martedì 21 febbraio 2012
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martedì 21 febbraio 2012
Federazione ittaalliiaannaa bancari e assicuurativi via Modena, 5 – 00184 Roma – tel. 06-4746351 / fax 06-4746136 e-mail: [email protected] sito web: www.fiba.it Aderente alla UNI (Union Network International), alla CES (Confederazione Europea dei Sindacati) e alla CISL Internazionale RASSEGNA STAMPA MARTEDÌ 21 FEBBRAIO 2012 U Unn aaffooriissm maa aall ggiioorrnnoo............................................................................................................................. 22 Grecia, l’Unione cerca il salvataggio in extremis .............................................. 4 il Conto dell’Europa a 240 miliardi ................................................................. 5 Monti e Cameron: ora crescita e mercati aperti La missiva alla Ue per lo sviluppo ................................................................ 6 Fonsai, Unipol attacca Un esposto alla Consob ................................................ 7 Unicredit pesa sui conti della Crt Palenzona: non corro per il vertice ............ 8 Mps, Siena accelera Equinox e Clessidra alleati per il 15% .............................. 9 Nuove svalutazioni, in bilico la cedola Intesa .................................................. 10 Grecia, negoziati nella notte Atene chiede di più ai privati ............................. 11 Export e investimenti dall’estero così l’“egoismo” tedesco pagina Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 1 ha frenato la crescita degli altri .................................................................. 12 Se il deficit non è un peccato la rivoluzione copernicana dei nuovi economisti Usa ............................................................................. 13 È scontro per la superutility del Nord .............................................................. 15 Riassetto Fonsai, vola la Milano Unipol chiede l’esenzione Opa ...................... 16 Presidenza Unicredit Palenzona non è in corsa ............................................ 17 UN AFORISMA AL GIORNO a cura di “eater communications” “Il vero dandy deve aspirare a essere subl ime, senza interruzione. Deve vivere e dormire dava nti a uno specchio!! ” pagina Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 2 ((C Ch haarrlleess B Baau uddeellaaiirree)) *il Sole 24ORE* MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012 di: per motivi tecnici del sito oggi non è stato possibile pubblicare pagina Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 3 gli articoli relativi al “SOLE24ORE” *CORRIERE DELLA SERA* MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012 DAL NOSTRO INVIATO Ivo Caizzi Grecia, l’Unione cerca il salvataggio in extremis La mediazione italiana all'Eurogruppo. Papademos: più sacrifici per le banche pagina Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 4 BRUXELLES — La Grecia sta facendo di tutto per convincere i Paesi più rigoristi dell'eurozona sulla sua capacità di restituire i 130 miliardi di euro di prestiti di salvataggio, che deve ottenere prima della scadenza di una quota del suo debito in marzo, se vuole evitare il fallimento. Ma, nell'Eurogruppo dei 17 ministri finanziari a Bruxelles, non sono stati superati tutti i dubbi e le divisioni, che da mesi bloccano il via libera. Si parla perfino di un «buco» di vari miliardi, che non consentirebbe al duro piano di austerità, pur se integralmente attuato, di riportare il debito greco dal 160% al 120% del Pil nel 2020. I ministri hanno cercato di recuperare chiedendo alle banche private di accettare una perdita intorno al 75% sui titoli greci in loro possesso. Alcune indiscrezioni ipotizzano che il salvataggio della Grecia potrebbe costare fino a 245 miliardi. Nessun Paese vuole però essere accusato di aver causato il fallimento, che genererebbe conseguenze imprevedibili nell'eurozona. La riunione è così proseguita nella notte. Il premier Mario Monti, membro dell'Eurogruppo in quanto anche ministro dell'Economia, ha continuato a mediare con la Germania, principale frenatrice del via libera ad Atene e poi ammorbiditasi. E' spuntato un irrigidimento dell'Olanda, che vorrebbe rendere permanente la trojka (formata da Commissione europea, Bce e Fmi), da mesi ad Atene per controllare il rispetto degli interventi di austerità. Ne scaturirebbe una specie di commissariamento delle politiche di bilancio, che irrita vari partiti ellenici. Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, non chiede più di rinviare le elezioni anticipate in aprile, dopo le accuse alla Germania di ingerenza nella sovranità nazionale di Atene. Ma pretende un «conto bloccato», dove la Grecia dovrebbe far confluire i suoi introiti da destinare prioritariamente a restituire i prestiti. Parallelamente si stanno sviluppando ambigue trattative bilaterali. La Grecia avrebbe accettato le pressioni per acquistare armamenti tedeschi e francesi. Ieri ha concordato con la Finlandia (altro Paese frenatore) di fornirle garanzie aggiuntive. Si preme per far contribuire la Bce di Mario Draghi. Il premier greco, Lucas Papademos, ha partecipato all'Eurogruppo per appoggiare il suo ministro delle Finanze, Evangelos Venizelos, e per trattare con le banche private creditrici. Un compromesso, in caso di mancato accordo, sarebbe elargire solo i prestiti d'urgenza e rinviare il via libera a dopo le elezioni. Il direttore del Fmi, la francese Christine Lagarde, ha caldeggiato l'approvazione del salvataggio. L'accordo finale è condizionato dalle proteste di massa in Grecia contro le misure di austerità, che potrebbero aggravare una recessione già pesantissima per la popolazione. Una vittoria ad aprile dei partiti anti trojka potrebbe rimettere in discussione gli impegni con l'Ue per il salvataggio. Preoccupa il precedente del Portogallo, che ha applicato le misure di austerità e non riesce ancora a uscire fuori dalla crisi. Anche Monti chiede di unire il risanamento finanziario con interventi per la crescita e l'occupazione, conscio dei rischi provocati dal debito italiano al 120% del Pil. I Btp decennali restano circa 150 punti più costosi del livello di spread che il direttore di Bankitalia, Fabrizio Saccomanni, ha definito «ragionevole sotto 200». *CORRIERE DELLA SERA* MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012 di: DANILO TAINO twitter@danilotaino Il conto dell’Europa a 240 miliardi pagina Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 5 Gli effetti tossici della crisi greca resteranno a lungo nel corpo dell'eurozona. Con conseguenze