Equivalenza massa-energia senza Relatività

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Equivalenza massa-energia senza Relatività
EQUIVALENZA MASSA-ENERGIA SENZA RELATIVITÀ
BREVE CRITICA AI FONDAMENTI DELLA RELATIVITÀ SPECIALE
di Mario Ludovico
Sommario: Lorentz e, più esplicitamente, Poincaré furono fra i primi ad
intuire e a formulare, in diverso modo, la corrispondenza fra misura della
massa di un corpo e contenuto energetico complessivo del corpo stesso.
La storia della Relatività nasce dal bisogno di Lorentz di affermare la fondamentale importanza dell’etere cosmico e dall’iniziale intento di Einstein di
negarne la necessità. L’articolo che segue, dopo una succinta doverosa critica
alla relatività speciale, intende esporre una formulazione dell’equivalenza fra
massa ed energia mediante una semplice analisi della quantità di energia che il
moto attraverso lo spazio fisico conferisce ad un corpo, escludendo ogni
ricorso a paradigmi relativistici. L’analisi mostra anche come variazioni nei
contenuti di energia cinetica degli orologi alteri la misura del tempo.
A differenza di un’opinione largamente diffusa anche tra fisici
di professione, tanto i fondamenti quanto la struttura logica della
Relatività Speciale (RS) non sono dovuti ad Albert Einstein, ma
piuttosto a Hendrik Lorentz 1 ed a Henri Poincaré 2. Inoltre, la
generalizzazione matematica della RS fu formulata da Hermann
Minkowski 3, il quale nel 1907 propose il sistema di riferimento
1
HENDRIK ANTOON LORENTZ, scienziato olandese (1853-1928): Versuch einer
Theorie der elektrischen und optischen Erscheinungen in bewegten Körpern, Brill, Leiden
1895; Electromagnetic phenomena in a system moving with any velocity smaller than that
of light, Proceedings of the Academy of Science, 1, Amsterdam 1904.
2
HENRI POINCARE, matematico e fisico francese (1854-1912): La théorie de
Lorentz et le principe de réaction, Archive Néerlandaise des Sciences Exactes et
Naturelles, 5 (1900), Les relations entre la physique expérimentale et la physique
mathématique, Revue générale des sciences pures et appliquées, 11 (1900),
L’état actuel et l’avent de la physique mathématique, Bulletin des sciences mathématiques, 28 (1904), and Sur la dynamique de l’électron, Comptes Redus 140,
June 1905
3
HERMANN MINKOWSKI, Matematico lituano-tedesco (1864-1909): Die Grundleihungen für die elektro-magnetischen Vorgänge in bewegten Körpern, Nachrichten von
der Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen, Mathematisch-Physi-
1
spazio-temporale nella formulazione oggi correntemente usata da chi
fa uso della RS. Tuttavia, la prima formulazione matematica di un
sistema di riferimento spazio-temporale fu indubbiamente fatta da
Poincaré4 nel giugno del 1905 (lo “spazio-tempo è anche denominato “cronòtopo”).
Come osservò Hermann Weyl 5:
“Un interessante aspetto storico della moderna teoria della relatività è che,
considerata spesso come il contributo altamente originale e persino rivoluzionario di una singola persona, quasi tutte le idee e le formule della teoria
furono anticipate da altri. Per esempio, la covarianza di Lorentz e l’energia
dell’inerzia erano (può dimostrarsi) implicite nelle equazioni di Maxwell.
Ancora, Voigt derivò in modo formale le trasformazioni di Lorentz nel
1887, basandosi su considerazioni generali relative all’equazione dell’onda.
Nell’àmbito dell’elettrodinamica, Fitzgerald, Larmor e Lorentz arrivarono
tutti, negli anni 1890, a formulare le trasformazioni di Lorentz, inclusi gli
effetti di dilatazione dei tempi e delle lunghezze (rispetto al trasformato
sistema di riferimento), che sono invece normalmente attribuiti alla RS di
Einstein. Nel 1905, Poincaré aveva chiaramente articolato il principio di
relatività e molte delle sue conseguenze, aveva evidenziato la mancanza di
una base empirica per la simultaneità assoluta, aveva messo in discussione il
principio ontologico dell’etere, e persino dimostrato che le trasformazioni di
Lorentz costituiscono un gruppo, nello stesso senso che vale per le trasformazioni di Galileo. Inoltre, la cruciale e formale sintesi di spazio e
tempo fu senza dubbio contributo di Minkowski nel 1907, e tutta la
dinamica della RS fu formulata per la prima volta da Tolman nel 1909”.6
calische Klasse (1907). Minkowski fu insegnante di analisi matematica di
Einstein, quando questi era studente universitario.
4 H. POINCARÉ, Sur la dynamique de l’electron (reprint), Rendiconti del Circolo
Matematico di Palermo, 21 ( June 1905).
5 HERMANN WEYL, matematico e storico della scienza tedesco: (1885-1955):
Space, Time, Matter, Methuen & Co., London 1922; Ch. II, Para. 21-22
6
Vale qui la pena di osservare che nella memoria pubblicata da Einstein nel
1905 (Zur Elektrodynamik bewegter Körper, Annalen der Physik, 17, considerata
quella fondante della Relatività Speciale) non c’è menzione alcuna del concetto di spazio-tempo, che a quel tempo non era ancora parte del pensiero di
Einstein. Solo più tardi Einstein venne a conoscenza (attraverso Minkowski)
2
Di particolare interesse è anche il libro di un altro matematico
e storico, l’inglese Edmund Whittaker, il quale, in un capitolo
intitolato “La Relatività di Lorentz e Poincaré “, accreditò lo sviluppo
della teoria della relatività a Poincaré e a Lorentz, mentre non
attribuì alcuna importanza alla memoria di Einstein pubblicata nel
1905. Secondo Whittaker 7, a Poincaré deve anche essere attribuita la famosa formula E = mc2, che esprime l’equivalenza tra
massa ed energia. 8
Le note che precedono sono una doverosa introduzione
all’analisi che segue, nella quale intendo tra l’altro rilevare le differenze esistenti tra la RS com’è praticata oggigiorno e la RS di
Einstein; ciò, secondo me, comporta anche una distinzione tra la
RS di Einstein e l’insieme dei più importanti concetti riguardanti
la relatività formulati dai suoi predecessori e dai successivi teorici
della cinematica e della dinamica dello spazio-tempo. Una tale distinzione non è usuale all’interno del mondo accademico, ma è
invece necessaria per comprendere la debolezza dei fondamenti
della RS, di quella einsteiniana in particolare. L’articolo che segue
intende anche suggerire deduzioni alternative, non relativistiche,
dell’equivalenza quantitativa fra massa ed energia e del rallentamento del tempo indicato da orologi materiali al crescere del loro
contenuto di energia cinetica.
del lavoro di Poincaré riguardante lo spazio-tempo identificato dalle trasformazioni di Lorentz.
7
SIR EDMUND TAYLOR WHITTAKER (1979-1956), matematico e storico: A History
of the Theories of Aether and Electricity, Nelson, London 1952-1953.
8
H. Poincaré, analizzando le caratteristiche dei campi elettromagnetici, poté
dimostrare che l’energia E di un’onda elettromagnetica è simile a quella di
un’onda che si propaga in un mezzo fluido la cui densità di massa è proporzionale a E/c.2. La théorie de Lorentz et le principe de réaction, Archive néerlandaise
des sciences pures et appliquées, 11, 1900 (op.cit.) - [Per ragioni di equivalenza
dimensionale, il coefficiente di proporzionalità deve avere le dimensioni
fisiche dell’inverso di un volume, onde – posto che il volume contemplato da
questo coefficiente nel determinare la densità di energia sia lo stesso che
definisce la densità di massa – si conclude che E.= mc2 ].
3
(i) Questioni di coerenza razionale
Alcuni dubbi da sempre restano sospesi sul modo nel quale
prima Lorentz e Poincaré e poi Einstein stabilirono i fondamenti
della relatività speciale.
