martedì 21 febbraio 2012

Transcript

martedì 21 febbraio 2012
Federazione ittaalliiaannaa bancari e assicuurativi
via Modena, 5 – 00184 Roma – tel. 06-4746351 / fax 06-4746136
e-mail: [email protected]
sito web: www.fiba.it
Aderente alla UNI (Union Network International), alla CES (Confederazione Europea dei Sindacati) e alla CISL Internazionale
RASSEGNA STAMPA
MARTEDÌ

21 FEBBRAIO 2012
U
Unn aaffooriissm
maa aall ggiioorrnnoo............................................................................................................................. 22
 Grecia, l’Unione cerca il salvataggio in extremis .............................................. 4
 il Conto dell’Europa a 240 miliardi ................................................................. 5
 Monti e Cameron: ora crescita e mercati aperti
La missiva alla Ue per lo sviluppo ................................................................ 6
 Fonsai, Unipol attacca Un esposto alla Consob ................................................ 7
 Unicredit pesa sui conti della Crt Palenzona: non corro per il vertice ............ 8
 Mps, Siena accelera Equinox e Clessidra alleati per il 15% .............................. 9
 Nuove svalutazioni, in bilico la cedola Intesa .................................................. 10
 Grecia, negoziati nella notte Atene chiede di più ai privati ............................. 11
 Export e investimenti dall’estero così l’“egoismo” tedesco
pagina
Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
1
ha frenato la crescita degli altri .................................................................. 12
 Se il deficit non è un peccato la rivoluzione copernicana
dei nuovi economisti Usa ............................................................................. 13
 È scontro per la superutility del Nord .............................................................. 15
 Riassetto Fonsai, vola la Milano Unipol chiede l’esenzione Opa ...................... 16
Presidenza Unicredit Palenzona non è in corsa ............................................ 17
UN AFORISMA AL GIORNO
a cura di “eater communications”
“Il vero dandy deve aspirare
a essere subl ime, senza interruzione.
Deve vivere e dormire
dava nti a uno specchio!!
”
pagina
Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
2
((C
Ch
haarrlleess B
Baau
uddeellaaiirree))
*il Sole 24ORE*
MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012
di:
per motivi tecnici del sito
oggi non è stato possibile pubblicare
pagina
Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
3
gli articoli relativi al “SOLE24ORE”
*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012
DAL NOSTRO INVIATO Ivo Caizzi
Grecia, l’Unione cerca
il salvataggio in extremis
La mediazione italiana all'Eurogruppo. Papademos: più sacrifici per le banche
pagina
Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
4
BRUXELLES — La Grecia sta facendo di tutto per convincere i Paesi più rigoristi dell'eurozona sulla sua
capacità di restituire i 130 miliardi di euro di prestiti di salvataggio, che deve ottenere prima della scadenza di
una quota del suo debito in marzo, se vuole evitare il fallimento. Ma, nell'Eurogruppo dei 17 ministri finanziari
a Bruxelles, non sono stati superati tutti i dubbi e le divisioni, che da mesi bloccano il via libera. Si parla
perfino di un «buco» di vari miliardi, che non consentirebbe al duro piano di austerità, pur se integralmente
attuato, di riportare il debito greco dal 160% al 120% del Pil nel 2020. I ministri hanno cercato di recuperare
chiedendo alle banche private di accettare una perdita intorno al 75% sui titoli greci in loro possesso. Alcune
indiscrezioni ipotizzano che il salvataggio della Grecia potrebbe costare fino a 245 miliardi. Nessun Paese
vuole però essere accusato di aver causato il fallimento, che genererebbe conseguenze imprevedibili
nell'eurozona. La riunione è così proseguita nella notte.
Il premier Mario Monti, membro dell'Eurogruppo in quanto anche ministro dell'Economia, ha continuato a
mediare con la Germania, principale frenatrice del via libera ad Atene e poi ammorbiditasi. E' spuntato un
irrigidimento dell'Olanda, che vorrebbe rendere permanente la trojka (formata da Commissione europea, Bce e
Fmi), da mesi ad Atene per controllare il rispetto degli interventi di austerità. Ne scaturirebbe una specie di
commissariamento delle politiche di bilancio, che irrita vari partiti ellenici.
Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, non chiede più di rinviare le elezioni anticipate in aprile,
dopo le accuse alla Germania di ingerenza nella sovranità nazionale di Atene. Ma pretende un «conto
bloccato», dove la Grecia dovrebbe far confluire i suoi introiti da destinare prioritariamente a restituire i prestiti.
Parallelamente si stanno sviluppando ambigue trattative bilaterali. La Grecia avrebbe accettato le pressioni per
acquistare armamenti tedeschi e francesi. Ieri ha concordato con la Finlandia (altro Paese frenatore) di fornirle
garanzie aggiuntive. Si preme per far contribuire la Bce di Mario Draghi.
Il premier greco, Lucas Papademos, ha partecipato all'Eurogruppo per appoggiare il suo ministro delle Finanze,
Evangelos Venizelos, e per trattare con le banche private creditrici. Un compromesso, in caso di mancato
accordo, sarebbe elargire solo i prestiti d'urgenza e rinviare il via libera a dopo le elezioni. Il direttore del Fmi,
la francese Christine Lagarde, ha caldeggiato l'approvazione del salvataggio.
L'accordo finale è condizionato dalle proteste di massa in Grecia contro le misure di austerità, che potrebbero
aggravare una recessione già pesantissima per la popolazione. Una vittoria ad aprile dei partiti anti trojka
potrebbe rimettere in discussione gli impegni con l'Ue per il salvataggio. Preoccupa il precedente del
Portogallo, che ha applicato le misure di austerità e non riesce ancora a uscire fuori dalla crisi. Anche Monti
chiede di unire il risanamento finanziario con interventi per la crescita e l'occupazione, conscio dei rischi
provocati dal debito italiano al 120% del Pil. I Btp decennali restano circa 150 punti più costosi del livello di
spread che il direttore di Bankitalia, Fabrizio Saccomanni, ha definito «ragionevole sotto 200».
*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012
di: DANILO TAINO
twitter@danilotaino
Il conto dell’Europa a 240 miliardi
pagina
Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
5
Gli effetti tossici della crisi greca resteranno a lungo nel corpo dell'eurozona. Con conseguenze potenzialmente
gravi: dal punto di vista politico, come si è visto nelle recenti polemiche feroci tra Atene e Berlino, ma anche
nel bagaglio finanziario che peserà sui conti pubblici dei Paesi dell'euro. I numeri del secondo pacchetto di
salvataggio della Grecia discussi questa notte a Bruxelles sono incerti: dipendono da quanti investitori privati
accetteranno perdite «volontarie» sui titoli di Stato ellenici che possiedono e dai tassi d'interesse e dalla
maturità del nuovo debito che Atene dovrà emettere in sostituzione di quello vecchio. Ciò nonostante, un
economista britannico molto stimato, Gavyn Davies, ha calcolato — sulla base di dati elaborati da Nicola Mai
di Jp Morgan — come sarà il profilo futuro dei conti di Atene.
