Asta BoT e spread fanno volare Piazza Affari (+2%)

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Asta BoT e spread fanno volare Piazza Affari (+2%)
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RASSEGNA STAMPA
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 Successo all’asta BoT, crolla lo spread ...................................................
 Il BTp a 10 anni si allontana dal 7%........................................................
 Asta BoT e spread fanno volare Piazza Affari (+2%) ...............................
 Risparmiatori alla prova del mini-BoT ....................................................
 Quegli anni pericolosi della Cib Bank .....................................................
 Accordo sul polo Unipol-FonSai ..............................................................
 Banche cooperative: no all’Eba ...............................................................
 Allianz in soccorso di Commerzbank.......................................................
 UniCredit vola in Piazza Affari ................................................................
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 La corsa ai nuovi Bot: tassi giù della metà Lo spread scende a 471 ....... 13
 Draghi: Italia, i mercati apprezzano
«Segnali di stabilità nell’economia» ..................................................... 14
 E il presidente della Bce difende le banche:
l’Eba ha sbagliato i tempi ..................................................................... 15
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 Gli aiuti del Fondo monetario e il no del Professore ad Angela ..............
 Polo Unipol-Fonsai, i Ligresti escono ......................................................
 Caccia ai diritti Unicredit Balzo del 47,4% Consob chiama i soci...........
 Class action su Bpm «Bond, 20 mila euro sono diventati 2 mila» ..........
 Mps si affida alla cura Viola Il sindaco: Mussari a fine corsa .................
 Prelievi e depositi, allo sportello
niente tetto di mille euro al contante ................................................... 22
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Rassegna Stampa del giorno 13 Gennaio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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“Sforzi apprezzati dai mercati si acceleri sul fondo salva-Stati” .........
 “Inopportuni quei vincoli patrimoniali”
così SuperMario difende le banche ......................................................
 Crollano i rendimenti dei Bot giù lo spread,
la Borsa festeggia oggi la prova più difficile con i Btp ........................
 Unipol-Fonsai, vicino l’accordo con i Ligresti .........................................
 Allianz soccorre Commerzbank pronta a salire al 15% della banca........
 Unicredit, il mercato scommette su nuovi soci .......................................
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 Draghi promuove l’Italia
UN AFORISMA AL GIORNO
a cura di “eater communications”
“
TUTTO è PURO
”
PER I PURI!!
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Rassegna Stampa del giorno 13 Gennaio 2012
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*il Sole 24ORE*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
di: Isabella Bufacchi
[email protected]
I titoli del Tesoro
Successo all’asta BoT, crolla lo spread
Domanda elevata e rendimenti dei Buoni a 12 mesi in calo al 2,735% - Differenziale BTpBund a 479
ROMA L'Italia ha ottenuto ieri 12 miliardi di euro in prestito dal mercato collocando BoT annuali e flessibili
rispettivamente al 2,735% e all'1,644%, a un tasso medio del 2,41% e a fronte di una richiesta complessiva per 19
miliardi. Soltanto un mese fa, per raccogliere 7 miliardi vendendo Buoni a 12 mesi, il Tesoro aveva dovuto pagare il
5,95% con un imbarazzante rendimento massimo al 5,994 per cento. La prima asta di titoli di Stato italiani del 2012,
tanto nei numeri della domanda quanto nei tassi di assegnazione, ha così certificato il progressivo ritorno alla
normalità sul rischio-Italia, che risulta oramai depurato sulla parte a brevissimo termine della curva dei rendimenti
da qualsiasi irrazionale terrore di default imminente.
Il crollo dei rendimenti ha colpito positivamente gli addetti ai lavori per la sua entità, inattesa. Il BoT annuale è
calato a picco, al 2,735% dal 5,95% dell'asta di dicembre, più che dimezzato (-3,217%). Il risultato ha sorpreso
favorevolmente i traders perchè è andato molto meglio delle previsioni prevalenti che erano comunque già impostate
su esiti positivi in virtù dell'abbondante liquidità e del calo tra 200 e 300 centesimi di punto percentuale registrato
sul secondario dei BoT nell'ultimo mese, anche rispetto al tasso overnight Eonia e al tasso swap. Oltre al fattore
"LTRO" (lo speciale rifinanziamento accordato alle banche dalla Bce con durata di tre anni all'1%), gli operatori
stanno rilevando comunque una schiarita nella valutazione del rischio-Italia. Secondo gli analisti di Unicredit, «l'asta
riflette un grande miglioramento del market sentiment» nei confronti dell'Italia, oltre all'enorme liquidità. «L'ottimo
risultato delle aste ha spinto verso il basso i rendimenti anche sul mercato secondario», ha commentato Intesa
SanPaolo: lo spread tra BTp e Bund ha chiuso sotto la soglia dei 500 punti per la prima volta dallo scorso 22
dicembre, tornando a quota 479,64 punti, dopo aver toccato un minimo nel corso della seduta a 471. Il rendimento
dei BTp decennali è calato in chiusura al 6,63% dopo aver aperto poco sotto la soglia del 7 per cento. Il BTp a tre
anni, in asta oggi, è sceso temporaneamente sotto il 5%, chiudendo per Reuters al 4,65% per poi risalire in serata
attorno al 5%.
Sono stati notati in entrata sui BTp flussi di ordini di acquisto non speculativi. «Potrebbe innescarsi adesso un
meccanismo positivo, dove chi va lungo guadagna e chi va corto perde, un circolo virtuoso all'opposto di quanto è
accaduto sui titoli di Stato italiani tra il luglio e il settembre del 2011», ha pronosticato Luca Jellinek, capo strategist
sui tassi d'interesse europei per Crédit agricole Cib, secondo il quale il mercato potrebbe ora girarsi positivamente
per i titoli di Stato italiani, premiando chi prende posizione e si espone sul rischio Italia, attraendo quindi acquisti
dagli investitori istituzionali finali, il "real money", e costringendo chi è andato corto a ricoprirsi. Un meccanismo
che si autoalimenta con il rialzo dei prezzi e il ribasso dei rendimenti, al contrario di quanto accaduto dalla scorsa
estate fino al picco dello spread BTp/Bund toccato a quota 575 in novembre.
L'offerta dei Buoni ieri è andata bene anche sul fronte della domanda. Il BoT a 12 mesi è stato richiesto per 12,523
miliardi, con un rapporto di copertura non strabiliante (1,473 volte) ma buono e genuino tenuto conto dell'importo in
offerta superiore a quello in scadenza. I rapporti di copertura sventolati ieri nell'asta spagnola, tra 2,2 volte e 1,7
volte, hanno convinto di meno perchè stando a voci di mercato i Bonos sarebbero stati venduti per 10 miliardi contro
i circa 5 attesi integralmente alle banche spagnole, che hanno acquistato a prezzi stracciati rispetto al secondario. Il
BoT flessibile ha messo a sua volta in mostra un bid-to-cover elevato, 1,8 volte (6,485 miliardi richiesti), ma il
Tesoro non ha raccolto più di quanto programmato come ha fatto la Spagna: una politica prudente, quella italiana, in
vista delle prossime aste. L'anno scorso, in ottobre e settembre, il Tesoro aveva abbinato i BoT flessibili (scadenze
non standard e importi di 3 e 2,5 miliardi) ai BoT tradizionali, rispondendo a esigenze specifiche dei tesorieri: ma
qualcuno si era lamentato per il peso eccessivo della quantità complessiva in offerta. Non è andata così ieri. Il nuovo
BoT flessibile scade il prossimo 31 maggio, mese in cui dovranno essere rimborsati solo BoT a 6 e 12 mesi per un
totale di 15,2 miliardi, dopo il capitolo delle maxi-scadenze di BTp, CcT e CTz tra febbraio, marzo e aprile.
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SI ALLENTA LA TENSIONE
La discesa dei tassi ha colpito positivamente gli addetti per la sua entità inattesa Il rischioItalia si sta riavvicinando alla normalità
*il Sole 24ORE*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
Il BTp a 10 anni si allontana dal 7%
Nuovi segnali positivi per l'abbattimento del costo del debito pubblico
ROMA Lungo l'intera curva dei rendimenti dei titoli di Stato italiani dai 3 mesi ai trent'anni, bene inclinata
positivamente, ieri il famigerato tasso al 7% era sparito. Il BTp a 10 anni è riuscito a terminare la giornata sotto
questa soglia critica, temuta perchè abbinata alla richiesta di soccorso esterno da parte di Grecia, Irlanda e
Portogallo e comunque considerata dal mercato insostenibile, sulle lunghe distanze, per uno Stato come l'Italia
con debito/Pil elevatissimo e crescita potenziale molto bassa. Anche i BTp trentennali, stando alle quotazioni
Reuters, hanno chiuso attorno al 6,9%, iniziando a prendere le distanze dal 7 per cento.
Il BTp triennale benchmark, intanto, in asta oggi assieme a due BTp off-the-run (non in corso di emissione) per
un importo totale tra 3 e 4,75 miliardi, ha fatto la sua bella figura ieri sul secondario portandosi sotto il 5%:
nell'ultima asta a fine dicembre, dopo la super iniezione di liquidità della Bce, il BTp a tre anni era stato
venduto al 5,62% dal 7,89% dell'emissione di novembre. E scenderà ancora nell'asta oggi. I traders guarderanno
anche con particolare attenzione all'esito del collocamento del BTp 2008-2018 (un ex-decennale con vita
residua di sei anni) che ieri sul mercato secondario ha testato livelli sotto il 6 per cento.
Le aste a medio-lungo termine continueranno a lanciare segnali positivi per l'abbattimento del costo del debito
pubblico, rassicuravano ieri i traders. I picchi dei tassi di assegnazione in asta oltre il 7% e persino vicini
pericolosamente all'8%, come è avvenuto negli ultimi mesi del 2011, in effetti fanno tremare i polsi al mercato
ma chi gestisce il debito pubblico sa bene che non così sono dolorosi, se temporanei.
Nonostante i rendimenti in asta siano schizzati più volte alle stelle tra agosto e novembre del 2011, il costo
medio all'emissione l'anno scorso si è mantenuto al 3,61%, ripartito in 2,84% nel primo semestre e 4,57% nel
secondo. Nel dettaglio, stando alle stime del Tesoro, il costo medio all'emissione nel 2011 è risultato pari al
2,69% per i BoT, al 3,36% per i CcT, al 3,61% per i CTz e al 4,85% per i BTp nominali. Il 3,61% segnato
l'anno scorso ha spiccato un grande salto contro il 2,1% del 2010 – un record minimo – ma è riuscito a
mantenersi al di sotto del 4,09% del 2008.
Le punte massime dei tassi di assegnazione in asta, se passeggere, non sono quindi devastanti ai fini del costo
degli oneri per interessi sul debito pubblico. Il Tesoro tuttavia farà di tutto quest'anno per pagare il meno
possibile. Gli ammontari dei BoT in asta potrebbero aumentare fino a toccare un tetto di 250 miliardi in offerta
quest'anno, per sfruttare la parte più conveniente (per le casse dello Stato) della curva dei rendimenti. L'offerta
dei titoli con scadenze brevi e medie, come i BoT a 12 mesi e i BTp a tre anni, è stata concentrata negli
appuntamenti di metà mese nel nuovo calendario delle aste 2012: senza contare l'occasionale vendita dei BoT
flessibili con brevissime durate.
L'entità dei collocamenti dei titoli a media e lunga scadenza, tuttavia, tenderà quest'anno a essere limata dal
Tesoro rispetto agli ammontari ai quali era stato abituato il mercato in passato: questo servirà ad evitare di
bloccare per svariati anni rendimenti eccessivi (che oscillano ancora tra i 400 e i 500 punti sopra quelli tedeschi
e tra i 150 e i 200 punti circa sopra quelli spagnoli). L'asta di oggi dei BTp va in questa direzione: la forchetta
dell'ammontare è stata fissata tra 3 e 4,75 miliardi, ben più contenuta rispetto alla media di 5,3 miliardi rilevata
l'anno scorso nelle aste di metà mese. Va tenuto presente, tuttavia, che il BTp triennale è stato collocato soltanto
due settimane fa, a fine dicembre, in base al vecchio calendario delle aste 2011. Avanzare con prudenza è
d'obbligo soprattutto quest'anno. Nonostante il clima appaia rasserenato è difficile attendersi strappi o fughe in
avanti dal Mef.
I.B.
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LA MEDIA ABBATTE I PICCHI
Nel 2011, nonostante aste a tassi vicini all'8%, il costo medio all'emissione è stato del 3,61%,
per i BTp del 4,85%, per i BoT del 2,69%
*il Sole 24ORE*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
di: Luca Davi
I listini
Asta BoT e spread
fanno volare Piazza Affari (+2%)
Forte rimbalzo di UniCredit (+13%) e Mps (+9%)
Metteteci il buon risultato delle aste dei BoT, andate meglio del previsto. Aggiungeteci le parole del governatore della
Bce Draghi che, pur riconoscendo il clima di incertezza che grava sull'Eurozona, ha confermato il buon funzionamento
del piano di finanziamento a 3 anni alle banche del Vecchio Continente (il cosiddetto Ltro). Infine aggiungeteci quella che
appare a molti investitori come una (ampia) sottovalutazione dei titoli bancari europei. Ecco: mescolate il tutto e avrete il
mix di elementi che ieri ha spinto al rialzo soprattutto una Borsa in Europa, ovvero Milano. Il Ftse Mib ha guadagnato il
2,09% a 15.192 punti, battendo così tutti gli altri listini europei: Francoforte è migliorata dello 0,44%, invariata Madrid
mentre Londra e Parigi sono addirittura calate dello 0,15% mentre lo Stoxx 600 ha chiuso in calo dello 0,17%. A Wall
Street, l'S&P è salito dello 0,29%, nonostante le vendite Usa siano diminuite dello 0,2%.
