1 - Universita` di Udine

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1 - Universita` di Udine
Giornale di fisica, XL, 4, 205-220, 1999
Relatività ristretta e concezioni di spazio
Olivia Levrini
Dipartimento di Fisica - Università di Bologna
Introduzione
La recente discussione tra Selleri, Bergia e Valleriani ospitata su questa rivista [1] tocca
un problema di fondo che può essere così espresso: come ci si deve porre di fronte alla
constatazione che il formulario della fisica contemporanea propone mondi controintuitivi,
lontani dal senso comune e difficilmente immaginabili a partire dal mondo percettivo di cui si
fa comunemente e quotidianamente esperienza?
È un problema spinoso perché è intrinsecamente legato a domande radicali sulla ‘natura’
della conoscenza scientifica e sul suo significato ontologico. Ed è un problema che la attuale
comunità dei fisici ha per lo più delegato ai filosofi come ‘problema non prettamente fisico’
oppure ha considerato come marginale rispetto ai problemi della ricerca di punta. D’altra
parte non si può non riconoscere che la scelta oculata delle domande alle quali rivolgere
tutti, o quasi, gli sforzi scientifici è alla base del progresso della fisica degli ultimi 40 anni. E in
un contesto in cui progresso scientifico è sinonimo di efficienza produttiva e di risultati
immediati e sicuri, il fermarsi a riflettere sul significato ontologico delle teorie elaborate può
apparire come una pratica per lo più oziosa. Forse è anche per questo che dopo un secolo
dalla formulazione della relatività ristretta si sta ancora discutendo sul suo significato e non si
è ancora deciso se accettare il mondo che essa propone o, al contrario, accontentarsi della
sua indiscutibile efficacia nel campo delle particelle elementari. Comunque sia, come
denunciano Bergia e Valleriani, il risultato è che un mondo in cui esiste una velocità limite e
invariante dei segnali luminosi appare a molti fisici ancora oggi come straordinario,
“assurdo”, ben lontano dall’essere assorbito dall’abitudine.
Il presente contributo si propone di :
• presentare una lettura storica di come il problema della necessità di modificare l’ontologia
in seguito alla formulazione della relatività ristretta fu sollevato da Minkowski all’inizio del
secolo e affrontato a partire da una visione sostanzialista dello spaziotempo;
• tracciare le prospettive dalle quali Einstein e Poincaré hanno rifiutato la proposta di
Minkowski, proponendo ontologie ancorate a concezioni relazioniste di spazio;
• evidenziare che esistono aspetti ancora attuali del dibattito storico;
• argomentare perché riflessioni sull’interpretazione ontologica delle teorie sono importanti
per l’insegnamento della fisica.
1. Minkowski e la ricerca di una nuova ontologia per la relatività ristretta
Secondo l’opinione più diffusa, il contributo scientifico di Minkowski sarebbe stato
quello di fornire una traduzione in forma geometrica della stretta interdipendenza fra spazio e
tempo già sancita dalle trasformazioni di Lorentz. Sarebbe tale interdipendenza ad aver
suggerito come ‘naturale’ l’idea di una rappresentazione degli eventi fisici in uno spazio
quadridimensionale. Questa visione non è storicamente precisa per almeno due motivi. Il
primo è che Minkowski non è il “vero inventore” dello spazio-tempo, perché nel presentare
la sua visione geometrica quadridimensionale riprendeva e sviluppava un’idea proposta per
la prima volta da Poincaré in contributi del 1905-1906, nei quali la geometria
spaziotemporale viene definita contestualmente al riconoscimento delle trasformazioni di
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Lorentz come gruppo di simmetria [2]. Il secondo motivo è che tale visione attribuisce allo
spaziotempo il ruolo di puro strumento formale utile per rappresentare graficamente e,
dunque, per visualizzare concetti quali la relatività della simultaneità e gli effetti cinematici di
contrazione delle lunghezze e dilatazione dei tempi. Questa visione dello spaziotempo non è
quella proposta originariamente né da Minkowski né da Poincaré ma è alla base della scelta
operata da molti autori di libri di testo (sia a livello universitario sia a livello di scuola
secondaria superiore) di presentare la geometria spaziotemporale come un capitolo quasi
marginale. D’altra parte lo spaziotempo così interpretato non aggiunge nulla al contenuto
fisico della relatività ristretta, dal momento che tutti i concetti di cui propone una
visualizzazione grafica sono concetti deducibili algebricamente dalle trasformazioni di
Lorentz.
Che il significato originale attribuito da Minkowski alla geometria dello spaziotempo sia di
tutt’altra portata culturale emerge dal testo della conferenza dal titolo “Raum und Zeit”
tenuta a Colonia nel 1908 (pubblicata nel 1909) [3]. Questa conferenza rappresenta
un’emblematica occasione in cui un esponente importante della comunità scientifica pone
all’attenzione dei colleghi la necessità di un cambiamento di ontologia imposto da un
formulario nuovo e intrinsecamente “rivoluzionario”, direbbe Kuhn [4]. Riletto oggi, il testo
di questa conferenza colpisce, oltre che per i suoi contenuti, anche per la retorica
chiaramente mirata ad invitare fisici e matematici a riflettere sulle conseguenze ontologiche
della relatività ristretta e sulla necessità di un riadattamento dell’abitudine e della percezione.
Prima di proporre un’analisi critica dell’interpretazione minkowskiana, ripercorriamo le
principali tappe del suo ragionamento per riuscire a capire cosa Minkowski intendesse dire
con la tanto celebre quanto ‘ermetica’ frase pronunciata in apertura di conferenza: “I punti di
vista su spazio e tempo [...] germogliano nel terreno della fisica sperimentale, e in questo
risiede la loro forza. Si tratta di concezioni drastiche. D’ora innanzi, lo spazio in se stesso, e
il tempo in se stesso, sono condannati a svanire come pure ombre, e solo una sorta di
unione tra i due conserverà una realtà indipendente” [5].
Uno sguardo al testo della conferenza di Minkowski “Raum und Zeit” (Colonia,
1908)
Obiettivo generale della relazione di Minkowski è mostrare come, “a partire dalla
meccanica accreditata al giorno d’oggi, si possa arrivare, lungo una linea di pensiero
puramente matematica, a nuove idee di spazio e tempo”.
Il problema centrale affrontato è quello di risolvere la disomogeneità esistente tra i due
gruppi di trasformazioni che conservano la forma delle equazioni differenziali della meccanica
classica: il gruppo delle rotazioni spaziali e quello delle trasformazioni di Galilei. Minkowski
legge in questi due gruppi di trasformazioni profonde differenze in quanto:
∗ nel primo gruppo vede espresse le proprietà di omogeneità ed isotropia dello spazio,
proprietà a cui viene attribuito significato geometrico;
∗ nel secondo gruppo vede espresse le caratteristiche del tempo classico (l’esistenza del
tempo assoluto e la libertà del tempo di assumere una qualunque direzione rispetto agli
assi spaziali), nonché l’assunto fisico che non esista alcun fenomeno che ci permetta di
distinguere tra sistemi di riferimento inerziali.
La geometria quadridimensionale viene dunque riletta da Minkowski come la strada per
risolvere le disomogeneità presenti nella fisica classica. Tant’è che obiettivo specifico dello
studio di Minkowski diventa quello di riuscire a rileggere il gruppo di Lorentz come gruppo
di trasformazioni più generale del quale i due gruppi di simmetria della meccanica classica
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risultino casi particolari. In questo modo la struttura formale può ritrovare unitarietà e
organicità, grazie alle quali sarà possibile capire “cosa ha a che fare la richiesta di ortogonalità
nello spazio”, ovvero la richiesta di invarianza delle leggi fisiche per trasformazioni omogenee
lineari che lascino invariata l’espressione x2 +y2 +z2 , richiesta espressa dal primo gruppo, con
la “perfetta libertà dell’asse temporale” di assumere una qualunque direzione rispetto agli
assi spaziali, proprietà implicata dal secondo gruppo.