potenzialmente gravi: dal punto di vista politico, come si è visto nelle recenti polemiche feroci tra Atene e Berlino, ma anche nel bagaglio finanziario che peserà sui conti pubblici dei Paesi dell'euro. I numeri del secondo pacchetto di salvataggio della Grecia discussi questa notte a Bruxelles sono incerti: dipendono da quanti investitori privati accetteranno perdite «volontarie» sui titoli di Stato ellenici che possiedono e dai tassi d'interesse e dalla maturità del nuovo debito che Atene dovrà emettere in sostituzione di quello vecchio. Ciò nonostante, un economista britannico molto stimato, Gavyn Davies, ha calcolato — sulla base di dati elaborati da Nicola Mai di Jp Morgan — come sarà il profilo futuro dei conti di Atene. La riduzione del debito sarà minima: gran parte di esso, però, passerà dalle spalle dei creditori privati alle spalle dei creditori pubblici, cioè dei Paesi dell'eurozona (quindi dei contribuenti europei). Oggi, il debito greco è di 352 miliardi, il 163% del Prodotto interno lordo (Pil). Dopo l'intervento di salvataggio — aiuti, ristrutturazione di una parte delle obbligazioni detenute dai privati, nuovo debito sostitutivo di quello vecchio — scenderà a 333 miliardi, il 154% del Pil. La parte di debito detenuta dai governi europei e dal Fondo monetario internazionale (contribuenti) salirà da 181 a 241 miliardi, cioè dall'84 al 111% del Pil greco — secondo i calcoli che Davies ha pubblicato sul Financial Times. In compenso l'esposizione dei privati (banche, fondi) scenderà da 171 a 92 miliardi, cioè dal 79 al 43% del Pil. In altre parole, meno di un terzo del totale del debito greco sarà nelle mani dei privati: la maggior parte peserà sugli Stati. In prospettiva, dunque, restano due possibilità: nel tempo, il debito greco sarà ripagato dai greci stessi — il caso a cui ben pochi credono — o dagli Stati che hanno prestato denaro ad Atene. Se — come quasi tutti gli analisti danno per probabile — la Grecia avrà in futuro bisogno di altre ristrutturazioni del debito, le perdite derivanti cadranno per lo più sui contribuenti europei, anche perché la quota rimasta ai privati sarà quasi tutta quella sottoposta alla giurisdizione britannica — e non più a quella greca —, il che renderà difficile ogni ristrutturazione. È a questo punto che entra la politica. Da una parte, la nuova situazione spiega perché la Ue, Germania e Olanda in testa, abbiano chiesto un forte controllo sulle prossime decisioni di Atene. Dall'altra, l'idea che Berlino, Parigi, Roma e gli altri debbano sopportare perdite per la Grecia — in teoria fino a 241 miliardi, ma anche solo di 150 nel caso di un default del 60% — preannuncia guai seri e litigi pericolosi in arrivo. *CORRIERE DELLA SERA* MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012 DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Luigi Offeddu [email protected] Monti e Cameron: ora crescita e mercati aperti La missiva alla Ue per lo sviluppo Lettera di Roma e Londra a Bruxelles con altri dieci leader. Fuori Berlino e Parigi I dodici premier pagina Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 6 BRUXELLES — È un colpo di timone che parte da Roma, L'Aia, Londra. E trova il sostegno di altre 9 capitali. Non di Parigi e Berlino. Al culmine della crisi, in quello che senza giri di parole viene definito «un momento pericoloso, con la disoccupazione che sale», 12 leader europei si rivolgono a tutti gli altri: «chiediamo a voi e al Consiglio Europeo di rispondere all'appello dei nostri popoli per le riforme e di aiutare a ristabilire la loro fiducia nella capacità dell'Europa di assicurare una crescita forte e sostenibile». Crescita dunque, non più soltanto rigore finanziario, contro il letargo della recessione. E la crescita ha un nome: apertura dei mercati, un piano anti-crisi in 8 punti per il rafforzamento del mercato interno unico, dall'eliminazione delle «restrizioni anti-competitive» nei servizi, allo sfoltimento delle professioni regolamentate dagli ordini, alla riduzione delle «garanzie implicite per salvare sempre le banche, che distorcono il mercato unico». Perché «le banche, non i contribuenti, dovrebbero essere responsabili per il costo dei rischi che si assumono». Fra le firme in calce all'appello ci sono quelle di governanti dell'Eurozona, e di altri che non ne fanno parte, di Paesi del Nord e del Sud, in un inedito schieramento trasversale: Italia, Gran Bretagna, Olanda, Estonia, Lettonia, Finlandia, Irlanda, Repubblica Ceca, Slovacchia, Spagna, Svezia e Polonia sono lì, nella lettera inviata al presidente stabile della Ue Herman Van Rompuy e al capo della Commissione Europea José Manuel Barroso, in previsione del vertice Ue fissato per il primo marzo. Poi, quelle vistose assenze: mancano, fra i grandi, Germania e Francia, che a dicembre inviarono una lettera ben diversa allo stesso Van Rompuy. Allora, si trattava di lanciare il fiscal compact, il patto di bilancio voluto da Angela Merkel e basato sulla ricetta dell'austerità: aderirono 26 Paesi su 27, restò fuori la Gran Bretagna. Adesso, la Gran Bretagna c'è: e sottoscrive proposte mai prima accettate, soprattutto sul mercato del lavoro. «Esistono alcuni precedenti di lettere francotedesche — avverte il ministro italiano degli Affari Europei Enzo Moavero Milanesi — ora abbiamo un altro gruppo di Paesi che hanno ambizione di contribuire a ispirare il Consiglio Europeo: è importante non viverla né considerarla come contrapposta o in competizione». Forse ha tenuto lontane Parigi e Berlino l'accento forte sulle liberalizzazioni nei singoli Paesi, e il ruolo di controllore assegnato alla Commissione Europea. O ancora, la critica alle garanzie implicite per le banche, non ben accetta a Berlino. In ogni caso il tono della lettera, i temi trattati, e quell'inedito fronte di nazioni — le rigoriste Olanda e Finlandia, e la ricca Svezia, tutte con rating da “tripla A”, insieme con Spagna o Slovacchia — sembrano disegnare un profilo nuovo del continente. Il documento nasce da un'iniziativa del britannico David Cameron, dell'italiano Mario Monti e dell'olandese Mark Rutte, in veste di promotori-mediatori, sulla scia di una lettera inviata da Monti al vertice Ue del 30 gennaio. Almeno in parte sembra ispirarsi poi al rapporto Monti sul mercato unico, della primavera 2010. «Insomma, il contributo italiano al testo è stato decisivo», spiega una fonte diplomatica qualificata. La tesi di fondo: bisogna «modernizzare le nostre economie, costruire una maggiore competitività». Poi, i vari punti: l'apertura del mercato interno dei servizi; la creazione per il 2015 di un mercato