. Il risultato del conflitto si
conclude spesso in uno stallo. In molte curve, precedentemente egemonizzate da leadership e
gruppi di sinistra, vista anche la prevalente caratterizzazione a destra dei nuovi gruppi, si
arriva ad una ambigua rivendicazione di apoliticità. Nel nome della fede nella squadra o
dell’unità della curva si accetta una soluzione che favorisce nei fatti le strategie praticate dai
gruppi di estrema destra volte a penetrare nei gruppi ultrà.
Queste
strategie
sono
ulteriormente
favorite
dall’aumento,
nella
società
italiana,
dell’intolleranza nei confronti dei nuovi immigrati provenienti dalle zone povere del mondo.
E’, infatti, a partire dalla fine degli anni '80 - in corrispondenza con l'ascesa di movimenti
politici di evidente ispirazione xenofoba quali la Lega e in connessione alla crescita dei
movimenti skinhead e di estrema destra - che si verifica, negli stadi, l'aumento esponenziale
dei cori razzisti, dell'esposizione dei simboli nazisti o fascisti, di striscioni apertamente
antisemiti, così come, al di fuori degli stadi, si osserva un sempre più sistematico
coinvolgimento di ultras negli atti di intolleranza razziale o politica (pestaggi ad extracomunitari
e a militanti di sinistra, attentati incendiari contro ostelli per stranieri o contro centri sociali).
E’ dunque in questo periodo che esplodono e ottengono una forte visibilità le tendenze razziste
e xenofobe da tempo latenti nella società civile. La parte del movimento ultrà che aveva
divinato e anticipato queste tendenze radicalizza e politicizza sempre più l’adesione ad una
visione xenofoba della vita. Questo è accaduto in certe curve del Nord Italia, dove la crescita di
un sentimento antimeridionale negli stadi ha preceduto e accompagnato la nascita e la crescita
di un movimento apertamente xenofobo e separatista quale quello della Lega Nord ed ha
funzionato da detonatore nella crescita della rivendicazione di una propria identità sulla base
delle differenze etniche: "Bergamo Nazione, tutto il resto è meridione" insistono a cantare gli
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ultras dell'Atalanta". "Bossi salvaci, Brescia ai Bresciani" è lo striscione esposto a Brescia nel
1991, prima delle amministrative bresciane"6.
Questo razzismo di tipo localistico convive, nelle curve italiane, con un razzismo di tipo
classico, diretto contro coloro che vengono percepiti come estranei alla comunità nazionale
(immigrati, zingari). Infatti, gli insulti antimeridionali non sono monopolio dei gruppi di
ispirazione leghista, ma vengono praticati in maniera sistematica anche dalle tifoserie del Nord
più spiccatamente nazionaliste come Verona, Inter, Piacenza etc..
L'emergenza non si limita, però, alla presenza di gruppi di neofascisti in curva, ma si
caratterizza per la profondità dell'adesione ad una visione reazionaria e xenofoba della politica,
che si tramuta nel consenso raccolto tra molti degli ultrà più giovani dai partiti di destra
istituzionalizzati, Alleanza Nazionale, la Lega Lombarda ed il neo fascista Ms-Fiamma tricolore.
In effetti, mentre nel Nord Europa gruppi di Hooligans hanno spesso solo fornito la
manovalanza ai partiti neofascisti, in Italia si è potuto assistere ad una sempre più sistematica
opera di reclutamento di giovani militanti ed attivisti politici effettivi.
A riprova della ormai evidente commistione tra politica di destra e calcio, sono numerose ormai
le opportunità di carriera politica a disposizione di alcuni capi ultrà dovute alla loro capacità di
muovere voti e di recuperare consensi tra i giovani. Vi sono, ad esempio, parlamentari di
Alleanza Nazionale provenienti dalla curva del Verona, ma è soprattutto all'interno delle
Amministrazioni locali che si nota la presenza di soggetti legati a movimenti xenofobi e razzisti,
cresciuti e radicati nelle curve; a Roma, ad esempio, in occasione delle elezioni amministrative
del Novembre 1993 sono stati eletti, nelle liste di partiti di destra, 13 consiglieri di
circoscrizione provenienti dalle curve di Roma e Lazio.
