la caduta delle certezze
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la caduta delle certezze
LA CADUTA DELLE CERTEZZE di Giuseppina Trifiletti PREMESSA Profondo è il mondo, è più profondo di quanto abbia pensato il giorno (Nietzsche) Nietzsche aveva polemizzato con il meccanicismo e con il positivismo ottocentesco e con tutto ciò che voleva rendere simile e calcolabile quello che invece è per sua natura eterogeneo e incalcolabile. Il ”pensiero del giorno”, come lui stesso lo chiamò, ricerca nella natura un senso e una razionalità che non ci sono. Egli invece ritenne il pensiero notturno più adatto a scrutare la profondità e la complessità del mondo proprio perché non pretende di renderlo più semplice e meno inquietante. Il filosofo negò dio, il mondo e l’io, profetizzò la caduta di tutti i valori entro i due secoli seguenti. Egli aveva preannunciato il nichilismo. Morì nel 1900 prima che si concretizzasse quanto aveva ipotizzato. La filosofia del novecento è pervasa da questo atteggiamento nichilista e anche per questo motivo sono emerse un’idea della verità e una comprensione della realtà più ricche di sfaccettature. Vorrei qui mettere in evidenza quali sono state le problematizzazioni nella fisica del novecento, perché mi pare di poter riconoscere anche nella scienza la caduta delle certezze che il filosofo aveva previsto nella cultura che sarebbe seguita. LA REALTÀ DEL MONDO L’empirismo logico e le novità della geometria e della fisica. La scienza ha oggi acquistato una nuova consapevolezza: perduto l’ottimismo si rende conto che la realtà è inafferrabile. Mette in crisi il realismo più ingenuo, quello del senso comune, per il quale accedere al reale sembra immediato, e supera anche il positivismo ottocentesco, con la sua fiducia radicale nella possibilità da parte della scienza di scoprire leggi di natura con capacità di previsione. È il caso di sottolineare che il positivismo è diverso dal realismo più ingenuo, perché è una filosofia dell’esperienza, e come tale pone l’accento sul fatto che ogni conoscenza si riferisce esclusivamente all’insieme delle osservazioni. Nella prima metà del novecento si delinea un indirizzo di pensiero che tiene conto delle nuove teorie dovute ad Einstein e ai fisici che, pur controvoglia, nel 1900 a iniziare da Planck, hanno dato l’avvio alla fisica dei quanti. Si tratta dell’empirismo logico o neopositivismo. Questo nuovo indirizzo filosofico attribuisce a sé il compito di chiarire concettualmente i nuovi orientamenti sia della fisica che della matematica e, tra l’altro, non ritiene sia proprio della scienza l’attribuzione dei fatti osservati a una realtà indipendente, pur non negando l’esistenza di questa realtà. Vediamo ora brevemente quali sono stati i progressi fatti dal pensiero scientifico che hanno destato interesse nei neopositivisti. Proprio nell’intento di assumere un assetto più rigoroso, fin dall’inizio dell’ottocento nella geometria si era delineata una crisi, e successivamente la crisi dei fondamenti aveva coinvolto tutta la matematica. Prima dell’avvento delle geometrie non euclidee si pensava che la nostra intuizione non commettesse errori geometrici. e ci fornisse quindi l’unica rappresentazione corretta della realtà. Con la legittimazione delle geometrie non euclidee si dovette rinunciare a questo rapporto immediato tra l’intuizione e la realtà. Anche Einstein ritenne che la geometria fosse una costruzione dell’intelletto che può essere sostituita ed infatti fu da lui sostituita con la geometria di Riemann all’interno della teoria della relatività generale. Per quanto riguarda la fisica quantistica, questa mise in evidenza l’inadeguatezza del determinismo e la realtà così divenne sempre meno raggiungibile. A questi modelli scientifici si ispiravano i filosofi neopositivisti, che rinunciarono quindi all’ingenuo modello meccanicistico ottocentesco. REALTÀ E NUOVA FISICA Vogliamo ora esaminare più da vicino alcuni aspetti delle nuove conquiste della fisica. Le idee di Einstein Einstein non era