unico digitale, e per il 2014 di quello dell'energia; il potenziamento di ricerca e innovazione, l'apertura a mercati globali come l'India; l'alleviamento delle regole Ue sulle piccole e medie imprese. E ancora: l'apertura dei mercati del lavoro a donne e giovani, la riduzione nel numero delle professioni regolamentate con un «nuovo duro test di proporzionalità» da introdurre nelle norme Ue. E la costruzione di un settore dei servizi finanziari «robusto e dinamico». Tutto questo, ancora una volta, perché «abbiamo bisogno di ristabilire fra i cittadini, le imprese e i mercati finanziari la fiducia nella capacità dell'Europa di crescere con forza e di mantenere la sua porzione di prosperità globale». *CORRIERE DELLA SERA* MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012 di: Massimo Mucchetti Fonsai, Unipol attacca Un esposto alla Consob L’ingresso di Palladio e Sator e la corsa dei titoli pagina Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 7 Unipol ha presentato ieri un esposto alla Consob sul caso Fonsai. In tre settimane è passato di mano circa il 30% della compagnia fiorentina: tanto ove si consideri che il 42% è già bloccato in Premafin e Unicredit. Rispetto al 30 gennaio, quando venne reso noto il piano di Unipol, le quotazioni di Fonsai hanno avuto un'impennata del 173%. Alla Commissione di controllo sulla Borsa viene chiesto se tanta frenesia sul titolo non nasconda accordi occulti e asimmetrie informative rispetto al mercato. Finora è stato annunciato soltanto un patto di consultazione tra la Palladio Finanziaria di Roberto Meneguzzo e la Sator del banchiere Matteo Arpe, che hanno rastrellato il 5 e il 3% ma vengono accreditate di quasi il 20%. L'esposto di Unipol si inserisce in un quadro già agitato dal revival dell'inchiesta della Procura di Milano sui rapporti tra la Fonsai e i Ligresti in un turbinare di alti compensi, ricche consulenze e affari infragruppo, proseguiti fino a quando l'Isvap non bloccò la cessione della Tenuta Cesarina, una proprietà dei Ligresti vicino a Roma, alla compagnia di assicurazioni quotata che l'avrebbe dovuta acquistare a prezzi d'affezione. Mentre non è ancora chiaro se e come queste indagini del pm Luigi Orsi possano influenzare le operazioni di salvataggio del gruppo Fonsai, appare invece evidente che Unipol tende a reagire alla scalata di Meneguzzo e Arpe con un atto quasi dovuto sul piano delle regole, ma soprattutto confermando la volontà di andare fino in fondo. La compagnia delle coop è pronta a sottoscrivere l'aumento di capitale di Premafin e ad acquisire così il controllo dell'assemblea ordinaria di Fonsai, e dunque il potere di nominarne i vertici operativi e di iniziare subito l'integrazione industriale con Unipol Assicurazioni. Le fusioni verrebbero dopo, specialmente la più discussa, che è quella con la controllante Premafin. Sul piano delle regole, le indagini sui movimenti azionari da parte di Consob potranno accertare se il patto di consultazione Palladio-Sator, che è anche aperto ad altri, non implichi nei fatti un concerto. Se gli scalatori avessero concertato le loro iniziative, l'Isvap ne sommerebbe le partecipazioni ai fini di autorizzare meno il superamento della soglia del 10%. Viceversa, Palladio, Sator e i loro eventuali alleati potrebbero ciascuno arrivare al 9,9% in santa pace e trovarsi in una posizione rilevante in assemblea. In base all'articolo 68 del codice delle assicurazioni, al superamento della soglia, l'Isvap verifica l'origine dei capitali investiti (propri o di debito e, se propri, di chi), il piano industriale e la competenza assicurativa nonché, in questo caso, la capacità di garantire la ricapitalizzazione di Fonsai. Il cui margine di solvibilità è a quota 75 contro il minimo di 100, pur conteggiando i prestiti subordinati sottoscritti da Mediobanca. Il piano Unipol farebbe affluire mezzi freschi per 1,6 miliardi, attraverso l'aumento di capitale di Fonsai, garantito dal consorzio bancario guidato da Mediobanca, e la fusione con Unipol Assicurazioni ricapitalizzata. La cifra è al netto del debito Premafin conferito con la fusione Premafin-Fonsai (circa 250 dei 370 milioni attuali, essendo la differenza destinata a essere convertita in strumenti di capitale). Il margine del nuovo gruppo sarebbe ben oltre i minimi. Unipol può essere sconfitta da un soggetto capace di lanciare un'Opa su Fonsai e Milano e poi di accollarsene la ricapitalizzazione: oggi ci vorrebbero 2,5 miliardi. Nell'autunno del 2011, quando era chiaro il tracollo e tutto costava meno, nessuna grande compagnia europea si è mostrata interessata a rilevare Fonsai: i 28 miliardi di Btp in portafoglio e l'eredità di 10 anni di Ligresti facevano paura. Riuscirà Arpe, vera testa del rastrellamento, a trovare una terza via vincente? *CORRIERE DELLA SERA* MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012 di: Fabrizio Massaro [email protected] Unicredit pesa sui conti della Crt Palenzona: non corro per il vertice pagina Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 8 MILANO — Fabrizio Palenzona, plenipotenziario della fondazione Crt in Unicredit, primo socio italiano con il 3,85%, si chiama fuori dalla corsa per la presidenza di Unicredit, dopo giorni in cui il suo nome è circolato come possibile pretendente all'incarico ora ricoperto da Dieter Rampl. L'ha fatto ieri sera attraverso un portavoce, dichiarando di «non essere disponibile» in quanto impegnato nei progetti di ampliamento dell'aeroporto di Fiumicino, controllato dalla Adr di cui Palenzona è presidente. L'uscita di Palenzona avviene due giorni dopo le esternazioni di Rampl, che si è detto «pronto» a impegnarsi «a fronte di un progetto di governance valido per tutti gli azionisti italiani e internazionali». Ed è uno dei vari tasselli che ieri si sono composti nella definizione del nuovo board di Unicredit, segno che la campagna elettorale è davvero entrata nel vivo. Ieri sera il comitato nomine dell'istituto (di cui fanno parte Palenzona, Rampl, Vincenzo Calandra Bonaura, Luigi Castelletti, Francesco Giacomin, Luigi Maramotti e il ceo Federico Ghizzoni) ha elaborato i criteri «qualitativi e quantitativi» per la composizione del nuovo Consiglio, con una proposta da discutere al board del 28 febbraio. In sostanza si va verso una riduzione dei consiglieri, oggi pari a 23. Dovrebbero essere meno di 20 — soglia oltre la quale scatterebbero due consiglieri per le minoranze —, ma il numero sarà definito dai soci. La proposta del dimagrimento del Consiglio, insieme con quella di presenze di livello più internazionale e con esperienze nel settore bancario, è