Lo spread cala
Se si guarda al film della giornata, il propellente è arrivato soprattutto dalle aste di Spagna e Italia. Due test che sono stati
brillantemente superati dai governi periferici dell'eurozona. Mentre il Tesoro italiano ha collocato titoli semestrali per 3,5
miliardi, a fronte di una richiesta quasi doppia, con un rendimento in netto calo all'1,644%, e Bot annuali per 8,5 miliardi
per una domanda superiore ai 12 miliardi (qui il tasso è calato dal 5,95% al 2,73%), in Spagna è andata altrettanto bene:
sono stati collocati bond per circa 10 miliardi, il doppio del target fissato. Il differenziale sul decennale in poche ore è
caduto sotto i colpi degli acquisti effettuati sul mercato secondario dagli investitori: dai 520 punti di inizio seduta, la
forbice tra i BTp e Bund si è infatti ristretta a metà giornata fino a 471 punti, portando il rendimento del benchmark al
6,55%, prima di chiudere a 479 punti.
Il nuovo rally di UniCredit
L'effetto benefico del raffreddamento si è trasferito, quasi istantaneamente, anche sui titoli delle banche italiane, i
principali detentori di debito pubblico tricolore visti gli oltre 150 miliardi di BTp posseduti. Il settore del credito ha messo
a segno un rialzo del 7,2% contro il +1,13% delle media europea. Merito, in particolare, della ottima performance di
UniCredit: +13,35% il balzo finale, a 2,9 euro, tra scambi molto forti, pari al 14% del capitale. In rally anche i diritti
sull'aumento di capitale: +47,41%, a quota 1,71 euro. Sulla scia di UniCredit, si è mosso l'intero settore bancario: Monte
dei Paschi è salita dell'8,81%, Mediobanca dell'8,06%, Bpm del 6,56%. Molto bene anche il Banco popolare (+4,07%) e
Intesa (+4,03%). Difficile dire se la giornata di ieri rappresenti un punto di svolta per il settore. Certo è che, se da una
parte sul comparto pesa la spada di Damocle dell'Eba (secondo cui le prime 5 banche italiane, Intesa esclusa, devono
ricapitalizzare per 15,4 miliardi di euro), è anche vero che gli investitori professionali in breve potrebbero accorgersi della
paradossale sottovalutazione che caratterizza questi titoli. Le banche italiane oramai da mesi vengono valutate tra il 20 e il
30% del loro patrimonio. Un livello insostenibile che, se era ritenuto giustificato ai picchi della crisi del debito, non lo
sarebbe qualora le tensioni sull'Italia dovessero allentarsi. E visto che qualcosa di positivo si è visto (i rendimenti sulle
brevi scadenze si sono più che dimezzati nelle ultime settimane), non è escluso che un po' di ossigeno nelle prossime
settimane possa davvero tornare su Piazza Affari.
La speranza dei mercati
La terza chiusura consecutiva in positivo di Piazza Affari non deve però trarre in inganno. Il livello dei 15mila punti,
attorno al quale il Ftse Mib sta oscillando da oramai un mese, potrebbe rappresentare un trampolino di lancio ma anche
una boa di galleggiamento. Tutto dipenderà da quale sarà la rapidità di implementazione dei firewall finanziari europei.
Ieri Draghi è stato chiaro: l'Efsf e l'Esm devono essere «pienamente operativi in tempi rapidi». E la stessa Merkel,
aprendo all'ipotesi di accelerare il versamento della quota tedesca nel fondo Ue, ha di fatto dato l'ok all'ipotesi che l'Esm
entri in funzione nella seconda metà del 2012. La lettura è unanime: nessuno sforzo nella correzione dei bilanci pubblici,
nessun tentativo di apertura economica possono bastare, da soli, se non sono accompagnati dalle misure europee anticontagio. Anche perchè, sullo sfondo, c'è sempre da mettere in conto un declassamento della Francia. Che prima o poi,
concordano gli analisti, dovrà pur arrivare.
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LA RIPRESA DEI BANCARI
In recupero l'intero settore del credito: su anche Mediobanca (+8%), Bpm (+6,5%), Intesa (+4,03%) e Banco
Popolare (+4,07%)
*il Sole 24ORE*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
di: Maximilian Cellino
La bussola
Risparmiatori alla prova del mini-BoT
Con il calo dei rendimenti dei «Buoni» l'attenzione si sposta verso i BTp a 2-3 anni
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La buona notizia per le casse dello Stato si trasforma in un'opportunità sfumata per il risparmiatore: il super-Bot
al quale i palati più ghiotti si erano assuefatti nei mesi scorsi non esiste più. O per lo meno non è al momento
disponibile, perché il ritorno di appetito dei grandi investitori internazionali per i nostri «Buoni» ha provocato
un brusco ridimensionamento dei loro rendimenti. Il titolo a 12 mesi emesso ieri frutta il 2,735% lordo o, se
preferite, il 2,38% al netto del prelievo fiscale e appena il 2,07% se si considerano le commissioni di acquisto;
quello a tre mesi l'1,644% lordo (1,174% netto).
Entrambi fanno fatica a stare al passo dell'inflazione, che invece di questi tempi morde, sia a quella attuale
(3,3% annuo registrato dall'Istat a dicembre) sia a quella media attesa per l'intero 2012 (2,4% secondo le
previsioni di UniCredit Research). Per proteggere il potere d'acquisto nel breve termine occorre rivolgersi
altrove, magari ai conti deposito come dimostra il grafico a fianco, facendo però attenzione a non rimanere
invischiati nelle pieghe dei vincoli richiesti per ottenere rendimenti simili.
E i titoli di Stato? È chiaro che il ritorno a valutazioni «normali» che preesistevano la crisi della scorsa estate
riduce almeno per il momento le loro attrattive. In via del tutto teorica, per un risparmiatore che intenda
prendere tempo in attesa di verificare se la schiarita sui mercati sia di quelle durature avrebbe senso acquistare
il BoT a 3 mesi, che in questo caso avrebbe la mera funzione di parcheggio. Se invece si volesse ottenere
qualcosa in più dal proprio investimento è probabilmente opportuno dirigere l'attenzione verso le aree dove la
«normalizzazione» non è ancora del tutto avvenuta.
Per questo non occorre fare poi tanta strada, perché se è vero che i tassi dei BoT sono più o meno vicini ai
livelli dello scorso giugno, allungando anche di poco le scadenze si possono invece ancora ottenere rendimenti
di tutto rispetto. «Piuttosto che acquistare un BoT a 12 mesi al 2,7% sceglierei BTp a due o a tre anni, che
permettono ancora di ottenere rendimenti lordi del 4-5%», suggerisce Guido Casella, responsabile dei fondi
obbligazionari di Azimut, che rileva come l'anomalia della curva dei rendimenti italiana sia ancora molto
accentuata nelle scadenze comprese fra uno e tre anni.
Il differenziale di rendimento fra i BoT (che già hanno potuto godere del ritorno di fiducia nei confronti del
sistema Italia da parte degli investitori internazionali) e i titoli a media scadenza (che potrebbero seguire la
tendenza a breve) risulta infatti decisamente elevato se confrontato con quanto si riscontra negli altri Paesi
europei: come si vede nel grafico a fianco, questo particolare «spread» segna da noi infatti rispettivamente
l'1,4% (fra 1 e 2 anni) e il 2,3% (fra 1 e 3 anni) contro valori inferiori al punto percentuale in Francia, Germania
e pure Spagna.
In altre parole, al risparmiatore sarebbe sufficiente fare un piccolo passo in più nella scala del rischio per
garantirsi rendimenti significativamente più elevati e soprattutto in grado di coprire ancora dall'inflazione: un
buon compromesso per chi ancora non si sente pronto ad avventurarsi su un titolo decennale.
*il Sole 24ORE*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
di: Claudio Gatti
[email protected]
I TRAFFICI DELL’ISTITUTO UNGHERESE
Quegli anni pericolosi della Cib Bank
L’indagine interna voluta dai vertici di Intesa ha svelato le transazioni legate al traffico
d'armi della controllata
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Una banca dinamica e proiettata sul futuro nel cuore finanziario della nuova Europa. È questa l'immagine che Cib Bank –
nota fino al 2008 come Central-European International Bank – ha coltivato negli ultimi 15 anni. La sua stessa sede
centrale, in un palazzo moderno tutto vetro e granito nella vecchia Buda, l'antica capitale ungherese, è stata scelta come
simbolo della sua unicità e delle sue ambizioni. Ma Il Sole 24 Ore ha saputo che dietro a quell'immagine di modernità e
successo per anni si è nascosta una ben più fosca realtà. A farla venire alla luce è stata un'indagine voluta dal vertice di
Intesa Sanpaolo, il gruppo italiano che controlla la banca ungherese, in seguito a un'inchiesta condotta dalle autorità
statunitensi.
È così emersa una pericolosa inadempienza nei controlli di Cib che per anni ha di fatto concesso mano libera a una
clientela popolata da trafficanti d'armi in affari con dittatori africani e organizzazioni criminali dell'Europa orientale. Tra
questi figura una persona nella lista dei dieci uomini più ricercati d'America: Semion Mogilevich, altresì noto come
Semon Yudkovich Palagnyuk, o semplicemente "Seva". È stato così confermato quello che era già emerso in un'indagine
per traffico di armi che una decina di anni fa il pm di Monza Walter Mapelli – il magistrato che oggi sta investigando su
Filippo Penati – fu costretto dalla Corte di Cassazione ad archiviare per mancanza di competenza territoriale.
«Trovammo evidenze che conti aperti presso la Cib riportavano transazioni che avevano facilitato vendite di prodotti
militari e atti di corruzione da parte di trafficanti di armi in affari con la criminalità organizzata ucraina e con stragisti
africani», dice Bruno Brugnoni, all'epoca consulente di Mapelli, che indagò sulla vicenda tra il 2000 e il 2002. «Nella
nostra richiesta di informazioni alla banca ungherese spiegammo su che cosa stavamo indagando e le informazioni
finanziarie che confermavano l'uso di tre conti Cib in traffici di armi furono loro stessi a fornirle. Quindi la banca non
poteva non averne contezza».
Eppure il management della banca ungherese non intervenne in alcun modo. Né intervenne quello della banca-madre in
Italia. Nonostante i ripetuti articoli nella stampa europea e italiana che denunciavano l'uso di conti Cib in transazioni
finanziarie legate a riciclaggio di denaro, corruzione e traffico d'armi (vedi cronologia a fianco, ndr). Milano non
intervenne neppure dopo il 18 marzo 2004, giorno in cui annunciò pubblicamente che, «in coerenza con i valori e i
principi di eticità a cui si ispira, Banca Intesa ha deciso di sospendere la partecipazione a operazioni finanziarie che
riguardano l'esportazione, l'importazione e transito di armi e di sistemi di arma».
Cib è stata finalmente costretta ad abbandonare quel genere di operatività soltanto dopo che la la Fed aveva riscontrato
«carenze nella conformità alle normative statali e federali contro il riciclaggio di denaro» da parte della filiale newyorkese
di Intesa San Paolo, che svolge attività di compensazione – o clearing – delle operazioni in valuta americana per tutte le
banche del gruppo. «Intesa Sanpaolo, appena emersa evidenza della natura di taluni rapporti segnalati nell'ambito di
un'indagine interna condotta con il supporto di consulenti esterni, ha proceduto immediatamente sin dal 2007 alla
chiusura di tutti i rapporti in questione procedendo inoltre all'adozione di controlli rafforzati sui bonifici in entrata e uscita
della controllata ungherese Cib, ancorché i pagamenti fossero legittimi per la normativa locale. Le operazioni in questione
peraltro erano state sistematicamente segnalate nel tempo alle autorità ungheresi», spiega l'ingegner Giovanni Boccolini,
responsabile della divisione banche estere del gruppo, il quale ha sottolineato anche il fatto che il gruppo Intesa ha
assunto il controllo della banca ungherese nel 1999.
Il 2 marzo 2007 i vertici di Intesa Sanpaolo hanno siglato un "accordo scritto" con le autorità americane con il quale si
impegnavano a «rafforzare i controlli interni» e a «nominare un consulente indipendente approvato dall'autorità di
vigilanza con il compito di... verificare se attività sospette sono state appropriatamente identificate e segnalate». Intesa
Sanpaolo ha scelto Promontory, società di consulenza legale e amministrativa di base a Washington, alla quale ha affidato
il compito di passare al setaccio tutte le transazioni in valuta americana portate a termini da banche affiliate al gruppo nei
primi sei mesi del 2006.