La riduzione del debito sarà minima: gran parte di esso, però, passerà dalle spalle dei creditori privati alle spalle
dei creditori pubblici, cioè dei Paesi dell'eurozona (quindi dei contribuenti europei). Oggi, il debito greco è di
352 miliardi, il 163% del Prodotto interno lordo (Pil). Dopo l'intervento di salvataggio — aiuti, ristrutturazione
di una parte delle obbligazioni detenute dai privati, nuovo debito sostitutivo di quello vecchio — scenderà a 333
miliardi, il 154% del Pil. La parte di debito detenuta dai governi europei e dal Fondo monetario internazionale
(contribuenti) salirà da 181 a 241 miliardi, cioè dall'84 al 111% del Pil greco — secondo i calcoli che Davies ha
pubblicato sul Financial Times. In compenso l'esposizione dei privati (banche, fondi) scenderà da 171 a 92
miliardi, cioè dal 79 al 43% del Pil. In altre parole, meno di un terzo del totale del debito greco sarà nelle mani
dei privati: la maggior parte peserà sugli Stati.
In prospettiva, dunque, restano due possibilità: nel tempo, il debito greco sarà ripagato dai greci stessi — il caso
a cui ben pochi credono — o dagli Stati che hanno prestato denaro ad Atene. Se — come quasi tutti gli analisti
danno per probabile — la Grecia avrà in futuro bisogno di altre ristrutturazioni del debito, le perdite derivanti
cadranno per lo più sui contribuenti europei, anche perché la quota rimasta ai privati sarà quasi tutta quella
sottoposta alla giurisdizione britannica — e non più a quella greca —, il che renderà difficile ogni
ristrutturazione.
È a questo punto che entra la politica. Da una parte, la nuova situazione spiega perché la Ue, Germania e
Olanda in testa, abbiano chiesto un forte controllo sulle prossime decisioni di Atene. Dall'altra, l'idea che
Berlino, Parigi, Roma e gli altri debbano sopportare perdite per la Grecia — in teoria fino a 241 miliardi, ma
anche solo di 150 nel caso di un default del 60% — preannuncia guai seri e litigi pericolosi in arrivo.
*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Luigi Offeddu
[email protected]
Monti e Cameron:
ora crescita e mercati aperti
La missiva alla Ue per lo sviluppo
Lettera di Roma e Londra a Bruxelles con altri dieci leader. Fuori Berlino e Parigi I dodici
premier
pagina
Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
6
BRUXELLES — È un colpo di timone che parte da Roma, L'Aia, Londra. E trova il sostegno di altre 9 capitali.
Non di Parigi e Berlino. Al culmine della crisi, in quello che senza giri di parole viene definito «un momento
pericoloso, con la disoccupazione che sale», 12 leader europei si rivolgono a tutti gli altri: «chiediamo a voi e al
Consiglio Europeo di rispondere all'appello dei nostri popoli per le riforme e di aiutare a ristabilire la loro
fiducia nella capacità dell'Europa di assicurare una crescita forte e sostenibile». Crescita dunque, non più
soltanto rigore finanziario, contro il letargo della recessione. E la crescita ha un nome: apertura dei mercati, un
piano anti-crisi in 8 punti per il rafforzamento del mercato interno unico, dall'eliminazione delle «restrizioni
anti-competitive» nei servizi, allo sfoltimento delle professioni regolamentate dagli ordini, alla riduzione delle
«garanzie implicite per salvare sempre le banche, che distorcono il mercato unico». Perché «le banche, non i
contribuenti, dovrebbero essere responsabili per il costo dei rischi che si assumono».
Fra le firme in calce all'appello ci sono quelle di governanti dell'Eurozona, e di altri che non ne fanno parte, di
Paesi del Nord e del Sud, in un inedito schieramento trasversale: Italia, Gran Bretagna, Olanda, Estonia,
Lettonia, Finlandia, Irlanda, Repubblica Ceca, Slovacchia, Spagna, Svezia e Polonia sono lì, nella lettera inviata
al presidente stabile della Ue Herman Van Rompuy e al capo della Commissione Europea José Manuel
Barroso, in previsione del vertice Ue fissato per il primo marzo. Poi, quelle vistose assenze: mancano, fra i
grandi, Germania e Francia, che a dicembre inviarono una lettera ben diversa allo stesso Van Rompuy. Allora,
si trattava di lanciare il fiscal compact, il patto di bilancio voluto da Angela Merkel e basato sulla ricetta
dell'austerità: aderirono 26 Paesi su 27, restò fuori la Gran Bretagna. Adesso, la Gran Bretagna c'è: e sottoscrive
proposte mai prima accettate, soprattutto sul mercato del lavoro. «Esistono alcuni precedenti di lettere francotedesche — avverte il ministro italiano degli Affari Europei Enzo Moavero Milanesi — ora abbiamo un altro
gruppo di Paesi che hanno ambizione di contribuire a ispirare il Consiglio Europeo: è importante non viverla né
considerarla come contrapposta o in competizione».
Forse ha tenuto lontane Parigi e Berlino l'accento forte sulle liberalizzazioni nei singoli Paesi, e il ruolo di
controllore assegnato alla Commissione Europea. O ancora, la critica alle garanzie implicite per le banche, non
ben accetta a Berlino. In ogni caso il tono della lettera, i temi trattati, e quell'inedito fronte di nazioni — le
rigoriste Olanda e Finlandia, e la ricca Svezia, tutte con rating da “tripla A”, insieme con Spagna o Slovacchia
— sembrano disegnare un profilo nuovo del continente. Il documento nasce da un'iniziativa del britannico
David Cameron, dell'italiano Mario Monti e dell'olandese Mark Rutte, in veste di promotori-mediatori, sulla
scia di una lettera inviata da Monti al vertice Ue del 30 gennaio. Almeno in parte sembra ispirarsi poi al
rapporto Monti sul mercato unico, della primavera 2010. «Insomma, il contributo italiano al testo è stato
decisivo», spiega una fonte diplomatica qualificata.
La tesi di fondo: bisogna «modernizzare le nostre economie, costruire una maggiore competitività». Poi, i vari
punti: l'apertura del mercato interno dei servizi; la creazione per il 2015 di un mercato unico digitale, e per il
2014 di quello dell'energia; il potenziamento di ricerca e innovazione, l'apertura a mercati globali come l'India;
l'alleviamento delle regole Ue sulle piccole e medie imprese. E ancora: l'apertura dei mercati del lavoro a donne
e giovani, la riduzione nel numero delle professioni regolamentate con un «nuovo duro test di proporzionalità»
da introdurre nelle norme Ue. E la costruzione di un settore dei servizi finanziari «robusto e dinamico». Tutto
questo, ancora una volta, perché «abbiamo bisogno di ristabilire fra i cittadini, le imprese e i mercati finanziari
la fiducia nella capacità dell'Europa di crescere con forza e di mantenere la sua porzione di prosperità globale».