fra i desiderata di Rampl che adesso, uscito di scena Palenzona, appare l'unico candidato autorevole alla presidenza, almeno fino a oggi. Toccherà adesso ai soci, a cominciare dalle fondazioni forti Cariverona (3,5%) e Carimonte (ora al 3% dal 2,9%) tradurre la nuova governance in candidati. Tenendo ben presente che agli azionisti storici Unicredit è costata molto cara. Ieri a fare i conti è stata la Crt, da anni rappresentata da Palenzona alla vicepresidenza. Nel 2011 la svalutazione di Unicredit ha fatto scendere il patrimonio dell'ente da 2,9 a 1,9 miliardi (di cui 1,3 miliardi in Piazza Cordusio). Per seguire i tre aumenti del 2008, del 2010 e del 2012 l'ente torinese ha speso 1,051 miliardi. Solo quello del 2012 da 7,5 miliardi è costato 316 milioni, recuperati con debito per 250 milioni e vendendo in perdita le azioni di Banco Popolare (10 milioni), Banco Sabadell (30 milioni), Generali (12 milioni), SocGen (25 milioni). Ciononostante, il bilancio «sano» (come lo ha definito il segretario generale, Angelo Miglietta) ha consentito di chiudere con un avanzo di 7 milioni, dai 161 milioni del 2010. *CORRIERE DELLA SERA* MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012 di: Federico De Rosa Mps, Siena accelera Equinox e Clessidra alleati per il 15% pagina Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 9 MILANO — La Fondazione Montepaschi accelera le trattative per la cessione della partecipazione in Banca Mps e ha concesso a Equinox e Clessidra l'accesso alla data room. I due fondi di private equity hanno siglato un «confidentiality agreement» con la Fondazione, un accordo di riservatezza, che di solito prelude all'avvio di una trattativa in esclusiva. La soluzione ai problemi di indebitamento di Palazzo Sansedoni potrebbe dunque essere vicina. La scorsa settimana il presidente dell'ente senese, Gabriello Mancini, aveva chiesto alle banche creditrici di prorogare lo standstill — il congelamento — dei debiti fino a maggio per avere così il tempo di vendere al meglio gli asset che si è impegnato a cedere per rimborsare gli istituti. I quali sarebbero disponibili a estendere il periodo di grazia, ma solo fino a fine marzo. Della complessa partita sulla ristrutturazione dei debiti della Fondazione e sul futuro della banca ieri ha parlato anche il Financial Times in un lungo articolo dal titolo «Venerabile ma vulnerabile», in cui sottolinea come «le sventure della più antica banca del mondo gettino in subbuglio la città toscana e come il destino dei principali azionisti metterà alla prova la misura della disponibilità italiana ad adattarsi ai cambiamenti». Cambiamenti che si tradurranno in una discesa della Fondazione sotto il 50% nel capitale del Montepaschi, rendendo così la banca contendibile per la prima volta nella sua storia secolare. L'intenzione di Mancini sarebbe quella di collocare la quota — fino al 15% del capitale di Mps — dividendola in due pacchetti. Equinox avrebbe la partecipazione maggiore. Questa soluzione renderebbe più veloce la cessione. Chiunque volesse rilevare l'intera quota, infatti, sarebbe obbligato a chiedere il consenso alla Banca d'Italia, che ha 60 giorni per deliberare. Dividendo il pacchetto in due il nullaosta non sarebbe più necessario. Equinox e Clessidra, inoltre, riuscirebbero a chiudere la partita in tempo utile per presentare una loro lista per il rinnovo del Consiglio di Rocca Salimbeni. La scadenza per la presentazione delle candidature è il 2 aprile ed è ovvio che se i due fondi rileveranno il 15% vorranno contare nella governance. Sul tavolo della trattativa con la Fondazione c'è anche questo tema. L'Ente, tuttavia, non ha la possibilità di promettere posti nel board del Monte né di rinunciare ai suoi per fare spazio ai nuovi soci, altrimenti andrebbe in minoranza nel Consiglio di Mps. Sullo sfondo, intanto, proseguono i movimenti per definire i futuri assetti di vertice della banca senese. E le quotazioni dell'ex amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo, stanno salendo. Il nome sarebbe venuto fuori nel corso dei colloqui tra la Fondazione e Clessidra. L'ex banchiere, racconta chi ci ha parlato in questi giorni, prenderebbe in seria considerazione la possibilità di trasferirsi a Rocca Salimbeni. Ma i giochi non sono ancora chiusi. *CORRIERE DELLA SERA* MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012 Nuove svalutazioni, in bilico la cedola Intesa MILANO — La premessa è scontata: «Non c'è alcuna decisione, è un tema che stiamo analizzando in queste settimane». L'idea che per quest'anno Intesa Sanpaolo chieda un sacrificio sul dividendo appare però più che un'ipotesi nelle parole di Andrea Beltratti. Il quale ieri ha riconosciuto «che gli azionisti in alcuni casi possano avere un'attenzione al dividendo», ma il presidente del consiglio di gestione di Ca' de Sass li ha invitati anche «a guardare al medio lungo periodo, perché quello che conta è l'efficienza dell'utilizzo delle risorse». E questo potrebbe richiedere un taglio sul fronte delle cedole. La decisione sarà presa a marzo, dopo aver esaminato il bilancio. Beltratti ha spiegato che quella dei dividendi «è una delle tematiche che stiamo analizzando insieme alle altre per la chiusura del bilancio. Noi abbiamo fatto gli accantonamenti per i primi 9 mesi dell'anno, adesso vedremo la chiusura dell'esercizio». Il presidente del consiglio di gestione di Intesa ha già anticipato che nella chiusura del bilancio si terrà conto anche delle svalutazione dei cosiddetti «attivi immateriali». Una voce che nell'ultima trimestrale di Unicredit ha pesato per circa 9 miliardi di euro. «Stiamo guardando il tema in relazione al bilancio e ai conti finali. Nei prossimi Consigli ne parleremo, ne abbiamo due a marzo. Credo che la situazione, rispetto a Unicredit, sia però un po' diversa — ha tenuto a sottolineare Beltratti — perché in un caso erano acquisizioni, nell'altro operazioni carta contro carta. Per cui le operazioni sono un po' diverse dal punto di vista della reale sostanza finanziaria». Cifre il banchiere non ne ha date: «Stiamo analizzando la questione». Beltratti, che ha parlato ieri a margine dell'incontro in Borsa Italiana con il premier Mario Monti, ha ribadito l'impegno di Intesa sul debito pubblico assicurando che Ca' de Sass non ha intenzione di ridurre la sua esposizione ai titoli di Stato. «Di sicuro non abbiamo intenzione di ridurla poiché riteniamo che il rapporto tra rischio e rendimento sia ancora interessante — ha detto il banchiere —. Era certamente molto interessante qualche settimana fa perché gli spread erano ancora più elevati, ma