Ultimamente, i gruppi di curva della destra estrema sono anche disposti a bypassare le
tradizionali rivalità calcistiche e ad attivare strette forme di collaborazione, per perseguire un
obiettivo politico. Così, il 29 Novembre 1994, in occasione della partita Brescia-Roma, viene
organizzato da Roma un preordinato attacco alle forze dell'ordine e agli ultrà bresciani.
L'attacco viene portato con un grande potenziale militare (asce, coltelli etc.) da gruppi di
superhooligans neofascisti della Roma e della Lazio e da ultrà neofascisti di Bologna e di altre
città italiane
La storia del movimento ultrà entra in una nuova fase in seguito ai fatti accaduti a Genova il
ventinove gennaio 1995.
Prima della partita Genoa-Milan, un piccolo gruppetto di superhooligans milanisti, capeggiati da
un giovane commercialista con spiccate simpatie politiche per la destra estrema, pianifica
un'aggressione fuori dello stadio di Marassi; il gruppetto si arma di coltelli e si reca a Genova
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Luca Caioli, in Linus.
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utilizzando i normali treni di linea, nasconde qualsiasi segno di riconoscimento legato al tifo e
giunge allo stadio seguendo un percorso stabilito a tavolino. Quando il gruppo arriva davanti
allo stadio aggredisce degli ultrà genoani; nello scontro tra i due gruppi rimane ucciso da una
coltellata il ventiquattrenne Vincenzo "Claudio" Spagnolo,
Il mondo ultrà, tra l’altro attaccato duramente dai vari organi di informazione è scosso, e
organizza per la prima volta un incontro tra i rappresentanti dei principali gruppi, dal quale
esce un comunicato che condanna l'utilizzo delle armi da taglio durante gli scontri ed auspica
un ritorno alle vecchie norme e ai codici di comportamento dei gruppi storici (basta lame,
basta infami).
Si assiste fino alla fine del campionato 1994/95 ad una sorta di tregua non dichiarata che porta
ad una notevole diminuzione degli atti di violenza e degli scontri.
Ma questo periodo di tregua non determina affatto il disarmo dei gruppi più aggressivi. Il
mantenimento, da parte di questi gruppi di superhooligans, della capacità militare è
testimoniata dal fatto che a partire dall'inizio del campionato 1995/1996, si è potuto osservare
un forte ritorno di comportamenti violenti (scena di guerriglia in occasione della finale di Coppa
Italia tra Fiorentina e Atalanta, scontri violentissimi in Campania tra due gruppi di ultrà di
squadre di Serie C, violenze contro i giocatori a Foggia) e di atteggiamenti razzisti, come
testimonia la vergognosa condotta dei gruppi ultrà cremonesi nei confronti di Paul Ince, le
feroci contestazioni degli Ultrà di Verona e Padova alle notizie dell'ingaggio di un giocatore di
colore per la prossima stagione. Una delle manifestazioni di razzismo più gravi si verifica a
Bologna nel giugno 1996, quando un gruppo di superhooligans di estrema destra bolognesi
(Mods), fiancheggiato da alcuni ultras romani, aggredisce otto immigrati di colore, nel corso
dei festeggiamenti per la promozione in Serie A del Bologna. In seguito a questi fatti, il mondo
del tifo ultras bolognese si divide: il gruppo storico della curva bolognese, i Forever Ultras,
emette un comunicato stampa nel quale condanna l'aggressione razzista ed esprime solidarietà
alle vittime.
La netta divisione avvenuta tra gli ultras del Bologna testimonia di come attualmente l'unità a
tutti i costi del mondo ultras sia a rischio: il cemento della comune appartenenza alla stessa
cultura sembra non essere più sufficiente a tenere insieme quei gruppi che conferiscono una
forte identità ai propri membri a partire da una serie di attività e iniziative (configurate persino
in interventi nel sociale, con raccolte di indumenti per popolazioni vittime della guerra e
raccolte di fondi per sostenere Associazioni che tutelano i bambini) ed i gruppi orientati
principalmente al confronto militare. Il numero di incidenti nell'ultima stagione (1996/97) è
abbastanza diminuito, anche se vi è stato uno spostamento degli incidenti verso le Serie minori
(una delle partite più a rischio dell'ultima stagione è stata Pisa-Livorno, partita di Serie C2) ed
è aumentato il numero degli incidenti gratuiti, causati spesso da gruppetti estranei ai gruppi
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ultrà tradizionali. Proprio per questo alcuni gruppi storici stanno attualmente conducendo una
riflessione per trovare una via alla riduzione dei comportamenti violenti nelle loro curve.