*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012
di: Massimo Mucchetti
Fonsai, Unipol attacca
Un esposto alla Consob
L’ingresso di Palladio e Sator e la corsa dei titoli
pagina
Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
7
Unipol ha presentato ieri un esposto alla Consob sul caso Fonsai. In tre settimane è passato di mano circa il
30% della compagnia fiorentina: tanto ove si consideri che il 42% è già bloccato in Premafin e Unicredit.
Rispetto al 30 gennaio, quando venne reso noto il piano di Unipol, le quotazioni di Fonsai hanno avuto
un'impennata del 173%. Alla Commissione di controllo sulla Borsa viene chiesto se tanta frenesia sul titolo non
nasconda accordi occulti e asimmetrie informative rispetto al mercato. Finora è stato annunciato soltanto un
patto di consultazione tra la Palladio Finanziaria di Roberto Meneguzzo e la Sator del banchiere Matteo Arpe,
che hanno rastrellato il 5 e il 3% ma vengono accreditate di quasi il 20%.
L'esposto di Unipol si inserisce in un quadro già agitato dal revival dell'inchiesta della Procura di Milano sui
rapporti tra la Fonsai e i Ligresti in un turbinare di alti compensi, ricche consulenze e affari infragruppo,
proseguiti fino a quando l'Isvap non bloccò la cessione della Tenuta Cesarina, una proprietà dei Ligresti vicino
a Roma, alla compagnia di assicurazioni quotata che l'avrebbe dovuta acquistare a prezzi d'affezione. Mentre
non è ancora chiaro se e come queste indagini del pm Luigi Orsi possano influenzare le operazioni di
salvataggio del gruppo Fonsai, appare invece evidente che Unipol tende a reagire alla scalata di Meneguzzo e
Arpe con un atto quasi dovuto sul piano delle regole, ma soprattutto confermando la volontà di andare fino in
fondo. La compagnia delle coop è pronta a sottoscrivere l'aumento di capitale di Premafin e ad acquisire così il
controllo dell'assemblea ordinaria di Fonsai, e dunque il potere di nominarne i vertici operativi e di iniziare
subito l'integrazione industriale con Unipol Assicurazioni. Le fusioni verrebbero dopo, specialmente la più
discussa, che è quella con la controllante Premafin. Sul piano delle regole, le indagini sui movimenti azionari da
parte di Consob potranno accertare se il patto di consultazione Palladio-Sator, che è anche aperto ad altri, non
implichi nei fatti un concerto. Se gli scalatori avessero concertato le loro iniziative, l'Isvap ne sommerebbe le
partecipazioni ai fini di autorizzare meno il superamento della soglia del 10%. Viceversa, Palladio, Sator e i
loro eventuali alleati potrebbero ciascuno arrivare al 9,9% in santa pace e trovarsi in una posizione rilevante in
assemblea. In base all'articolo 68 del codice delle assicurazioni, al superamento della soglia, l'Isvap verifica
l'origine dei capitali investiti (propri o di debito e, se propri, di chi), il piano industriale e la competenza
assicurativa nonché, in questo caso, la capacità di garantire la ricapitalizzazione di Fonsai. Il cui margine di
solvibilità è a quota 75 contro il minimo di 100, pur conteggiando i prestiti subordinati sottoscritti da
Mediobanca.
Il piano Unipol farebbe affluire mezzi freschi per 1,6 miliardi, attraverso l'aumento di capitale di Fonsai,
garantito dal consorzio bancario guidato da Mediobanca, e la fusione con Unipol Assicurazioni ricapitalizzata.
La cifra è al netto del debito Premafin conferito con la fusione Premafin-Fonsai (circa 250 dei 370 milioni
attuali, essendo la differenza destinata a essere convertita in strumenti di capitale). Il margine del nuovo gruppo
sarebbe ben oltre i minimi.
Unipol può essere sconfitta da un soggetto capace di lanciare un'Opa su Fonsai e Milano e poi di accollarsene la
ricapitalizzazione: oggi ci vorrebbero 2,5 miliardi. Nell'autunno del 2011, quando era chiaro il tracollo e tutto
costava meno, nessuna grande compagnia europea si è mostrata interessata a rilevare Fonsai: i 28 miliardi di
Btp in portafoglio e l'eredità di 10 anni di Ligresti facevano paura. Riuscirà Arpe, vera testa del rastrellamento,
a trovare una terza via vincente?
*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012
di: Fabrizio Massaro
[email protected]
Unicredit pesa sui conti della Crt
Palenzona: non corro per il vertice
pagina
Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
8
MILANO — Fabrizio Palenzona, plenipotenziario della fondazione Crt in Unicredit, primo socio italiano con il
3,85%, si chiama fuori dalla corsa per la presidenza di Unicredit, dopo giorni in cui il suo nome è circolato
come possibile pretendente all'incarico ora ricoperto da Dieter Rampl. L'ha fatto ieri sera attraverso un
portavoce, dichiarando di «non essere disponibile» in quanto impegnato nei progetti di ampliamento
dell'aeroporto di Fiumicino, controllato dalla Adr di cui Palenzona è presidente.
L'uscita di Palenzona avviene due giorni dopo le esternazioni di Rampl, che si è detto «pronto» a impegnarsi «a
fronte di un progetto di governance valido per tutti gli azionisti italiani e internazionali». Ed è uno dei vari
tasselli che ieri si sono composti nella definizione del nuovo board di Unicredit, segno che la campagna
elettorale è davvero entrata nel vivo. Ieri sera il comitato nomine dell'istituto (di cui fanno parte Palenzona,
Rampl, Vincenzo Calandra Bonaura, Luigi Castelletti, Francesco Giacomin, Luigi Maramotti e il ceo Federico
Ghizzoni) ha elaborato i criteri «qualitativi e quantitativi» per la composizione del nuovo Consiglio, con una
proposta da discutere al board del 28 febbraio. In sostanza si va verso una riduzione dei consiglieri, oggi pari a
23. Dovrebbero essere meno di 20 — soglia oltre la quale scatterebbero due consiglieri per le minoranze —, ma
il numero sarà definito dai soci.
La proposta del dimagrimento del Consiglio, insieme con quella di presenze di livello più internazionale e con
esperienze nel settore bancario, è fra i desiderata di Rampl che adesso, uscito di scena Palenzona, appare l'unico
candidato autorevole alla presidenza, almeno fino a oggi.