riteniamo che sia ancora interessante e che non rispetti il merito di credito del nostro Paese». Intesa parteciperà anche alla prossima asta di liquidità della Bce, «stiamo ultimando le analisi per capire di quanto». In attesa dell'asta l'istituto milanese si è mosso intanto sul mercato collocando ieri un bond senior da 1 miliardo di euro. E, sempre ieri, Intesa ha fatto sapere di aver chiuso il riacquisto del prestito subordinato per 1,22 miliardi, con 180 milioni di euro di plusvalenza. pagina Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 10 F. D. R. *la Repubblica* MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012 di: ANDREA BONANNI Grecia, negoziati nella notte Atene chiede di più ai privati Eurogruppo verso l’ok agli aiuti, l’Olanda punta i piedi Necessario uno sforzo maggiore perché così non si rispetta l´obiettivo di taglio del debito pagina Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 11 BRUXELLES - La Grecia sarà salvata. I ministri dell´eurogruppo riuniti ieri a Bruxelles sembrano decisi a dare il via libera al prestito da 130 miliardi di euro che permetterà di evitare la bancarotta di Atene. Ma, come sempre, il diavolo è nei dettagli. E fino a tarda notte la riunione si è trascinata in negoziati interminabili per far combaciare i pezzi di un «puzzle», come lo ha definito il ministro francese Francois Baroin, che appare tanto complicato quanto fragile. I problemi che ancora restano da risolvere sono sostanzialmente due. Occorre reperire tra cinque e dieci miliardi supplementari necessari, secondo gli esperti della troika europea, per centrare l´obiettivo di una riduzione del debito pubblico greco al 120 per cento del Pil entro il 2020 (ora è al 165 per cento). Inoltre bisogna trovare una formula di "commissariamento" del Paese che garantisca la piena e tempestiva applicazione delle misure concordate: è questa una condizione irrinunciabile posta dai Paesi nordici, in particolare Olanda e Finlandia. La questione dei fondi da reperire ha occupato una buona parte della nottata dei ministri. Il presidente dell´eurogruppo, Jean Claude Juncker, ha escluso un aumento del prestito che «non deve superare i 130 miliardi». Ma la Germania è irremovibile sul fatto che la manovra debba centrare l´obiettivo del 120 per cento del Pil, e non si accontenta del 129 per cento che sarebbe, secondo le proiezioni della troika, il risultato raggiungibile con gli strumenti a disposizione. Per tentare di raggiungere quel traguardo, ieri sera il premier greco Papademos ha cominciato un lungo e snervante negoziato con le banche private, che già hanno accettato un taglio del 70 per cento sul valore nominale dei titoli in loro possesso per spingerle ad ulteriori concessioni. Le altre opzioni sul tavolo sono un abbassamento dei tassi di interesse sul prestito di 130 miliardi. Oppure una formula che consenta alla Bce di restituire ad Atene le plusvalenze che registrerà rivendendo i bond greci in suo possesso. La questione del "commissariamento" è ancora più complessa. La Grecia, grazie anche alla mediazione italiana, avrebbe accettato che il prestito venga versato su un conto bloccato, in modo da garantire che venga utilizzato solo per pagare gli interessi sul debito. Ma l´Olanda non si accontenta. «Abbiamo visto che la Grecia più volte non è riuscita a soddisfare le condizioni che ha posto la comunità internazionale. Per l´Olanda è un problema dover prestare denaro a un Paese che per l´ennesima volta non si è attenuto agli accordi. Quindi per me, e per il governo olandese, è davvero essenziale avere il controllo sul denaro che stiamo per concedere come prestito», ha dichiarato il ministro olandese delle Finanze Jan Kees de Jager. Gli olandesi vorrebbero, oltre al conto bloccato, rendere permanente la missione della troika composta da rappresentanti della Bce, della Commissione e del Fmi. Quanto alla Finlandia, la sua posizione si è ammorbidita solo dopo che la Grecia ha firmato un accordo bilaterale in cui si impegna a versare a Helsinki collaterali per un miliardo in garanzia del 40 per cento della quota finlandese nel prestito europeo. Con l´aria che tira, la pretesa finlandese assomiglia ad un atto di sciacallaggio. Ma a tanto si è ridotta la solidarietà europea. *la Repubblica* MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012 di: MAURIZIO RICCI Il dossier Export e investimenti dall’estero così l’“egoismo” tedesco ha frenato la crescita degli altri Prima della crisi Spagna e Irlanda erano forti sul fronte del bilancio pubblico, ma esposti per le alte importazioni Per ridurre le differenze in Ue servirebbe una politica espansiva di Berlino che invece insiste sull´austerity pagina Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 12 ROMA - Enzo Moavero, il ministro italiano per gli Affari europei, assicura che la lettera di Monti e degli altri 11 leader della Ue sulle strategie per uscire dalla crisi non è un documento contro Francia e Germania. Tuttavia, è la prima volta da molto tempo che, in Europa, emerge una linea che non sia quella dettata preventivamente da Berlino e Parigi. In più, a nessuno sfugge che quel testo, il candidato favorito alle prossime presidenziali francesi, il socialista Francois Hollande, l´avrebbe quasi certamente firmato. Il destinatario, insomma, è Angela Merkel e il suo governo a Berlino. E, a segnare la svolta, c´è anche l´assenza di qualsiasi carineria diplomatica. Lo dimostrano i puntuti riferimenti ai salvataggi bancari operati da Berlino, ma, soprattutto, la logica implicita nella lettera, che va contro il pilastro della strategia seguita e ribadita dai tedeschi negli ultimi due anni. Ovvero che dalla crisi si esce tagliando i debiti e rimettendo i conti in ordine: la crescita seguirà. La lettera suggerisce, invece, che, per affiancare all´austerità la crescita, occorre un intervento attivo, frutto di uno sforzo comune. E´ un avviso difficile da digerire per la Germania, perché, al di là dei singoli interventi proposti, sottintende che gli squilibri che oggi attraversano l´Europa non possono essere curati da una parte sola. Secondo molti economisti, lo squilibrio principale, oggi, in Europa, non è, come ripetono spesso i tedeschi, fra Paesi di finanza pubblica virtuosa e Paesi troppo prodighi. Prima della crisi, Spagna e Irlanda avevano una finanza pubblica più in ordine della Germania. La linea divisoria fra Paesi forti e Paesi deboli è, invece, quella tracciata dai conti con l´estero (il saldo degli scambi di beni e servizi, più gli introiti da investimenti): negli ultimi dieci anni, Grecia, Portogallo, Spagna e Italia hanno