Lorentz diede evidenza al bisogno in fisica di stabilire una
migliore definizione del “tempo” nel descrivere gli eventi osservati. Egli iniziò focalizzandosi sulla necessità di definire in maniera “operativa”9 ciò che dovremmo considerare come “simultaneità“, quando uno stesso evento è osservato da diversi punti
nello spazio; diciamo ad esempio, da due generici punti A e B
situati ad una qualsiasi distanza r l’uno dall’altro in uno spazio
euclideo. 10
Secondo Lorentz e Poincaré, la misura della velocità di spostamento di un oggetto dal punto A al punto B, o viceversa,
richiede la sincronizzazione di due orologi di uno stesso tipo
standard, uno piazzato in A e l’altro in B.
Supponiamo che nei due punti distinti A e B di uno stesso
sistema S (tutti i punti del quale sono in quiete relativa) vi siano
due osservatori, uno in A e l’altro in B, i quali usano uno stesso
tipo di orologio per registrare i tempi del passaggio di un oggetto
P in moto uniforme lungo la linea retta che passa per i due punti
detti, dirigendosi, per esempio, da A verso B.
L’oggetto P può considerarsi come un differente sistema in
moto lineare e uniforme rispetto al dato sistema S “in quiete”.
Lorentz rimarca che quando P è visto dall’osservatore in A
non può esser visto anche dall’osservatore in B, perché quella
luce (riflessa o emessa) che evidenzia P e che costituisce il più
veloce segnale in natura – impiega un tempo t = r/c per raggiungere B da A, essendo r la distanza fra i due osservatori e c la
9
Nel senso di “operatività” introdotto in fisica da P. W. BRIDGMAN , The Logic of
Modern Physics, MacMillan, New York 1927.
10
La “simultaneità“ sembra piuttosto un concetto convenzionale. In linea di
principio l’assoluta sincronizzazione non sembra mai possibile tra orologi
distinti.
4
velocità della luce. Lorentz esclude la possibilità di sincronizzare
i due orologi in A, per poi lasciarne uno in A e portare l’altro in
B.
E questo è un primo punto da tener presente, che – secondo
me – crea ambiguità e incoerenza.
Un altro importante assunto, al quale fu poi attribuito carattere
di postulato dalla teoria della relatività speciale di Einstein, è che
la velocità c della luce è una costante universale. Per Einstein, essa
è indipendente da tutti i sistemi di riferimento e dalle direzioni di
propagazione del segnale luminoso. Questo postulato di Einstein
implica o che lo spazio fisico sia un etere in permanente stato di
quiete, come l’etere cosmico concepito da Lorentz, o che lo
spazio cosmico sia un vuoto assoluto nel quale la luce si propaga
per “proiettili”, che Eistein denominò “quanti di luce”, non
soggetti alla condizione di moto delle loro sorgenti né a forze che
ne modifichino la quantità di moto.
Pertanto, il passaggio di P registrato in A dall’osservatore
locale nel momento tA diventa “simultaneamente” registrato dall’osservatore in B nel momento dato da tB = tA + ∆t = tA+ r/c.
In sostanza, sebbene non esplicitamente, - e a parte c = costante
universale – uno speciale assunto di Lorentz riguardo alla “simulneità” sembra riassumibile come segue: all’interno di un sistema, il
“metro” usato come strumento per misurare le distanze è un oggetto rigido,
nel senso che muoverlo nelle operazioni di misura, per esempio per misurare la
distanza r tra A e B, non comporta modifiche alla sua lunghezza di oggetto
fisico; mentre invece lo spostamento di orologi all’interno dello stesso sistema
comporterebbe comunque alterazioni nella misura del tempo fornita da
ciascuno di essi, così da impedirne una sincronizzazione effettiva capace di
indicare tempi identici una volta che tali orologi, sincronizzati in compresenza, siano poi allontanati gli uni dagli altri.
E questo è il secondo punto che crea ambiguità e incoerenza
logica nella teoria. 11 Infatti, a questo proposito, appare utile aprire
11
Da un punto di vista logico, un metro che resta rigido, se mosso per
misurare distanze all’interno del sistema, è in sostanziale contraddizione
logica sia con l’ipotesi fatta dallo stesso Lorentz mediante la formula [0] nella
pagina che segue – come sùbito vedremo – per spiegare il “fallimento” degli
5
qui un inciso, per evidenziare il perché dell’incompatibilità dell’assunto appena richiamato con le altre equazioni (trasformazioni) di
Lorentz riguardanti lunghezze e distanze relative. È opportuno
perciò ricordare l’origine del cosiddetto “fattore di Lorentz”,
v2
, che costituisce “il
c2
marchio” di riconoscimento della Relatività Speciale.
Lorentz fu convinto assertore dell’esistenza dell’etere cosmico,
pensato come l’immobile fondamentale essenza dello spazio fisico. La dinamica di Lorentz fu sviluppata assumendo l’etere cosmico
come sistema di riferimento assoluto. Per provare l’esistenza
dell’etere, Michelson and Morley (M&M) progettarono esperimenti miranti a valutare l’influenza del vento d’etere, relativo al
moto d’una sorgente luminosa, sulla velocità di propagazione della luce. Secondo il criterio seguito da quegli esperimenti, la velocità della luce che si propaga parallelamente al flusso dell’etere si
dovrebbe mostrare diversa dalla velocità della luce che si propaga in direzione perpendicolare alla direzione della corrente dell’etere. Il flusso d’etere considerato dagli esperimenti di M&M era
quello determinato dal moto relativo della Terra lungo la sua
orbita attorno al Sole. Per gli esperimenti condotti con gli interferometri di M&M, la percorrenza di due raggi di luce nelle due
direzioni (parallela e perpendicolare) su due percorsi s1 ed s2,
entrambi di uguale lunghezza s, ognuno comprensivo del percorso di andata e ritorno dalla sorgente all’interferometro mediante
appositi specchi riflettenti, avrebbe dovuto esibire una differenza
teorica esatta nei tempi impiegati espressa da:
espresso dalla relazione
∆t = t1.-.t2 =
γ = 1/ 1−
2s 
1
1

−
2
2

c 1− v / c
1 − v2 / c2

 .


Dopo il “fallimento” degli esperimenti di M&M, dai quali lo
strumento usato avrebbe fornito risultati tutti uguali a ∆t.=.0, fu
esperimenti di M&M., sia con la “trasformazione di Lorentz” espressa dalla
Formula [2] nella successiva pagina 11.
6
desunto che nessuna evidenza dell’esistenza dell’etere era apparsa.
Lorentz formulò allora l’ipotesi (del tutto arbitraria dal punto di
vista teorico) che il segmento s1 dell’interferometro parallelo alla
direzione del vento d’etere relativo alla Terra subisse una contrazione della sua lunghezza di una quantità espressa da
[0]
v2
∆s = (1 − γ ) ⋅ s = (1 − 1 − 2 ) ⋅ s
c
−1
così da trasformare la lunghezza s del percorso parallelo alla
corrente d’etere in s1 = s 1 − v 2 / c 2 , e perciò determinare, per i
raggi di luce sui due diversi percorsi, tempi di percorrenza uguali,
ossia t1 = t2 e quindi pure ∆t = 0.
Alla luce di questa ipotesi di Lorentz, qualunque metro materiale mosso in operazioni di misura lungo una qualsivoglia distanza determinerebbe pertanto un vento d’etere relativo che dovrebbe
causare una contrazione dello stesso metro.