Toccherà adesso ai soci, a cominciare dalle fondazioni forti Cariverona (3,5%) e Carimonte (ora al 3% dal
2,9%) tradurre la nuova governance in candidati. Tenendo ben presente che agli azionisti storici Unicredit è
costata molto cara. Ieri a fare i conti è stata la Crt, da anni rappresentata da Palenzona alla vicepresidenza. Nel
2011 la svalutazione di Unicredit ha fatto scendere il patrimonio dell'ente da 2,9 a 1,9 miliardi (di cui 1,3
miliardi in Piazza Cordusio). Per seguire i tre aumenti del 2008, del 2010 e del 2012 l'ente torinese ha speso
1,051 miliardi. Solo quello del 2012 da 7,5 miliardi è costato 316 milioni, recuperati con debito per 250 milioni
e vendendo in perdita le azioni di Banco Popolare (10 milioni), Banco Sabadell (30 milioni), Generali (12
milioni), SocGen (25 milioni). Ciononostante, il bilancio «sano» (come lo ha definito il segretario generale,
Angelo Miglietta) ha consentito di chiudere con un avanzo di 7 milioni, dai 161 milioni del 2010.
*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012
di: Federico De Rosa
Mps, Siena accelera
Equinox e Clessidra alleati per il 15%
pagina
Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
9
MILANO — La Fondazione Montepaschi accelera le trattative per la cessione della partecipazione in Banca
Mps e ha concesso a Equinox e Clessidra l'accesso alla data room. I due fondi di private equity hanno siglato un
«confidentiality agreement» con la Fondazione, un accordo di riservatezza, che di solito prelude all'avvio di una
trattativa in esclusiva. La soluzione ai problemi di indebitamento di Palazzo Sansedoni potrebbe dunque essere
vicina. La scorsa settimana il presidente dell'ente senese, Gabriello Mancini, aveva chiesto alle banche creditrici
di prorogare lo standstill — il congelamento — dei debiti fino a maggio per avere così il tempo di vendere al
meglio gli asset che si è impegnato a cedere per rimborsare gli istituti. I quali sarebbero disponibili a estendere
il periodo di grazia, ma solo fino a fine marzo. Della complessa partita sulla ristrutturazione dei debiti della
Fondazione e sul futuro della banca ieri ha parlato anche il Financial Times in un lungo articolo dal titolo
«Venerabile ma vulnerabile», in cui sottolinea come «le sventure della più antica banca del mondo gettino in
subbuglio la città toscana e come il destino dei principali azionisti metterà alla prova la misura della
disponibilità italiana ad adattarsi ai cambiamenti».
Cambiamenti che si tradurranno in una discesa della Fondazione sotto il 50% nel capitale del Montepaschi,
rendendo così la banca contendibile per la prima volta nella sua storia secolare. L'intenzione di Mancini sarebbe
quella di collocare la quota — fino al 15% del capitale di Mps — dividendola in due pacchetti. Equinox
avrebbe la partecipazione maggiore. Questa soluzione renderebbe più veloce la cessione. Chiunque volesse
rilevare l'intera quota, infatti, sarebbe obbligato a chiedere il consenso alla Banca d'Italia, che ha 60 giorni per
deliberare. Dividendo il pacchetto in due il nullaosta non sarebbe più necessario. Equinox e Clessidra, inoltre,
riuscirebbero a chiudere la partita in tempo utile per presentare una loro lista per il rinnovo del Consiglio di
Rocca Salimbeni. La scadenza per la presentazione delle candidature è il 2 aprile ed è ovvio che se i due fondi
rileveranno il 15% vorranno contare nella governance. Sul tavolo della trattativa con la Fondazione c'è anche
questo tema. L'Ente, tuttavia, non ha la possibilità di promettere posti nel board del Monte né di rinunciare ai
suoi per fare spazio ai nuovi soci, altrimenti andrebbe in minoranza nel Consiglio di Mps.
Sullo sfondo, intanto, proseguono i movimenti per definire i futuri assetti di vertice della banca senese. E le
quotazioni dell'ex amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo, stanno salendo. Il nome sarebbe
venuto fuori nel corso dei colloqui tra la Fondazione e Clessidra. L'ex banchiere, racconta chi ci ha parlato in
questi giorni, prenderebbe in seria considerazione la possibilità di trasferirsi a Rocca Salimbeni. Ma i giochi
non sono ancora chiusi.
*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012
Nuove svalutazioni,
in bilico la cedola Intesa
MILANO — La premessa è scontata: «Non c'è alcuna decisione, è un tema che stiamo analizzando in queste
settimane». L'idea che per quest'anno Intesa Sanpaolo chieda un sacrificio sul dividendo appare però più che
un'ipotesi nelle parole di Andrea Beltratti. Il quale ieri ha riconosciuto «che gli azionisti in alcuni casi possano
avere un'attenzione al dividendo», ma il presidente del consiglio di gestione di Ca' de Sass li ha invitati anche
«a guardare al medio lungo periodo, perché quello che conta è l'efficienza dell'utilizzo delle risorse». E questo
potrebbe richiedere un taglio sul fronte delle cedole.
La decisione sarà presa a marzo, dopo aver esaminato il bilancio. Beltratti ha spiegato che quella dei dividendi
«è una delle tematiche che stiamo analizzando insieme alle altre per la chiusura del bilancio. Noi abbiamo fatto
gli accantonamenti per i primi 9 mesi dell'anno, adesso vedremo la chiusura dell'esercizio».
Il presidente del consiglio di gestione di Intesa ha già anticipato che nella chiusura del bilancio si terrà conto
anche delle svalutazione dei cosiddetti «attivi immateriali». Una voce che nell'ultima trimestrale di Unicredit ha
pesato per circa 9 miliardi di euro. «Stiamo guardando il tema in relazione al bilancio e ai conti finali. Nei
prossimi Consigli ne parleremo, ne abbiamo due a marzo. Credo che la situazione, rispetto a Unicredit, sia però
un po' diversa — ha tenuto a sottolineare Beltratti — perché in un caso erano acquisizioni, nell'altro operazioni
carta contro carta. Per cui le operazioni sono un po' diverse dal punto di vista della reale sostanza finanziaria».
Cifre il banchiere non ne ha date: «Stiamo analizzando la questione».