Gli investigatori di Promontory hanno messo in luce l'anomalo rapporto tra la banca ungherese e svariati trafficanti di
armi, rapporto poi confermato anche dai legali di Davis Polk & Wardell, studio legale newyorkese che Intesa ha
ingaggiato per esaminare più a fondo la questione. «Nella sua attività di due diligence Promontory ha... visitato il quartier
generale di Cib.... Le discussioni si sono concentrate sulle attività riguardanti conti bancari di clienti non-residenti ed
entità che manifestavano caratteristiche di società di facciata. Svariati clienti... sono risultati essere società di facciata che
conducevano affari con entità non conosciute a Cib apparentemente coinvolte con il settore militare... Nel 2008 Cib ha
avviato un programma di revisione di tali conti (approssimativamente 5.500) e ne ha chiusi circa il 50%», si legge in una
bozza del rapporto finale di Promontory datata 31 luglio 2009 di cui Il Sole 24 Ore ha ottenuto copia. Promontory
quantifica il valore del business di questa clientela: quel taglio del 50%, era infatti risultato «in una riduzione di 500
milioni di dollari in depositi e 50 milioni in reddito».
L'attenzione degli investigatori si è concentrata sulle attività di sei società responsabili di centinaia di transazioni legate a
vendita di armi: Tegep, Immersion Hi Tech Ltd, Airtech Services, Scorpio Trading LTtd, Vvs Engineering and Sage
Consultants Ltd. La prima di queste, Tegep, è risultata legata a Semion Mogilevich, un criminale di portata internazionale
con interessi in Ucraina, Russia e la stessa Ungheria. Classificato come latitante dalla giustizia americana, nell'aprile 2003
Mogilevich è stato rinviato a giudizio dalla procura federale di Philadelphia per criminalità organizzata, frode societaria e
riciclaggio di denaro. Ma a dare un'idea della sua statura criminale è il fatto che negli ultimi due decenni era stato
ricercato o bandito dalla Repubblica Ceca e dalla Gran Bretagna, mentre lo stesso governo ungherese lo ha dichiarato
persona non gradita. Jon Winer, che è stato coordinatore nazionale nella lotta alla criminalità organizzata durante
l'amministrazione Clinton lo ha definito «un esponente della criminalità organizzata dei più pericolosi che abbia
conosciuto», dicendo di essere «convinto che sia responsabile di vari omicidi su commissione».
La seconda ditta citata da Promontory, High Immersion Ltd, è una società registrata a Cipro e amministrata da un altro
trafficante d'armi ucraino, Sergei Shumov. Apparentemente coinvolto in un'operazione di vendita di missili bulgari allo
Zambia, Shumov è sospettato di essere stato in affari con Viktor Bout, considerato il più pericoloso mercante d'armi
dell'ultimo decennio, ora sotto processo a New York. «Le risultanze bancarie della nostra inchiesta e quelle emerse adesso
dimostrano che Cib ha una storia di transazioni legate al traffico di armi. Non si può far pensare a un'occasionale
disfunzione nelle procedure di compliance o a qualche impiegato infedele. È evidente che si trattava di un modus
operandi», osserva Brugnoni.
L'inchiesta della procura di Monza nacque il 5 agosto 2000 da un blitz della polizia di Cinisello Balsamo in una stanza
dell'Hotel Europa, la numero 341. L'ospite era Leonid Minin, identificato da una rapporto del Servizio centrale operativo
della Polizia come il capo di un'organizzazione criminale di origine ucraina collegata alla cosiddetta "Mafia Russa" e
coinvolta in traffici internazionale di armi e droga, riciclaggio di denaro, estorsione e altri reati. Nella stanza di Minin, la
polizia trovò anche quattro prostitute di varie etnie e nazionalità, 58 grammi di cocaina purissima, diamanti semigrezzi del
valore stimato a 900 milioni di vecchie lire, decine di migliaia di euro attuali in valuta americana, italiana, ungherese e
mauritiana e 1.500 pagine di documenti scritti in una mezza dozzina di lingue. Il processo si concluse con una condanna a
due anni per detenzione di droga. Ma il 2 giugno del 2001, Leonid Minin venne riarrestato con la ben più grave accusa di
traffico internazionale di armi. Quella montagna di documenti sequestrati un anno prima nella stanza 341 dell'Hotel
Europa dimostravano infatti il suo coinvolgimento in almeno due spedizioni di armi – 131 tonnellate in missili, razzi,
fucili mitragliatori e munizioni – in violazione di un embargo dell'Onu. Destinatario di quell'arsenale: il Revolutionary
United Front, un gruppo di ribelli della Sierra Leone sostenuto dal sanguinario dittatore della Liberia Charles Taylor. Il
primo carico – 68 tonnellate – fu trasportato nel marzo del 1999, quando il Ruf era nel mezzo della "Operazione Nessun
Organismo Vivente", una campagna di massacri durata quattro mesi in cui si stima siano state uccise 15mila persone e
molte di più abbiano subito amputazioni di mani, braccia, piedi e orecchie.
«Nel corso degli interrogatori svolti a seguito dell'arresto del 21/6/2001, Minin ha ammesso il suo ruolo nella fornitura
delle armi e ha fornito dettagli per la ricostruzione dei fatti», si legge nella rogatoria inviata all'autorità giudiziaria
ungherese dal sostituto procuratore di Monza Walter Mapelli. «In particolare, Minin ha dichiarato che il carico del marzo
1999 è stato pagato su uno o più dei seguenti conti bancari accesi presso... Central-European International Bank, intestate
a Marketing & Engineering Co Ltd… Technical & Consult Co. Ltd… Engineering & Technical Co Ltd». «Nella rogatoria
chiedemmo conto a Cib della movimentazione di quei tre conti e trovammo transazioni in entrata e in uscita con società
legate a traffico di armi», ricorda Brugnoni. «Individuammo poi versamenti per un totale di circa 3,5 milioni di dollari da
parte dell'ente militare Zimbabwe Defense Industries, e successivi bonifici per quasi 300mila dollari in uscita su un conto
intestato a T.J. Dube, il colonnello che dirigeva la stessa Zdi. Lo interpretammo come un retropagamento su un acquisto
di armi».
Poiché tutte le informazioni vennero dalla stessa Cib, Brugnoni è convinto che «il management della banca non poteva
essere inconsapevole del ruolo che l'istituzione stava giocando fornendo servizi finanziari a criminali dell'Europa dell'Est
coinvolti in traffici di armi e atti di corruzione». Il vertice di Intesa-Sanpaolo ha evidentemente raggiunto la stessa
conclusione. E il 3 marzo 2009 ha ―rescisso per comune accordo ‖ il mandato di László Török, amministratore delegato di
Cib.
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Rassegna Stampa del giorno 13 Gennaio 2012
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IL RUOLO DELLA BANCA MILANESE
Appena è emersa l'evidenza della natura dei rapporti segnalati dall'indagine interna, si è proceduto alla loro
immediata chiusura
*il Sole 24ORE*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
di: Laura Galvagni
Riassetti. La svolta dopo una riunione di oltre sei ore con i creditori - I negoziati per l'Opa
sulla holding capogruppo
Accordo sul polo Unipol-FonSai
Ligresti tratta l'uscita – L’aggregazione coinvolgerà anche Premafin e Milano
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MILANO L'accordo per il riassetto di Premafin-Fondiaria Sai e la realizzazione di un nuovo maxi polo
assicurativo è stato raggiunto nella notte con la firma delle lettere di intenti. Lettere che impegneranno Premafin
a trattare in esclusiva con Unipol fino al 27 gennaio, la due diligence sarà quindi piuttosto breve, con l'obiettivo
di siglare un contratto preliminare proprio in quella data. Giorno nel quale, peraltro, è già in agenda il cda
FonSai che dovrà stabilire le tappe della prossima ricapitalizzazione.
Il tutto è maturato nel corso dell'affollata riunione iniziata nel pomeriggio di ieri e protrattasi fino a tarda notte
nel palazzo di UniCredit e alla quale erano presenti i Ligresti, una delegazione di Unipol, l'amministratore
delegato della banca, Federico Ghizzoni e il responsabile corporate e investment banking Vittorio Ogliengo, i
vertici di Mediobanca, Renato Pagliaro e Alberto Nagel, l'amministratore delegato di Fondiaria Sai, Emanuele
Erbetta, il numero uno di Banca Leonardo Gerardo Braggiotti, l'avvocato Giuseppe Lombardi e Ignazio La
Russa. L'intesa chiama in causa direttamente Unipol Gruppo Finanziario e impegna la holding di Bologna in
una complessa operazione di aggregazione, preceduta da un'Opa e tre aumenti di capitale.
Riguardo alla struttura del progetto, la prima tappa sarà il lancio da parte di Ugf di un'offerta pubblica di
acquisto su Premafin alla quale aderiranno anche i Ligresti apportando il pacchetto di controllo del 50%. Il
valore dell'Opa dovrebbe essere abbastanza vicino ai prezzi di mercato, magari solo parzialmente depurati dal
forte boom che le quotazioni della holding hanno registrato nelle ultime settimane (+170% da fine dicembre).
Successivamente Unipol Gruppo Finanziario, in qualità di nuovo socio di controllo della holding promuoverà
un aumento di capitale, compreso tra i 200 e i 250 milioni, funzionale a poter partecipare alla successiva
ricapitalizzazione di FonSai da 750 milioni. Proprio la ripatrimonializzazione della compagnia assicurativa
potrebbe rappresentare l'occasione per favorire l'ingresso nella partita di altri soci. In particolare, Clessidra
sembra essere il candidato naturale a investire direttamente nella compagnia per diventare, a valle della fusione
a quattro, uno dei soci di riferimento dell'aggregato. L'intervento del fondo di Claudio Sposito potrebbe essere
gradito anche al sistema bancario che, visti gli aumenti a catena, avrà parecchio lavoro da fare nel costituire
solidi consorzi di garanzia. Dopo l'iniezione di liquidità di FonSai scatterà infatti anche la
ripatrimonializzazione di Unipol, necessaria non solo per finanziare la complessa operazione ma anche per
dotare la compagnia assicurativa di una solidità patrimoniale paragonabile a quella di Fondiaria post
ricapitalizzazione. L'aumento dovrebbe essere di un ammontare simile a quello di FonSai e al termine dovrebbe
scattare il progetto di integrazione a quattro tra Fondiaria, Unipol Assicurazioni, Milano Assicurazioni e
Premafin in modo tale che si crei un unico grande gruppo assicurativo controllato da Ugf, a sua volta nelle mani
di Finsoe, la holding delle Coop. Ugf, oltre alle assicurazioni, manterrebbe la presa anche su Banca Unipol che
resterebbe in portafoglio separata dal resto del business. Questo a grandi linee è il disegno complessivo per il
riassetto della galassia FonSai, con i numeri che verranno definiti più precisamente a valle della due diligence.
Mancano, poi, gli ultimi dettagli rispetto alla sistemazione del debito a monte, ossia nelle cassaforti di Salvatore
Ligresti, Imco e Sinergia. Allo stato non è stata individuata una soluzione ampiamente condivisa, di certo il
principio attorno al quale si cercherà l'intesa prevede l'assegnazione alle banche creditrici di asset immobiliari a
fronte di debito da soddisfare. In quest'ottica, ieri nella sede di UniCredit è stato visto Manfredi Catella, patron
del fondo immobiliare Hines.
LA TRATTATIVA FINALE
Riunione decisiva nella sede di UniCredit con Ghizzoni, Braggiotti, i vertici delle Coop e quelli di
Mediobanca L'Opa e il nodo immobiliare
L’ANTICIPAZIONE
L’accordo in anteprima
Sul Sole 24 Ore di ieri l'anticipazione dell'intesa imminente fra Unipol e la famiglia Ligresti per la fusione
delle compagnie e la creazione del nuovo maxi-polo italiano delle assicurazioni.