Per connettere concretamente i due gruppi di trasformazione, Minkowski considera nel
piano x,t l’invariante rappresentato dall’equazione c2 t2 - x2 = 1, dove c è un parametro al
quale non viene attribuito all’inizio alcun particolare significato. Come passo successivo
viene costruito in modo totalmente geometrico un nuovo sistema di coordinate x',t' nel quale
l’espressione scritta rimane invariante in forma (cfr. figura 1)
Attraverso passaggi dal carattere apparentemente artificioso arriva alla conclusione che la
richiesta di invarianza dell’iperbole porta in realtà ad individuare, per ogni valore di c, un ben
definito gruppo di trasformazioni lineari. Tale gruppo viene indicato con Gc, ad evidenziare la
dipendenza dal parametro usato. Dando a c il significato di velocità della luce e facendo
tendere c all’infinito è possibile ritrovare il gruppo classico di trasformazioni - il gruppo di
Galileo - da Minkowski indicato con G∞.
t
t’
B’
x’
A’
A
B
D
C’
x
O
Fig. 1
D’ C
Il diagramma illustra la costruzione degli assi t’ e x’ operata da
Minkowski con l’utilizzo dell’iperbole oggi nota come ‘curva di
calibrazione’ (Minkowski, 1909)
La geometria quadridimensionale invariante per il gruppo Gc di trasformazioni diventa
così espressione di diverse esigenze che, nel loro insieme, concorrono a porre le basi per
quella che sarà l’interpretazione ontologica della relatività ristretta proposta da Minkowski,
riconducibile ad una ‘visione sostanzialista dello spaziotempo’. Oltre a rispondere
all’esigenza, già ricordata, di ricostruire una struttura formale sufficientemente generale da
riassorbire in sé le disomogeneità particolari, essa diventa anche espressione di una ritrovata
armonia tra fisica e geometria, nonché di una possibilità di rinsaldare le teorie fisiche sull’idea
che l’essenza stessa del mondo deve essere assoluta, cioè invariante, indipendente dalla
visione necessariamente particolare degli osservatori. Vediamo più in dettaglio questi due
punti.
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a) Il progetto di geometrizzare la fisica
Minkowski pone molta attenzione a persuadere pubblico (e lettori) della necessità di una
visione di un mondo quadridimensionale, necessità che non deriva da pure speculazioni
formali, ma dal mondo naturale, o meglio, “germoglia dal terreno della fisica sperimentale”.
Per questo invita a “visualizzare graficamente lo stato di cose”. Minkowski sottolinea, infatti,
quanto ogni visualizzazione non avvenga nello spazio, ma nello spazio e nel tempo, e quanto
questa sia un’operazione naturale, dal momento che “gli oggetti della nostra percezione
includono invariabilmente spazi e tempi in combinazione”: a nessuno capita infatti di pensare
“un luogo al di fuori di un tempo, o un tempo al di fuori di un luogo”.
Per esplicitare e ricordare che questo è il modo naturale di percepire il mondo fattuale,
Minkowski chiama Weltpunkt “un punto dello spazio in un punto del tempo”. Il mondo [6]
è semplicemente l’insieme di tutti i possibili valori di x, y, z , t. Quei punti del mondo che
rappresentano “la corsa” di un qualunque oggetto, definiscono per quell’oggetto la
cosiddetta Weltlinie.
Il progetto di Minkowski di geometrizzare la fisica acquista così naturale legittimità, in
quanto fonda le proprie radici nel mondo dei fenomeni ed è di questo che vuole dare
spiegazione. Grazie alle sue proprietà di simmetria, generalità e invarianza [7], la geometria
quadridimensionale diventa il modo privilegiato di liberare la conoscenza del mondo fattuale
da quelle imperfezioni che derivano dall’attaccamento, istintivo e non completamente
razionale, al nostro modo approssimativo di percepire e osservare la natura: “le leggi fisiche
potranno trovare la loro espressione perfetta come relazioni reciproche tra queste
Weltlinien” [8].
Solo guardando il mondo dei fenomeni da una visione quadridimensionale strutturata,
dunque, le leggi fisiche sono esprimibili nella forma più semplice possibile. Nello spazio
classico tridimensionale esse, infatti, “lasciano solo una complicata proiezione”, “un’ombra”.
Lo spazio e il tempo in se stessi sono infatti per Minkowski solo ombre, in tre o in una
dimensione, del mondo reale, ombre che il pensiero matematico ha permesso di far svanire
guidando la conoscenza a riconoscere la vera “essenza” quadridimensionale della realtà.
b) L’invariante come essenza del mondo
Se questo mondo geometrizzato, o questo spaziotempo, è derivabile “dalla totalità dei
fenomeni naturali”, è anche vero che per Minkowski, “una volta dato”, non è più in nessun
modo “determinato univocamente dai fenomeni”. L’essenza della teoria diventa l’invarianza
della struttura geometrica per trasformazioni del gruppo Gc e, per questo, il nome più adatto
per esprimere questo non è più il “postulato di relatività”, quanto “il postulato del mondo
assoluto” o “postulato del mondo”. Questa nuova struttura geometrica, dunque, è tale da
sopravvivere indipendentemente dai fenomeni e dagli osservatori e, per questo, può essere
riconosciuta come la struttura propria del mondo intero all’interno della quale ogni
osservatore, in ogni luogo e in ogni istante di tempo, si ritrova. La geometria dello
spaziotempo, infatti, si riproduce uguale a se stessa quando la si associa ad un qualunque
osservatore posto in un qualunque punto O del mondo: in ogni luogo si riproducono le
strutture invarianti dei due coni di vertice O, rappresentati dall’equazione c2 t2 - x2 - y2 - z2 =
0, le quali ovunque individuano due zone, cosiddette del “dopo” e del “prima” di O,
costituite da quegli insiemi di punti che possono rispettivamente “ricevere” o “inviare luce a
O”.
Ciò non esclude che si possa ancora parlare di relatività, e di sistemi associati ad
osservatori che vedono i fenomeni dalla loro particolare prospettiva, ma lo si può fare solo
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nel momento in cui si rinuncia a vedere e a pensare il mondo a quattro dimensioni, e ci si
riferisce ad esso attraverso la sua proiezione tridimensionale nello spazio e a quella
unidimensionale nel tempo. Solo tali proiezioni, infatti, “possono essere ancora assunte con
un certo grado di libertà”, ovvero lasciano spazio a letture dipendenti dal punto di vista
dell’osservatore e affette da ‘distorsioni prospettiche’ (usando il linguaggio di Boniolo e
Dorato e ripreso da Bergia e Valleriani) [9] Per Minkowski, dunque, il mondo di Einstein
popolato di regoli e orologi, dal momento che enfatizza gli effetti relativistici di contrazione
delle lunghezze e di dilatazione del tempo, è un mondo osservato da una prospettiva che
tradisce un attaccamento ad una visione newtoniana, perché newtoniana è l’abitudine a
tenere separate le dimensioni spaziali da quella temporale.