Beltratti, che ha parlato ieri a margine dell'incontro in Borsa Italiana con il premier Mario Monti, ha ribadito
l'impegno di Intesa sul debito pubblico assicurando che Ca' de Sass non ha intenzione di ridurre la sua
esposizione ai titoli di Stato. «Di sicuro non abbiamo intenzione di ridurla poiché riteniamo che il rapporto tra
rischio e rendimento sia ancora interessante — ha detto il banchiere —. Era certamente molto interessante
qualche settimana fa perché gli spread erano ancora più elevati, ma riteniamo che sia ancora interessante e che
non rispetti il merito di credito del nostro Paese». Intesa parteciperà anche alla prossima asta di liquidità della
Bce, «stiamo ultimando le analisi per capire di quanto». In attesa dell'asta l'istituto milanese si è mosso intanto
sul mercato collocando ieri un bond senior da 1 miliardo di euro. E, sempre ieri, Intesa ha fatto sapere di aver
chiuso il riacquisto del prestito subordinato per 1,22 miliardi, con 180 milioni di euro di plusvalenza.
pagina
Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
10
F. D. R.
*la Repubblica*
MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012
di: ANDREA BONANNI
Grecia, negoziati nella notte
Atene chiede di più ai privati
Eurogruppo verso l’ok agli aiuti, l’Olanda punta i piedi
Necessario uno sforzo maggiore perché così non si rispetta l´obiettivo di taglio del debito
pagina
Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
11
BRUXELLES - La Grecia sarà salvata. I ministri dell´eurogruppo riuniti ieri a Bruxelles sembrano decisi a dare
il via libera al prestito da 130 miliardi di euro che permetterà di evitare la bancarotta di Atene. Ma, come
sempre, il diavolo è nei dettagli. E fino a tarda notte la riunione si è trascinata in negoziati interminabili per far
combaciare i pezzi di un «puzzle», come lo ha definito il ministro francese Francois Baroin, che appare tanto
complicato quanto fragile.
I problemi che ancora restano da risolvere sono sostanzialmente due. Occorre reperire tra cinque e dieci
miliardi supplementari necessari, secondo gli esperti della troika europea, per centrare l´obiettivo di una
riduzione del debito pubblico greco al 120 per cento del Pil entro il 2020 (ora è al 165 per cento). Inoltre
bisogna trovare una formula di "commissariamento" del Paese che garantisca la piena e tempestiva
applicazione delle misure concordate: è questa una condizione irrinunciabile posta dai Paesi nordici, in
particolare Olanda e Finlandia. La questione dei fondi da reperire ha occupato una buona parte della nottata
dei ministri. Il presidente dell´eurogruppo, Jean Claude Juncker, ha escluso un aumento del prestito che «non
deve superare i 130 miliardi». Ma la Germania è irremovibile sul fatto che la manovra debba centrare
l´obiettivo del 120 per cento del Pil, e non si accontenta del 129 per cento che sarebbe, secondo le proiezioni
della troika, il risultato raggiungibile con gli strumenti a disposizione. Per tentare di raggiungere quel traguardo,
ieri sera il premier greco Papademos ha cominciato un lungo e snervante negoziato con le banche private,
che già hanno accettato un taglio del 70 per cento sul valore nominale dei titoli in loro possesso per spingerle
ad ulteriori concessioni. Le altre opzioni sul tavolo sono un abbassamento dei tassi di interesse sul prestito di
130 miliardi. Oppure una formula che consenta alla Bce di restituire ad Atene le plusvalenze che registrerà
rivendendo i bond greci in suo possesso.
La questione del "commissariamento" è ancora più complessa. La Grecia, grazie anche alla mediazione
italiana, avrebbe accettato che il prestito venga versato su un conto bloccato, in modo da garantire che venga
utilizzato solo per pagare gli interessi sul debito. Ma l´Olanda non si accontenta. «Abbiamo visto che la Grecia
più volte non è riuscita a soddisfare le condizioni che ha posto la comunità internazionale. Per l´Olanda è un
problema dover prestare denaro a un Paese che per l´ennesima volta non si è attenuto agli accordi. Quindi
per me, e per il governo olandese, è davvero essenziale avere il controllo sul denaro che stiamo per
concedere come prestito», ha dichiarato il ministro olandese delle Finanze Jan Kees de Jager. Gli olandesi
vorrebbero, oltre al conto bloccato, rendere permanente la missione della troika composta da rappresentanti
della Bce, della Commissione e del Fmi. Quanto alla Finlandia, la sua posizione si è ammorbidita solo dopo
che la Grecia ha firmato un accordo bilaterale in cui si impegna a versare a Helsinki collaterali per un miliardo
in garanzia del 40 per cento della quota finlandese nel prestito europeo. Con l´aria che tira, la pretesa
finlandese assomiglia ad un atto di sciacallaggio. Ma a tanto si è ridotta la solidarietà europea.
*la Repubblica*
MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012
di: MAURIZIO RICCI
Il dossier
Export e investimenti dall’estero
così l’“egoismo” tedesco
ha frenato la crescita degli altri
Prima della crisi Spagna e Irlanda erano forti sul fronte del bilancio pubblico, ma esposti per le alte
importazioni
Per ridurre le differenze in Ue servirebbe una politica espansiva di Berlino che invece insiste
sull´austerity
pagina
Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
12
ROMA - Enzo Moavero, il ministro italiano per gli Affari europei, assicura che la lettera di Monti e degli altri 11
leader della Ue sulle strategie per uscire dalla crisi non è un documento contro Francia e Germania. Tuttavia,
è la prima volta da molto tempo che, in Europa, emerge una linea che non sia quella dettata preventivamente
da Berlino e Parigi. In più, a nessuno sfugge che quel testo, il candidato favorito alle prossime presidenziali
francesi, il socialista Francois Hollande, l´avrebbe quasi certamente firmato. Il destinatario, insomma, è Angela
Merkel e il suo governo a Berlino. E, a segnare la svolta, c´è anche l´assenza di qualsiasi carineria
diplomatica. Lo dimostrano i puntuti riferimenti ai salvataggi bancari operati da Berlino, ma, soprattutto, la
logica implicita nella lettera, che va contro il pilastro della strategia seguita e ribadita dai tedeschi negli ultimi
due anni. Ovvero che dalla crisi si esce tagliando i debiti e rimettendo i conti in ordine: la crescita seguirà. La
lettera suggerisce, invece, che, per affiancare all´austerità la crescita, occorre un intervento attivo, frutto di uno
sforzo comune.
E´ un avviso difficile da digerire per la Germania, perché, al di là dei singoli interventi proposti, sottintende che
gli squilibri che oggi attraversano l´Europa non possono essere curati da una parte sola. Secondo molti
economisti, lo squilibrio principale, oggi, in Europa, non è, come ripetono spesso i tedeschi, fra Paesi di
finanza pubblica virtuosa e Paesi troppo prodighi. Prima della crisi, Spagna e Irlanda avevano una finanza
pubblica più in ordine della Germania. La linea divisoria fra Paesi forti e Paesi deboli è, invece, quella tracciata
dai conti con l´estero (il saldo degli scambi di beni e servizi, più gli introiti da investimenti): negli ultimi dieci
anni, Grecia, Portogallo, Spagna e Italia hanno sistematicamente registrato deficit nei partite correnti, mentre
Germania, Olanda, Finlandia hanno registrato attivi. In buona sostanza, l´euro ha consentito alla Germania di
esportare molto e ai Paesi deboli di importare troppo. Negli ultimi mesi, la situazione non è cambiata. La
Grecia viaggia con un deficit dei conti correnti dell´8 per cento, il Portogallo del 7, Spagna e Italia del 3, anche
la Francia di più del 2 per cento. Mentre, all´opposto, la Germania ha un attivo del 5,7 per cento, l´Olanda del
7,7, la Finlandia di oltre il 3 per cento.