*il Sole 24ORE*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
di: Giovanni Vegezzi
Credito. Azzi (Bcc): le regole devono tenere conto del fatto che le banche sono al servizio
dell'economia
Banche cooperative: no all’Eba
Fratta Pasini: «Concordo con Saviotti: nessun aumento per Banco Popolare»
Cambiare le regole dell'Eba per evitare che ci siano ulteriori strette al credito alle imprese. Le banche popolari e
quelle di credito cooperativo, che ieri hanno ribadito in una conferenza stampa il patto di consultazione e
collaborazione fra le due anime della cooperazione bancaria, tornano a riaffermare la posizione dell'Abi sulle
richieste di rafforzamento patrimoniale avanzate dall'Agenzia bancaria europea. «È chiaro che i singoli debbano
adeguarsi - ha spiegato Carlo Fratta Pasini, numero uno del consiglio di sorveglianza di Banco Popolare e
presidente di Assopopolari -, ma le associazioni devono battersi fino all'ultimo». Se non saranno riviste le
regole che prevedono oltre 15 miliardi di ricapitalizzazione solo per l'Italia, sostiene Fratta Pasini, «ci saranno
conseguenze restrittive sul credito e sugli impieghi verso l'economia reale». «Vediamo e osserviamo la realtà e
credo che forse qualche regola andrebbe rivista» ha chiosato il presidente della banca veronese che per il
proprio istituto ha escluso l'aumento di capitale: «Quello che dice l'amministratore delegato è esattamente il mio
pensiero, lo confermo in toto» ha detto rimandando alle parole di Piero Saviotti. Il presidente, inoltre, ha
escluso che l'istituto abbia problemi di liquidità, affermando che sul fronte patrimoniale il Banco attende
impatti positivi dall'adozione dei modelli interni di rating, per la quale é in arrivo l'ok definitivo di Banca
d'Italia. Sulla solidità patrimoniale, poi, Fratta Pasini è tornato a sottolineare i punti di forza di un modello di
banca basato sul credito al territorio e all'economia reale; un modello che non dovrebbe essere penalizzato. A
ribadire il concetto è anche Alessandro Azzi, presidente di Federcasse, secondo cui «è un problema se le
normative sono calate dall'alto e non tengono conto del criterio della proporzionalità». «Le regole - ha aggiunto
- devono tenere conto che le banche sono al servizio dell'economia reale e che in situazione di crisi devono
poter svolgere una funzione anticiclica». Le Bcc, del resto, sottolinea Azzi, cercano di proseguire su questa
strada: «lo dimostra l'incremento degli impieghi che è maggiore rispetto all'incremento della raccolta. E questo
senza essere dissennati, visto che i nostri coefficienti patrimoniali sono compresi fra il 14 e il 15%» ha
aggiunto. Certo la situazione del mercato del credito spinge per una maggiore efficienza in strutture molto
diffuse a livello territoriale come quelle della cooperazione bancaria: e se le Bcc scommettono
sull'esternalizzazione di servizi alle strutture di categoria come Iccrea, le popolari hanno già preso da tempo la
strada del consolidamento. Un percorso, è tornato a sottolineare Fratta Pasini, che non viene premiato dalle
norme: «Basilea 3 non segmentava il sistema bancario al di sotto delle entità di importanza sistemica, cosa che
invece l'Eba fa» ha spiegato il banchiere concludendo che se si ritengono giuste le ponderazioni dell'agenzia
sugli impieghi verso l'economia reale «non ci si può stupire poi se gli intermediari si spostano su attività
finanziarie».
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Rassegna Stampa del giorno 13 Gennaio 2012
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L’ACCORDO
Si fa più stretto il patto di consultazione e collaborazione tra le banche popolari e il credito
cooperativo
I NUMERI
536 miliardi Gli impieghi
Il mondo della cooperazione bancaria ha impieghi al 30 giugno 2011 pari a 536 miliardi di
euro. La provvista supera i 600 miliardi. Le 511 fra Bcc e popolari contano anche su oltre 17
milioni di clienti e 2,3 milioni di soci.
14,1% Core Tier 1
Il coefficiente patrimoniale medio di sistema per le banche di credito cooperativo è del
14,1%, un dato superiore alla media del settore. «Nel tempo abbiamo accumulato risorse
come tante formichine» ha spiegato il presidente di Federcasse, Alessandro Azzi.
*il Sole 24ORE*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
Riassetti. Le ipotesi di conversione
Allianz in soccorso di Commerzbank
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Il gruppo assicurativo tedesco Allianz si appresta a correre in aiuto della connazionale Commerzbank.
L'indiscrezione, ancora non confermata ufficialmente, è stata riportata ieri dal quotidiano tedesco Handelsblatt,
secondo il quale Allianz sarebbe pronta a convertire in azioni il capitale ibrido che detiene attualmente
nell'istituto per aiutarne la ricapitalizzazione. L'operazione, che ammonta a circa 750 milioni di euro, permetterà
al gruppo assicurativo di diventare il secondo azionista di Commerzbank con una quota del 15%, subito dietro
allo Stato tedesco che detiene il 25% del capitale sociale.
Il capitale senza diritto di voto in mano ad Allianz, è il risultato della cessione da parte del gruppo assicurativo
a Commerzbank di Dresdner Bank nel 2008. Ora, però, quella partecipazione non viene riconosciuta
dall'European Banking Authority (Eba) come core capital. Proprio per questo Allianz sarebbe intenzionata a
trasformare la propria partecipazione, anche se non è ancora chiaro quale possa essere il tipo di operazione
scelto per farlo. Al momento, comunque, non ci sarebbero ancora accordi formali fra i due gruppi.
L'operazione, certo, aiuterebbe il gruppo bancario che secondo l'Eba necessita di un rafforzamento di capitale
pari a 5,3 miliardi di euro, da raccogliere entro metà del 2012. E un effetto immediato lo ha avuto di certo ieri
sull'andamento di Borsa. Sulla Piazza di Francoforte il titolo dell'istituto tedesco ha segnato un progresso del
7,1% a 1,39 euro per azione. La performance ha sicuramente beneficiato del buon andamento del comparto
bancario ieri in Europa, che ha guadagnato il 3,5% ed è stato il migliore fra gli Stoxx europei. Ma
Commerzbank è riuscita a fare meglio delle altre banche tedesche, come Deutsche Bank che ha terminato le
contrattazioni in rialzo del 5,5% a 29,47 euro per azione.
Commerzbank ha sempre escluso un nuovo aumento di capitale per rafforzare i propri ratio patrimoniali, ma
ora dovrà dare una risposta all'Eba entro il 20 gennaio per spiegare quali saranno le mosse per andare incontro
alla richiesta di ricapitalizzazione. Fra le altre banche tedesche, il più importante gruppo privato, la Deutsche
Bank, cui l'Eba ha chiesto di raccogliere 3,2 miliardi di euro di capitale core tier 1, ha già dichiarato di essere in
grado di farlo senza fare ricorso a fondi pubblici. Helaba e NordLb, coinvolte per importi minori, ritengono a
loro volta di poter evitare l'intervento della Soffin grazie all'impegno alla ricapitalizzazione dei propri azionisti,
fra cui gli Stati dell'Assia per la prima e della Bassa Sassonia per la seconda.
Mo.D.
*il Sole 24ORE*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
di: Marigia Mangano
Banche. La prima settimana del maxi-aumento da 7,5 miliardi si avvia alla conclusione Forte interesse per l'operazione
UniCredit vola in Piazza Affari
Nuovo sprint del titolo (+13,5% a 2,9 euro), balzo dei diritti di opzione (+47,4%)
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MILANO UniCredit mette a segno il terzo rialzo consecutivo in Borsa mentre si moltiplicano le voci su possibili
nuovi soci in piazza Cordusio e si chiude il cerchio tra gli azionisti stabili dell'istituto.
Ieri le azioni della banca, alle prese con un maxi aumento di capitale da 7,5 miliardi, hanno messo a segno un
guadagno del 13,53% a un prezzo di riferimento di 2,904 euro. Questo dopo che nel corso della seduta il titolo è
stato più volte congelato per eccesso di rialzo. Un trend che si è esteso soprattutto ai diritti che anche ieri hanno
chiuso a 1,71 euro (+47%). Ma il dato più sorprendente è quello dei volumi: ieri è stato scambiato il 14% del
capitale, dopo l'8% passato di mano alla vigilia. Un segnale quest'ultimo che, secondo gli addetti ai lavori, conferma
la tesi che sulla debolezza del titolo nei primi giorni dell'anno ha contribuito anche la bassa liquidità del mercato,
complici le festività. Ad ogni modo – si spiega nelle sale operative – anche se in Borsa restano molto attivi gli
investori istituzionali, soprattutto nelle ultime due sedute sono circolate voci di posizionamenti importanti da parte di
nuovi soci contattati dalle banche del consorzio guidate da Mediobanca e Bofa Merrill Lynch. Il fondo sovrano del
Kazakistan, indicato da indiscrezioni di Borsa come l'artefice del rastrellamento del 5% del capitale di Unicredit, ha
chiarito ieri che tale informazione non risponderebbe ai fatti. In realtà, secondo quanto si apprende, il fondo kazako
Samruk Kazyna avrebbe esaminato il dossier presentato dagli istituti (tanto che alcune fonti sostengono che avrebbe
raccolto effettivamente una quota della banca), così come si sarebbero mossi altri fondi esteri invitati a entrare in
UniCredit dal consorzio. Contatti, poi, sarebbero in corso con la famiglia Malacalza anche se gli imprenditori
genovesi per ora avrebbero solo esaminato il dossier e non si sarebbero pronunciati su un eventuale ingresso nel
libro soci di piazza Cordusio.
Nel frattempo continuano a chiarirsi le posizioni delle fondazioni. Il consiglio generale e il consiglio di
amministrazione di Fondazione CrTrieste hanno deliberato ieri l'adesione all'aumento di capitale di UniCredit. La
fondazione triestina, che ha lo 0,33% delle azioni della banca di piazza Cordusio, si impegna così per circa 26
milioni di euro che l'ente potrà sostenere «senza ricorrere al debito né vendendo sul mercato parte delle opzioni di
propria pertinenza». Il via libera arriva dopo che nelle scorse settimane, in rapida successione, tutte le fondazioni,
che rappresentano da sempre lo zoccolo duro nella governance di piazza Cordusio, hanno aderito all'aumento, anche
se in alcuni casi, complice la crisi ed erogazioni sempre più deboli, la scelta è stata quella di una sottoscrizione soft.
Per questo, a ricapitalizzazione terminata la mappa dell'azionariato potrebbe cambiare. Tra gli altri soci stabili
dell'istituto Allianz, azionista con il 2% del capitale, sarebbe orientata a sottoscrivere la quota di competenza e
rimanere così ferma al peso attuale. Si aspetta, invece, qualche indicazione da Aabar che detiene il 5% della banca di
piazza Cordusio che non avrebbe ancora preso una decisione chiara sulla ricapitalizzazione. Infine, sul fronte libico
la Banca centrale (4,9%) e la Lia (2,5%) sarebbero orientate a seguire la ricapitalizzazione, anche se non è ancora
chiaro se tale impegno coinvolgerà l'intero pacchetto di loro proprietà.
Intanto ieri si è appreso che dopo l'amministratore delegato Federico Ghizzoni e il direttore generale Roberto
Nicastro, il presidente di UniCredit, Dieter Rampl ha fatto la sua parte esercitando i diritti in opzione riferiti alla sua
quota in UniCredit per un controvalore di oltre 120.364 euro e un totale di quasi 62 mila titoli.
L’andamento a Piazza Affari
+10,5% Il titolo dal 6 gennaio
Le azioni del gruppo UniCredit dalla chiusura di mercato del 6 gennaio ad oggi hanno guadagnato il 10,5 per
cento. Le quotazioni a Piazza Affari del colosso bancario italiano sono passate infatti dai 2,62 euro di venerdì
scorso (prezzo teorico, post-stacco del diritto) ai 2,90 euro fatti segnare alla chiusura della seduta ieri
+25,8% Il valore dei diritti
Dalla chiusura del 6 gennaio, il valore dei diritti legati all'aumento di capitale da 7,5 miliardi di euro, si è
apprezzato del 25,8%, passando da 1,359 euro a 1,71 euro. Il diritto è stato staccato dalle azioni UniCredit a
partire da lunedì 9 gennaio
+15,9% L’azione «piena» dei diritti
Dal 6 gennaio l'azione «piena» del gruppo UniCredit, comprensiva del valore dei diritti legati alla
ricapitalizzazione, è passata da 3,98 al 4,61 euro
*CORRIERE DELLA SERA*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
di: Francesca Basso
La corsa ai nuovi Bot:
tassi giù della metà
Lo spread scende a 471
I titoli annuali rendono il 2,7%. Btp al 6,6%
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Rassegna Stampa del giorno 13 Gennaio 2012
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MILANO — Lo avevano definito il primo test del 2012 per l'Italia. E il nostro Paese l'ha superato. Le aste di
Bot a 1 anno e a 6 mesi hanno riportato i rendimenti ai minimi dallo scorso giugno, alla vigilia dell'«attacco»
dei mercati ai nostri titoli di Stato: i tassi di interesse sono scesi rispettivamente al 2,735% e all'1,644%, quasi
dimezzati in confronto al 5,950% e al 3,251% registrati a metà dicembre.
Ne ha beneficiato lo spread dei decennali sul Bund tedesco, che è sceso a 471 punti base, il livello più basso da
metà dicembre, dopo che il 9 gennaio aveva raggiunto un nuovo record allarmante a 531 punti. Anche il
rendimento ha visto un calo a 6,65% dalla chiusura del giorno precedente a oltre 7%. Sarà però l'esito dell'asta
di Btp di oggi a dire se la politica economica del governo Monti e il vertice tra il premier e la cancelliera
tedesca Angela Merkel hanno convinto i mercati, confermando la rapida inversione di rotta. Il Tesoro oggi offre
il Btp triennale, scadenza novembre 2014, per 2-3 miliardi e riapre due Btp (scadenze a luglio 2014 e agosto
2018) per 1-1,75 miliardi. Intanto ieri ha collocato 8,5 miliardi di Bot a un anno a fronte di una domanda pari a
12,5 miliardi, e 3,5 miliardi di Bot con data residua di 136 giorni (richiesta pari a 6,485 miliardi). La scelta del
dipartimento guidato da Maria Cannata, dirigente generale del Tesoro per la gestione del debito, è stata di
allargare le emissioni di Bot oltre la scadenza, infatti ha offerto 12 miliardi contro una scadenza di 7,7 miliardi,
invertendo la politica dello scorso anno. In questo modo lo Stato potrà rifinanziarsi, seppure a breve termine, a
tassi più bassi.