A proposito degli esperimenti di M&M, alcuni fisici interessati al problema condussero in anni successivi un riesame dei dati
sperimentali forniti da M&M e da altri sperimentatori per concludere che la lettura e l’interpretazione correntemente accettate
di quei dati devono considerarsi inaccurate. Giusto per citare uno
solo dei menzionati riesami, ecco una dichiarazione, riassuntiva
anche della sostanziale conclusione di tutti i riesami condotti,
fatta in proposito dal fisico italiano Fabio Tabanelli: “Una dettagliata analisi storica delle osservazioni mediante interferometro (fatte nel
periodo 1887-1924) mostra che le procedure sperimentali iniziali erano
viziate, ma che le frange d’interferenza [dovute ai diversi tempi di percorrenza dei due raggi di luce sui percorsi di uguale lunghezza, ma
diversamente orientati. N.d.A.] si verificarono, sebbene in misura molto
minore di quella attesa. Differenze diurne della velocità [della luce] in
direzione azimutale, confrontata con la velocità della luce nella direzione del
moto orbitale terrestre, esistono realmente e non sono causate da artifici sperimentali. Ciò porta ad eliminare la necessità di ricorrere alle trasformazioni di
Lorentz. Siamo di fronte ad un’inequivocabile evidenza di non-esistenza
7
di prove sperimentali che possano essere usate come base della teoria della
relatività”. 12
Quanto alla misura dei tempi, per Lorentz resta che la sola
possibilità di sincronizzare orologi è quella di tenerli fermi ognuno nel punto d’osservazione assegnato e di usare, per il fine della
sincronizzazione, segnali elettromagnetici (luce). Resta pure il
fatto, però, che Lorentz dimentica di dire qualcosa su come
misurare i “ritardi” dovuti ai segnali luminosi sotto l’incertezza
delle misure riguardanti le distanze che separano gli orologi l’uno
dall’altro. A questo proposito, la contrazione del corpo P in
viaggio da A a B, prima considerato, insieme con l’incertezza
circa la misura della distanza tra gli stessi due punti, complica a
non finire anche la determinazione della velocità di moto v, che è
indispensabile conoscere per fare uso delle “trasformazioni” dello
stesso Lorentz. (Né appare accettabile, dal punto di vista del
rigore logico, fare un uso a piacere e di comodo di trascurate grandezze infinitesimali di ordine superiore. Come vedremo, è questo un
tipo di espediente che, frequentemente adottabile nella pratica
sperimentale vincolata ai limiti di accuratezza propri degli strumenti di misura usati, porta invece spesso a grossolane conclusioni teoriche quando lo si usa come espediente logico).
Lorentz potrebbe essersi posto il problema della sincronizzazione degli orologi in considerazione del fatto che il ritmo
d’oscillazione dei pendoli appare collegato all’accelerazione di
gravità cui è soggetta la massa oscillante. L’accelerazione di
gravità non soltanto varia da un punto all’altro della superficie
terrestre in relazione alla latitudine ed all’altitudine, ma differisce
12
F. TABANELLI, Coherence and Continuity of Non-Null Experimental Results by
Michelson-Morley and Miller, Proceedings of the International Conference “Galileo Back in Italy”, Bologna 1999. (Com’è ormai noto, esiste oggi una grande
quantità di altri studi e memorie pubblicati per confutare la fondatezza della
teoria della relatività speciale. C’è da ritenere che, da un certo momento in poi,
ne abbia dubitato già lo stesso Einstein. A questo proposito si consideri anche
che la RS d’uso corrente non è quella di Einstein, ma quella di Minkowski e di
Tolman basata sull’uso di “quadrivettori” inerenti al cronòtopo).
8
anche in punti diversi di uguali latitudine ed altitudine, come
mostrano - per ragioni mai chiaramente comprese - i molti
decenni di misurazioni con gravimetri condotte in ogni dove. 13
Per piccole oscillazioni, il periodo T di oscillazione di un
pendolo è espresso da T = 2π l / g , dove l è la lunghezza dell’asta o della corda del pendolo e g è l’accelerazione di gravità
locale. Si deve considerare che tutti i tipi di orologio – fino alle
prime decadi del XX secolo – erano regolati facendo riferimento
ad un pendolo campione.
Per una ragione o per l’altra - come osservò Poincaré Lorentz trovò un modo per sbarazzarsi di orologi il cui funzionamento può essere influenzato dal loro stato fisico o da condizioni ambientali.
In parole semplici, l’assunto di Lorentz sulla sincronizzazione provvide tuttavia un primo criterio operativo in fisica per
liberarsi del tempo assoluto di Newton. Nel trattare eventi fisici
aventi luogo all’interno di un sistema fisico in moto uniforme
rispetto ad un altro sistema di riferimento, l’uso di un unico
orologio di qualsiasi tipo è sufficiente a valutare come il tempo
scorre all’interno dell’altro sistema osservato, giacché il regolare
movimento dell’orologio usato è riferito soltanto al moto universalmente uniforme della luce.
L’assunto di Lorentz circa la sincronizzazione operativa in
fisica ha rimarchevoli implicazioni. La prima di queste è il modo
nel quale va stimato, da un dato sistema di riferimento S, il tempo
riguardante un altro sistema S’ in moto uniforme rispetto al
13 Già nel 1672, durante un suo soggiorno in Cayenna, l’astronomo francese
Jean Richer osservò che le oscillazioni del suo pendolo erano più lente che a
Parigi. Alle latitudini tropicali l’accelerazione di gravità è più debole che
altrove, per via della maggiore distanza della superficie terrestre dal centro
della Terra, ed è ulteriormente attenuata dalla forza centrifuga dovuta, colà,
ad una più alta velocità di rotazione della Terra, rispetto alla velocità di rotazione alle latitudini delle zone temperate e polari. Infatti, alla latitudine della
Guyana, sia la più tenue gravità sia l’opposta maggiore accelerazione centrifuga che agiscono sulla massa del pendolo contribuiscono ad aumentarne, per
esempio rispetto a Parigi, il periodo di oscillazione.
9
primo. La relazione quantitativa fra il tempo t’ in S’ ed il tempo t
misurato in S è espressa dalle seguenti ben note formule di
trasformazione , dette appunto “di Lorentz”:
[1]
t’=
vx
c2
v2
1− 2
c
t −
; oppure t’ = t / 1 − v 2 , se x = 0 ;
2
c
nelle quali v = r/t =.costante è la velocità di S’ rispetto ad S, x è
il valore dell’ascissa rispetto ad S di un generico punto in moto
lungo la direzione del moto relativo; r è la distanza fra S ed S’
mentre c, al solito, è la velocità della luce (vedasi lo schema della
Figura 1 tre pagine più avanti).
L’altra trasformazione, riguardante lunghezze e distanze,
introdotta con la formula [0] come ipotesi per spiegare il
“fallimento” dell’esperimento di M&M, nel caso dei sue sistemi in
moto relativo uniforme, si scrive come segue:
[2]
x’ =
x−r
1−
v2
c2
nella quale x’ esprime l’unità di lunghezza generica misurata nel
sistema S’ rispetto alla stessa generica unità di lunghezza x
misurata nel sistema S.
Ritengo necessario osservare a questo punto che rimane
irrisolta l’ambiguità fondamentale di un tal modo di procedere,
per il mancato chiarimento circa l’effetto dovuto all’uso dello
strumento di misura delle lunghezze, il quale, nell’uso che se ne fa
muovendolo in direzione opposta al “vento d’etere” generato dal
movimento, subisce a sua volta – stando all’ipotesi di Lorentz –
una contrazione in S ed una contrazione aggiuntiva in S’; mentre
nessun chiarimento è dato circa il modo di determinare sia la
variabile distanza r, che separa due sistemi in moto relativo, sia la
velocità del moto. Mi pare che si debba prestare attenzione a
questi dettagli quando si ha a che fare con i fondamenti di una
10
teoria, giacché le ambiguità logiche dei fondamenti si ripercuotono inevitabilmente ampliate negli sviluppi della stessa teoria.
Quanto alla velocità della luce c, a livello teorico si può di
buon grado accettare la convenzione per la quale essa ha lo stesso
valore per entrambi i sistemi, al pari di una costante universale
introdotta come assunto iniziale. In analogia con la velocità del
suono nell’aria, Lorentz assunse che – rispetto all’etere cosmico – la
velocità del segnale elettromagnetico (luce) non dipende dalla
velocità della sorgente del segnale né dalla velocità dello strumento che lo riceve. Per evitare il ricorso al tempo assoluto newtoniano,
Lorentz pensò che la propagazione della luce offriva un parametro di riferimento della massima efficacia operativa in fisica.
Le trasformazioni di Lorentz riportate sopra sono collegate all’aver preso l’etere cosmico e la propagazione della luce come
riferimenti fondamentali in fisica. Tali trasformazioni, però, comportano un limite teorico, giacché escluderebbero come impossibili velocità superiori a quelle della luce. Se in quelle formule il
valore della velocità relativa v è maggiore della velocità c della
luce, sotto il segno di radice quadrata compaiono numeri negativi,
la radice quadrata dei quali dà per definizione quantità immaginarie.