L´austerità, soprattutto se imposta a tutta l´Europa, non è una cura. Tagliando la domanda interna, con più
tasse e meno spesa pubblica, l´austerità lascia alla crescita - che consente di tagliare più in fretta il debito
pubblico - solo lo sfogo delle esportazioni. Ma l´Europa è, fondamentalmente, non diversamente dagli Stati
Uniti, un´economia chiusa, in cui il 60 per cento dell´import-export avviene all´interno della Ue. Per esportare
di più, Italia e Spagna devono esportare di più soprattutto in Europa. In particolare, in Germania, che è la più
grande economia della Ue. L´idea che questi squilibri si curino dalle due parti non è nuova: è quanto viene
ripetuto, ad ogni summit mondiale, alla Cina. La Germania è un po´ la Cina d´Europa.
Secondo un numero crescente di economisti, dunque, la Germania, simmetricamente all´austerità adottata dai
Paesi deboli, Spagna e Italia, ma anche Francia, in testa, dovrebbe varare una politica espansiva - tagli alle
tasse e maggiore spesa pubblica - che alimenti la domanda interna, a partire dai consumi, e le importazioni.
Una politica espansiva avrebbe anche l´effetto di far muovere prezzi e salari in Germania più velocemente di
quanto avvenga nella periferia, consentendo un recupero di competitività più rapido e meno socialmente
doloroso di quello che si può verificare, facendo pesare l´aggiustamento solo sui Paesi deboli. Al di là dei
finanziamenti ai diversi fondi di salvataggio e dei margini di manovra lasciati alla Banca centrale europea per
tamponare le crisi del debito sui mercati, la politica economica tedesca appare, a questi economisti, la leva per
evitare che si solidifichi un´Europa a due velocità.
Per ora, comunque, la Germania si sta muovendo in direzione esattamente opposta. Austerità è la parola
d´ordine anche a Berlino. Il ministro delle Finanze, Wolfgang Schauble, ha appena annunciato che il pareggio
di bilancio, previsto per il 2016, sarà anticipato al 2014.
*la Repubblica*
MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE: Federico Rampini
Le idee
Se il deficit non è un peccato
la rivoluzione copernicana
dei nuovi economisti Usa
Galbraith junior: la crisi non si cura con l’austerity
È la Modern Monetary Theory: più spesa pubblica e più debito da finanziare con la liquidità delle
banche centrali
Come dopo il crollo del ’29 il grande crac partito nel 2008 ha prodotto una dottrina che vuole
spazzare via le ideologie dei governi
pagina
Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
13
NEW YORK – Le grandi crisi partoriscono grandi idee. Così fu dopo il crac del 1929 e la Depressione. Per
uscirne, l´Occidente usò il pensiero di John Maynard Keynes, scoprì un ruolo nuovo per lo Stato
nell´economia, inventò le politiche sociali del New Deal e la costruzione del moderno Welfare State. Oggi
siamo daccapo. L´eurozona sprofonda nella sua seconda recessione in tre anni. Gli Stati Uniti malgrado la
ripresa in atto pagano ancora i prezzi sociali elevatissimi della Grande Contrazione iniziata nel 2008 (almeno
15 milioni di disoccupati). Ma dall´America una nuova teoria s´impone all´attenzione. Si chiama Modern
Monetary Theory, ha l´ambizione di essere la vera erede del pensiero di Keynes, adattato alle sfide del XXI
secolo. Ha la certezza di poter trainare l´Occidente fuori da questa crisi. A patto che i governi si liberino di
ideologie vetuste, inadeguate e distruttive. È una rivoluzione copernicana, il cui alfiere porta un cognome
celebre: James K.Galbraith, docente di Public Policy all´università del Texas e consigliere "eretico" di Barack
Obama.
James K. Galbraith è figlio di uno dei più celebri economisti americani, quel John Kenneth Galbraith che fu
grande studioso della Depressione e consulente di John Kennedy.
Il nuovo Verbo che sconvolge i dogmi degli economisti, assegna un ruolo benefico al deficit e al debito
pubblico. È un attacco frontale all´ortodossia vigente. Sfida l´ideologia imperante in Europa, che i
"rivoluzionari" della Modern Monetary Theory (o Mmt) considerano alla stregua di un vero oscurantismo. Quel
che accade in questi giorni a Roma e Atene, l´austerity imposta dalla Germania, per i teorici della Mmt non è
soltanto sbagliata nei tempi (è pro-ciclica: perché taglia potere d´acquisto nel bel mezzo di una recessione),
ma è concettualmente assurda.
Un semplice esercizio mette a nudo quanto ci sia di "religioso" nella cosiddetta saggezza convenzionale degli
economisti. Qualcuno ha provato a interrogare i tecnocrati del Fmi, della Commissione Ue e della Banca
centrale europea, per capire da quali Tavole della Legge abbiano tratto alcuni numeri "magici". Perché il deficit
pubblico nel Trattato di Maastricht non doveva superare il 3% del Pil? Perché nel nuovo patto fiscale
dell´eurozona lo stesso limite è stato ridotto a 0,5% del Pil? Chi ha stabilito che il debito pubblico totale diventa
insostenibile sotto una soglia del 60% oppure (a seconda delle fonti) del 120% del Pil? Quali prove empiriche
stanno dietro l´imposizione di questa cabala di cifre? Le risposte dei tecnocrati sono evasive, o confuse.
La Teoria Monetaria Moderna fa a pezzi questa bardatura di vincoli calati dall´alto, la considera ciarpame
ideologico. La sua affermazione più sconvolgente, ai fini pratici, è questa: non ci sono tetti razionali al deficit e
al debito sostenibile da parte di uno Stato, perché le banche centrali hanno un potere illimitato di finanziare
questi disavanzi stampando moneta. E non solo questo è possibile, ma soprattutto è necessario. La via della
crescita, passa attraverso un rilancio di spese pubbliche in deficit, da finanziare usando la liquidità della banca
centrale. Non certo alzando le tasse: non ora.
Se è così, stiamo sbagliando tutto. Proprio come il presidente americano Herbert Hoover sbagliò
drammaticamente la risposta alla Grande Depressione, quando cercò di rimettere il bilancio in pareggio a colpi
di tagli (stesso errore che fece Franklin Roosevelt nel 1937 con esiti nefasti). Il "nuovo Keynes" oggi non è un
profeta isolato. Galbraith Jr. è solo il più celebre dei cognomi, ma la Mmt è una vera scuola di pensiero, ricca
di cervelli e di think tank. Così come la destra reaganiana ebbe il suo pensatoio nell´Università di Chicago
(dove regnava negli anni Settanta il Nobel dell´economia Milton Friedman), oggi l´equivalente "a sinistra" sono
la University of Missouri a Kansas City, il Bard College nello Stato di New York, il Roosevelt Institute di
pagina
Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
14
Washington. Oltre a Galbraith Jr., tra gli esponenti più autorevoli di questa dottrina figura il "depositario" storico
dell´eredità keynesiana, Lord Robert Skidelsky, grande economista inglese di origine russa nonché biografo di
Keynes.