Domanda fortissima e rendimenti in calo anche per la Spagna, che ieri ha incassato un successo con i bonos a
medio termine: Madrid ha collocato 9,98 miliardi di bond a tre, quattro e cinque anni contro un target di 5
miliardi. L'ottimismo dei trader è stato sostanziato anche dalla mossa della Banca centrale europea, che a fine
dicembre ha offerto 490 miliardi alle banche del sistema euro, di cui 116 miliardi finiti ai nostri istituti. E ieri è
stato lo stesso presidente della Bce Mario Draghi a sottolineare che «gli effetti del prestito a tre anni si stanno
vedendo». I buoni risultati delle aste dei titoli di Stato italiani e spagnoli hanno condizionato le Borse europee,
che però sono state rallentate dall'andamento incerto di Wall Street e dalla pubblicazione dei dati americani su
disoccupazione e vendite, che sono risultati peggiori rispetto alle attese. Piazza Affari è stata l'unica in chiaro
rialzo: il Ftse Mib ha chiuso a +2,09%, trascinata anche dai titoli bancari, che più degli altri hanno beneficiato
della performance dei titoli di Stato. Unicredit è volata a +13,5% mentre Mps, uno degli istituti più esposti
verso i bond governativi, è aumentato dell'8,8%. Bene anche Mediobanca (+8%), Bpm (+6,5%), Ubi (+6,2%).
Più fredde le Borse europee. Madrid, nonostante il successo dell'asta dei bonos ha chiuso invariata, mentre
Parigi e Londra hanno perso lo 0,15%. Solo Francoforte è salita dello 0,44%. I forti acquisti sui titoli italiani e
spagnoli hanno dato una mano anche all'euro, che è salito oltre quota 1,28 contro il dollaro.
*CORRIERE DELLA SERA*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
di: Marika de Feo
Draghi: Italia, i mercati apprezzano
«Segnali di stabilità nell’economia»
Cautela sulla ripresa e sulla riduzione del costo del denaro
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Rassegna Stampa del giorno 13 Gennaio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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FRANCOFORTE — Primi successi del maxi prestito da 500 miliardi alle banche e di miglioramento dei
mercati, mentre si aprono lievi segnali «di stabilizzazione dell'economia», anche se rimane «elevata»
l'incertezza per i «rischi al ribasso» della crescita. Sono questi i principali temi affrontati ieri in conferenza
stampa dal presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, insieme all'«apprezzamento» dei mercati
finanziari «per quanto realizzato in Italia». Di conseguenza, anche se i tassi di riferimento sono rimasti fermi
all'1%, l'ex governatore di Bankitalia, per la prima volta dall'aggravarsi della crisi, ha lasciato aperta la porta a
ulteriori tagli del costo del denaro, anche sotto la soglia «tabù» dell'1%, dicendo che la Bce «non si impegna in
anticipo» per le mosse future, ma «è pronta ad agire», se sarà necessario, mentre la politica monetaria rimane
«accomodante».
Secondo gli esperti l'Eurotower potrebbe ridurre i tassi entro marzo, se dovesse peggiorare la situazione.
Il cauto ottimismo delle parole di Draghi ha avuto un effetto immediato sull'euro, tornato oltre quota 1,28
dollari, e sulle borse valori, schizzate verso l'alto, ma miste in chiusura (a causa del mercato Usa), con Milano
in recupero del 2,09%, sulla scia del successo delle aste italiane e del calo degli spread.
La cautela è ancora d'obbligo, perché la situazione rimane estremamente incerta, mentre le tensioni nei mercati
finanziari pongono rischi di peggioramento dell'economia «molto eterogenea» dei Paesi dell'euro, che si
riprenderà per gradi solo nel corso del 2012. Mentre l'inflazione, ha spiegato Draghi, sta calando, «come
previsto», ma rimarrà per «diversi mesi» sopra il 2%, prima di calare sotto il 2%.
In questo quadro denso di incertezze e di rischi per la crescita, i provvedimenti straordinari introdotti
temporaneamente dalla Bce e soprattutto il maxi prestito da 500 miliardi concesso in dicembre alle banche per
tre anni, secondo il banchiere centrale italiano stanno dando un «contributo sostanziale» agli istituti. Mentre «ha
certamente impedito una maggiore stretta» dei finanziamenti, aprendo spiragli per il funzionamento dei mercati
(in calo l'Euribor nell'interbancario).
Importante, a causa delle critiche dei giorni passati, anche la precisazione che le banche che hanno ricevuto
liquidità illimitata non sono le stesse che parcheggiano i fondi in Bce (ieri 470 miliardi). E ci sono segnali
anche per una consistente partecipazione degli istituti alla prossima asta a tre anni prevista per fine febbraio. La
Bce sta facendo la sua parte per mantenere la stabilità della moneta, ripristinare il funzionamento dei mercati e
incoraggiare le banche a finanziare l'economia.
E a questo punto, mentre Draghi ha lodato «alcuni Paesi europei sotto stress», che stanno compiendo «passi
straordinari» nel consolidamento, accompagnati da «apprezzamenti» da parte dei mercati, ha invitato — anche
qui è appena velata l'allusione all'Italia — a flessibilizzare i mercati del lavoro per creare posti e spronare la
crescita. Nel frattempo, sarebbe auspicabile per il presidente della Bce che i governi si accordino sul «fiscal
compact» in modo «non ambiguo» entro la fine di gennaio, invece che a marzo, per accelerare il ritorno alla
fiducia dei mercati e alla crescita. Ed è «urgente» anche l'operatività dei meccanismi salva Stati Efsf e Esm (da
luglio) per i quali la Bce agirà da agente, con la sua «tecnostruttura».
*CORRIERE DELLA SERA*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
DAL NOSTRO INVIATO Stefania Tamburello
E il presidente della Bce
difende le banche:
l’Eba ha sbagliato i tempi
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Rassegna Stampa del giorno 13 Gennaio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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FRANCOFORTE — La stabilità delle banche è un «fattore chiave» nello scenario di incertezza che regna
nell'economia. Sarà per questo che ieri il presidente della Bce, Mario Draghi, è sembrato più disponibile di altre
volte a recepire le ragioni degli istituti di credito. Così a chi chiedeva cosa pensasse del fatto che i gruppi di
tutta Europa, Italia compresa, depositassero la liquidità ricevuta in abbondanza dalla Bce, nei forzieri della
stessa Banca centrale, parcheggiandola invece di impiegarla in prestiti a imprese e famiglie, ha risposto che
ovviamente non si trattava degli stessi flussi di denaro. E che anzi la liquidità immessa da Eurotower, che
ripeterà l'esperimento a breve, sta servendo al suo scopo, che è di contribuire a migliorare la situazione di
funding, di finanziamento, delle stesse banche. In modo che queste possano dare credito all'economia senza
inasprire le condizioni. Non per nulla l'obiettivo di evitare il credit crunch infatti, secondo i dati della Banca
centrale europea, è stato evitato.
Ma ancora di più si può dire che Draghi sia stato di parte, quella delle banche, nel braccio di ferro del sistema
creditizio con l'Eba, l'autorità di vigilanza europea presieduta da Andrea Enria che ha imposto aumenti di
capitale (più di 114 miliardi entro giugno per le banche europee di cui circa 15 per le italiane) sulla base di un
test che ha preso in considerazione anche i titoli pubblici in portafoglio valutandoli (e quindi nel caso di Bot e
Btp svalutandoli) a prezzi di mercato. A protestare più degli altri sono stati i gruppi italiani con Abi in testa e
poi quelli tedeschi. Ebbene il numero uno di Eurotower ha in sostanza detto che l'Eba ha sbagliato i tempi. Ha
fatto una giusta analisi, un test di per sé corretto, ma lo ha voluto applicare nel momento meno opportuno
finendo per provocare effetti proclitici. Finendo cioè per peggiorare la situazione, aggravando le tensioni e
aggiungendo un freno in più all'espansione dei prestiti all'economia. L'iniziativa dell'Eba nasce all'interno del
pacchetto anticrisi deciso dai leaders europei ma è stata l'unica misura ad andare avanti mentre gli altri pilastri
del piano come il rafforzamento del Fondo salva Stati sono rimasti indietro.
L'esercizio dell'Autorità di Londra «era giusto in se stesso ma è stato deciso quando le cose erano molto
differenti da quelle di oggi», ha detto Draghi. Si sarebbe, cioè, dovuta verificare «un'ottimale sequenza di
eventi: prima di tutto i governi avrebbero dovuto avere risorse a disposizione per intervenire a sostegno delle
banche nel caso che gli stress test dell'Eba avessero mostrato necessità di capitale aggiuntivo». Cosa che non si
è verificata nel momento in cui le conseguenze del test sono diventate operative. In secondo luogo l'Efsf, il
Fondo salva Stati «avrebbe dovuto essere già funzionante per fornire un impatto positivo sul mercato dei debiti
sovrani. Ma l'Efsf non era attivo nel momento in cui l'Eba ha completato l'esercizio». Così le necessità di
capitale delle banche sono state individuate sulla base di prezzi di Bond sovrani sotto estrema tensione. Per non
contare che «nello stesso tempo la situazione economica è cambiata». Così in tali circostanze l'esercizio
dell'Eba ha mutato segno «ed è diventato prociclico». «Sono convinto che non ci sarà alcuna probabilità che
possa essere ripetuto in futuro, così. Ma su premesse diverse» ha spiegato il presidente della Bce. Il quale ha
anche ricordato che quando due anni fa gli Stati Uniti hanno fatto lo stress test sulle banche il governo di
Washington aveva i capitali a disposizione per essere eventualmente in grado di sostenere il rafforzamento
patrimoniale delle banche del Paese.
Draghi non dice certo che i gruppi creditizi non debbano fare gli aumenti di capitale necessari per la loro
solidità, anzi, ma sostiene che vadano fatti «senza danneggiare lo sviluppo dell'economia di Eurolandia».
*CORRIERE DELLA SERA*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
di: Federico Fubini
Gli aiuti del Fondo monetario
e il no del Professore ad Angela
Roma può ridurre il debito del 3% dall'anno prossimo
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Quando mercoledì alle 12 meno un quarto Mario Monti è arrivato alla Cancelleria di Berlino, probabilmente
sapeva che Angela Merkel veniva da una serata di lavoro il giorno prima. Alle venti di martedì la cancelliera
aveva ricevuto Christine Lagarde, il direttore del Fondo monetario internazionale impegnata in un tour di
capitali europee che non ha incluso Roma.
Lagarde e Merkel ufficialmente hanno parlato del «coinvolgimento dei privati» (cioè delle loro perdite) nel
problema del debito greco. Devono però aver toccato anche altri temi, perché il mattino dopo a Monti la
cancelliera ha dato un consiglio che ha finito per allungare il loro incontro. Merkel ha suggerito al premier
italiano di rivolgersi al Fmi per farsi dare un aiuto. Non è chiaro se abbia parlato di un programma a pieno
titolo, che per l'Italia dovrebbe valere centinaia di miliardi di euro, o di una linea di credito più agile da circa 45
miliardi. È più probabile che alla Cancelleria di Berlino si sia evocata quest'ultima ipotesi.
Quello che è certo, è che Monti ha detto no. L'Italia non ha in programma di rivolgersi all'istituzione
multilaterale di Washington per farsi aiutare. I conti dell'Italia che il premier-ministro dell'Economia non ha
fatto pubblicare, ma conosce bene, indicano che il debito pubblico di Roma può (quasi) stabilizzarsi nel 2012 al
121-122% del Pil e iniziare a calare in fretta dal 2013. La struttura del bilancio ormai è tale che l'Italia dall'anno
prossimo non avrebbe problemi a ridurre il debito di 3% o più all'anno, anche in situazione di crescita zero: i
nuovi impegni europei sarebbero rispettabili in pieno. La precondizione, ovviamente, è che non esplodano i
tassi d'interesse.
Al Fmi invece si pensa che un prestito aiuterebbe Monti a proseguire più o meno nella direzione già scelta, ma
con più credibilità. Visto da Washington, questo scenario probabilmente farebbe scendere i tassi d'interesse e
rassicurerebbe la Germania, che magari a quel punto potrebbe lasciare più spazio anche agli interventi della
Bce. Per l'Italia meglio questo — si pensa al Fmi — che dover chiedere soccorso dopo un fallimento del
tentativo di fare da soli.
La discussione su questi temi fra Merkel e Monti è stata così accesa che alla fine i due leader si sono presentati
davanti ai giornalisti con mezz'ora di ritardo. Ma non è la prima volta che un governo di Roma vive momenti
del genere. Al G20 di Cannes a inizio novembre Lagarde stessa aveva offerto all'Italia una «linea di credito
flessibile» da 44 miliardi, raddoppiabili a 90 dopo un anno. Il direttore (francese) del Fmi in seguito ha smentito
di averlo fatto e in ogni caso il governo, allora guidato da Silvio Berlusconi, declinò l'offerta dopo aver sentito
il Quirinale e la Banca d'Italia.
Evidentemente però la pressione del Fmi e di altre cancellerie europee sull'Italia non è alla fine. In vista del
prossimo G20 a Città del Messico a inizio febbraio, i principali governi lavorano a un aumento delle risorse del
Fondo. Se gli europei metteranno 200 miliardi di euro (come promettono) e mostreranno di rispondere sul serio
alla crisi, gli Stati Uniti e le economie emergenti potrebbero aggiungerne altri 200.