La visione sostanzialista di Minkowski
Lo spaziotempo di Minkowski, per quanto si è già detto, non vuole essere una
rappresentazione grafica della relatività ristretta di Einstein, né tanto meno una pura
astrazione matematica. Va invece letto come il risultato di un’interpretazione ontologica del
formulario della relatività ristretta e, come tale, è espressione di una visione globale e radicale
di un intreccio complesso tra fisica, geometria e mondo naturale. In particolare la visione di
Minkowski nasce dalla convinzione dell’esistenza di una “armonia pre-stabilita fra
matematica pura e fisica”.
Riconoscere nelle trasformazioni di Lorentz l’interdipendenza tra spazio e tempo e la
possibilità di riunificarli in un’espressione invariante non è sufficiente per cogliere appieno i
significati attribuiti da Minkowski allo spaziotempo, significati che sono sintetizzati nel
commento introduttivo già citato e di cui ora possiamo proporre un’interpretazione. In esso
sono espressi i tre concetti chiave da cui prende forma la visione di Minkowski: lo
spaziotempo deriva dal mondo dei fenomeni, è reale ed è indipendente dall’osservatore.
Come si è cercato di mostrare, Minkowski vede la geometria quadridimensionale come
l’ente primario - il ‘mondo’ - al quale ricondurre la fisica e, con essa, l’insieme dei fenomeni
naturali. A svelare il vero ‘mondo’ sono le stesse relazioni fisiche della natura, “relazioni che
solo in quattro dimensioni rivelano la loro vera essenza in tutta semplicità”[10]. In questa
visione costruita postulando l’esistenza del ‘mondo’, il comportamento dei “punti di
sostanza” (punti occupati da oggetti fisici e non astratti punti geometrici) va letto in termini di
relazioni invarianti fra le ‘linee del mondo’, perché è in tali relazioni che si esplicitano le leggi
fisiche. Il ‘mondo’ di Minkowski è quindi svelato nella sua essenza dai fenomeni e acquista
significato perché dei fenomeni è in grado di dare ragione: in quest’ottica si deve leggere il
rifiuto di Minkowski di pensare al ‘mondo’ come ad un vuoto primordiale (“eine gähnende
Leere”). Il suo ‘mondo’ è estraneo ad una visione che gli conferisca connotazioni mitiche o
metafisiche. Esso rappresenta la vera essenza della realtà e nella sua veste
quadridimensionale si libera dal relativismo dello spazio oltre che del tempo e confina lo
spazio tridimensionale al ruolo che hanno le “ombre” nel mito platonico della caverna.
Nella visione di Minkowski viene stabilita un’identificazione letterale tra la struttura
spaziotemporale matematica e la struttura del mondo naturale. In altre parole, la posizione di
Minkowski si basa sull’assunto sostanzialista che il mondo reale è una varietà
quadridimensionale, la quale esiste come oggetto dotato di realtà. In più, tale struttura, in
quanto letteralmente identificata con il mondo naturale, non può che essere invariante,
indipendente dall’osservatore e, per questo, assoluta.
A completamento della visione di Minkowski, occorre aggiungere che grazie alla sua
peculiarità di essere geometrica e, quindi, razionale, la struttura intrinseca del mondo assume
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forme riconoscibili e comprensibili dall’uomo. Quindi, criteri estetici quali simmetria,
invarianza, generalità diventano criteri a disposizione dello scienziato per valutare il grado di
fedeltà della teoria al mondo dei fenomeni, perché queste sono le proprietà delle forme
attraverso le quali si manifesta, “nel terreno della fisica sperimentale”, quell’armonia tra
matematica pura e natura [11] che, essendo prestabilita, trascende la conoscenza.
2. Il rifiuto di Einstein del sostanzialismo e l’ontologia relazionista
L’interpretazione diffusa dello spaziotempo di Minkowski come puro strumento di
visualizzazione sembra riprendere alla lettera la visione di Einstein come è espressa, ad
esempio, nell’esposizione divulgativa delle teorie relativistiche. Il fatto di considerare il tempo
come quarta dimensione non rappresenta per Einstein una novità, dal momento che si
potrebbe parlare in termini di continuo quadridimensionale anche nella fisica classica. Qui
però il tempo aveva una funzione “indipendente in confronto alle coordinate spaziali. È
questa la ragione della nostra inveterata abitudine di trattare il tempo come un continuo
indipendente. [...] È stata la teoria della relatività a suggerirci di considerare l’“universo”
come avente quattro dimensioni, poiché secondo tale teoria il tempo viene defraudato della
sua indipendenza, come mostra la quarta equazione della trasformazione di Lorentz” [12]
Il riconoscimento, da parte di Einstein, della necessità (e dei vantaggi) di trattare lo spazio
e il tempo come un tutt’uno, quale emerge da queste parole, fu il risultato di profonde
meditazioni che nacquero contestualmente alla scrittura della relatività generale. Tant’è che,
come dice Bergia, nello scritto giovanile di Einstein sulla relatività ristretta [13] “spazio e
tempo viaggiano sì su percorsi correlati, ma non si propone alcuna forma di riunificazione
tra di essi” [14]. Infatti sono ampiamente documentate le riserve espresse da Einstein nei
confronti del lavoro di Minkowski immediatamente dopo la sua presentazione [15]. In esso
Einstein vedeva il riemergere in fisica di uno spazio tanto assoluto quanto lo era quello di
Newton, contro il quale il fisico tedesco si era scagliato e che pensava di avere una volta per
tutte espunto dalla fisica attraverso l’idea di ricondurre il significato dei concetti alle loro
definizioni operative.
Soltanto contestualmente alla scrittura della relatività generale, Einstein cominciò a
rendersi conto dell’importanza di una visione quadridimensionale e di quanto l’approccio
geometrico fosse di gran lunga preferibile all’originaria scrittura algebrica della relatività
ristretta. E dopo mesi di “duro lavoro” sul formalismo tensoriale arrivò ad affermare:
“l’animo mi si è riempito di un grande rispetto per la matematica, la parte più sottile della
quale avevo finora considerato, nella mia dabbenaggine, un puro lusso” [16].
Queste parole potrebbero essere interpretate come i primi segni di quella che alcuni,
come Holton ad esempio, ritengono una vera e propria svolta nel pensiero di Einstein, che lo
avrebbe portato dall’empirismo giovanile ad una posizione di tipo realista in età più matura
[17]. Di certo esse sono indicative del fatto che Einstein, lavorando alla teoria della relatività
generale, giunse a riconsiderare il ruolo della matematica come strumento descrittivo potente
ed unificatore, sul quale basare l’organizzazione del pensiero e costruire la conoscenza sul
mondo. In una lettera scritta ad un amico nel 1938, egli stesso dichiarò infatti di essere
divenuto, “a causa del problema della gravitazione, un credente razionalista, cioè uno che
cerca l’unica fonte attendibile di verità nella semplicità matematica” [18].
L’influenza su Einstein dell’idea di Minkowski - il mondo che percepiamo è soltanto
un’ombra del mondo reale a quattro dimensioni - è evidente in una lettera inviata da Einstein
a Michele Besso nel luglio 1952. In essa Einstein rimproverava l’amico dicendo: “tu non
prendi sul serio le quattro dimensioni della relatività, ma consideri invece il presente come
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fosse la sola realtà. Ciò che tu chiami ‘mondo’ corrisponde, nella terminologia fisica, a
‘sezioni spaziali’, alle quali la teoria della relatività - già quella speciale - nega realtà
oggettiva” [19]. Quelle “sezioni spaziali” sono proprio le proiezioni di cui parla Minkowski
nel corso della sua conferenza del 1908, sono cioè le ombre che il pensiero matematico ha
rivelato come percezioni parziali della realtà.