Fra gli altri teorici della Mmt ci sono Randall Wray, Stephanie Kelton, l´australiano Bill Mitchell. Non sono una
corrente marginale; tra i loro "genitori" spirituali annoverano Joan Robinson e Hyman Minsky. Per quanto
eterodossi, questi economisti sono riusciti a conquistarsi un accesso alla Casa Bianca. Barack Obama
consultò Galbraith Jr. prima di mettere a punto la sua manovra di spesa pubblica pro-crescita, così come fece
la democratica Nancy Pelosi quando era presidente della Camera. Ma la vera forza della nuova dottrina viene
dai blog. The Daily Beast, New Deal 2.0, Naked Capitalism, Firedoglake, sono tra i blog che ospitano
l´elaborazione del pensiero alternativo. Hanno conquistato milioni di lettori: è una conferma di quanto ci sia
sete di terapie nuove, e quanto sia screditato il "pensiero unico".
La Teoria Monetaria Moderna è ben più radicale del pensiero "keynesiano di sinistra" al quale siamo abituati.
Perfino due economisti noti nel mondo intero come l´ala radicale che critica Obama da sinistra, cioè i premi
Nobel Paul Krugman e Joseph Stiglitz, vengono scavalcati dalla Mmt. Stephanie Kelton, la più giovane nella
squadra, ha battezzato una nuova metafora… ornitologica. Da una parte ci sono i "falchi" del deficit: come
Angela Merkel, le tecnocrazie (Fmi, Ue), e tutti quegli economisti schierati a destra con il partito repubblicano
negli Stati Uniti, decisi a ridurre ferocemente le spese. Per loro vale la falsa equivalenza tra il bilancio di uno
Stato e quello di una famiglia, che non deve vivere al di sopra dei propri mezzi: un paragone che non regge,
una vera assurdità dalle conseguenze tragiche secondo la Mmt. Poi ci sono le "colombe" del deficit, i
keynesiani come Krugman e Stiglitz. Questi ultimi contestano l´austerity perché la giudicano intempestiva (i
tagli provocano recessione, la recessione peggiora i debiti), però hanno un punto in comune con i "falchi":
anche loro pensano che a lungo andare il debito crea inflazione, soprattutto se finanziato stampando moneta,
e quindi andrà ridotto appena possibile. Il terzo protagonista sono i "gufi" del deficit. Negli Stati Uniti come
nell´antica Grecia il gufo è sinonimo di saggezza. I "gufi", la nuova scuola della Mmt, ritengono che il pericolo
dell´inflazione sia inesistente. Secondo Galbraith Jr. «l´inflazione è un pericolo vero solo quando ci si avvicina
al pieno impiego, e una situazione del genere si verificò in modo generalizzato nella prima guerra mondiale».
Di certo non oggi.
Il deficit pubblico nello scenario odierno è soltanto benefico, a condizione che venga finanziato dalle banche
centrali: comprando senza limiti i titoli di Stato emessi dai rispettivi governi. Ben più di quanto hanno iniziato a
fare Ben Bernanke (Fed) e Mario Draghi (Bce), questa leva monetaria va usata in modo innovativo,
spregiudicato: l´esatto contrario di quanto sta avvenendo in Europa.
*la Repubblica*
MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012
di: LUCA PAGNI
È scontro per la superutility del Nord
Tre ipotesi per l’aggregazione e tra le banche d’affari battaglia per le consulenze
Fusione in un unico gruppo, scorporo dei rami di attività o aggregazioni in più tappe
Vegas: “La Consob prenderà una decisione sull´Opa di Foro Buonaparte entro la settimana”
pagina
Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
15
MILANO - Sarà anche vero, come confermano gli addetti ai lavori, che non ci sono tavoli tecnici all´opera. Ma
il tema è ormai all´ordine del giorno di tutte le società coinvolte. Al punto che ormai è già scontro sulla
soluzione con cui dar vita alla superutility italiana, da costruire secondo il modello della tedesca Rwe. E con le
banche d´affari che stanno facendo a gara per proporsi come possibili consulenti per un´operazione che
potrebbe dominare la scena per almeno una paio di stagioni.
Del resto, la firma degli accordi per il passaggio di Edipower sotto il controllo di A2a e Iren, con il beneplacito
del governo Monti, ha dato il via al cantiere per la creazione di un campione nazionale che partendo
dall´elettricità, si occupi anche di reti idriche e gestione dei rifiuti. Un progetto di cui si sta occupando anche il
ministro per lo Sviluppo economico Corrado Passera, già garante con il gruppo francese Edf per gli accordi sul
divorzio da Edison. E nel quale, primo o poi, potrebbe giocare un ruolo di primo piano il Fondo strategico della
Cdp, come possibile socio. Ma di quale società?
Le possibile strade per la creazione della Rwe italiana - su cui hanno già iniziato a discutere informalmente le
società - sono tre. La prima prevede la fusione da subito di tutte le società quotate in Borsa. Da un punto di
vista finanziario è la più semplice, perché il mercato attribuisce dei valori certi alle azioni. Mediobanca, per
esempio, sta già facendo circolare un documento in cui ha ricostruito, ai valori attuali a Piazza Affari, come
potrebbe essere rappresentato l´azionariato. Con i comuni che controllano una holding che a sua volta
controlla le società a livello locale, con successiva quotazione in Borsa della holding (come si vede nel grafico
a fianco). La soluzione darebbe autonomia ai manager perché nessun comune avrebbe più del 18% delle
quote. Ma, allo stesso tempo, mettere insieme tante realtà diverse e affrontare il voto di decine di consigli
comunali apre la fusione a più di una incognita, a cominciare dai tempi.
La seconda via individuata passa dalla fusione non delle società ma dei rami di attività. Le aziende dovrebbero
conferire i propri asset per formare aziende attive nell´elettricità piuttosto che nei rifiuti o nell´acqua. Si
comincerebbe proprio dall´energia, visto che A2a e Iren controllano già Edipower: tutti gli altri gruppi
conferirebbero le centrali di loro proprietà per poi ritirare l´energia pro quota, sfruttando però sinergie, a partire
dagli acquisti di materia prima. Un´operazione meno complessa politicamente ma che i tecnici sostengono
abbia ampie controindicazioni per la difficoltà nel valutare economicamente le centrali. Per non dire che alcune
società come Hera non hanno di fatto produzione.