sistematicamente registrato deficit nei partite correnti, mentre Germania, Olanda, Finlandia hanno registrato attivi. In buona sostanza, l´euro ha consentito alla Germania di esportare molto e ai Paesi deboli di importare troppo. Negli ultimi mesi, la situazione non è cambiata. La Grecia viaggia con un deficit dei conti correnti dell´8 per cento, il Portogallo del 7, Spagna e Italia del 3, anche la Francia di più del 2 per cento. Mentre, all´opposto, la Germania ha un attivo del 5,7 per cento, l´Olanda del 7,7, la Finlandia di oltre il 3 per cento. L´austerità, soprattutto se imposta a tutta l´Europa, non è una cura. Tagliando la domanda interna, con più tasse e meno spesa pubblica, l´austerità lascia alla crescita - che consente di tagliare più in fretta il debito pubblico - solo lo sfogo delle esportazioni. Ma l´Europa è, fondamentalmente, non diversamente dagli Stati Uniti, un´economia chiusa, in cui il 60 per cento dell´import-export avviene all´interno della Ue. Per esportare di più, Italia e Spagna devono esportare di più soprattutto in Europa. In particolare, in Germania, che è la più grande economia della Ue. L´idea che questi squilibri si curino dalle due parti non è nuova: è quanto viene ripetuto, ad ogni summit mondiale, alla Cina. La Germania è un po´ la Cina d´Europa. Secondo un numero crescente di economisti, dunque, la Germania, simmetricamente all´austerità adottata dai Paesi deboli, Spagna e Italia, ma anche Francia, in testa, dovrebbe varare una politica espansiva - tagli alle tasse e maggiore spesa pubblica - che alimenti la domanda interna, a partire dai consumi, e le importazioni. Una politica espansiva avrebbe anche l´effetto di far muovere prezzi e salari in Germania più velocemente di quanto avvenga nella periferia, consentendo un recupero di competitività più rapido e meno socialmente doloroso di quello che si può verificare, facendo pesare l´aggiustamento solo sui Paesi deboli. Al di là dei finanziamenti ai diversi fondi di salvataggio e dei margini di manovra lasciati alla Banca centrale europea per tamponare le crisi del debito sui mercati, la politica economica tedesca appare, a questi economisti, la leva per evitare che si solidifichi un´Europa a due velocità. Per ora, comunque, la Germania si sta muovendo in direzione esattamente opposta. Austerità è la parola d´ordine anche a Berlino. Il ministro delle Finanze, Wolfgang Schauble, ha appena annunciato che il pareggio di bilancio, previsto per il 2016, sarà anticipato al 2014. *la Repubblica* MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012 DAL NOSTRO CORRISPONDENTE: Federico Rampini Le idee Se il deficit non è un peccato la rivoluzione copernicana dei nuovi economisti Usa Galbraith junior: la crisi non si cura con l’austerity È la Modern Monetary Theory: più spesa pubblica e più debito da finanziare con la liquidità delle banche centrali Come dopo il crollo del ’29 il grande crac partito nel 2008 ha prodotto una dottrina che vuole spazzare via le ideologie dei governi pagina Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 13 NEW YORK – Le grandi crisi partoriscono grandi idee. Così fu dopo il crac del 1929 e la Depressione. Per uscirne, l´Occidente usò il pensiero di John Maynard Keynes, scoprì un ruolo nuovo per lo Stato nell´economia, inventò le politiche sociali del New Deal e la costruzione del moderno Welfare State. Oggi siamo daccapo. L´eurozona sprofonda nella sua seconda recessione in tre anni. Gli Stati Uniti malgrado la ripresa in atto pagano ancora i prezzi sociali elevatissimi della Grande Contrazione iniziata nel 2008 (almeno 15 milioni di disoccupati). Ma dall´America una nuova teoria s´impone all´attenzione. Si chiama Modern Monetary Theory, ha l´ambizione di essere la vera erede del pensiero di Keynes, adattato alle sfide del XXI secolo. Ha la certezza di poter trainare l´Occidente fuori da questa crisi. A patto che i governi si liberino di ideologie vetuste, inadeguate e distruttive. È una rivoluzione copernicana, il cui alfiere porta un cognome celebre: James K.Galbraith, docente di Public Policy all´università del Texas e consigliere "eretico" di Barack Obama. James K. Galbraith è figlio di uno dei più celebri economisti americani, quel John Kenneth Galbraith che fu grande studioso della Depressione e consulente di John Kennedy. Il nuovo Verbo che sconvolge i dogmi degli economisti, assegna un ruolo benefico al deficit e al debito pubblico. È un attacco frontale all´ortodossia vigente. Sfida l´ideologia imperante in Europa, che i "rivoluzionari" della Modern Monetary Theory (o Mmt) considerano alla stregua di un vero oscurantismo. Quel che accade in questi giorni a Roma e Atene, l´austerity imposta dalla Germania, per i teorici della Mmt non è soltanto sbagliata nei tempi (è pro-ciclica: perché taglia potere d´acquisto nel bel mezzo di una recessione), ma è concettualmente assurda. Un semplice esercizio mette a nudo quanto ci sia di "religioso" nella cosiddetta saggezza convenzionale degli economisti. Qualcuno ha provato a interrogare i tecnocrati del Fmi, della Commissione Ue e della Banca centrale europea, per capire da quali Tavole della Legge abbiano tratto alcuni numeri "magici". Perché il deficit pubblico nel Trattato di Maastricht non doveva superare il 3% del Pil? Perché nel nuovo patto fiscale dell´eurozona lo stesso limite è stato ridotto a 0,5% del Pil? Chi ha stabilito che il debito pubblico totale diventa insostenibile sotto una soglia del 60% oppure (a seconda delle fonti) del 120% del Pil? Quali prove empiriche stanno dietro l´imposizione di questa cabala di cifre? Le risposte dei tecnocrati sono evasive, o confuse. La Teoria Monetaria Moderna fa a pezzi questa bardatura di vincoli calati dall´alto, la considera ciarpame ideologico. La sua affermazione più sconvolgente, ai fini pratici, è questa: non ci sono tetti razionali al deficit e al debito sostenibile da parte di uno Stato, perché le banche centrali hanno un potere illimitato di finanziare questi disavanzi stampando moneta. E non solo questo è possibile, ma soprattutto è necessario. La via della crescita, passa attraverso un rilancio di spese pubbliche in deficit, da finanziare usando la liquidità della banca centrale. Non certo alzando le tasse: non ora. Se è così, stiamo sbagliando tutto. Proprio come il presidente americano Herbert Hoover sbagliò drammaticamente la risposta alla Grande Depressione, quando cercò di rimettere il bilancio in pareggio a colpi di tagli (stesso errore che fece Franklin Roosevelt nel 1937 con esiti nefasti). Il "nuovo Keynes" oggi non è un profeta isolato. Galbraith