Negli anni che seguirono alla pubblicazione della relatività generale Einstein non perse
occasione per riconoscere in modo esplicito il proprio debito nei confronti di Minkowski,
tuttavia non si può dire che le due posizioni circa l’ontologia della relatività ristretta
arrivarono a sovrapporsi in modo stabile e deciso. Nonostante siano documentate
oscillazioni nel pensiero di Einstein sulla natura dello spazio [20], Einstein non perse mai una
certa diffidenza verso una visione dello spaziotempo riconoscibile come decisamente
sostanzialista. L’influenza di parte machiana di Einstein non poteva infatti che renderlo
diffidente verso un qualsiasi assoluto che rievocasse quella stessa “mostruosità concettuale”
contro cui Mach si era scagliato [21]. Einstein riteneva che la fisica fosse “il tentativo di
costruzione concettuale di un modello del mondo reale e della sua struttura retta da leggi”
[22]. Egli fu coerente con se stesso nel continuare a considerare le teorie dei modelli. Quello
che cambiò nel pensiero di Einstein, anche in seguito al lavoro di Minkowski, fu l’idea del
modello, che si definì sempre più in termini di un modello matematico in grado di codificare
il livello acquisito di comprensione di una realtà che esiste indipendentemente
dall’osservatore. In sintesi si può dire che alla visione sostanzialista di Minkowski si sia
affiancata una più prudente posizione realista di Einstein: “La sola giustificazione dei nostri
concetti e dei sistemi di concetti sta nel fatto che essi servono a rappresentare il complesso
delle nostre esperienze; oltre a ciò essi non hanno nessuna legittimità. Son convinto che i
filosofi hanno avuto un’influenza dannosa sul progresso del pensiero scientifico, trasportando
certi concetti fondamentali dal dominio dell’empirismo, dove essi erano sottoposti al nostro
controllo, alle altezze intangibili dell’a-priori” [23].
La posizione di Einstein prende dunque forma dall’assunto che la scienza si debba
occupare del mondo naturale elaborando concetti, anche astratti e matematici, ma pur
sempre calati o calabili nel mondo esperibile e non appartenenti a realtà metafisiche,
all’“Olimpo dell’a-priori”. Secondo Einstein esiste un limite della conoscenza razionale a cui
deve tendere l’impresa scientifica, oltre alla quale si entra in un mondo in cui si creano dogmi
e tabù: “Perché mai è necessario trascinare giù dalle sfere olimpiche di Platone i concetti
fondamentali del pensiero scientifico, e svelare il loro lignaggio terrestre? Risposta: allo
scopo di liberare questi concetti dai tabù loro annessi, e pervenire così a una maggiore
libertà nella formazione dei concetti. Costituisce il merito imperituro di D. Hume e di E.
Mach quello di avere, più di tutti gli altri, introdotto questa mentalità critica.” [24].
Coerente con questa posizione epistemologica è la visione di spazio che Einstein propone
più frequentemente nei suoi scritti, visione che può essere riconosciuta come di tipo
“relazionista” [25]: lo spazio come struttura di relazioni formali, costruita dall’uomo per
porre ordine, “comprendere” il mondo dei fenomeni naturali, dove per “comprendere” si
intende “la creazione di un ordine tra le impressioni sensoriali, frutto dei concetti generali,
delle relazioni fra questi concetti e delle relazioni tra i concetti e l’esperienza sensoriale.”
[26].
Anche quando Einstein si professava un razionalista ed esprimeva il suo rispetto per la
matematica, il suo ‘atteggiamento’ nel parlare di relatività ristretta non si allontanò mai
definitivamente da una prospettiva neopositivista [27]. In particolare, nel pensiero di Einstein
mantenne una forte presa la distinzione di stampo neopositivista tra termini osservativi e
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termini teorici, il cui “lignaggio terrestre” è garantito se e solo se esiste una ‘regola di
corrispondenza’, una ‘definizione operativa’. Coerentemente, l’ontologia proposta per la
relatività ristretta era ancorata all’idea che una teoria scientifica ha significato fin tanto che
parla di oggetti fisici osservabili. Dal quadro proposto si dovrebbe dunque capire perché
Einstein non poteva non criticare la sostanzialità dello spaziotempo: “lo spaziotempo non è di
necessità qualcosa a cui si possa attribuire un’esistenza separata, indipendentemente dagli
oggetti effettivi della realtà fisica. Gli oggetti fisici non sono nello spazio, bensì spazialmente
estesi. In tal modo il concetto di ‘spazio vuoto’ perde il suo significato” [28].
L’immagine di spazio alla quale Einstein nel 1952 dirà di sentirsi vicino è quella di
Descartes, a cui la relatività generale avrebbe ricondotto: uno spazio “che non ha esistenza
separata rispetto a ‘ciò che riempie lo spazio’ e che dipende dalle coordinate.” ‘Ciò che
riempie lo spazio’ per la relatività generale è il campo gravitazionale, descritto dai termini gik ,
i quali definiscono anche le proprietà strutturali del continuo. “Se immaginiamo di togliere il
campo gravitazionale, cioè le funzioni gik , [...] rimarrà assolutamente nulla”. Alla luce di
questa immagine di spazio, lo spaziotempo di Minkowski “non è uno spazio senza campo,
ma un caso speciale del campo gik , caso in cui le funzioni gik hanno - per il sistema di
coordinate usato, che non ha in sé alcun significato oggettivo - dei valori indipendenti dalle
coordinate. Non esiste un qualcosa come uno spazio vuoto, ossia uno spazio senza campo.
Lo spaziotempo non pretende di avere un’esistenza per proprio conto, ma soltanto una
qualità strutturale del campo” [29].
Può essere utile fare qualche precisazione circa la posizione di Einstein e il sostanzialismo,
essendo questo un punto delicato e tuttora oggetto di discussione tra gli storici della fisica. In
un suo studio Kostro afferma che a partire dal 1916 Einstein utilizza praticamente come
sinonimi i termini “spazio fisico”, “etere”, “campo”: “It must be noted, however, that these
three terms, which to some extent can be considered as synonyms, were used by Einstein in
different periods with different frequencies and with different ontological values attributed to
their meanings” [30]. Il fatto che “spazio fisico” ed “etere” siano stati utilizzati come sinonimi
di “campo” può anche essere letto a sostegno dell’idea che in Einstein prevalesse una
visione relazionale dello spazio, perché il campo non è, per Einstein, una proprietà dello
spazio, ma un oggetto fisico esso stesso. Infatti, quando definisce lo spazio come ‘qualità
strutturale del campo’, sta affermando che l’esistenza e la forma di quest’ultimo sono
primarie rispetto alla nozione di spazio. Dunque quando si afferma che in uno dei suoi
pellegrinaggi filosofici Einstein, relativamente all’etere, “cambiò parere e scrisse numerosi
articoli in cui si dichiarava favorevole ad uno spazio dotato di proprietà fisiche, da lui stesso
chiamato più volte «etere»”[31], si sta secondo me evocando uno spazio che non è lo
spazio a cui pensava Einstein. Quest’ultimo, infatti, non può essere identificato con l’etere di
Lorentz le cui caratteristiche sono quelle di essere sistema di riferimento privilegiato e avere
“a certain substantility”[32].
Tuttavia è vero che nel periodo tra il 1926 e il 1935, come dice Kostro, Einstein prese in
considerazione la possibilità che lo spazio potesse essere tanto sostanziale da poter generare
le particelle elementari. Era il periodo in cui, dopo il successo della relatività generale,
Einstein coltivava la speranza di utilizzare la geometria come base per una teoria unificata,
ovvero l’idea che tutta la fisica allora conosciuta potesse essere spiegata in termini
geometrici e quindi rappresentata da un tensore metrico generalizzato. Come dicono Earman
e Norton, però, la forma di sostanzialismo a cui approdò Einstein in quel periodo era una
forma banale di sostanzialismo, perché di fatto esprimeva semplicemente la convinzione
‘realista’ dell’esistenza di una realtà fisica indipendente dell’osservazione: “[that]
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substantivalist view would in essence just assert the independent existence of the entire
universe”[33].