Si potrebbe, invece, ritenere che l’interpretazione correntemente
data a quelle trasformazioni sia inappropriata, ricordando da dove
esse derivano, ed anche che nell’interpretarle non si tiene in alcun
conto il fatto che l’operazione di radice quadrata comporta sempre
un doppio valore, un valore positivo ed uno negativo: che
significati si potrebbero dare a quelle formule se le distanze ed i
tempi relativi ch’esse esprimono fossero grandezze negative? Si
dovrebbe escludere comunque che si tratti di relazioni prive di
senso fisico?
(Nessuna discussione attorno alle formule della RS fa mai
menzione di questo fatto; eppure le formule la richiederebbero:
che significa? Prima di tutto, ritengo, significa che si deve stare
attenti alle estrapolazioni semantiche attorno a formule imposte
da ipotesi arbitrarie, non desunte da misurazioni sperimentali).
11
Ad imitazione di quanto fecero i padri della RS, possiamo
indugiare anche noi su un esperimento concettuale, immaginandolo un
po’ più realistico, diciamo, di quello alla base della RS di Einstein.
Come primo passo, tentiamo di stabilire un criterio operativo
per misurare la velocità e la distanza relative di un sistema fisico
rispetto ad un altro. Per questo scopo, immaginiamo due navette
spaziali, S ed S’, l’una accodata all’altra lungo orbite – vicine ed
ampie a piacere – o attorno al Sole o ad una altro astro di massa
maggiore. All’interno di ciascuna navetta, gli equipaggi non sono
in grado di rilevare, con gli strumenti disponibili, alcuna particolare forza naturale agente sugli oggetti contenuti nell’abitacolo
(nella realtà qualsiasi corpo in orbita gravitazionale è costantemente soggetto ad una tensione equilibratrice, determinata dalle
equivalenti ed opposte forze centrifuga e gravitazionale).
Per assenza di forze rilevate, i pendoli da laboratorio disponibili all’interno di ognuna delle due navette sono necessariamente
inattivi. Le navette sono identiche, di forma cilindrica e di lunghezza h. Ognuna di esse, in entrambi gli estremi del loro corpo
cilindrico, ha basi circolari luminose, che inviano potenti segnali
luminosi continui in tutte le direzioni.
Figura 1
Y
S”
Y’ S’
P
S
r
-X
0
r’ h
A
β
P’
h
A’
+X
x
v = h cotanβ/(t – h/csinβ) = constant ; x = vt = c t h cosβ/(c t sinβ – h)
È opportuno fare riferimento allo schema di Figura 1, che
potrebbe pensarsi anche come una pratica rappresentazione di sistemi “inerziali” in moto relativo uniforme, essendo la velocità v
del moto relativo misurata dal sistema S facendo uso soltanto
12
dell’orologio di bordo, di un goniometro ottico, della velocità c
della luce, ritenuta nota e costante, emessa dalle basi luminose del
sistema, e della conoscenza della lunghezza h della navetta in
allontanamento. Le semplici formule ai piedi dello schema indicano come calcolare velocità e distanze relative stando in S.
Possiamo adesso aggiungere un terzo sistema S’’, identico ai
primi due, il quale, su un’altra orbita parallela alle prime due,
anch’essa a quelle vicina ed ampia a piacere, si muove di moto
retrogrado rispetto ad S con velocità costante –v, ossia con
velocità relativa ad S uguale ma di segno opposto a quella della
navetta S’.
Supponiamo, per amore forse eccessivo di realismo, che si
tratti di orbite di enorme ampiezza attorno ad una astro di massa
grande a piacere, così da poter immaginare velocità di rivoluzione
grandissime, confrontabili con quella della luce. Possiamo immaginare che le velocità relative considerate siano appena un pochino maggiori di 150000km/secondo in valore assoluto, ossia v =
150000km/sec e –.v = –150000km/sec, rispetto ad S.
Stante questa situazione, gli astronauti nella navetta S non se la
sentono di dubitare del fatto che la velocità di allontanamento in
direzioni opposte della altre due navette S’ ed S” si svolga tra
queste ad una velocità superiore a quella della luce, 14 e sanno pure
che per questo fatto le due navette spaziali S’ ed S’’ non possono
vedersi l’un l’altra né possono i rispettivi equipaggi comunicare
alcunché fra loro; ma sapendo pure che la comunicazione fra
quelle due resta possibile usando proprio la navetta S di riferimento come intermediaria, cioè trasmettendo ad S i messaggi
14
È un ragionamento analogo a quello che molti astronomi hanno fatto di
recente, a proposito del reciproco allontanamento delle galassie dovuto all’espansione accelerata dell’universo, che porterà ad un universo buio.
13
elettromagnetici di S’ destinati ad essere ritrasmessi ad S”, e
viceversa. 15
In questo esperimento concettuale, la cornice teoretica della
RS di Einstein mostra i suoi limiti logici, perché l’affermazione
ch’egli fa circa l’impossibilità di moti con velocità relative superiori a quella
della luce perde significato scientifico, se si pretende di generalizzare il concetto. In un caso come questo appena immaginato, la
composizione relativistica delle due velocità opposte rispetto ad S (v
per S’ e –v per S’’), stando alla definizione di tale composizione
che Einstein esprime con la relazione w.=.(v.-.v)/(1-.v2/c2), darebbe velocità relativa nulla .
(ii) Massa come funzione della velocità
Le “trasformazioni di Lorentz” non si limitano a quelle appena ricordate. Nello studio della dinamica dell’elettrone Lorentz
introduce “trasformazioni” riguardanti anche la massa dell’oggetto
in movimento. Addirittura, Lorentz introduce due nuovi concetti
per la massa di corpi in moto relativo: la massa trasversale e la massa
longitudinale, proprio perché egli non intende limitarsi ad considerare astratti moti inerziali. Di ciò si fa menzione assai raramente,
benché si tratti di una singolare attenzione analitica, il significato
della quale, prima di tutto, è che, per Lorentz, il moto uniforme
relativo non è necessariamente lineare, a differenza del moto lineare uniforme sul quale si basa la prima memoria di Einstein del
1905 sulla sua relatività speciale. La differenza non mi sembra
insignificante, perché le trasformazioni di Lorentz, nel contesto
teorico di questo autore, possono riguardare moti uniformi come,
per fare un esempio oggi familiare a tutti, il moto relativo di due
satelliti artificiali in orbita circolare attorno alla Terra a diverse
distanze da questa e a diverse velocità uniformi sulle rispettive
orbite. Anche Einstein, nella sua trattazione, arriva a considerare
questa distinzione concettuale fra massa longitudinale e massa
15
Ovviamente, si suppone che la velocità orbitale della navetta di riferimento S
resti indeterminata; dalla posizione di questa si possono soltanto valutare le
velocità relative di allontanamento della altre due in direzioni opposte.
14
trasversale, senza tuttavia farne alcun uso utile alla sua analisi di
un moto inerziale lineare e uniforme.
Per Lorentz, gli effetti delle velocità sono considerati in
relazione al moto rispetto all’etere cosmico, preso come riferimento fondamentale. S’intuisce subito che l’analisi di Lorentz dei
moti relativi si complica non poco, sebbene resti riferita ad un
ambito più credibile, dal punto di vista fisico, di quanto non siano
i moti inerziali della RS di Einstein. I quali sono mera finzione
metafisica: impossibile immaginarli esistenti, se non per grossolana approssimazione in limitati tratti dello spazio cosmico. È questa considerazione che mette immediatamente in questione la
validità generale all’analisi relativistica einsteiniana. Il bello è che
lo stesso Einstein, passato qualche anno, dovette rendersene
conto. Se, da un lato, Einstein giustificava il suo approccio relativistico con la necessità di escludere l’esistenza di un etere cosmico impossibile da rilevare e, quindi, da doversi considerare in fisica
come inesistente sulla base di un positivismo alla Ernst Mach
(molto influente su Einstein), da un altro lato non meno metafisico e indimostrabile è qualsiasi moto lineare e uniforme in uno
spazio cosmico euclideo come quello adottato dalla RS di Einstein. 16
Non ci si deve stupire se si afferma che il giovane Einstein,
nel cimentarsi con questi problemi, non avesse tutte le idee ben
chiare, e che il suo coraggio nell’affrontare un tema di fisica non
banale come questo, già sviscerato da Lorentz, non fu sufficiente
a sopperire alle debilitanti carenze del suo rigore investigativo,
all’opposto di quanto – dopo oltre un secolo – non si smette
ancora di celebrare. Una simile opinione sul primo Einstein
sembra corroborata da testimonianze credibili, a cominciare da
quelle ch’egli stesso iniziò a lasciare non molti anni dopo la pubblicazione della sua memoria sulla RS. Ci sono, fra le altre, alcune
significative asserzioni riportate da un libro dell’astronomo Erwin
16
Ritengo indispensabile, per chi è interessato a conoscere meglio l’evoluzione del pensiero scientifico e filosofico di Einstein, la lettura del dirompente
libro di LUDWIG KOSTRO, Einstein and the Ether, Apeiron, Montreal 2000.