così sprovveduto da ritenere che la teoria riproducesse tale e quale il mondo oggettivo e si proponeva di bandire i pregiudizi chiari e distinti, rifiutando però del neopositivismo il debole concetto di realtà che vi era alla base. La sua teoria della relatività infatti aveva la pretesa di essere una concezione scientifica rigorosa che voleva costruire una rappresentazione del mondo, lontana sì dall’intuizione immediata, ma non di certo un prodotto della pura immaginazione. Einstein sapeva però anche che l’esperienza non può dar luogo, di per se stessa, ad una costruzione scientifica ed è stata questa consapevolezza a farlo diventare un po’ filosofo. Anche se appare strano, possiamo affermare che la sua teoria fa parte della fisica classica perché è deterministica e si riferisce ad un mondo oggettivo e comprensibile. Vogliamo inoltre aggiungere con Feynman che essa è soltanto una modifica secondaria se paragonata alla scoperta che le leggi del moto di Newton non valgono se applicate agli atomi, come era emerso in quei decenni, scoperta che portò alla fisica quantistica. Mi pare anche utile ricordare che il principio di relatività non significa una relativizzazione delle leggi della fisica ed è estraneo al luogo comune secondo il quale “tutto è relativo”. Significa invece che non ha senso parlare di un sistema di riferimento assoluto in quiete, dato che in via sperimentale si possono determinare solo moti relativi ed anzi la validità generale delle leggi dell’elettromagnetismo si fondano sul principio di relatività. La descrizione einsteiniana non è fantastica ma è paragonabile ad un quadro surrealista, che è pur sempre una luminosa rappresentazione della realtà anche se piuttosto strana. Figura 1 "Il castello sui Pirenei” di Magritte" Einstein e la fisica quantistica Non abbiamo ancora finito di parlare del pensiero di Einstein perché dobbiamo chiarire meglio qual era il suo atteggiamento nei confronti della realtà per confrontarlo con quello dei fisici della teoria dei quanti. Secondo Einstein la credenza in una realtà indipendente è il modo meno fantasioso che abbiamo di spiegare la regolarità delle nostre osservazioni: siamo sicuri che domani sorgerà il sole, e questo lo attribuiamo non ad una abitudine ma all’esistenza di un mondo esterno a noi. “Tutti gli uomini ivi compresi i teorici quantistici,” egli ironicamente sostiene, “credono fermamente nella tesi della realtà finché non iniziano a discutere i fondamenti della teoria quantistica.” 4Einstein sapeva bene che i principi fondamentali di quella teoria non erano interpretabili come descrizione di ciò che è, e per questo fece il possibile per farne notare le carenze, ma non ebbe fortuna e morì convinto che quella teoria sarebbe stata superata. Ma ancora oggi un tentativo di rifondazione della teoria. che permetta una interpretazione realista porterebbe in un labirinto di ambiguità, e questo ha un po’ scoraggiato i ricercatori *, che del resto sono anche influenzati dalla filosofia positivista e dunque contestano il senso di una tale ricerca perché trovano privo di significato chiedersi come effettivamente sia la natura nella sua oggettività ed anche perché si comporti in un determinato modo; quel che interessa veramente è solo l’accordo con i dati sperimentali. Einstein di questa teoria avversava anche l’aspetto probabilistico che aveva sostituito la certezza della prevedibilità del comportamento della natura. Il fatto è che i fenomeni atomici risultavano decisamente strani, e per questo la fisica quantistica sembrava una teoria assurda, ma in realtà non lo era. Per poter cogliere ciò che accade a livello atomico bisogna non solo rinunciare al senso comune più immediato, ma direi quasi abituarsi al paradosso, oppure rinunciare a rappresentarsi la realtà. Che cosa rimane della realtà con la fisica dei quanti? Due sono quindi le fasi che hanno prodotto i cambiamenti fondamentali. Per mezzo della teoria della relatività, concetti come quelli di spazio e tempo vennero modificati. Il tempo assoluto, indipendente