3. Il rifiuto di Poincaré del sostanzialismo e l’ontologia relazionista-convenzionalista
Accanto al relazionismo di Einstein, esiste un’altra prospettiva epistemologica che
conduce a rifiutare un’ontologia basata sulla sostanzialità dello spaziotempo. Esplicito e
deciso rappresentante di questa posizione fu Poincaré, il quale contro lo spazio sostanziale
disse: “È impossibile rappresentarsi lo spazio vuoto. Tutti i nostri sforzi per immaginare uno
spazio puro, da cui siano esclusi degli oggetti materiali, non possono avere altro risultato che
una rappresentazione nella quale le superfici intensamente colorate, ad esempio, sono
sostituite da linee di colori tenui, e non potremmo percorrere fino in fondo questa strada
perché tutto svanirebbe e finirebbe nel nulla. Da ciò deriva l’irriducibile relatività dello spazio.
Chiunque parli dello spazio assoluto fa uso di una parola priva di senso.”[34]. Ancora:
“Scarterò in primo luogo l’idea di un preteso senso dello spazio che ci farebbe localizzare le
nostre sensazioni in uno spazio bell’e fatto, la cui nozione sarebbe preesistente a qualsiasi
esperienza, e che prima di qualsiasi esperienza avrebbe tutte le proprietà dello spazio della
geometria” [35].
Il relazionismo di Poincaré è più esplicito di quello di Einstein e si esprime nel fatto che
per il fisico-matematico francese l’oggetto della geometria, nonché lo spazio fisico, è
costituito dalle leggi che governano “una classe particolare di fenomeni, che chiamiamo
spostamenti” e che è stata definita grazie ad una relazione di “reciprocità” tra i “cambiamenti
interni (movimenti del nostro corpo)” e “cambiamenti esterni (cambiamenti da noi attribuiti
agli oggetti esterni)” [36]. La classe degli spostamenti è affrontabile matematicamente
perché ha le proprietà “che i matematici riassumono in una sola parola dicendo che gli
spostamenti formano un «gruppo»” [37]. La concezione di spazio di Poincaré nasce
dall’esperienza sensibile ed è il risultato di una razionalizzazione operata con atti intellettuali e
immaginativi: “il senso dello spazio si riduce quindi a una associazione costante tra certe
sensazioni e certi movimenti, o la rappresentazione di questi movimenti. (Vi è ancora
bisogno di ripetere, per evitare un equivoco ricorrente nonostante le mie reiterate
spiegazioni, che non intendo con ciò la rappresentazione di questi movimenti nello spazio,
ma la rappresentazione delle sensazioni [propriocettive, cinestesiche ecc.] che li
accompagnano?)” [38].
Le citazioni riportate permettono di introdurre l’idea che il rifiuto di uno spazio sostanziale
di Poincaré è giustificato non solo sulla base della sua non-osservabilità o del suo
appartenere “all’Olimpo dell’a-priori” - e quindi su base ontologica - ma anche, e
soprattutto, sulla base di una visione filosofica più ampia. Nell’ambito di questa visione la
geometria viene letta come ‘linguaggio’ e, di conseguenza, lo spazio come di natura
relazionale.
La filosofia dello spazio di Poincaré è, infatti, definita dal particolare intreccio tra
esperienza e ragione, tra realtà e pensiero che colloca la visione del fisico-matematico
francese in un terreno intermedio tra l’empirismo e l’a-priorismo. È lo stesso Poincaré che
dice: “Si vede dunque che, se la geometria non è una scienza sperimentale, è una scienza la
cui nascita è legata all’esperienza; siamo noi ad aver creato lo spazio che essa studia,
ma adattandolo al mondo in cui viviamo. Abbiamo scelto lo spazio più comodo, ma è
l’esperienza ad aver guidato la nostra scelta. Poiché questa scelta è inconscia, ci sembra
imposta; alcuni dicono che ci è imposta dall’esperienza, altri sostengono che nasciamo tutti
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con il nostro spazio bell’e e pronto. Le considerazioni precedenti mostrano in quale misura
queste due concezioni siano in parte vere e in parte errate.” [39].
Gli assiomi geometrici non possono essere fatti sperimentali perché la geometria è una
scienza esatta e come tale non può dipendere da proprietà fisiche (come le proprietà della
luce per la geometria proiettiva o le proprietà dei corpi rigidi per la geometria metrica). Al
contempo tali assiomi non possono essere verità necessarie perché si sarebbero imposti
all’intelletto e avrebbero impedito la formulazione di geometrie diverse. Essi, pertanto, oltre
a non poter essere fatti sperimentali, non possono nemmeno essere giudizi sintetici a-priori
o giudizi analitici.
Poincaré è esplicito e deciso nel sostenere, invece, che gli assiomi geometrici sono
convenzioni. “Gli assiomi geometrici non sono, dunque, né giudizi sintetici a-priori, né
fatti sperimentali. Sono convenzioni; la nostra scelta, fra tutte le convenzioni possibili, è
guidata da fatti sperimentali, ma resta libera e non è limitata che dalla necessità di evitare
ogni contraddizione” [40]
Il termine ‘convenzione’ è stato oggetto di più letture nonché parola chiave per
etichettare posizioni tra loro molto diverse. ‘Convenzione’ per Poincaré non è la ‘scelta
arbitraria’ o un semplice ‘accordo intersoggettivo’ che starebbero alla base di un
“conventionalism trivialized” [41]. Fu Grünbaum a chiamare “model theoretic trivalization”
quella visione che banalizzerebbe il convenzionalismo nel momento in cui lo estende dalla
geometria applicata in fisica a tutti i concetti e alle teorie fisiche. Secondo questa visione una
teoria fisica è vista come un calcolo formale non interpretato i cui termini acquistano
significato attraverso la loro correlazione con certe proprietà empiriche mediante ‘regole di
corrispondenza’ che, nella maggior parte dei casi, prendono la forma di procedimenti di
misura. E, poiché i procedimenti di misura spesso non sono unici, la scelta diventa
convenzionale nel senso di ‘arbitraria’, frutto di un ‘accordo intersoggettivo’. Questa visione
implica il rifiuto di un concetto forte di verità e il rischio di una deriva verso una posizione
nominalistica, lontana da Poincaré il quale enfatizza ovunque nei suoi scritti il ruolo
dell’esperienza come occasione per l’intelletto e come guida e vincolo nella costruzione della
geometria.
La geometria è detta da Poincaré convenzionale in quanto è il prodotto di una operazione
formale di idealizzazione che l’intelletto umano fa agendo razionalmente sulle esperienze
sensibili. La costruzione della geometria avviene sulla base dell’esperienza e passa attraverso
un processo di generalizzazione che porta dallo spazio di relazioni del nostro corpo (spazio
non omogeneo) ad uno spazio esteso omogeneo e infine, attraverso un processo di
immaginazione, al “grande spazio in cui collocare l’universo” [42]. La convenzionalità risiede
nel fatto che la geometria, quando è detta essere “lo studio dei movimenti solidi”, “non si
occupa dei solidi naturali, ma ha per oggetto alcuni solidi ideali, assolutamente invariabili, che
non ne sono che un’immagine semplificata e lontana” [43]. Detto in altro modo: “fare della
geometria equivale a studiare le proprietà dei nostri strumenti, cioè le proprietà del corpo
solido”. Nello stesso tempo essa non può dipendere dall’imperfezione insita in uno
strumento reale, per cui “saremmo tentati di dire che la geometria è lo studio delle proprietà
che avrebbero gli strumenti se fossero perfetti. [...] In questo senso la geometria è una
convenzione, una specie di limite impreciso tra il nostro amore per la semplicità e il nostro
desiderio di non scostarci troppo da quello che ci dicono gli strumenti” [44].