Ma il messaggio recapitato da Merkel a Monti mercoledì a Berlino in realtà è anche politico. Nel
raccomandargli di bussare al Fmi, la cancelliera fa capire che continua a trovare indigesta l'idea degli
Eurobond: preferisce agisca Lagarde da Washington che mettere a rischio il denaro dei contribuenti tedeschi.
Anche il premier italiano aveva però un messaggio fra le righe per Merkel: l'Italia è andata avanti nella
correzione dei conti più di quanto la Germania pensi. Per certi aspetti lo è più della Germania stessa, anche se le
cifre reali del percorso di risanamento non sono state rese note dal Tesoro. Forse per non dover difendere
obiettivi numerici troppo precisi, il ministero dell'Economia è riluttante a pubblicarle.
Ma i numeri ci sono e in buona parte sono incoraggianti. Il deficit del 2011 si fermerà al 3,7%-3,8% del Pil,
meglio del 3,9% previsto, e il debito sarà al 120,5% circa. L'anno prossimo il Tesoro stima un deficit dell'1% e
un debito al 121% o 122%, prima che dal 2013 inizi una discesa di almeno il 3% l'anno. Dopo le quattro
manovre del 2011, le prospettive sembrano sostenibili grazie ai nuovi rapporti di forza fra il surplus di bilancio
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al netto degli interessi passivi e questi stessi oneri legati al debito: lì si gioca in buona parte il ritmo del
risanamento.
L'Italia ha chiuso il 2011 pagando spese per interessi per circa 75 miliardi, il 4,9% del Pil. L'anno prossimo il
Tesoro prevede che la spesa per interessi salirà al 5,8% del Pil se i tassi fino a giugno restano alti com'erano
all'inizio di dicembre. In realtà in queste ultime settimane gli interessi sui Bot e i Btp più a breve termine sono
già scesi molto e il Tesoro si prepara a emettere debito a scadenze più corte proprio per pagare di meno: una
vita media del debito oggi a 7 anni gli consente (per ora) di farlo senza troppi problemi. L'avanzo primario di
bilancio, al netto della spesa per interessi, salirebbe invece dal 4-5% del Pil nel 2012 al 5-6% del Pil nel 2013:
più alto che nella stessa Germania.
Sono tutti numeri che il Tesoro non rende noti. Il loro significato è che quest'anno, in uno scenario di
recessione, il debito potrebbe salire di uno o due punti di Pil. Dall'anno prossimo l'Italia conta di non avere
difficoltà a rispettare i vincoli di riduzione del debito a tappe forzate previsti dal «Fiscal Compact» europeo. Ma
da qua al G20 in Messico a febbraio, ai suoi colleghi Monti dovrà ripeterlo molte volte.
*CORRIERE DELLA SERA*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
di: Sergio Bocconi
Polo Unipol-Fonsai, i Ligresti escono
Fusione a quattro anche con Premafin e Milano Assicurazioni
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MILANO — Per il riassetto Fonsai il negoziato ieri in Unicredit è andato avanti per sei ore fino alle 23, ma
l'accordo ancora non è stato firmato. Lo schema di massima è tuttavia filtrato. Primo passo: Unipol (che ieri in
Borsa ha perso il 4,33%) rileva dai Ligresti le quote detenute in Premafin (circa il 50%, di cui il 20% è in
pegno), quindi lancia l'Opa totalitaria sulla holding che controlla con il 35% Fonsai (che ieri ha guadagnato il
7,20%). Secondo passo: Premafin viene ricapitalizzata e può così partecipare pro quota all'aumento della
compagnia presieduta da Jonella Ligresti. Tappa finale: si procede a una fusione a quattro fra Unipol
assicurazioni (controllata dal gruppo finanziario bolognese), Premafin, Fonsai e Milano (balzata ieri in Piazza
Affari del 6%). Una maxi aggregazione che consente la nascita di un polo assicurativo che fa capo al gruppo
Unipol, a sua volta controllato attraverso Finsoe dalla Lega delle cooperative. I Ligresti escono invece di scena.
Per le cifre e i tempi bisognerà aspettare le comunicazioni ufficiali. Ieri in Unicredit per la giornata «decisiva»
c'erano praticamente i vertici di tutti i soggetti coinvolti nel riassetto. Al tavolo con i vertici di Piazza Cordusio,
l'amministratore delegato Federico Ghizzoni e Vittorio Ogliengo, responsabile corporate, c'erano Salvatore
Ligresti, i figli Jonella (presidente di Fonsai), Giulia (Premafin), e Paolo, l'amministratore delegato di Fondiaria
Sai Emanuele Erbetta, Alberto Nagel e Renato Pagliaro, rispettivamente amministratore delegato e presidente
di Mediobanca, Gerardo Braggiotti, numero uno di banca Leonardo, advisor di Premafin, il consulente legale
Giuseppe Lombardi.
Verso metà pomeriggio sembrava che la firma finale potesse arrivare entro poche ore. Poi però Paolo Ligresti,
entrando in Unicredit, ha raffreddato le aspettative dicendo ai cronisti che ancora non si era arrivati a una
decisione: «Dovete avere ancora un po' di pazienza, stasera o domani». Il negoziato è evidentemente su tutti i
piani del gruppo, quindi anche sulla parte non quotata Sinergia, la galassia familiare dei Ligresti che possiede
immobili e terreni, il 20% di Premafin in pegno, ed è indebitata per 300 milioni. Tanto è vero che nel corso
della giornata in Unicredit è entrato anche Manfredi Catella, numero uno di Hines Italia, nei giorni scorsi
indicata come possibile gestore di una newco probabilmente controllata dalle banche in cui sarebbero confluiti
gli immobili con un'operazione di conversione crediti. In Piazza Cordusio hanno anche «fatto visita» Salvatore
Mancuso, patron del fondo Equinox e Ignazio La Russa, il cui figlio Geronimo è nel board di Premafin. Poco
prima delle 23 esce Salvatore Ligresti. Poco dopo la riunione è finita. Nessun commento. Né comunicato, atteso
forse per questa mattina in apertura dei mercati.
*CORRIERE DELLA SERA*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
di: Paola Pica
Caccia ai diritti Unicredit
Balzo del 47,4% Consob chiama i soci
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MILANO — Un mistero al giorno per Unicredit, giunta quasi alla fine della prima settimana di aumento di
capitale in un tripudio di scambi. Nella sola giornata di ieri è passato di mano il 14% del capitale ordinario. Un
record che aggiorna precedenti: il 12% scambiato mercoledì e circa il 6% martedì, primo giorno di rimbalzo dei
prezzi dopo la nerissima serie che aveva preceduto l'avvio della più grande ricapitalizzazione bancaria di Piazza
Affari.
Che l' operazione sia destinata a cambiare l'assetto della più europea delle banche continentali lo conferma la
caccia grossa ai diritti d'opzione balzati ieri di un altro 47,41% (1,71 euro) dopo l'80% guadagnato la vigilia.
Ma la rincorsa dei prezzi adesso (+13,53% a 2,9 euro ieri), come il tracollo del 40% prima, restano in cerca
d'autore.
L'ultimo mistero in ordine di tempo è quello delle manovre in corso dal Kazakistan: il fondo sovrano SamrukKazyna, titolava ieri Il Giornale, avrebbe già amichevolmente rastrellato il 5% e chiesto la relativa
autorizzazione alla Banca d'Italia.
Il titolo ha preso nuovo slancio in mattinata e non lo ha perso nemmeno quando è arrivata la mezza smentita sul
sito dello stesso National Welfare Fund Samruk-Kazyna della Repubblica presidenziale dove nel 2007
Unicredit acquistò Atfbank: «Alcuni media riportano false informazioni riguardo l'acquisizione di una quota
pari al 5% di Unicredit. Questa informazione non corrisponde ai fatti». La dichiarazione lascia ampio margine
all'interpretazione: il fondo ha comprato meno del 5%? Sono massimo cinque i giorni di Borsa aperta a
disposizione dell'investitore per informare la Consob. La quale, comunque, ha subito aperto un nuovo fascicolo:
il caso Kazakistan.
Il dossier si aggiunge a quello della vicenda ancor più enigmatica del colosso dei fondi Usa Blackrock che alla
vigilia dell'aumento aveva annunciato un avvenuto dimezzamento all'1,7% della partecipazione nella banca.
Dieci giorni dopo, mercoledì 11, la rettifica: ci siamo sbagliati, siamo ancora azionisti al 3%, errore dovuto a
una «corporate action». Di cosa si tratti non si sa, difficilmente però Blackrock se la caverà con sette righe di
comunicato.
Risposte articolate ai quesiti conoscitivi della Consob sono attese in queste ore anche dalle Fondazioni socie e
da Allianz, i soci strategici, raggiunti nei giorni scorsi dalla richiesta di informazioni.
*CORRIERE DELLA SERA*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
di: Federico De Rosa
Class action su Bpm
«Bond, 20 mila euro
sono diventati 2 mila»
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MILANO — Arriva la class action contro il convertendo Bpm. La prossima settimana i legali di
Federconsumatori depositeranno l'atto di citazione al Tribunale di Milano dando così il via a una procedura che
riguarda oltre 15 mila risparmiatori. Tutti clienti della Bpm a cui nel 2009 era stato venduto il Bond
Convertendo 2009/2013. Non una normale obbligazione ma un derivato, non negoziato in Borsa, piazzato dalla
banca a massaie, pensionati, impiegati, allettati da una cedola del 6,75% lorda (tassata al 27% come i titoli
atipici). A fine dicembre è stata decisa la conversione anticipata del prestito e chi l'aveva comprato ha scoperto
di aver perso quasi il 90% di quanto investito.
Federconsumatori ha raccolto già oltre 400 adesioni per la class action. E' necessario però che il giudice ne
dichiari l'ammissibilità e all'associazione fanno capire che le cose sono state preparate con grande attenzione
proprio per evitare uno stop che pregiudicherebbe la richiesta di danni collettiva a Piazza Meda. Il 29 dicembre
il bond è stato convertito in anticipo rispetto alla scadenza e quindi per recuperare qualcosa la class action è
l'unica soluzione.
Gran parte dei sottoscrittori li aveva comprati fidandosi della banca. C'è chi addirittura è stato convinto a
vendere Btp per comprare il convertendo, come ha raccontato un cliente di Bpm. Il quale a luglio del 2009 era
stato chiamato urgentemente in banca da un responsabile per «un'occasione unica». «Un bond convertibile, mi
avevano spiegato, a capitale garantito con rendimento del 6,75%» racconta il cliente, chiedendo di restare
anonimo. Tra i vari documenti firmati per l'acquisto del convertendo, spiega, ha scoperto che c'era anche un
modulo Mifid (in cui i clienti dichiarano il livello di rischio che vogliono assumere negli investimenti) e si è
così ritrovato inconsapevolmente a essere non più un investitore con profilo di rischio «moderato» ma «audacedeciso». Prima ha comprato 10.000 euro di bond poi a fine agosto altri 10.000 vendendo Btp per reperire i
capitali. Il 29 dicembre è arrivato il conto: i 20.000 euro di investimento si sono trasformati in azioni Bpm con
un controvalore di 2.214 euro.
Sulla vicenda la Procura di Milano ha avviato un'indagine volta ad accertare se agendo in conflitto di interessi
Bpm abbia arrecato danni ai suoi clienti. Cosa che la Consob ha già stabilito sanzionando l'attuale direttore
generale della Bpm, Enzo Chiesa, e il suo predecessore Fiorenzo Dalu, con 175 mila euro ciascuno per non aver
agito «con diligenza, correttezza e trasparenza nell'interesse dei clienti».
*CORRIERE DELLA SERA*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
di: Fabrizio Massaro
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Mps si affida alla cura
Viola Il sindaco: Mussari a fine corsa
Il consiglio nomina il nuovo direttore generale
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MILANO — Un'agenda fitta di appuntamenti e scadenze, quella di Fabrizio Viola, da ieri insediato dal
consiglio di amministrazione di Mps come direttore generale. Un arrivo salutato da un sonoro +8,8% a 0,2322
euro in Borsa, ma anche dal primo presidio dei sindacati sotto Rocca Salimbeni dopo 15 anni, preoccupati da
possibili nuovi ridimensionamenti di personale. Ma l'arrivo di Viola, che prende il posto di Antonio Vigni
(ringraziato ieri dal board per i sei anni alla guida della banca e già passato in Fondazione come consulente per
la ristrutturazione degli oltre 800 milioni di debito), è solo uno dei passaggi cruciali che attendono la banca.
Fondamentale sarà il rinnovo alla presidenza: in un incontro con i sindacati dopo il presidio il sindaco della
città, Franco Ceccuzzi, che nomina la maggioranza degli amministratori della Fondazione Mps (azionista al
50%), ha confermato che Giuseppe Mussari lascerà alla scadenza. Secondo i criteri individuati da Ceccuzzi, il
nuovo presidente dovrà essere della «massima professionalità possibile», insomma un economista o un
banchiere. E per la ricerca si sta guardando fuori dallo stretto perimetro senese. Sarebbero così non senesi i due
uomini forti dell'istituto, visto che Viola, romano di nascita, è un banchiere milanese formatosi alla Bocconi.