Jr. è solo il più celebre dei cognomi, ma la Mmt è una vera scuola di pensiero, ricca di cervelli e di think tank. Così come la destra reaganiana ebbe il suo pensatoio nell´Università di Chicago (dove regnava negli anni Settanta il Nobel dell´economia Milton Friedman), oggi l´equivalente "a sinistra" sono la University of Missouri a Kansas City, il Bard College nello Stato di New York, il Roosevelt Institute di pagina Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 14 Washington. Oltre a Galbraith Jr., tra gli esponenti più autorevoli di questa dottrina figura il "depositario" storico dell´eredità keynesiana, Lord Robert Skidelsky, grande economista inglese di origine russa nonché biografo di Keynes. Fra gli altri teorici della Mmt ci sono Randall Wray, Stephanie Kelton, l´australiano Bill Mitchell. Non sono una corrente marginale; tra i loro "genitori" spirituali annoverano Joan Robinson e Hyman Minsky. Per quanto eterodossi, questi economisti sono riusciti a conquistarsi un accesso alla Casa Bianca. Barack Obama consultò Galbraith Jr. prima di mettere a punto la sua manovra di spesa pubblica pro-crescita, così come fece la democratica Nancy Pelosi quando era presidente della Camera. Ma la vera forza della nuova dottrina viene dai blog. The Daily Beast, New Deal 2.0, Naked Capitalism, Firedoglake, sono tra i blog che ospitano l´elaborazione del pensiero alternativo. Hanno conquistato milioni di lettori: è una conferma di quanto ci sia sete di terapie nuove, e quanto sia screditato il "pensiero unico". La Teoria Monetaria Moderna è ben più radicale del pensiero "keynesiano di sinistra" al quale siamo abituati. Perfino due economisti noti nel mondo intero come l´ala radicale che critica Obama da sinistra, cioè i premi Nobel Paul Krugman e Joseph Stiglitz, vengono scavalcati dalla Mmt. Stephanie Kelton, la più giovane nella squadra, ha battezzato una nuova metafora… ornitologica. Da una parte ci sono i "falchi" del deficit: come Angela Merkel, le tecnocrazie (Fmi, Ue), e tutti quegli economisti schierati a destra con il partito repubblicano negli Stati Uniti, decisi a ridurre ferocemente le spese. Per loro vale la falsa equivalenza tra il bilancio di uno Stato e quello di una famiglia, che non deve vivere al di sopra dei propri mezzi: un paragone che non regge, una vera assurdità dalle conseguenze tragiche secondo la Mmt. Poi ci sono le "colombe" del deficit, i keynesiani come Krugman e Stiglitz. Questi ultimi contestano l´austerity perché la giudicano intempestiva (i tagli provocano recessione, la recessione peggiora i debiti), però hanno un punto in comune con i "falchi": anche loro pensano che a lungo andare il debito crea inflazione, soprattutto se finanziato stampando moneta, e quindi andrà ridotto appena possibile. Il terzo protagonista sono i "gufi" del deficit. Negli Stati Uniti come nell´antica Grecia il gufo è sinonimo di saggezza. I "gufi", la nuova scuola della Mmt, ritengono che il pericolo dell´inflazione sia inesistente. Secondo Galbraith Jr. «l´inflazione è un pericolo vero solo quando ci si avvicina al pieno impiego, e una situazione del genere si verificò in modo generalizzato nella prima guerra mondiale». Di certo non oggi. Il deficit pubblico nello scenario odierno è soltanto benefico, a condizione che venga finanziato dalle banche centrali: comprando senza limiti i titoli di Stato emessi dai rispettivi governi. Ben più di quanto hanno iniziato a fare Ben Bernanke (Fed) e Mario Draghi (Bce), questa leva monetaria va usata in modo innovativo, spregiudicato: l´esatto contrario di quanto sta avvenendo in Europa. *la Repubblica* MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012 di: LUCA PAGNI È scontro per la superutility del Nord Tre ipotesi per l’aggregazione e tra le banche d’affari battaglia per le consulenze Fusione in un unico gruppo, scorporo dei rami di attività o aggregazioni in più tappe Vegas: “La Consob prenderà una decisione sull´Opa di Foro Buonaparte entro la settimana” pagina Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 15 MILANO - Sarà anche vero, come confermano gli addetti ai lavori, che non ci sono tavoli tecnici all´opera. Ma il tema è ormai all´ordine del giorno di tutte le società coinvolte. Al punto che ormai è già scontro sulla soluzione con cui dar vita alla superutility italiana, da costruire secondo il modello della tedesca Rwe. E con le banche d´affari che stanno facendo a gara per proporsi come possibili consulenti per un´operazione che potrebbe dominare la scena per almeno una paio di stagioni. Del resto, la firma degli accordi per il passaggio di Edipower sotto il controllo di A2a e Iren, con il beneplacito del governo Monti, ha dato il via al cantiere per la creazione di un campione nazionale che partendo dall´elettricità, si occupi anche di reti idriche e gestione dei rifiuti. Un progetto di cui si sta occupando anche il ministro per lo Sviluppo economico Corrado Passera, già garante con il gruppo francese Edf per gli accordi sul divorzio da Edison. E nel quale, primo o poi, potrebbe giocare un ruolo di primo piano il Fondo strategico della Cdp, come possibile socio. Ma di quale società? Le possibile strade per la creazione della Rwe italiana - su cui hanno già iniziato a discutere informalmente le società - sono tre. La prima prevede la fusione da subito di tutte le società quotate in Borsa. Da un punto di vista finanziario è la più semplice, perché il mercato attribuisce dei valori certi alle azioni. Mediobanca, per esempio, sta già facendo circolare un documento in cui ha ricostruito, ai valori attuali a Piazza Affari, come potrebbe essere rappresentato l´azionariato. Con i comuni che controllano una holding che a sua volta controlla le società a livello locale, con successiva quotazione in Borsa della holding (come si vede nel grafico a fianco). La soluzione darebbe autonomia ai manager perché nessun comune avrebbe più del 18% delle quote. Ma, allo stesso tempo, mettere insieme tante realtà diverse e affrontare il voto di decine di consigli comunali apre la fusione a più di una incognita, a cominciare dai tempi. La seconda via individuata passa dalla fusione non delle società ma dei rami di attività. Le aziende dovrebbero conferire i propri asset per formare aziende attive nell´elettricità piuttosto che nei rifiuti o nell´acqua. Si comincerebbe proprio dall´energia, visto che A2a e Iren controllano già Edipower: tutti gli altri gruppi conferirebbero le centrali di loro proprietà per poi ritirare l´energia pro quota, sfruttando però sinergie, a partire dagli acquisti di materia prima. Un´operazione