15
Freundlich, collaborare di Einstein in un programma volto a
verificare la teoria della Relatività Generale. I contenuti e il
metodo esposti nel libro sono avallati da una specifica prefazione
dello stesso Einstein. Per esempio, nel discutere circa difficoltà
inerenti all’interpretazione della “massa inerziale”, Freundlich
scrive: “L’essenza di queste difficoltà va indubbiamente trovata
in un insufficiente collegamento fra principi fondamentali [della
RS]e osservazione. In termini di fatti reali, noi osserviamo soltanto
moti di corpi l’uno rispetto all’altro, e questi moti non sono assolutamente
mai né retti né rettilinei. Il puro moto inerziale è pertanto un
concetto formulato mediante l’astrazione di un esperimento
mentale, una mera finzione.“ [Le parole qui in grassetto sostituiscono quelle che Freundlich ha voluto evidenziare in corsivo
nel testo originale. N.d.A.]. 17
Dicevamo delle masse di Lorentz. Rispetto ad un dato sistema
di riferimento cartesiano, un qualsiasi moto ha una componente
della sua velocità v parallela alle ascisse ed una componente parallela alle ordinate. Lorentz intuisce e definisce un concetto di
massa come quantità variante con la velocità del corpo al quale è
associata. Egli chiama “massa longitudinale mx” e “massa trasversale my” le quantità rispettivamente definite da
mx =
[3]
m0

v
 1− 2

c

2
3
 ;



e da
my =
m0
1−
v2
c2
.
In queste “trasformazioni”, Lorentz assegna al simbolo m0 il
significato di “valore della massa in quiete (ferma)” rispetto al
sistema di riferimento adottato. Attenzione, però: Lorentz non
afferma che il sistema di riferimento adottato è in generale in quiete
rispetto all’etere cosmico. Credo che si debba tener presente questa osservazione, che mi sembra cruciale.
17
ERWIN FREUNDLICH, The Foundations of Einstein’s Theory of Gravitation, Cambridge University Press, 1920, p. 22.
16
In altre parole, anche il valore della massa in quiete m0 , che
resta costante per il corpo se fermo rispetto al sistema di riferimento principale, è invece intrinsecamente variabile con la velocità che tal riferimento potrebbe avere rispetto ad un sistema di
riferimento diverso e, in particolare, rispetto all’etere cosmico. In
sostanza, il valore m0 andrebbe preso come valore iniziale riferito
ad un moto che convenzionalmente può assumersi come iniziato con
velocità nulla solo rispetto al sistema di riferimento adottato,
mentre nella realtà dei fatti fisici l’inizio di un moto rispetto ad un
dato sistema di riferimento è sempre la variazione di un moto già in
corso a partire da un momento indeterminabile. Si afferma così il
principio dell’inerzia come stato locale e momentaneo di moto di un
corpo rispetto all’etere cosmico.
In termini equivalenti, il concetto di massa classico, come
rapporto fra la forza applicata ad un corpo e la conseguente accelerazione subita da questo, non è una caratteristica costante dello
stesso corpo. Qualsiasi corpo nell’universo fisico è “da sempre” in
moto nello spazio cosmico a velocità che variano a seconda delle
vicende fisiche delle quali il corpo è stato ed è co-protagonista. Ci
si può soffermare un momento ad interpretare, per esempio, la
formula che per Lorentz esprime la quantità di massa trasversale
di un corpo in moto. Questa relazione è anche quella che definisce la massa di un corpo al variare della sua velocità rispetto ad un
dato sistema inerziale einsteiniano. Se misuriamo la massa m di un
corpo a partire da un dato istante del suo moto “inerziale”, solidale col moto del sistema di riferimento considerato, possiamo
calcolare qual è la sua massa iniziale in quiete rispetto allo stesso
riferimento (si tenga presente che nessuna “massa inerziale” può
essere misurata se non la si sottopone ad una forza). Considerata
soltanto la seconda delle [3], e detto my = m , possiamo infatti
scrivere:
[3a]
m0 = m 1 −
v2
.
c2
[Desidero sostare un momento sulla lettura di questa formula,
rovesciata rispetto alla sua forma usuale. Si suole affermare che la RS,
17
grazie a questa formula, “prova” l’impossibilità per un qualsiasi oggetto
di viaggiare ad una velocità pari a quella della luce, perché “altrimenti”
la massa m del corpo assumerebbe un valore infinito. Io suggerirei di
leggere la stessa formula nella versione [3a] indicata sopra, nella
ragionevole considerazione che le “masse in quiete” m0 non sono né
date (sono incognite, perché non misurabili finché restano ferme nei
rispettivi sistemi inerziali o in sistemi a questi assimilati, per esempio nei
satelliti artificiali in orbita attorno alla Terra) né costanti, perché esse
dipendono proprio dalle velocità alle quali gli oggetti materiali viaggiano
- insieme col sistema di riferimento inerziale considerato - e dalle masse
degli stessi oggetti come possono essere misurate a partire dal rispettivo stato
di moto uniforme. Sarebbe oltretutto un modo per accettare l’altrimenti
paradossale affermazione per la quale i fotoni viaggerebbero alla velocità della luce ma hanno massa in quiete nulla. Che è un modo per dire
che fotoni in quiete non esistono. Se esprimessimo la massa a riposo d’un
fotone con la [3a], si avrebbe una spiegazione del perché: non conoscendosi per i fotoni alcuna velocità v,<.c, la massa del fotone riposo
non esiste perché è uguale a zero. La stessa relazione lascia, in generale,
la massa m del fotone indeterminata per v.=.c perché la massa
risulterebbe espressa dal rapporto zero/zero (oggi, più o meno esplicitamente, la massa di un fotone si pensa associata alla sua frequenza o
espressa dalla sua energia).
Inoltre, si desumerebbe che, nello stato di moto di un qualsiasi oggetto
con massa m effettiva in tale stato, la massa in quiete calcolabile per lo
stesso oggetto è tanto minore quanto maggiore è la velocità alla quale m
viaggia rispetto alla velocitá della luce; che è un altro modo per dire che
la massa di un oggetto tanto più cresce - rispetto a qualsiasi sistema di
riferimento dato - quanto maggiore è la velocità acquisita dallo stesso
oggetto rispetto alla velocitá della luce.
Un’ulteriore conclusione, stando alla stessa formula, è che nessun
oggetto materiale può raggiungere la velocità della luce perché nessuna
particella materiale nasce in stato di quiete assoluta rispetto allo spazio
fisico, che è quello spazio nel quale la luce si propaga (ossia, v.≠.0
sempre, rispetto a questo spazio). Forse un preludio alla tesi per la quale
non esiste né nasce materia senza intrinseco contenuto di energia
cinetica. È quanto pretende di affermare la teoria quantistica dei campi,
stabilendo l’inesistenza di uno stato di quiete assoluta per gli elementi
fondamentali della materia; per questa, lo stato termico dello zero
assoluto è irraggiungibile, essendo lo stesso spazio fisico “animato” da
18
un’energia fondamentale, generatrice e divoratrice incontrollabile di
“particelle virtuali” e non, che nessuno sa che cosa sia, ma che appare
essenziale alla fisica contemporanea].