È di Viola comunque la scadenza più imminente: entro il 20 gennaio dovrà presentare alla Banca d'Italia il
piano industriale e finanziario per far fronte alle richieste dell'Eba di rinforzare il patrimonio per 3,2 miliardi. Il
mandato affidatogli è di evitare l'aumento di capitale, che per la Fondazione Mps sarebbe catastrofico in termini
di diluizione. Viola dovrebbe puntare innanzitutto sul computo come capitale dei due contratti «fresh» da 1,2
miliardi; sul recupero di circa 800 milioni dall'applicazione dei modelli avanzati sugli accantonamenti; circa
500 milioni dagli immobili non strumentali; il resto dagli asset della banca, come la società di credito al
consumo Consum.it, eventualmente Biverbanca, e dalla valorizzazione di realtà interne alla banca, come il polo
informatico, eventualmente da aprire a servizi verso terzi. Alla chiusura del bilancio poi il top manager si
troverà ad affrontare la questione dell'impairment test. Mps ha in bilancio attivi immateriali per circa 7 miliardi
per le acquisizioni di Antonveneta e Biverbanca. Viste le peggiorate condizioni di mercato, a marzo il test
potrebbe dare risultati negativi e dunque richiedere anche maxi svalutazioni, che farebbero chiudere la banca in
forte perdita. È un tema sul tavolo di tutti gli istituti, tanto che a livello Abi si sta elaborando una metodologia
comune sugli impairment, ferma restando l'autonomia dei consigli. A Siena comunque, indipendentemente
dalle eventuali svalutazioni, viene dato per scontato che — anche a causa delle richieste Eba — dall'esercizio
2011 non arriverà alcun dividendo a favore dei soci. Anche per questo mancato afflusso la Fondazione, che
entro metà febbraio dovrà presentare alle banche un piano di rientro a medio termine, sta pensando di cedere
azioni Mps, restando comunque con il 33%. A comprare sarebbero soggetti finanziari italiani.
*CORRIERE DELLA SERA*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
di: Antonia Jacchia
Prelievi e depositi,
allo sportello niente tetto
di mille euro al contante
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Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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MILANO — Guerra ai contanti: il limite dei 1.000 euro deciso dal governo tra le misure «antiriciclaggio» si
applica solo ai pagamenti. Allo sportello il cliente non deve temere nulla, può fare prelievi e anche versamenti
superiori alla fatidica soglia senza dover nemmeno provare imbarazzo sentendosi chiedere: a cosa le servono?
Già a novembre c'era stata una circolare del ministero dell'Economia e delle Finanze dove la direzione del
Tesoro aveva fissato i confini di applicazione del limite al contante. Ma di fronte ai continui cambiamenti di
regole (in fondo la soglia del contante era già stata abbassata con la manovra estiva da 5.000 ai 2.500) forse la
circolare era caduta nel vuoto tanto che alcuni bancari, più intransigenti, storcevano il naso con tanto di sospetti
e terzo grado al cliente che chiedeva di prelevare cifre superiori ai 1.000 euro. A sgombrare il campo da ogni
dubbio ci ha pensato l'Abi che ieri ha inviato una circolare a tutti i suoi associati dove chiarisce che «tale
disposizione» (e cioè la legge 201/2011) vieta «il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito» pari
o superiore ai 1.000 euro (incoraggiando ai fini della tracciabilità l'utilizzo di «moneta elettronica»). Ma che il
«limite di importo sopra indicato» non può «trovare applicazione ad operazioni di versamento e di prelievo in
contanti su conti correnti e libretti di deposito». Sollevando lo sportellista anche dall'obbligo di effettuare la
comunicazione al ministero.
«Tale comunicazione è obbligatoria solo qualora concreti elementi inducano a ritenere violata la disposizione
normativa». E allora il funzionario di banca si dovrà mettere il cappello dell'ispettore del fisco.
*la Repubblica*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
DAL NOSTRO INVIATO ELENA POLIDORI
La Bce
Draghi promuove l’Italia
“Sforzi apprezzati dai mercati
si acceleri sul fondo salva-Stati”
Fmi: passi importanti. Monti: subito il patto Ue, poi la crescita
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Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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FRANCOFORTE - «I mercati dovrebbero apprezzare i progressi compiuti negli ultimi mesi da alcuni Paesi»,
risponde Mario Draghi a chi gli chiede un giudizio sui "compiti a casa" fatti dall´Italia. Un impegno al rigore
«straordinario» cui dovrebbero seguire adesso anche le liberalizzazioni: «Le riforme strutturali sono cruciali
per rilanciare crescita e occupazione». Sono questi gli unici accenni ai sacrifici imposti dal governo Monti fatti
dal presidente della Bce, al termine della riunione del board che, all´unanimità, lascia invariati all´1% i tassi di
interesse. Gli economisti si aspettano un ulteriore ribasso a febbraio. E lui replica: «Siamo sempre pronti ad
agire». Lodi alle misure di austerity italiane vengono anche dall´Fmi che dai tempi di Berlusconi sta
monitorando il Paese: una missione ad hoc di questi esperti dovrebbe iniziare a fine gennaio. Ma «passi
importanti per ricostruire la fiducia, alimentare la crescita e rimettere il debito sulla giusta traiettoria», sono già
stati compiuti, secondo l´organismo internazionale.
Nel suo primo incontro con la stampa del 2012, Draghi appare davvero più «rilassato», come sostiene il
premier, specie ora che c´è l´intesa sul trattato fiscale (fiscal compact) tra Monti, Merkel e Sarkozy. Il
banchiere chiede che sia firmata entro il mese e che non ci siano «ambiguità» sulle regole. Identico
l´atteggiamento del presidente del Consiglio: «Non vedo l´ora che sia attuato per rafforzare la credibilità della
disciplina di bilancio». Ma è importante «che si passi oltre», e che «si investa più energia politica sulla
crescita». Guai a farlo traendo risorse dal disavanzo: «Solo i nostalgici» possono pensare che questa sia la
via.
Dal suo osservatorio Draghi vede le prospettive dell´economia ancora «esposte a rischi», pur notando
«segnali di stabilizzazione». I numeri e le proiezioni gli dicono che alcune zone di Eurolandia sembrano
destinate «ad entrare in recessione» mentre altre sembrerebbero capaci di superare la crisi «senza
contrazione economica». Una ripresa ci sarà quest´anno, ma «molto graduale»: «E´ un momento di grande
incertezza e siamo tutti chiamati alla massima sorveglianza rimanendo pronti ad adottare tutte le misure
necessarie». Perciò, oltre al fiscal compact ci vuole anche un rapido rafforzamento del fondo salva-Stati. Per
tutti serve meno rigità sul mercato del lavoro; i salari e le pressioni sui prezzi devono restare «modeste».
Draghi parla anche del ruolo delle banche e dell´Eba, l´Autorità che le controlla. Rivela anzitutto che gli istituti
che depositano all´Eurotower la liquidità fornita dalla Bce non sono gli stessi che hanno richiesto i fondi.
Assicura che le sue aste hanno comunque avuto effetti benefici perché «hanno prevenuto una contrazione del
credito che sarebbe stata molto, molto seria». Quindi critica l´Eba perché il suo esercizio sul capitale delle
banche, ancorchè «giusto», è stato deciso in «un momento diverso dall´attuale» e sulla base di condizioni che
non si sono verificate: dava per scontato che il capitale pubblico sarebbe stato presente, e non è successo; ci
si aspettava l´operatività del fondo salva-Stati, ancora non attivo. Così il suo intervento si è rivelato più
dannoso che altro: «Prociclico», secondo la sua definizione. Il presidente della Bce si dice poi «molto
preoccupato» per l´Ungheria perché la nuova legislazione limita i poteri della banca centrale locale. Definisce
«unico ed eccezionale» il caso Grecia, per il quale l´Fmi chiede un aumento degli aiuti di «decine di miliardi».
*la Repubblica*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
di: GIOVANNI PONS
Gli istituti, in polemica, mettono in atto una specie di sciopero bianco non comprando titoli
pubblici sul secondario
“Inopportuni quei vincoli patrimoniali”
così SuperMario difende le banche
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Rassegna Stampa del giorno 13 Gennaio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
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MILANO - Il braccio di ferro tra le banche italiane e l´Eba continua e nel mezzo ci stanno i titoli di Stato italiani
e il futuro dell´economia, imprese e famiglie. Un braccio di ferro che va avanti almeno dallo scorso novembre
quando l´autorità europea delle banche ha deciso - in base agli stress test sui dati di bilancio al settembre
2011 - di imporre 112 miliardi di rafforzamento patrimoniale. Il metodo di calcolo ha subito creato malumori tra
i banchieri italiani: venivano calcolate infatti le potenziali minusvalenze sui titoli di stato italiani presenti nei
portafogli a lungo termine delle banche, e al contrario gli istituti francesi e tedeschi potevano contare sulle
plusvalenze sui titoli di stato dei loro paesi. Ma finora a nulla erano servite le contestazioni ufficiali dell´Abi nei
confronti delle autorità europee, anche se nei fatti le banche italiane stanno attuando una sorta di sciopero
bianco, non impiegando la liquidità ottenuta a tassi bassissimi dalla Bce nell´acquisto di titoli di stato sul
mercato secondario. E infatti lo spread nelle ultime settimane è rimasto inchiodato sopra i 500 punti, quasi a
voler segnalare una forma di pressione della lobby dei banchieri nei confronti del governo, chiamato nelle
prossime riunioni del Consiglio europeo a dire la sua su questo meccanismo perverso.
Un primo schiarimento a questa intricata vicenda è però arrivato ieri con le parole pronunciate da Mario
Draghi. Il governatore ha riconosciuto che l´esercizio dell´Eba è corretto nella sostanza ma in qualche modo
sbagliato nella tempistica. La sua applicazione, infatti, doveva arrivare una volta che il fondo salva-stati fosse
già pienamente operativo, ma così ancora non è. Dunque le banche, come per esempio Unicredit, si sono
trovate a dover affrontare ricapitalizzazioni molto difficili sul mercato in assenza di un paracadute "pubblico"
come il fondo salva-stati. Di qui la richiesta dell´Abi di rimandare l´applicazione delle regole Eba a quando il
fondo troverà la sua applicazione, presumibilmente durante l´estate. Una richiesta che sembra in qualche
modo essere sostenuta da Draghi quando dice che «l´esercizio dell´Eba, pur giusto, si è rivelato prociclico e
credo che in futuro verrà ripetuto sulla base di premesse diverse». La speranza dei banchieri, a questo punto,
è che sulla scorta delle considerazioni del governatore della Bce vi possa essere un intervento politico
sull´argomento Eba a livello di Consiglio Europeo in programma per la fine del mese.
Intanto, però, si naviga a vista. Nelle aste di ieri, che hanno riguardato Bot a sei mesi e un anno, cioè a breve
termine, la domanda da parte delle banche è stata elevata ma soprattutto per ottemperare il forte flusso di
richieste della clientela retail. Oggi è in programma un´asta di Btp a tre anni e anche in questo caso non
dovrebbero esserci problemi, in quanto le banche andranno a impiegare la liquidità presa in prestito dalla Bce
con la stessa scadenza di rimborso. E dunque i rendimenti dovrebbero scendere ulteriormente. Ma quando
arriveranno le emissioni più a lungo termine, i Btp a 10 o 15 anni, l´adesione del mercato sarà tutta da
verificare. Mentre già il 20 gennaio gli istituti italiani dovranno mettere nero su bianco le modalità con cui
reperire quei 15 miliardi di maggior capitale richiesto dall´Eba. E c´è da scommettere che sia Mps, che Banco
Popolare che Ubi non annunceranno alcun nuovo aumento di capitale in attesa di qualche svolta a livello
europeo.
*la Repubblica*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
di: VITTORIA PULEDDA
Il Dossier. L’emergenza debito
Crollano i rendimenti dei Bot
giù lo spread,
la Borsa festeggia
oggi la prova più difficile con i Btp
Il risultato positivo dell´asta si è rapidamente propagato sul mercato secondario
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Rassegna Stampa del giorno 13 Gennaio 2012
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Più che dimezzati i tassi dei Buoni annuali: 2,7 per cento. Ancora più in basso i semestrali. L´Italia comincia a
incassare il dividendo della fiducia. I mercati si aspettano scadenze più brevi alle prossime aste. Questa
mattina la prova del nove con i titoli triennali
Continua a farsi sentire il benefico effetto della maxi-iniezione di liquidità della Bce
MILANO - L´Italia comincia ad incassare il dividendo della fiducia, innescata dal governo di Mario Monti e dalla
liquidità della Bce. Piazza Affari ha chiuso con un rialzo del 2,09%, ma il miglioramento più netto è stato sui
titoli di Stato. Dopo il buon risultato dell´altra asta Bot, ieri il Tesoro ha fatto il bis, collocando 8,5 miliardi di
Buoni ad un anno al rendimento lordo del 2,735%, più che dimezzato rispetto al 5,95% dell´asta di metà
dicembre. Complessivamente sono stati venduti 12 miliardi di Bot: altri 3,5 miliardi infatti sono titoli con vita
residua di 136 giorni, che hanno registrato rendimento lordo dell´1,644%. Insomma, il Tesoro fa il bis dell´asta
di fine anno, quando i rendimenti sui Bot a sei mesi erano scesi dal 6,5% a 3,251%. Molto bene anche l´asta
dei titoli spagnoli: sono stati collocati quasi 10 miliardi di titoli contro i 5 dell´obiettivo, con scadenze a tre e
quattro anni e tassi compresi tra i 3,921% e il 3,38% in forte calo su tutte le scadenze.