meno complessa politicamente ma che i tecnici sostengono abbia ampie controindicazioni per la difficoltà nel valutare economicamente le centrali. Per non dire che alcune società come Hera non hanno di fatto produzione. La terza strada è quella di continuare come è avvenuto, fino ad ora, per aggregazioni successive con non più di due aziende per volta. In questo caso la controindicazione è quella di allungare i tempi della Rwe italiana sine die. Oltre a decidere quali siano le accoppiate migliore. «In ogni caso - come racconta uno dei manager coinvolti - l´importante è che in un aggregazione ci sia un progetto industriale e che la politica sia pronta a fare un passo indietro». *la Repubblica* MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012 di: VITTORIA PULEDDA Riassetto Fonsai, vola la Milano Unipol chiede l’esenzione Opa Cimbri va in Consob, il mercato crede allo spezzatino Tra domani e dopo i cda delle società dei Ligresti e quello della compagnia bolognese pagina Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 16 MILANO - Il quesito sull´esenzione dell´Opa su Fonsai sbarca in Consob. Ieri "in serata", come specifica lo stesso comunicato del gruppo, Unipol ha presentato formalmente all´autorità di vigilanza la domanda per saltare l´offerta pubblica su Fonsai, dopo che avrà sottoscritto l´aumento di capitale di Premafin riservato appunto a via Stalingrado; l´esenzione rappresenta la condizione per procedere all´intera operazione. Prima dell´annuncio, la giornata di Borsa era trascorsa a parti invertite per le azioni della galassia FonsaiUnipol. Per una volta infatti i titoli Fonsai si sono presi una pausa (-0,92%) mentre hanno corso senza sosta le Milano: la preziosa controllata ha strappato al rialzo - con le conseguenti sospensioni - per poi guadagnare in chiusura il 24,33%, a 0,34 euro, tra scambi vorticosi. Molto bene è andata anche Unipol, che ha terminato la seduta con un rialzo dell´8,7%. Ma a parte l´andamento di Borsa, ieri la scena se l´è presa la Consob. Prima con l´audizione di Carlo Cimbri, amministratore delegato di Unipol, ascoltato dagli uffici della Commissione nell´ambito del processo di acquisizione di elementi sulla vicenda che sta portando a sentire tutti i protagonisti della scena. In prima battuta la settimana scorsa era stato sentito Roberto Meneguzzo, per Palladio Finanziaria, mentre per Fonsai era andato a Roma Piergiorgio Peluso (sentito soprattutto in relazione ai numeri della compagnia, cambiati più volte negli ultimi tempi). A quanto trapela, domani dovrebbe essere la volta di Matteo Arpe per la Sator; ieri invece è toccato a Cimbri fare il punto della situazione. Nei prossimi giorni, forse proprio giovedì (non è stato ancora convocato formalmente) si dovrebbe tenere anche un consiglio Unipol, per fare il punto della situazione; tra domani e dopodomani invece sono già stati fissati i consigli delle società che fanno capo ai Ligresti. A questo punto il passaggio più caldo è proprio l´esenzione dall´Opa. Che vede da una parte lo stato di difficoltà innegabile di Fonsai (il Solvency margin della compagnia dovrebbe essere a fine 2011 intorno a quota 75%) ma dall´altra c´è anche un indubbio interesse del mercato sulla medesima compagnia; considerazione questa che potrebbe spingere la Consob a riconsiderare l´opportunità di concedere ad una parte l´esenzione dell´opa. Occorre ricordare che non solo l´8% di Fonsai è stato comprato da Palladio e Sator, ma che in un mese il titolo ha guadagnato il 162%. Molto meno è cresciuto - nello stesso periodo - il titolo della Milano. Oggetto, ieri, di un report positivo di Banca Akros. Aleggia sulla compagnia - nell´ipotesi di uno spezzatino - la possibilità di una vendita a parte anche se alcuni analisti sono scettici: Fonsai senza la controllata sarebbe un boccone troppo poco appetibile, al momento. *la Repubblica* MARTEDÌ, 21 FEBBRAIO 2012 Il comitato proporrà al cda del 28 qualità e numeri del futuro board Presidenza Unicredit Palenzona non è in corsa Il numero uno della Crt: “Solo rumors, devo concentrarmi sul mio lavoro in Adr” pagina Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 17 MILANO - Fabrizio Palenzona si chiama fuori dalla presidenza Unicredit. Il potente vice presidente «in merito a rumors di stampa precisa che non intende candidarsi alla presidenza. L´attività che dovrà svolgere nelle nuove sfide di Aeroporti di Roma, di cui è presidente – continua una nota del portavoce – sarà molto impegnativa. Palenzona non intende quindi lasciare a metà la missione che gli azionisti di Adr gli hanno affidato». Il gruppo romano, che ha da investire 12,1 miliardi fino a fine concessione (2044) per ampliare lo scalo Leonardo da Vinci, non può insomma vederlo tirarsi indietro, dopo l´accordo preso con la famiglia Benetton azionista. Molto probabile, tuttavia, che Palenzona resti vice presidente di Unicredit, nel cda che sarà votato l´11 maggio. Dietro le quinte, e al di là delle dichiarazioni, era piuttosto prevedibile che Palenzona preferisse conservarsi il ruolo, più defilato, di vicepresidente per conto di fondazione Crt, che con il 3,8% è il primo socio italiano in banca. Ieri nel bilancio 2011 dell´ente torinese s´è visto lo sforzo profuso per sostenere l´istituto, e che ha azzerato l´avanzo di gestione (7 milioni, da 161 nel 2010) per svalutazioni e minusvalenze sulla quota Unicredit dopo l´aumento da 7,5 miliardi. Senza cui l´avanzo sarebbe stato 133 milioni. Piuttosto, pare che le fondazioni e Palenzona stiano valutando se hanno forza bastante per imporre un presidente diverso da Dieter Rampl; magari italiano. Ieri il Comitato nomine e governance di gruppo s´è riunito, «proseguendo le analisi dei profili di professionalità» richieste da Eba e Bankitalia. Il Comitato «ha definito una proposta con i criteri per la composizione ottimale del cda, qualitativa e quantitativa». Si parla di professionalità solide nei vari business operativi, e di poltrone da ridurre tra 17 e 19 (oggi 23, scesi a 20 dopo tre dimissioni). La proposta sarà portata al cda del 28. Rampl, in "campagna elettorale" per il rinnovo – e per dare un tono più internazionale al cda – sabato ha detto che accetterà il terzo mandato solo con il consenso di tutti, italiani ed esteri. E ieri: «Aspettiamo uno o due giorni per le reazioni dei soci». (a.gr.) La Fiba-Cisl Vi augura di trascorrere una giornata serena A Arrrriivveeddeerrccii aa domani 22 Febbraio pagina Rassegna Stampa del giorno 21 Febbraio 2012 Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007 18 ppeerr uunnaa nnuuoovvaa rraasssseeggnnaa ssttaam mppaa!!