A voler fare un esempio molto grossolano, ma non irragionevole, dell’uso possibile di una tale formula, questa significa che la
massa del mio bagaglio a mano misurata in 10kg-massa (ad accelerazione di gravità costante) a bordo di una aereo di linea in volo a
1000 km all’ora, aveva a terra, prima della partenza, una massa
all’incirca pari a m0 = 0,9999944kg-massa. In volo, la massa del mio
bagaglio a mano è un po’ aumentata insieme con la sua energia
cinetica, rispetto alla massa m0 ed alla rispettiva energia cinetica,
che lo stesso bagaglio aveva al check-in dell’aeroporto di partenza,
dove il mio bagaglio viaggiava nello spazio alle velocità combinate
della rotazione e rivoluzione terrestri, del sistema solare rispetto al
centro della Galassia, e di questa nel cosmo, essendo perciò
l’aeroporto parte di un sistema di riferimento non inerziale, anche
perché soggetto ad una risultante di forze chiamata “forza di
gravità”. Forse anche quest’esempio potrebbe aiutare a chiarire il
significato di “massa a riposo m0” da attribuire a tale simbolo
nelle trasformazioni relativistiche non einsteiniane.
La questione non è così insignificante come potrebbe sembrare. Per Lorentz, infatti, anche se le sue “trasformazioni” non
fanno necessariamente coincidere il generico sistema di riferimento adottato con il riferimento assoluto costituito dall’immobile etere cosmico, si potrebbe supporre che la massa in quiete
dovesse intendersi in ultima istanza proprio la massa in quiete
rispetto all’etere, sebbene tale massa in quiete assoluta non sia determinabile se non si conosce la velocità di origine di un corpo
rispetto all’etere cosmico.
Fra la pletora dei relativisti che seguirono, invece, il simbolo
m0 dovrebbe intendersi come “massa invariante” rispetto a
qualsiasi sistema di riferimento, concetto assai più difficile da
accettare, proprio da un punto di vista relativistico, perché bisognerebbe chiarire che cosa significhi intrinsecamente o assolutamente invariante: rispetto a che cosa, se poi invece si dimostra
che la massa di un corpo è comunque funzione della sua velocità?
19
Chi conosce, come si misura, da dove si prende questa massa
invariante rispetto a qualsiasi sistema di riferimento? Nelle formule
relativistiche la massa invariante è un’incognita, non un dato. Il
considerarla un dato contribuisce pesantemente a marchiare come
metafisico il concetto di “sistema inerziale”. In àmbito relativistico, il concetto di “massa” sicuramente non coincide con quello di
quantità di materia, giacché appare chiaro che, per la “relatività”,
l’aumento di massa di un corpo con la velocità non comporta
alcun aumento della quantità di materia costituente il corpo.
All’interno di sistemi inerziali o a questi assimilabili, la determinazione della massa di un oggetto rispetto al sistema di riferimento considerato deve fare ricorso alla meccanica classica, ossia
applicando all’oggetto una forza nota e misurando l’accelerazione
che l’oggetto subisce nella direzione della forza applicata. A terra
e su un aereo di linea in moto uniforme rispetto alla superficie
terrestre la forza costantemente applicata, e l’accelerazione che ne
consegue, sono quelle dovute alla gravità (peso). Nei moti orbitali
bisogna ricorrere ad altro. Come appena sopra osservato, la massa
che si riesce a determinare, misurandola in orbita, è m, mentre per
conoscere la massa m0 in quiete rispetto allo stesso sistema
inerziale (o ad esso assimilato) bisognerebbe ricorrere alla formula
[3a] vista sopra, se si crede nella RS.
Distolta la forza dall’oggetto al quale è stata applicata per
misurarne la massa, l’oggetto acquisisce rispetto al sistema inerziale una velocità uniforme w ed un’energia cinetica supplementare
(ossia in aggiunta a quella posseduta dal sistema di riferimento considerato) espressa da
[4]
Ew =
mw2
=
2
m0 w2
.
w2
2 1− 2
c
Questa relazione, lasciate da parte le precedenti considerazioni sulla “massa invariante”, è interessante per un paio di
ragioni diverse. Da essa, con un minimo di manipolazione, prima
elevando tutto al quadrato e poi dividendo tutto per mw4, si
ottiene ancora una relazione fra due quantità, ognuna delle quali
20
ha le dimensioni fisiche di un’energia cinetica, che pone non
banali problemi di interpretazione. La relazione ottenuta, che simbolizziamo con Ek, per ricordarci che si tratta sicuramente di
energie cinetiche, è la seguente:
[5]
Ek → mc 2 = mw2 +
m02 2
c ,
m
la quale è ovviamente valida per qualsiasi valore della velocità w e,
in particolare, anche per w = 0. Per velocità w nulla (rispetto al
riferimento considerato) la relazione [5] afferma che la massa del
corpo immobile rispetto al riferimento dato possiede già una
dotazione intrinseca di energia cinetica pari a
[5a]
Ek (0) = m0c 2 .
C’è immediatamente da osservare che questa equazione è già
una chiara indicazione di connessione stretta fra energia totale e
massa di un corpo in qualsiasi stato esso si trovi, in quanto, anche
se il moto del corpo è solidale con quello del sistema di riferimento considerato, il moto del sistema stesso può essere qualsiasi
rispetto ad un qualunque altro sistema di riferimento.
L’equazione [5a], d’altronde, riconduce a quanto abbiamo già
osservato prima, nel considerare che, in generale, non è pensabile
nel nostro universo un sistema materiale di riferimento assolutamente immobile, e che quindi è giustificabile supporre che soltanto lo stesso spazio fisico (non un vuoto fisico) possa considerarsi
riferimento assoluto per ogni moto di oggetti materiali; e, in fisica,
un sistema di riferimento “dato” è sempre un luogo fisico chiaramente determinato e soggetto alla cinematica – almeno – del
settore di spazio cosmico che lo localizza. Donde la stessa equazione può proporsi lecitamente per una sua generale validità.
Questa conclusione, che può pure avere il carattere di un’interpretazione soggettiva, è tuttavia l’implicita acquisizione dell’equivalenza massa-energia desumibile dalla “relatività“ di Lorentz.
Einstein, però, nella memoria che fonda la sua RS, sembra
non accorgersi dell’equivalenza massa-energia implicita nella
21
teoria di Lorentz, perché, al Paragrafo 10 di quel documento18
ottiene per l’energia cinetica una relazione che contrasta con la
conclusione [5] indicata sopra. Einstein, infatti, ricava che
l’energia cinetica di un elettrone in moto è espressa da
[6]
Ek = (m − m0 )c 2 ,
nella quale la massa m è quella relativistica espressa dalla seconda
delle relazioni [3] sopra riportate. Da questa relazione di Einstein
si ottiene che il moto relativo, rispetto ad una quiete relativa
iniziale, comporta per la massa del corpo in moto un incremento dato
da:
E
[6a]
∆m = 2k .
c
Qui sembra affiorare un’incertezza di Einstein circa quanto
egli sta trattando, come apparirà confermato dalla sua successiva
memoria riguardante l’equivalenza massa-energia. Viene in evidenza il fatto che questa relativistica energia cinetica deve essere
diversa dalla definizione classica di energia cinetica espressa da
Ec=.mv2/2, altrimenti tutto il laborioso travaglio sciorinato dalle
circa venti pagine dei precedenti nove paragrafi della memoria
einsteiniana avrebbero partorito soltanto quanto già si sapeva o
già era stato detto e scritto da altri.
Infatti, se nella [5] di Lorentz si sostituisce ad m la relativa
espressione relativistica per la massa trasversale (che è formalmente identica all’espressione ottenuta per la massa anche da
Einstein) si ottiene, come ovviamente dev’essere, un’identità; a
conferma della coerenza logica delle equazioni di Lorentz. Se si fa
la stessa sostituzione per la m nella [6] di Einstein eguagliata
all’energia cinetica classica si ottiene, invece, la seguente relazione:
18 A. EINSTEIN, Zur Elektrodynamik bewegter Körper, Annalen der Physik, giugno
1905, op. cit., Paragrafo 10. La formula lì data per l’energia cinetica di un
elettrone in un sistema inerziale è : Ek = (m – mo)c2 , dove m = mo /(1– v2/c2)1/.2 ,
come per m ricavato dalla relazione [3a] .
22
[6b]
1−
 w2 
w2
=
1
−
 2 ,
2c 2
c 
la quale non ha senso fisico perché è vera soltanto se è w = 0. Pertanto l’equazione [6] ottenuta dalla RS di Einstein per l’energia
cinetica si mostrerebbe in intrinseca contraddizione con l’equazione dallo stesso Einstein data per la massa relativistica. Questo
significa che l’equazione relativistica [6] di Einstein per l’energia
cinetica è incompatibile con la definizione classica di energia
cinetica, ossia sicuramente, in simboli, Ek.≠ Ec .