EFFETTO BCE
Continua insomma a farsi sentire l´effetto benefico della maxi-iniezione di liquidità della Bce, che il 21
dicembre scorso ha inondato il mercato con quasi 500 miliardi di euro, facendoli pagare alle banche solo l´1%
e soprattutto garantendo il finanziamento (tecnicamente è un´asta di pronti contro termine) per tre anni. A fine
febbraio è già in calendario un´altra asta Bce a tre anni. Il meccanismo è chiaro: le banche, che continuano ad
avere un atteggiamento guardingo nei confronti delle altre banche (come si vede dai depositi alle stelle presso
la Bce, nonostante siano remunerati pochissimo) al momento opportuno corrono a sottoscrivere le aste dei
titoli pubblici.
SPREAD&RENDIMENTI
Ieri è stata una giornata trionfale per i titoli di stato del nostro paese. I benefici dell´asta Bot si sono
rapidamente propagati al mercato secondario dei titoli di Stato, che hanno visto scendere i rendimenti al
6,58% sul Btp decennale (uno dei migliori risultati in un solo giorno) mentre i Btp a cinque anni sono andati al
5,66. Spettacolare il miglioramento sui Btp a due anni, che a fine novembre rendevano il 7,5% e ieri erano
scesi a 4,119%. Altrettanto forte il miglioramento dello spread, la differenza di rendimento tra i titoli italiani e
quelli tedeschi. Il differenziale a 10 anni è sceso a 475 punti (il giorno prima era 517) mentre a due anni la
distanza con i Bund tedeschi è sceso sotto quota 400 (395 per l´esattezza).
LA PROVA DEL NOVE
Il vero test viene considerata l´asta di oggi, quella sui Btp. Verranno proposti titoli a tre anni - per 2-3 miliardi, e
poi vecchi Btp con scadenza luglio 2014 e agosto 2018, per un importo tra 1 e 1,75 miliardi. Poi a fine mese ci
sarà il bis: il 27 gennaio con i Bot a sei mesi, i Ctz a 24 mesi e i Btp indicizzati all´inflazione, per concludere il
30 gennaio con altri Btp. Il 25 e il 25 gennaio verranno annunciati quantitativi e scadenze dei titoli: i mercati si
aspettano scadenze più a breve periodo, per sfruttare al meglio - dal punto di vista del Tesoro - il calo dei tassi
in questa parte della curva.
*la Repubblica*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
di: VITTORIA PULEDDA
Unipol-Fonsai,
vicino l’accordo con i Ligresti
Ghizzoni e Nagel disposti a finanziare l´Opa su Premafin, tre aumenti di capitale e fusione
Trattative serrate per definire anche la ristrutturazione delle società Imco e Sinergia
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MILANO - Trattative a oltranza per il gruppo Ligresti e Unipol. Salvatore e i tre figli, nonché il numero uno di
Unicredit Federico Ghizzoni, e quello di Mediobanca Alberto Nagel, oltre ovviamente alle prime linee delle
rispettive società e al consulente della famiglia, Gerardo Braggiotti, hanno trattato fino a notte nella sede di
Piazza Cordusio. Ma poi alla fine non si è arrivati alla parola fine: a quanto risulta, gli ultimi ostacoli pare siano
legati alla parte alta della catena, quella di Sinergia-Imco.
Lo schema dell´operazione, grosso modo, sarebbe però stato messo a punto. E prevede che il gruppo
assicurativo lanci un´Opa totalitaria su Premafin, paghi il debito alle banche (circa 330 milioni) ed estrometta la
famiglia Ligresti (che incasserebbe grosso modo una cinquantina di milioni, probabilmente da girare pari pari
alle banche, per i debiti al piano di sopra della catena). A quel punto la Premafin controllata al 100% da Unipol
finanziaria varerebbe un aumento di capitale, sufficiente a farle seguire l´aumento che a sua volta deve
realizzare Fonsai (fino ad un massimo di 750 milioni, già deliberato). Contemporaneamente Unipol lancerebbe
a sua volta un aumento di capitale ed è probabile che a questo punto il suo principale azionista Finsoe riceva
appoggio finanziario da quelle stesse banche che sono rientrate dal debito verso Premafin, dunque
Mediobanca e Unicredit. L´aumento di Unipol dovrebbe servire a seguire l´aumento di Premafin e a
ricapitalizzare a sua volta Unipol assicurazioni. Sarebbe questa infatti che - una volta concluso il primo giro parteciperebbe alla fusione a quattro tra Premafin, Fonsai, Unipol assicurazioni e Milano assicurazioni.
Lo schema tuttavia non è scevro di difficoltà e punti controversi. A partire dal fatto che rimborsando le banche
creditrici (ma entro certi limiti anche solo accollandosi il debito) Unipol indirettamente dà un valore a Premafin
pari al debito più il prezzo d´Opa. Ponendo che l´Opa venga lanciata alla capitalizzazione di mercato, ora a
120 milioni, più i 330 di debito significa valorizzare a 3,5 euro le azioni Fonsai controllate da Premafin
(praticamente suo unico asset insieme ai debiti). Si pone dunque un problema di esenzione dall´Opa a
cascata su Fonsai e forse Milano assicurazioni: è vero che Fonsai ha un solvency margin intorno a 90%,
quindi da ripristinare senza indugio per fini di stabilità, ma è anche vero che riconoscendo un valore ai Ligresti
è difficile sostenere che gli azionisti di minoranza Fonsai devono restare a bocca asciutta. Altre difficoltà
potrebbero nascere in capo all´Antitrust, perché il gruppo Fonsai più Unipol avrebbe il 37% dei danni auto e il
32% dei danni in generale.
Di sicuro però il progetto di fusione ha un profilo industriale importante - anche se probabilmente fragile dal
punto di vista finanziario, tanto che anche su Unipol assicurazioni si prevede un aumento di capitale - e
soprattutto è stato molto sponsorizzato da Mediobanca, grande creditrice di entrambi i gruppi, e in parte da
Unicredit.
*la Repubblica*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
dal nostro corrispondente ANDREA TARQUINI
Dalla compagnia assicurativa 750 milioni per evitare un secondo salvataggio pubblico
Allianz soccorre Commerzbank
pronta a salire al 15% della banca
Corsa contro il tempo per una ricapitalizzazione da 5,3 miliardi richiesta dall´Eba
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BERLINO - Spunta una soluzione della salvezza per Commerzbank, il secondo istituto tedesco, alle prese con
i conti in rosso e con l´esigenza (insieme a trenta altre banche europee) di procedere a una dura
ricapitalizzazione. Allianz, il colosso assicurativo globale con sede a Monaco, sarebbe disposta a convertire in
partecipazione azionaria la sua quota di capitale ibrido, che era rimasta in Commerzbank stessa quando
questa aveva rilevato Dresdner Bank. Si parla di una somma di 750 milioni di euro, che ridurrebbero in modo
non irrilevante la falla nell´autofinanziamento di Commerzbank. E le eviterebbero un nuovo ricorso allo Stato.
Se l´accordo si concretizzerà, Allianz arriverà a controllare il 15% di Commerzbank e divenendo il secondo
azionista, dopo lo Stato al 25%.
La notizia è stata data ieri mattina dal quotidiano economico Handelsblatt, che ha citato ambienti ben informati
del mondo della finanza tedesca. I due gruppi non hanno voluto al momento né confermare né smentire la
notizia, ma gli osservatori a Francoforte fanno notare che se il piano andrà in porto, per Commerzbank sarà un
grosso passo avanti. E soprattutto, l´istituto, guidato da Martin Blessing, si risparmierebbe l´imbarazzo di
chiedere per una seconda volta l´aiuto pubblico. Tanto più che il governo tedesco l´altro ieri, per bocca del
portavoce della cancelliera Merkel, Steffen Seibert, ha escluso in linea generale che Berlino lanci pacchetti di
aiuti straordinari in sostegno all´economia o al sistema creditizio.
«La Banca - dice una fonte bene informata sempre citata da Handelsblatt - è fiduciosa di poter riuscire a
conseguire l´accordo in tempo». Ma i negoziati riservati probabilmente dureranno fino all´ultimo minuto. In ogni
caso la notizia ha causato un apprezzamento del 5% del titolo Commerzbank, salito a quasi 1,30 euro, mentre
l´azione Allianz ha guadagnato l´1,3%. Per Blessing, il tempo stringe. Egli da un lato ha fretta di rimborsare i
cospicui aiuti pubblici ricevuti nel 2008, dall´altro le nuove esigenze di ricapitalizzazione poste dall´autorità
bancaria europea Eba e che vanno garantite dagli istituti entro il 20 gennaio significano che circa 30 banche
europee, e Commerzbank è tra queste (a causa di investimenti speculativi anche in titoli sovrani deboli) hanno
bisogno per ricapitalizzare di un totale di oltre 115 miliardi di euro. Allianz si sarebbe decisa a muoversi per
stabilizzare il sistema creditizio tedesco ed europeo, ma Oliver Baete, membro del vertice del gruppo
assicurativo ha posto la condizione della garanzia che Allianz stessa non rischi danni finanziari. Tra intervento
di Allianz, riduzione dei rischi in bilancio per 2,7 miliardi, 700 milioni di buy back e 200 milioni ricavabili con la
vendita della sede di Dresdner, Commerzbank raggiungerebbe o quasi l´obiettivo della ricapitalizzazione
richiesta di 5,3 miliardi.
*la Repubblica*
VENERDÌ, 13 GENNAIO 2012
di: ANDREA GRECO
Unicredit, il mercato
scommette su nuovi soci
Ma il fondo sovrano kazako smentisce il possesso del 5%. Il titolo su del 13,5%
Diritti dell’aumento in volo: +47%. L´ad e il Cfo Natale incontrano gli investitori
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MILANO - Terzo giorno di rimbalzo violento per Unicredit, che colma parte delle perdite dall´annuncio del
prezzo della ricapitalizzazione da 7,5 miliardi. L´azione, in un vortice di scambi che ha riguardato il 14% del
capitale, ha recuperato fin dall´avvio chiudendo a 2,9 euro, +13,53%. I diritti a sottoscrivere sono saliti a 1,71
euro (+47,41%), e a questi valori risulta azzerato il differenziale tra titolo quotato e costo delle nuove azioni.
Dopo il fuggi fuggi visto settimana scorsa sulle azioni, e da lunedì anche sui diritti, da tre sedute è tutto un
rimbalzo, che ieri ha sfruttato le voci di stampa sull´ingresso del fondo sovrano del Kazakistan con una quota
vicina al 5%. Gli acquisti non si sono fermati neanche con la nota di Samruk Kazyna, il serbatoio miliardario in
petrodollari del paese caspico retto dal tiranno Nursultan Nazarbaev: «L´informazione non corrisponde alla
realtà. Non sappiamo come sia emersa e la smentiamo». Anche a Piazza Cordusio, senza commenti formali,
si tende a diffidare della pista kazaka, come di altre nuove posizioni rilevanti. «Non abbiamo contezza di
movimenti di fondi sovrani sul titolo – ha detto Paolo Fiorentino, chief operating officer di Unicredit, che ha
anche detto «non è vero» alle voci di stampa su nuovi investimenti dalla Germania. Può darsi che, ieri, una
mano al titolo l´abbia data il buon esito delle aste del Tesoro sui Bot, come anche l´attività di "marketing" del
management Unicredit, con due incontri a gruppi di investitori – l´ad Federico Ghizzoni a Milano, il direttore
finanziario Marina Natale a Londra – per una serie di domande e risposte sull´operazione in corso e sulle
prospettive del gruppo.
Tuttavia – e su questo la Borsa ha buon gioco a scommettere – non si può escludere che qualche azionista
straniero e danaroso punti un cip per contare nel futuro prossimo della banca italiana meglio piazzata sullo
scacchiere paneuropeo. A valori di mercato vicini a un terzo del patrimonio tangibile (la rivale Intesa Sanpaolo
è sopra il 50%, per non dire delle rivali europee) la possibilità di fare un grosso affare è cospicuo. E la
tentazione – temuta nelle stanze dei banchieri, d´affari e non – potrebbe venire sia a fondi sovrani emergenti
sia agli istituti commerciali più forti e capaci: per esempio Santander, Bbva, Hsbc, Bnp Paribas.
In Kazakistan, tra l´altro, Unicredit è padrona di Atf Bank, una delle ultime acquisizioni della gestione di
Alessandro Profumo, che a metà 2007 sborsò oltre 1,6 miliardi per 110 sportelli in loco. Per via della doppia
crisi, quell´investimento è stato totalmente azzerato nei conti di Unicredit, e il nuovo management si è detto
intenzionato a lasciare il paese. Ma i piani potrebbero cambiare, se un sostegno del fondo sovrano kazako
(magari per quote inferiori al 5%) si palesasse. Mentre aleggiano le ipotesi su azionisti stranieri e nuovi, ieri è
giunta l´adesione all´aumento di un´altra Fondazione italiana: la Caritrieste, che detiene uno 0,33% della
banca e ha deciso di seguire integralmente l´operazione, che le costerà 26 milioni.
La Fiba-Cisl
Vi augura di trascorrere
una giornata serena
A
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lunedì 16 Gennaio
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ppeerr uunnaa nnuuoovvaa
rraasssseeggnnaa ssttaam
mppaa!!