dal sistema di riferimento, era considerato una evidenza irrinunciabile, ed Einstein costrinse a modificare tale convinzione e, per quanto riguarda lo spazio, questo divenne tutt’uno con la materia e il campo gravitazionale; e ciò fu possibile grazie alle idee di Einstein sulla geometria. Successivamente ci fu la discussione sul concetto di materia, imposta dai risultati sperimentali riguardanti la struttura atomica. L'idea della realtà della materia era stata uno dei concetti più consolidati del secolo XIX e proprio questa idea fu poi modificata. La scoperta che le leggi del moto di Newton non valgono nell’atomo, lo strano comportamento degli elettroni nella materia, la coesistenza di due aspetti incompatibili nello stesso oggetto, onda-corpuscolo, l’impossibilità di conoscere contemporaneamente posizione e quantità di moto con la precisione voluta, e tante altre conseguenze sconvolgenti, crearono inizialmente un “certo panico”. Mi pare interessante, per concludere questa prima parte, sottolineare che la teoria dei quanti fa dell’incompletezza della conoscenza una componente della stessa teoria. Il principio di indeterminazione riapre infatti le porte all'imprevedibilità, alla contingenza, al caso. 1 Si può pensare quindi ad essa come ad un'epistemologia scientifica tutta tesa a calare l'indeterminazione dove non si era visto che determinazione. Non solamente, ma come si è detto nella prima relazione, viene scoperto un importante nesso tra osservatore e fenomeno, un’influenza che cambia in modo radicale il nostro atteggiamento nei confronti della conoscenza del mondo reale. 1 anche se oggi si fanno tentativi significativi per una teoria che mantenga la stessa aderenza ai dati sperimentali ma sia più vicina ad un “sano” realismo. Ed è per questo che ora mi viene in mente una figura ambigua, di quelle che solamente l’osservatore può interpretare, può ad esempio vederci un vaso da fiori o due profili, oppure una giovane o una-vecchia come nella figura che segue. Figura 2 "La giovane-vecchia di Boring" Voglio ricordare anche una frase di Oscar Wilde:” Il vero mistero del mondo è il visibile non l’invisibile.” Viene forse restituito l’incanto al mondo, come vuole Nietzsche? IL VALORE DELLE LEGGI Fino ad ora ci siamo un po’ dilungati sul rapporto tra fisica e realtà del mondo e siamo forse ancora un po’ sconcertati soprattutto per le stranezze della fisica di quanti. Ma anche se rifiutassimo quanto abbiamo detto fino qui e testardamente volessimo semplicemente accontentarci della fisica classica rifugiandoci nelle sue rassicuranti leggi non potremmo affatto starcene tranquilli e privi di problemi. Vediamo perché. Di fronte alle nuove e inquietanti scoperte della fisica quella classica sembrava invece aver raggiunto il massimo della perfezione e solo verso il 1975 ci si rese conto che sistemi semplici, di cui sembrava essere noto tutto, presentavano un comportamento imprevedibile. Non stiamo parlando, ripeto, né di fisica relativistica né quantistica, ma semplicemente di fisica classica. Gli aspetti statistici della meccanica classica sono stati ripresi in considerazione soltanto verso il 1960, con l’avvento dei calcolatori elettronici. Si è così potuto analizzare con l’aiuto del calcolatore il comportamento di sistemi di cui non è nota la soluzione delle equazioni del moto. Solo successivamente si è dovuto constatare che anche sistemi di cui si sapevano risolvere le equazioni avevano un comportamento imprevedibile. Sappiamo che già nel 1860 Maxwell aveva elaborato la teoria cinetica dei gas che è il primo capitolo della meccanica statistica. Tale teoria rappresentava l’unica strada possibile per descrivere il comportamento dei gas. In questo caso però l’ipotesi del caos molecolare, l’imprevedibilità dei moti molecolari e quindi la descrizione statistica del sistema, non è un ostacolo, ma il fondamento indispensabile della teoria. I fisici sono stati costretti a riconoscere, dal 1960, che, a causa della caoticità del moto di qualunque sistema, il potere di