La peculiarità della posizione di Poincaré sta nel ruolo da questi attribuito all’esperienza,
ruolo che permette di ancorare una visione convenzionalistica della geometria e della fisica
ad una ontologia fortemente connotata come realistica.
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L’esperienza, secondo Poincaré, è storicamente intervenuta nella costruzione della
geometria sotto forma di “esperienza ancestrale”, nel senso che “per selezione naturale il
nostro intelletto si è adattato alle condizioni del mondo esterno, e ha adottato la geometria
più conveniente per la specie o, in altri termini, più comoda.” [45]. Dunque l’esperienza
non serve per dimostrare sperimentalmente gli assiomi della geometria: tale operazione,
infatti, è priva di alcun significato data l’esattezza della geometria, ovvero il suo parlare non
del mondo reale ma di un mondo ideale. Il ruolo dell’esperienza è invece quello di
‘plasmare’ il pensiero razionale e di conseguenza di ancorarlo, al mondo naturale anche
quando sembra allontanarsene. Infatti l’uomo in quanto essere biologico evolve in diretto
rapporto con il mondo naturale; ciò significa che anche quando utilizza, nel compiere scelte e
nel costruire la conoscenza, criteri formali e apparentemente svincolati dal mondo fattuale,
egli in realtà agisce in conformità a criteri dettati da un’esperienza ancestrale, a sua volta
derivata dal processo di adattamento dell’uomo all’ambiente circostante e, dunque,
portatrice di informazioni circa il mondo naturale. In questa posizione si sente molto forte
l’influenza dell’evoluzionismo darwiniano nella sua veste epistemologica [46]. In coerenza
con questo ruolo attribuito all’esperienza, Poincaré vede la costruzione dello “spazio
geometrico” (spazio dotato di proprietà quali, ad esempio, la continuità, l’omogeneità,
l’isotropia, il suo essere infinito e il suo possedere tre dimensioni) a partire dallo “spazio
rappresentativo” (“il quadro di riferimento delle nostre rappresentazioni e delle nostre
sensazioni”) come una “educazione progressiva” nella quale “è assai difficile stabilire quale
sia il ruolo dell’individuo e quale il ruolo della specie” [47].
Anche il concetto di gruppo indicato da Poincaré in La scienza e l’ipotesi come l’apriori dell’intelletto (“[..] preesiste nel nostro intelletto, almeno in potenza” [48]) fonda le
proprie origini in motivi genetici, in associazioni di idee che si sono consolidate attraverso i
processi evolutivi. Esso è pertanto molto lontano da quello kantiano: esso è un a-priori per
l’individuo ma non per la specie: “È possibile [che nel concepire un esperimento si
immaginino come possibili due risultati contrari] ma difficile, proprio perché dobbiamo
vincere numerose associazioni d’idee frutto di una lunga esperienza personale e
dell’esperienza ancora più lunga della razza umana. Sono forse tali associazioni (o almeno
quelle ereditate dai nostri antenati) a costituire la forma a-priori di cui abbiamo l’intuizione
pura?” [49].
Quanto detto ci permette di capire le motivazioni culturali che portano Poincaré a
fondare la relatività ristretta sulle trasformazioni di Lorentz riconosciute come gruppo
d’invarianza dell’elettrodinamica. Tale lettura, dice Giannetto, riflette “direttamente per tutte
le parti della fisica (non solo per la meccanica, ma anche, in particolare, per l’ottica e
l’elettrodinamica) la realtà relazionale del moto, e allo stesso modo la realtà invariante del
moto della luce.” E ancora: “L’invariante metrico della teoria non corrisponde ad un
misterioso quanto astratto ‘spaziotempo’ non misurabile, ma [...] a processi di moto
invarianti e reali come quello della luce (ds2 =0) o delle particelle ‘materiali’ (ds2 >0) o ancora
alla non-globale ordinabilità temporale di eventi non connessi in processi di moto (ds2 <0)”
[50]. Nell’attribuire realtà fisica al moto e non ad entità come lo spazio e il tempo Poincaré si
allinea su una posizione alla Leibniz secondo la quale “spazio e tempo non sono che le
relazioni d’ordine possibile fra le monadi, interne a questo moto dell’universo come un tutto
armonico” [51].
L’idea relazionale di spazio proposta da Poincaré, coerente con l’attribuzione di realtà al
movimento, è espressione di una libertà immaginativa, creativa e organizzativa dell’intelletto
che non rinuncia alla forza conoscitiva che gli deriva dall’essere guidato e radicato nel
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mondo naturale. In questo senso rappresenta l’espressione del rifiuto di qualsiasi forma in
cui l’assolutismo si presenta nella scienza e nel pensiero in generale: l’assolutismo delle
posizioni platoniche, cartesiane e kantiane, le quali danno valore di necessità alla geometria
attraverso, rispettivamente, l’attribuzione di sostanzialità a idee formali, di veracità divina
all’evidenza, di a-priorità del soggetto alle forme di conoscenza [52]. Contro queste
geometrie cristallizzate nel loro ruolo di verità necessarie, Poincaré propone una geometria
fatta di ‘convenzioni’, come è fatta di convenzioni ogni lingua che si deve costruire o
esplorare. In questo modo come dice Giannetto: “Poincaré decostruisce la semantica
referenziale denotativa dell’ontologia newtoniana, e indica la teoria fisica come un ‘gioco
linguistico’ a carattere ‘esecutivo’ (performative). Cioè come un linguaggio i cui enunciati
acquistano senso nelle pratiche fisico-sperimentali corrispondentemente effettuate. [...] il
significato di una teoria fisica è associato non a un linguaggio che rispecchia nei suoi termini
una realtà meta-fisica come in sé data, ma ai contesti d’uso dei suoi termini in relazione alle
operazioni sperimentali, identici per vari ‘giochi linguistici’ possibili” [53].
4. La ricerca di un’ontologia come esigenza culturale e didattica
La proposta di Minkowski di ancorare la relatività ristretta ad un nuovo spazio assoluto
rilancia un’ontologia forte che può sollevare perplessità in chi, sulla scia di Einstein,
preferisce vedere nella teoria gli aspetti relativistici come prioritari. Può invece rappresentare
una lettura interessante per chi, come Selleri, vede nella relatività il rischio di fraintendimenti
che vanno in direzione di sostenere una “filosofia del relativismo”. Comunque sia, anche
l’interpretazione sostanzialista dello spaziotempo di Minkowski è una lettura possibile del
formalismo della relatività ristretta e, al giorno d’oggi, trae forza persuasiva dalla
constatazione che essa rappresenta il presupposto necessario alla comprensione della più
diffusa interpretazione della relatività generale: l’interpretazione metrica o geometrodinamica,
di cui importanti esponenti sono Wheeler e Friedman [54].
Un’ontologia esplicitamente relazionista si ritrova, invece, alla base delle interpretazioni
della relatività generale proposte da chi ha continuato il progetto einsteiniano di costruire una
‘teoria machiana della gravitazione’. Sto pensando, ad esempio, a Sciama e alla sua lettura
costruita sull’idea di una ‘relatività dell’inerzia’ [55].