Sembra chiaro che, nel redigere la memoria riguardante la sua
RS, Einstein abbia di proposito inteso non tener conto dell’implicazione [5a] comportata dalla relazione [4], che esprimerebbe
la compatibilità fra l’energia cinetica relativistica da lui formulata e
quella classica, sebbene all’interno di un sistema inerziale non ci
sia altro modo per determinare la massa e l’energia cinetica di un
corpo (e quindi anche la massa “in quiete relativa”) se non ricorrendo alla dinamica classica. Se Einstein non ha voluto eguagliare
la sua energia cinetica a quella della meccanica classica, c’è da
supporre ch’egli fosse consapevole dell’incompatibilità appena
rimarcata ed evidenziata dalla [6b]. Questa supposizione appare
plausibile. Alcuni epigoni di Einstein hanno invece preteso di
interpretare la Ek della [6] come “energia totale” del corpo, ma è
indubbiamente una forzatura inammissibile, che lo stesso Einstein s’è guardato bene dal fare, altrimenti non si sarebbe sùbito
dopo e frettolosamente indotto ad “arrampicarsi sugli specchi”
con le due paginette della memoria sullo specifico argomento
dell’equivalenza massa-energia.
Nel giugno del 1905 Poincaré aveva già reso pubblica la sua
memoria, prima ricordata, sulla relazione diretta fra densità di
massa e densità di energia. È quindi probabile che, venutone a
conoscenza, Einstein decidesse, alcuni mesi dopo la pubblica-
23
zione della sua memoria riguardante la RS, di pubblicare un suo
proprio “suggerimento esplicito” circa lo stesso argomento.19
L’impressione del lettore è che si tratti di un lavoro molto
affrettato.
È qui il caso di tralasciare la critica al metodo con il quale, in
quello studio, Einstein arriva a definire un’equivalenza tra massa
ed energia prendendo in considerazione un corpo in moto inerziale che irraggia energia (luce) in opposte direzioni. Fu Max
Planck il primo a criticare questo lavoro di Einstein, seguito negli
anni da altri fisici.
Al di là del metodo, che nella sostanza mi sembra una
petizione di principio20, la formula conclusiva dell’analisi di
Einstein può riportarsi nella seguente forma:
[7]
 mv 2 
∆ Ek = ∆ 
 = E(
 2 
1
v2
1− 2
c
− 1) .
Qui pervenuto, Einstein ritiene lecito sostituire il fattore di
Lorentz nell’ultimo membro a destra della [7] con la rispettiva
serie21 troncata al secondo termine, cioè ponendo:
[7a]
2
1
v
1−  
c
2
1v ;
= 1+  
2c
Cosicché dalla [7], con molta buona volontà, si va a desumere
che:
19
A. EINSTEIN, “Ist die Trägheit eines Körpers von seinem Energieinhalt abhängig? ”
(L’inerzia di un corpo dipende dal suo contenuto di energia?), Annalen der Physik,
Settembre 1905. Qui “massa” e “inerzia” sono per Einstein sinonimi.
20
In questo senso, tendo a concordare con ciò che in proposito rilevarono
HERBERT IVES, Derivation of the mass-energy relation, Journ. of Optic. Soc. of America, 42, 1952; e MAX JAMMER, Concept of Mass in Classcal and Modern Physics, Dover,
New York, 1997; e numerosi altri, pur contraddetti da relativisti doc.
21
Se si pone per semplicità di scrittura β.=.(v/c), la serie riguardata è:
1/(1- β2)1/.2 = 1+ β2/2 + 3β4/ 8 +…+ 1·3·5·…·(2n-1)β2n/(2·4·6…·2n), con
24
n→ ∞.
∆m = ∆E / c 2 , e quindi anche ∆E = c 2 ∆m ,
[7b]
ossia che il dispendio di energia equivale alla perdita di massa
moltiplicata per il quadrato della velocità della luce. Tutto qui e
nient’altro sull’argomento.
Che la [7b] non quadri tanto con la [6a], ricavata nella sua
precedente memoria, dipende dal fatto che nella [7b] Einstein
confronta questa volta la variazione dell’energia cinetica Ek con la
variazione di energia cinetica Ec classica, che così lo porta alla
conclusione voluta, introducendo inoltre l’energia totale E del corpo
tramite una “ovvia” (dice lui) costante additiva che sempre deve
supporsi aggiunta all’energia cinetica, in quanto quest’ultima è
comunque parte dell’energia totale del corpo considerato. Pertanto,
variazione di energia cinetica significa implicitamente anche variazione dell’energia totale convogliata dal corpo in moto.
(Se una così grossolana sostituzione del fattore di Lorentz l’avesse
fatta nel suo precedente lavoro, temo che non sarebbe restata traccia
della relatività speciale di Einstein. Si immagini soltanto se, nell’equazione [6], che definisce l’energia cinetica nella sua precedente memoria
sulla RS, Einstein avesse fatto la stessa sostituzione riportata per la [7]
sopra, avesse cioè posto e ottenuto:
[?]
Ek = (
1
 v2 
1−  2 
c 
− 1)m0 c 2 = (1 +
v2
1
− 1)m0 c 2 = m0 v 2 .
2
2c
2
Insomma, sarebbe stata questa la conclusione di un complicato
percorso per definire “l’acqua calda speciale”. La [?] sopra, infatti, perviene alla consueta definizione di energia cinetica data dalla meccanica
classica).
25
(iii) Breve passaggio per il cronòtopo di Minkowki
Nell’analizzare le “trasformazioni di Lorentz”, Poincaré nel
maggio del 1905 per primo si accorse che esse rendono invariante
l’espressione
x2 + y2 + z2 – c2t2 ↔invariante
[8]
in quanto quelle trasformazioni non sono altro che una rotazione
di coordinate in uno spazio quadridimensionale (x,y,z,ict) attorno
all’origine del sistema di riferimento, introducendo ict come
quarta coordinata immaginaria, essendo i = √-1.
Fu lo stesso Poincaré ad introdurre il concetto di “quadrivettore” per lo studio della dinamica in un tale spazio quadridimensionale. Minkowski intervenne più tardi, nel 1907, a rifinire
il formalismo dello spazio-tempo messo in luce da Poincaré con
la “rotazione” del riferimento operata mediante le “trasformazioni” di Lorentz. Nel frattempo Einstein non sapeva alcunché di
spazio-tempo quadridimensionale. Anzi, stando ad un suo biografo, Einstein non si trattenne dall’esprimere il suo disappunto
quando venne a conoscenza del lavoro di Minkowski sullo
spazio-tempo. 22
La quarta dimensione ict (in quanto prodotto di una velocità c,
assunta come costante, ed un tempo t misurato in qualsiasi modo)
ha essa pure le dimensioni fisiche di una lunghezza, al pari delle
altre tre usuali x, y, z. L’elemento “spurio” costituito dal parametro “tempo” misurato in ore, minuti e secondi viene eliminato
dall’analisi cinematica e dinamica, che con tal quarta dimensione
si trasforma così in un’analisi completamente geometrica. L’unità
22
Il nuovo paradigma concettuale introdotto dal cronòtopo di Minkowski
disorientò non poco Einstein, il quale, in varie occasioni, così ebbe a scrivere
in proposito: ”Da quando i matematici si sono impadroniti della relatività io stesso non ci
capisco più nulla”, alludendo soprattutto a Poincaré e a Minkowski. E ancora:
“Chi non è matematico è percorso da un misterioso brivido quando sente parlare di quantità
quadridimensionali; soggiace a una sensazione non dissimile da quella suscitata dal
pensiero dell’occulto […] Quelli di Gottinga [cioè Minkowski. N.d.A.] a volte mi fanno
sospettare che il loro desiderio non fosse tanto di aiutarci a formulare un concetto con
maggiore chiarezza, quanto di farci vedere che sono assai più intelligenti di noialtri fisici”.
Vedi RONALD CLARK, Einstein, Rizzoli, Milano 1976, p. 140.
26
di tempo t viene cioè sostituita da un’unità di lunghezza pari alla
distanza in metri percorsa dalla luce in una qualsiasi unità di
tempo.