predizione delle leggi della fisica è limitato. Non solo ma anche la complessità degli oggetti limita il potere di spiegazione degli stessi. Il caos deterministico e la complessità mettono in crisi il mondo semplice della scienza postgalileiana . Il potere di predizione Il caos deterministico non è una prerogativa di sistemi molto complicati, come abbiamo già affermato, ma è presente già nella fisica di pochi oggetti. Vediamo perché. Quando si studia un fenomeno non si parta mai da un punto geometrico da cui emerge una sola linea del futuro, ma si parta in genere da una piccola macchia dato che le condizioni iniziali non sono determinabili con precisioni assoluta. Da questa macchia iniziale emergono a ventaglio linee divaricate, che fanno evolvere il sistema in modo completamente diverso. Consideriamo per esempio un urto perfettamente frontale tra due sfere elastiche uguali, dove ogni sfera rimbalza a 180° rispetto alla direzione iniziale. Basterà però un piccolissimo scostamento dalla condizione di urto frontale perché le traiettorie siano deviate di angoli sensibilmente diversi da 180°. Se le sfere sono più di due allora le conseguenze di una minima perturbazione nelle condizioni iniziali saranno notevoli dopo due o tre urti soltanto. Anche se si conoscono le equazioni del moto e si sa come risolverle, non è possibile fare previsioni sull’evoluzione del sistema meglio di quanto si possa fare con un moto casuale. Il fisico russo Chiricov ha dimostrato che per un sistema di palle da biliardo l’azione perturbativa dell’interazione gravitazionale, dovuta alla presenza di una persona nella sala del biliardo, è già sensibile dopo nove urti. Per prevedere l’evoluzione di un sistema in un tempo lungo a piacere è necessario conoscere le condizioni iniziali con precisione infinita, i valori delle posizioni e delle velocità dovrebbero essere date con un numero infinito di cifre decimali. Il potere di spiegazione Accanto alla complessità dinamica del caos deterministico, vediamo emergere una complessità strutturale consistente nella difficoltà, e forse nell'impossibilità di descrivere in modo soddisfacente un oggetto complicato riducendolo a pochi componenti elementari. Di questa complessità dell’oggetto ci si è accorti cercando di costruire robot che vedono. Alcuni pensano che parte integrante della struttura dell’oggetto sia la visione d’insieme, “il tutto”, che non è semplicemente la somma delle parti, così come una casa non è solo un insieme di mattoni, in quanto fa parte integrante di essa anche il progetto dell’architetto. Altri, i riduzionisti, credono però che non ci sia nulla, per quanto complesso, che non possa essere capito: per capire basta “sbucciare” ad una ad una le apparenze, per mettere alla luce il nucleo centrale che è sempre di insuperabile semplicità; è solo questione di tempo. La complessità apparente è secondo loro solo semplicità organizzata. Tutti però sono concordi nel riconoscere l’estrema difficoltà di descrivere l’oggetto senza ambiguità. in modo tale che una macchina possa riconoscerlo. I frattali come rappresentazione visiva del caos e della complessità Mi pare interessante aggiungere infine anche l’osservazione di Mandelbrot, matematico tra i fondatori della geometria frattale: ”Non si può comprendere tutto per mezzo del cervello senza far intervenire l’occhio e la mano. Facendo intervenire l’occhio e la mano nella matematica, non soltanto abbiamo trovato la bellezza antica, che resta intatta, ma abbiamo trovato una bellezza nuova, nascosta e straordinaria” La bellezza antica per Mandelbrot è la bellezza astratta della matematica; la bellezza nuova è la rappresentazione della teoria mediante una stupefacente curva frattale, figura e forma del mondo naturale che, tra l’altro, per la sua “nuova” complessità non può essere descritta dalla geometria euclidea. frattali LA SCIENZA METAFORA DELLA REALTÀ Nella scienza si fa uso comunemente del termine “modello” che però ha assunto e assume vari significati. Può essere una semplificazione di