Un relazionismo che deriva dal considerare la geometria un linguaggio si può, infine,
riconoscere alla base della particolare interpretazione del formalismo della relatività generale
proposta da Weinberg nel suo celebre trattato “Gravitation and Cosmology”. Weinberg in
questo contesto rifiuta espressamente un’identificazione letterale tra gravitazione e geometria
e dà a quest’ultima il ruolo di analogia, di strumento di costruzione teorica, di “convenzione
linguistica” intesa nel senso di Poincaré [56].
Quelle che sembravano espressioni di posizioni filosofiche di uomini di altri tempi
possono, dunque, essere considerate la chiave per capire il significato di una discussione
tuttora aperta circa il significato della relatività generale.
Bottazzini scrive di Poincaré: “Non solo uno scienziato fuori dal comune, ma un grande
savant che dalle sue esplorazioni nelle regioni più inaccessibili delle scienze matematiche e
fisiche [...] ha tratto materia per riflessioni originali su temi fondamentali come lo spazio e il
tempo, la scienza e la natura della conoscenza razionale” [57].
Proporre interpretazioni del formulario della fisica alla ricerca di un’ontologia è
un’operazione che non può essere condotta utilizzando come strumenti culturali e persuasivi
soltanto la logica interna o la prova sperimentale. Questi sono strumenti necessari ma non
sufficienti. È, infatti, inevitabile che in tale operazione si mettano in gioco convinzioni e idee
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appartenenti ad una complessiva visione del mondo, come è successo a Minkowski,
Einstein e Poincaré, ma anche a Selleri e Bergia e Valleriani. Ritengo sia importante dal
punto di vista culturale che la comunità dei fisici consideri di sua pertinenza l’interpretazione,
anche ontologica, del formalismo che propone e che si interroghi su come le conquiste della
ricerca di punta modificano l’immagine del mondo. A mio avviso è, cioè, importante che la
fisica venga riproposta nel panorama culturale come conoscenza in grado di contribuire a
dare risposte a domande primarie, riacquistando così la sua dimensione originaria di
filosofia della natura.
Ciò ha forti implicazioni sul piano didattico. Una fisica non interpretata e presentata come
insieme di teorie ‘assurde’ da imparare perché ‘funzionano’ produce un’immagine di sé che
si riversa dall’università nella scuola, provocando una sensazione di disagio negli insegnanti
che si trovano ad insegnare una disciplina lontana dalle esigenze conoscitive degli studenti e
per questo sempre meno apprezzata. Il recupero della dimensione ontologica permette la
costruzione di strumenti culturali con i quali un insegnante può superare tale disagio, anche
perché questa dimensione - tanto quanto quella epistemologica - apre spazi di riflessione che
possono rendere la fisica più facilmente integrabile nelle visioni del mondo individuali e
quindi più viva e più interessante.
Esplorare la fisica al fine di riconoscervi le idee e le convinzioni generali di cui è
espressione significa arricchirne la valenza culturale, ma non solo. Significa anche poter
enfatizzare nell’insegnamento l’esplicitazione delle regole che contraddistinguono la fisica
come disciplina: regole di ‘sintesi e rigore formale’ e di ‘non contraddittorietà con
l’osservabile’. Tali regole garantiscono l’oggettività della fisica e devono essere assunte
come vincolanti se si vuole rimanere dentro al gioco della conoscenza scientifica.
Note e riferimenti bibliografici.
[1] SELLERI F., Il principio di relatività e la natura del tempo, Giornale di fisica, XXXVIII, 2 (1997), 6785.
BERGIA S., VALLERIANI M., Relatività ristretta: convenzione o nuova concezione del mondo?,
Giornale di fisica, XXXIX, 4 (1998), 199- 221
SELLERI F., Relatività ristretta: nuova concezione del mondo o convenzione?, Giornale di fisica,
XL, 1 (1999), 19-23.
[2] POINCARÉ J. H., Sur la dynamique de l’électron, Comptes Rendus de L’Académie des Science,
1905; POINCARÉ J. H., Sur la dynamique de l’électron, Rendiconti del Circolo Matematico di
palermo, 1906 (inviato alla rivista nel luglio 1905). Sul ruolo di Poincaré nella nascita della relatività
speciale si veda GIANNETTO E., Henry Poincaré and the rise of Special Relativity, Hadronic
Journal Supplement 10, (1995) 365-433
[3] MINKOWSKI H., Raum und Zeit, Physikalische Zeitschrift, 10, No.3 (1909), 104-111 (versione
inglese: Space and Time, in LORENTZ H. A., EINSTEIN A., MINKOWSKI H., WEYL H., The
principle of relativity. A collection of original memoirs on the special and general theory of
relativity (with notes by A. Sommerfeld), Dover Publications, New York, 1952).
[4] KUHN T. S., The Structure of Scientific Revolutions. University of Chicago Press, Chicago, 1962
(trad. it. La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1969), Einaudi, Torino).
[5] La traduzione italiana delle citazioni tratte dall’articolo di Minkowski è dell’autore. La frase citata,
come tutte quelle che seguono di Minkowski, sono tratte da MINKOWSKI, Space and Time, in
LORENTZ H. A., EINSTEIN A., MINKOWSKI H., WEYL H. (1952), op. cit.
[6] Il termine tedesco Welt è tradotto in italiano con il termine universo e non con il termine mondo.
Tuttavia in questo contesto il termine mondo è più adatto a fare emergere il significato originale
attribuito da Minkowski allo spazio-tempo: il mondo naturale in cui ognuno di noi vive le proprie
esperienze e non una astrazione matematica.
[7] GALISON P. L., Minkowski’s Space-Time: From Visual Thinking to the Absolute World, Historical
Studies in the Physical Sciences, 10 (1979), 85-121.
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Corsivi aggiunti.
BONIOLO G. e DORATO M., Dalla relatività galileiana alla relatività generale, in BONIOLO (a cura
di), Filosofia della fisica, Mondadori, Milano, 1997; BERGIA S., VALLERIANI M. (1998), Giornale
di Fisica.
Corsivo aggiunto.
Minkowski parla di “pre-established harmony between pure mathematics and nature” nella bozza
del contributo indicata come Draft RZ 4, p.22 labeled 20 (in GALISON P. L. (1979), Historical
Studies in the Physical Sciences).
EINSTEIN A., Über die spezielle und allgemeine Relativitätstheorie (gemeinveständlich) (1916)
(trad. it. Relatività: esposizione divulgativa e scritti classici su Spazio Geometria Fisica, Bollati
Boringhieri, Torino, 1994). La frase citata è alle pp. 86-87 dell’edizione italiana.
EINSTEIN A., Zur Elektrodynamik bewegter Korper, Annalen der Physik, XVII, pp. 891-921 (1905)
(trad. it. L’elettrodinamica dei corpi in movimento, in BELLONE (a cura di), Albert Einstein. Opere
scelte, Boringhieri, Torino, 1988).
BERGIA S., Strutture e dimensionalità dello spaziotempo: realtà, modello o occasione di
formalismo?, in SELLERI F., TONINI V. (a cura di), Dove va la scienza. La questione del realismo,
Dedalo, Bari, 1990.
Si veda, ad esempio, DUGAS R., L'incompréhension mathématique, Vuibert, Paris, 1940; PAIS A.,
‘Subtle is the Lord...’ The Science and the Life of Albert Einstein, Oxford University Press, 1982
(trad. it., “Sottile è il Signore...” La scienza e la vita di Albert Einstein, Bollati Boringhieri, Torino,
1986).