La terza strada è quella di continuare come è avvenuto, fino ad ora, per aggregazioni successive con non più
di due aziende per volta. In questo caso la controindicazione è quella di allungare i tempi della Rwe italiana
sine die. Oltre a decidere quali siano le accoppiate migliore. «In ogni caso - come racconta uno dei manager
coinvolti - l´importante è che in un aggregazione ci sia un progetto industriale e che la politica sia pronta a fare
un passo indietro».
*la Repubblica*
MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012
di: VITTORIA PULEDDA
Riassetto Fonsai, vola la Milano
Unipol chiede l’esenzione Opa
Cimbri va in Consob, il mercato crede allo spezzatino
Tra domani e dopo i cda delle società dei Ligresti e quello della compagnia bolognese
pagina
Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
16
MILANO - Il quesito sull´esenzione dell´Opa su Fonsai sbarca in Consob. Ieri "in serata", come specifica lo
stesso comunicato del gruppo, Unipol ha presentato formalmente all´autorità di vigilanza la domanda per
saltare l´offerta pubblica su Fonsai, dopo che avrà sottoscritto l´aumento di capitale di Premafin riservato
appunto a via Stalingrado; l´esenzione rappresenta la condizione per procedere all´intera operazione.
Prima dell´annuncio, la giornata di Borsa era trascorsa a parti invertite per le azioni della galassia FonsaiUnipol. Per una volta infatti i titoli Fonsai si sono presi una pausa (-0,92%) mentre hanno corso senza sosta le
Milano: la preziosa controllata ha strappato al rialzo - con le conseguenti sospensioni - per poi guadagnare in
chiusura il 24,33%, a 0,34 euro, tra scambi vorticosi. Molto bene è andata anche Unipol, che ha terminato la
seduta con un rialzo dell´8,7%.
Ma a parte l´andamento di Borsa, ieri la scena se l´è presa la Consob. Prima con l´audizione di Carlo Cimbri,
amministratore delegato di Unipol, ascoltato dagli uffici della Commissione nell´ambito del processo di
acquisizione di elementi sulla vicenda che sta portando a sentire tutti i protagonisti della scena. In prima
battuta la settimana scorsa era stato sentito Roberto Meneguzzo, per Palladio Finanziaria, mentre per Fonsai
era andato a Roma Piergiorgio Peluso (sentito soprattutto in relazione ai numeri della compagnia, cambiati più
volte negli ultimi tempi). A quanto trapela, domani dovrebbe essere la volta di Matteo Arpe per la Sator; ieri
invece è toccato a Cimbri fare il punto della situazione. Nei prossimi giorni, forse proprio giovedì (non è stato
ancora convocato formalmente) si dovrebbe tenere anche un consiglio Unipol, per fare il punto della
situazione; tra domani e dopodomani invece sono già stati fissati i consigli delle società che fanno capo ai
Ligresti.
A questo punto il passaggio più caldo è proprio l´esenzione dall´Opa. Che vede da una parte lo stato di
difficoltà innegabile di Fonsai (il Solvency margin della compagnia dovrebbe essere a fine 2011 intorno a
quota 75%) ma dall´altra c´è anche un indubbio interesse del mercato sulla medesima compagnia;
considerazione questa che potrebbe spingere la Consob a riconsiderare l´opportunità di concedere ad una
parte l´esenzione dell´opa. Occorre ricordare che non solo l´8% di Fonsai è stato comprato da Palladio e
Sator, ma che in un mese il titolo ha guadagnato il 162%.
Molto meno è cresciuto - nello stesso periodo - il titolo della Milano. Oggetto, ieri, di un report positivo di Banca
Akros. Aleggia sulla compagnia - nell´ipotesi di uno spezzatino - la possibilità di una vendita a parte anche se
alcuni analisti sono scettici: Fonsai senza la controllata sarebbe un boccone troppo poco appetibile, al
momento.
*la Repubblica*
MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012
Il comitato proporrà al cda del 28 qualità e numeri del futuro board
Presidenza Unicredit
Palenzona non è in corsa
Il numero uno della Crt: “Solo rumors, devo concentrarmi sul mio lavoro in Adr”
pagina
Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
17
MILANO - Fabrizio Palenzona si chiama fuori dalla presidenza Unicredit. Il potente vice presidente «in merito
a rumors di stampa precisa che non intende candidarsi alla presidenza. L´attività che dovrà svolgere nelle
nuove sfide di Aeroporti di Roma, di cui è presidente – continua una nota del portavoce – sarà molto
impegnativa. Palenzona non intende quindi lasciare a metà la missione che gli azionisti di Adr gli hanno
affidato».
Il gruppo romano, che ha da investire 12,1 miliardi fino a fine concessione (2044) per ampliare lo scalo
Leonardo da Vinci, non può insomma vederlo tirarsi indietro, dopo l´accordo preso con la famiglia Benetton
azionista. Molto probabile, tuttavia, che Palenzona resti vice presidente di Unicredit, nel cda che sarà votato
l´11 maggio. Dietro le quinte, e al di là delle dichiarazioni, era piuttosto prevedibile che Palenzona preferisse
conservarsi il ruolo, più defilato, di vicepresidente per conto di fondazione Crt, che con il 3,8% è il primo socio
italiano in banca. Ieri nel bilancio 2011 dell´ente torinese s´è visto lo sforzo profuso per sostenere l´istituto, e
che ha azzerato l´avanzo di gestione (7 milioni, da 161 nel 2010) per svalutazioni e minusvalenze sulla quota
Unicredit dopo l´aumento da 7,5 miliardi. Senza cui l´avanzo sarebbe stato 133 milioni.
Piuttosto, pare che le fondazioni e Palenzona stiano valutando se hanno forza bastante per imporre un
presidente diverso da Dieter Rampl; magari italiano. Ieri il Comitato nomine e governance di gruppo s´è
riunito, «proseguendo le analisi dei profili di professionalità» richieste da Eba e Bankitalia. Il Comitato «ha
definito una proposta con i criteri per la composizione ottimale del cda, qualitativa e quantitativa». Si parla di
professionalità solide nei vari business operativi, e di poltrone da ridurre tra 17 e 19 (oggi 23, scesi a 20 dopo
tre dimissioni). La proposta sarà portata al cda del 28. Rampl, in "campagna elettorale" per il rinnovo – e per
dare un tono più internazionale al cda – sabato ha detto che accetterà il terzo mandato solo con il consenso di
tutti, italiani ed esteri. E ieri: «Aspettiamo uno o due giorni per le reazioni dei soci».
(a.gr.)
La Fiba-Cisl
Vi augura di
trascorrere
una giornata serena
A
Arrrriivveeddeerrccii aa
domani 22 Febbraio
pagina
Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
18
ppeerr uunnaa nnuuoovvaa
rraasssseeggnnaa ssttaam
mppaa!!