dati reali. Per esempio i sistemi isolati non esistono, ma la mente umana ha bisogno di semplificare per poter studiare ed analizzare e quindi procede a idealizzazioni utili. Un secondo modo di intendere il termine è conseguenza dei cambiamenti delle teorie. Il passaggio dalla fisica newtoniana alla teoria della relatività ha fatto retrocedere al rango di modello la teoria di Newton, anche se è usata ancora dai fisici per certi calcoli. È diventata un modello nel senso che oggi non può pretendere di essere una descrizione del reale. Un altra accezione del termine è dovuta al fatto che il linguaggio dei fisici che hanno a che fare con la realtà atomica è solo in grado di produrre delle raffigurazioni nella mente ed insieme con esse la convinzione che quelle raffigurazioni rappresentano solo una tendenza verso la realtà.Questo è uno dei motivi che ci permettono di affermare che la conoscenza scientifica assume oggi un valore fondamentalmente analogico, e il termine “modello” si può sostituire con il termine “metafora” in grado di cogliere solo qualcosa del mondo in cui viviamo. La “metafora “ mira ad esprimere nel linguaggio dell’oggettività “forte”, una verità che ha senso solo in una visione che rinuncia a questo tipo di aderenza al reale; basti pensare ai vari modelli atomici, all’elettrone descritto come una trottola che ruota su se stesso e intorno al nucleo. L’INFLUENZA DELL’IO La scienza occidentale è stata spesso criticata per il suo eccessivo dualismo, per la distinzione, cioè, sempre presente tra osservatore ed osservato, tra soggetto ed oggetto. Con il tempo però l’attenzione si è spostata sull’osservatore. La meccanica quantistica, come sappiamo, ha posto il problema dell’importanza dell'osservatore per il risultato di un'esperienza, tanto che si può dire che il fenomeno non è solo il fatto nel senso classico del termine, ma che il fatto, lo strumento e l'osservatore fanno parte dell'evento. Con i problemi epistemologici posti dalla fisica quantistica nasce anche una possibile posizione idealista: l'oggetto è forse una nostra interpretazione, una costruzione che varia a seconda della misura scelta, cioè della teoria cui lo assoggettiamo? Inoltre il teorema di incompletezza di Gödel ha smascherato il coinvolgimento tra soggetto e oggetto nella metamatematica, mettendo in evidenza l’impossibilità di dimostrare la completezza e la non contradditorietà dall’interno di ogni sistema formale contenente la teoria dei numeri, che risultò essere fortemente limitativo della pretesa di costruire una completa formalizzazione delle teorie matematiche. Il teorema di Gödel suggerisce diverse applicazioni sicuramente improprie che però trovo sia suggestivo fare, e questo è permesso se uso quel teorema al pari di una metafora che richiama semplicemente con un immagine alla mente quello che voglio dire. Ci chiediamo cosa può essere questo io che osserva e ci rendiamo conto che la riflessione su se stessi ci porta in un labirinto dal quale non riusciamo facilmente ad uscire se non riconosciamo l'impotenza di pensare se stessi in modo completo. Proprio come non possiamo osservare la nostra faccia con i nostri stessi occhi, così sembra plausibile credere che le nostre strutture mentali non siano analizzabili con i simboli stessi che esse ci forniscono. IL PROBLEMA DELL’INTERPRETAZIONE Voglio riportare a questo proposito semplicemente due frasi autorevoli: “I fatti in se stessi non sono sufficienti per l'accettazione o il rifiuto di teorie scientifiche; il campo d'azione che lasciamo al pensiero è troppo ampio, mentre i divieti della logica e delle metodologie tradizionali sono troppo restrittivi. Tra gli estremi c'è la sfera delle idee umane in continuo mutamento” (Feyerabend). "Contro il Positivismo che si ferma ai fenomeni, e afferma ‘ci sono soltanto fatti’, direi: no, proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni..."(Nietzsche) Dopo queste osservazioni mi sembra si possa concludere dicendo che il nichilismo ha coinvolto profondamente anche la scienza.