EINSTEIN A., Lettera a A. Sommerfeld, 1912, in PAIS A. (1982), op. cit. La frase citata è a p. 236
dell’edizione italiana.
HOLTON G., L’immaginazione scientifica, Einaudi, Torino, 1983.
EINSTEIN A., Lettera a C. Lanczos, 1938, in HOLTON G. (1983), op. cit. La frase citata è a p.165.
EINSTEIN A., Lettera a M. Besso, 1952, in HOLTON G. (1983), op. cit. La frase citata è a p.169.
KOSTRO L., An Outline of the History of Einstein’s Relativistic Ether Concept, in EISENSTAEDT
J., KOX A. J. (Eds.), Studies in the History of General Relativity, Einstein Studies, Vol.3,
Birkhäuser, Boston, United States (1992), 260-280.
Mach parla di ‘mostruosità concettuale’ nella prefazione alla settima edizione di MACH E., Die
Mechanik in ihrer Entwickelung, historisch-kritisch dargestellt, 1883 (trad. it. La meccanica nel
suo sviluppo storico-critico, Bollati Boringhieri, Torino, 1977).
EINSTEIN A., lettera a Schlick, 1930, in HOLTON (1983), op. cit. La frase citata è a p.167. Primo
corsivo aggiunto.
Dove con "a-priori" qui si intende "indipendente dall'esperienza". EINSTEIN A., Vier
Vorlesungen über Relativitätstheorie, Vieweg & Sohn, Braunschweig, 1922 (trad. it. Il significato
della relatività, Bollati Boringhieri, 1959). La frase citata è a p.4 dell’edizione italiana.
EINSTEIN A., La relatività e il problema dello spazio (1952), appendice a Relatività: esposizione
divulgativa e scritti classici su Spazio Geometria Fisica (1994), op. cit. La frase citata è a p. 300.
Fu Leibniz con il suo celeberrimo argomento dell’“identità degli indiscernibili” a criticare per primo
una visione sostanzialista quale quella newtoniana e a proporre come alternativa una visione
relazionista dello spazio (LEIBNIZ G. W., CLARKE S., A Collection of Papers which passed
between the late learned Mr. Leibniz and Dr. Clarke, London, 1717). Per approfondimenti su
questo punto si veda FRIEDMAN M., Foundations of Space-Time Theories, Princeton University
Press, 1983. Per versioni moderne dell’argomento leibniziano si veda ad esempio EARMAN J. &
NORTON J., What Price Spacetime Substantivalism? The Hole Story, Brit. J. Phil. Sci., 38, (1987)
515-525.
EINSTEIN A., Ideas and Opinions, ed. riv. a cura di Sonja Bergmann, Crown, New York, 1954. La
frase citata è in HOLTON G., La lezione di Einstein, Feltrinelli, Milano, 1997, p.204.
Si veda al proposito SCHILPP P. A. (a cura di), Albert Einstein: philosopher-scientist, The Library
of Living Philosophers, 1949 (trad. it. Albert Einstein: scienziato e filosofo, Boringhieri, Torino,
1958) e l’analisi di Friedman circa la relazione tra le teorie relativistiche e gli ideali positivisti
(FRIEDMAN M. (1983), op. cit.)
EINSTEIN A., Relatività: esposizione divulgativa e scritti classici su Spazio Geometria Fisica
(1994), op. cit. La frase citata è a p.44.
EINSTEIN A. (1952), op. cit. La frase citata è a p. 311. Secondo corsivo aggiunto.
KOSTRO L. (1992), op. cit.
SELLERI F. (1997), Giornale di Fisica.
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Giornale di fisica, XL, 4, 205-220, 1999
[32] Si veda KOSTRO (1992), op. cit.
[33] EARMAN J. & NORTON J. (1987), Brit. J. Phil. Sci.
[34] POINCARÉ J. H., La relativité de l’espace, L’année psychologique, XIII, pp.1-17 (1907) e in
Science et méthode, Flammarion, Paris, 1908 (trad. it. La relatività dello spazio, in Scienza e metodo,
Einaudi, Torino, pp.79-99, 1997). La frase citata è a p. 79 dell’edizione italiana.
[35] POINCARÉ J. H., Dernières pensées, Flammarion, Paris, 1912 (trad. it. Spazio e tempo, in Einstein,
A. Relatività: esposizione divulgativa e scritti classici su Spazio Geometria Fisica (1994), op. cit.
La frase citata è a p.281.
[36] POINCARÉ J. H. La Science et l’Hypothése, Flammarion, Paris, 1902 (trad. it. La scienza e l’ipotesi,
Dedalo, Bari, 1989). La frase citata è a p. 83 dell’edizione italiana.
[37] POINCARÉ J. H. (1902), op. cit. La frase citata è a p.84 dell’edizione italiana.
[38] POINCARÉ J. H. (1912), op. cit. La frase citata è a p.282 dell’edizione italiana. Corsivo aggiunto.
[39] POINCARÉ J. H. (1907), op. cit. La frase citata è a p.98 dell’edizione italiana. Corsivi aggiunti.
[40] POINCARÉ J. H. (1902), op. cit. La frase citata è a p. 72 dell’edizione italiana.
[41] FRIEDMAN M., Grünbaum on the Conventionality of Geometry, Synthese 24, 219-235 (1972).
[42] POINCARÉ J. H. (1907), op. cit. La frase citata è a p. 92 dell’edizione italiana.
[43] POINCARÉ J. H. (1902), op. cit. La frase citata è a p. 89 dell’edizione italiana.
[44] POINCARÉ J. H. (1912), op. cit. La frase citata è a p.284 dell’edizione italiana.
[45] POINCARÉ J. H. (1902), op. cit. La frase citata è a p. 103 dell’edizione italiana.
[46] FORTINO M., Esperienza e ragione nel convenzionalismo geometrico di Hanry Poincaré,
Epistemologia, XIX, pp. 51-84 (1996).
[47] POINCARÉ J. H. (1907), op. cit. La frase citata è a p.98 dell’edizione italiana.
[48] POINCARÉ J. H. (1902), op. cit. La frase citata è a p. 90 dell’edizione italiana
[49] POINCARÉ J. H., La valeur de la science, Flammarion, Paris, 1905 (trad. it. Il valore della scienza,
Edizioni Dedalo, Bari, 1992). La frase citata è a p. 100 dell’edizione italiana.
[50] GIANNETTO E. (1992), op. cit.
[51] GIANNETTO E., Note sul tempo e sul moto attraverso la storia della fisica e le critiche filosofiche,
in Rossi A. (a cura di), Atti del XIII Congresso Nazionale di Storia della Fisica (1992).
[52] FORTINO M. (1996), Epistemologia.
[53] GIANNETTO E., Note storico-critiche sul mutamento e il ‘realismo’: Henri Poincaré, la Relatività
Speciale e le Teorie Fisiche, in Giuliani G. (a cura di), Ancora sul realismo, La Goliardica Pavese,
Pavia, 1995.
[54] Si veda, ad esempio, FRIEDMAN M. (1983), op. cit. e WHEELER J. A, Physics as Geometry,
Epistemologia III, Numero Speciale - Special Issue, pp.59-98 (1980).
[55] SCIAMA D. W., The Unity of the Universe, Faber and Faber, London, 1959 (trad. it. L’unità
dell’universo, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1965)
[56] LEVRINI O., L’analogia geometrica in Weinberg alla luce della concezione relazionistaconvenzionalista di Poincaré, pre-print (1999).
[57] BOTTAZZINI U., Poincaré. Il cervello delle scienze razionali, I grandi della scienza, Le scienze,
anno II, n.7 (1999).
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