Ultimamente, si è aperta, inoltre, una discussione che coinvolge ultras di molte parti d'Italia su
due temi in particolare: sul fatto che gli ultras, in quanto tifosi di calcio, sono trattati come
cittadini di Serie B e stanno subendo una forte pressione (molte volte immotivata) da parte
delle forze dell'ordine; e sulle implicazioni che le nuove strategie economiche del calcio
moderno (strapotere della televisione, commercializzazione del calcio, stravolgimento dello
spettacolo calcistico e aumento del prezzo dei biglietti) avranno in rapporto alla cultura del tifo
organizzato.
Un’altra riflessione in atto, anche se limitata a piccoli gruppi e a singoli ultrà, riguarda, invece,
le strategie da perseguire per ribaltare l’egemonia di gruppi razzisti e xenofobi all’interno dei
loro stadi.
La presenza di queste condizioni ha favorito l’ideazione e la nascita del Progetto Ultrà. Il fine
del nostro Progetto (nato nel dicembre del 1995) è quello di limitare i comportamenti razzisti
ed intolleranti nelle curve degli stadi, realizzando una struttura d’intervento sul modello dei
Fanprojekte tedeschi7, che si adatti, però, alla peculiare situazione italiana. Nel nostro paese,
infatti, al contrario di quanto è accaduto in Germania non è possibile costruire delle strutture
per i tifosi calando l'intervento dall'alto e partendo da un'impostazione social-pedagogica.
Infatti, qualsiasi intervento di carattere sociale, non mediato attraverso personaggi interni alla
curva, non può funzionare in Italia poichè viene percepito dagli ultrà come strumentale e,
quindi, osteggiato. Ecco perchè il Progetto Ultrà è costruito in modo da prevedere una piena
collaborazione degli ultras in tutte le fasi di costruzione della struttura di intervento a loro
dedicata. Il percorso fin qui seguito è quindi molto graduale: un passaggio importante è stata
l'attivazione dell'Archivio sul tifo calcistico in Europa che raccoglie libri, saggi, articoli
sull’argomento e poi fanzines, videocassette e materiale coreografico. L’Archivio, oltre ad
essere divenuto il principale osservatorio sul mondo del tifo calcistico è ormai un referente per
numerosi studiosi e tifosi di tutta Europa ed è anche un luogo d’incontro per tutti quei soggetti
che all’interno del mondo ultrà vogliono contrastare la crescente ondata razzista ed
intollerante. Nello stesso tempo, l'Archivio ci ha permesso di attivare la partecipazione diretta
degli ultras e di giungere, su alcune iniziative, ad un vero e proprio lavoro di collaborazione
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I Fan-Projekte tedeschi sono delle strutture di lavoro sociale costruite su base locale, finanziate da soggetti
istituzionale quali Comuni o Società di calcio ed indirizzate ai tifosi di calcio; queste strutture hanno come
scopo la diminuzione dell'incidenza dei comportamenti violenti e che lavorano nello specifico della cultura di
curva. I Sozialarbeiter (operatori sociali) coinvolti nel Fan-Projekt devono conoscere a fondo la vita quotidiana
del tifoso, andare in curva, condividere le trasferte, prendere contatto con i gruppi più duri, attivare la
partecipazione del tifoso fornendo spazi di aggregazione e di socialità dove creare occasioni di lavoro
comunitario e di discussione sulla violenza.
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con i gruppi di curva. Il lavoro di radicamento nel mondo ultrà sta, oggi, proseguendo
attivamente e ci consentirà di poter inaugurare la prima struttura di interventon a Bologna
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