Questa mutazione di coordinate tradizionali in uno spazio
quadridimensionale geometrico euclideo comporta rivoluzionarie
trasformazioni delle dimensioni fisiche di tutte le grandezze
fisiche considerate dalla dinamica classica. Per esempio, la dimensione fisica della “velocità” data dal rapporto tra una lunghezza e
un tempo, diventa nel cronòtopo un rapporto fra lunghezze, quindi
un numero puro, senza dimensioni fisiche, e numero puro resta il
quadrato di una velocità: in particolare, numeri puri sono la
velocità della luce c ed il suo quadrato. Cosicché qualsiasi energia viene
a coincidere, quanto a dimensioni fisiche, con una massa.23 Le tre
dimensioni fisiche di massa, lunghezza e tempo, nello spazio-tempo
si riducono a due soltanto, massa e lunghezza. In questo contesto,
l’equivalenza dimensionale fisica di massa ed energia è definitivamente stabilita per via assiomatica. Ossia, massa ed energia
sono una stessa cosa fisica, diversificate fra loro soltanto per scala
quantitativa, come si diversifica, per fare un esempio, il peso di un
chilogrammo dal peso di una tonnellata, tramite il fattore numerico
puro 1000.
Di passaggio, da notare anche che la dimensione fisica di
un’accelerazione diviene nello spazio-tempo quella dell’inverso di una
lunghezza o, equivalentemente, quella di una curvatura. Da dove,
forse, un primo spunto per la successiva Relatività Generale di
Einstein (a questo proposito, non è inappropriato osservare che
l’accelerazione gravitazionale di Newton esprime giusto l’entità di
una curvatura sferica 1/r2 dello spazio, variabile con la massa a cui è
associata).
In via meramente tautologica, esiste anche nella teoria relativistica quadridimensionale la “prova”.dell’equivalenza quantitativa
23
Ecco perché, nella fisica delle particelle, la massa di queste è misurata in
unità di energia.
27
tra massa ed energia24 data da E.=.mc.2, sebbene la dimostrazione
sia alquanto macchinosa; anche perché usualmente, nelle analisi
dinamiche relative allo spazio-tempo, si assume la velocità della
luce c=.1 come valore unitario della coordinata “tempo”, sicché
quest’ultimo dev’essere sempre minore dell’unità (il “minuto
secondo” della meccanica classica) per non incappare nel divieto
relativistico di velocità che diano tempi superiori a c.t.=.1,
distanza percorsa dalla luce in un secondo.
Nell’àmbito del cronòtopo si sviluppa una completa analisi
della dinamica di una massa, che esclude soltanto la gravitazione,
e che ha sostanzialmente pochissimo a che fare con l’analisi dei
moti relativi inerziali della RS di Einstein.
Infine, il corrente uso dei concetti relativistici (RS), diffuso
soprattutto in fisica subatomica, è quello riferito al cronòtopo di
Poincaré-Minkowski, al quale appare scorretto associare anche, o
addirittura soltanto il nome di Einstein. A questo proposito, mi ha
turbato un libro di Max Born, uno dei maggiori fisici del secolo
scorso, che celebra la “grandezza” di Einstein spiegando le
meraviglie della fisica della sua RS sulla base dello spazio-tempo
di Poincaré, di Lorentz e, in particolare, di Minkowski. Un
pesante e molto discutibile contributo a creare un mito, quello di
Einstein, attribuendogli indebitamente meriti tutti altrui.25
(iv) Un altro modo per arrivare a E.=.mc2
Un modo meno matematico e complesso di quello suggerito
dalle formule della Figura 1 per misurare la velocità relativa fra
due sistemi S ed S’, senza sconfinare né nella metafisica né nella
fantascienza, è ricorrere all’effetto Doppler luminoso.
24
Un’ampia analisi e discussione su questo argomento è contenuta nel libro di
UMBERTO BARTOCCI, Albert Einstein e Olinto De Pretto – La vera storia della formula
a
a
più famosa del mondo, Ed. Andromeda, Bologna 1999, 1 edizione; e 2014, 2
edizione aggiornata e ampliata.
25
MAX BORN, La sintesi einsteiniana, Boringhieri, Torino 1969 (Titolo originale:
Einstein’s Theory of Relativity, Max Born 1962).
28
Immaginiamo, situazione verosimile pensando ad un realistico futuro prossimo, che i due sistemi siano due navicelle che
navighino appaiate nello spazio ai confini del sistema solare, o
anche oltre, avendo acquisito la necessaria ed uniforme velocità di
fuga. Dal punto di vista pratico, le due navicelle appaiate si
trovano in una condizione inerziale (o assimilabile) identica. Per
una causa qualsiasi, che qui non serve chiarire, da un certo
momento in poi le due navicelle cominciano ad allontanarsi
rapidamente l’una dall’altra. I due equipaggi, ognuno all’interno
della rispettiva navicella, possono misurare la velocità dell’allontanamento relativo v sulla base della frequenza, nota, della luce
emessa dalle rispettive luci di posizione. Supponiamo che tale
frequenza nota sia ψ. I due osservatori dei segnali luminosi in
arrivo, un osservatore per ogni navicella, rilevano in modo
identico che la frequenza ψv della luce in arrivo dall’altro veicolo
in allontanamento è funzione della velocità v del mutuo allontanamento, secondo la relazione


v
ψ v = ψ 1 −  ,
c
[9]

la quale, nel caso considerato, dà una misura del cosiddetto red
shift o spostamento verso il rosso, ossia lo spostamento della frequenza
dell’onda luminosa verso le basse frequenze. (Nota: i relativisti
d’assalto pretendono di modificare questa formula con “correzioni
relativistiche”; tipico esempio di “scienza” intesa a piegare i fatti
reali alle esigenze di teorie precostituite). Pertanto, la velocità di
mutua recessione delle due navicelle è identicamente rilevata dai
due diversi osservatori come data da
[10]
 ψ 
v = c 1 − v  .
 ψ 
Da questa si ricava sùbito che
[11]
 ψv  v
1 −  = .
 ψ  c
29
La misura della mutua velocità di recessione, ossia v, resta
costante nel caso in cui il red shift ψv si mantiene costante.
Nell’immaginato esempio delle due navicelle in reciproco allontanamento, invece, bisogna supporre che, almeno per un certo
lasso di tempo, il moto relativo sia accelerato, perché per tutto il
tempo precedente i due veicoli avevano viaggiato appaiati ad una
stessa velocità inerziale. È evidente la possibilità che entrambi i
veicoli si siano potuti mettere ad accelerare in direzioni opposte;
ed in tal caso in entrambi i veicoli gli equipaggi rispettivi avrebbero modo di accorgersi in modo obiettivo che il moto inerziale è
cessato e che stanno accelerando. Come? Molto semplicemente.
Supponiamo, per semplificare con un ragionamento che può
essere fatto anche in modo simmetrico, che il sistema S resti nel
suo moto inerziale e che sia il sistema S’ ad accelerare avanzando
rispetto all’altro sulla rotta fin lì seguita insieme (sia sùbito chiaro
che gli equipaggi sanno di provenire dalla Terra, origine del loro
sistema di riferimento, e conoscono la direzione presa dalla loro
navigazione spaziale). Se in ognuno dei due veicoli, fra gli
strumenti di laboratorio in dotazione a ciascuna navicella, ci sono
anche orologi a pendolo, i pendoli nel veicolo che accelera
possono cominciare ad oscillare sotto l’effetto dell’accelerazione
che il veicolo subisce. Quindi nessun dubbio; se via radio volessero comunicarlo, l’equipaggio che riferisce di vedere i pendoli
oscillare è quello che sta accelerando rispetto all’altro. Naturalmente, l’accelerazione si percepirebbe anche senza l’ausilio dei
pendoli; ma qui il pendolo ci interessa come strumento di laboratorio, perché ci fa intuire immediatamente come la misura del
tempo possa essere influenzata dalle condizioni di moto dell’orologio usato.
Sotto l’accelerazione subita dal sistema S’ la velocità di
reciproco allontanamento cresce, cosicché sia nel sistema S sia nel
sistema S’ il red shift rilevato non è costante, ma è sempre più
spostato verso il rosso fino a quando, cessata l’accelerazione, il
sistema S’ torna a viaggiare ad una velocità inerziale costante,
ovviamente superiore a quella che aveva prima di accelerare.
Allora il valore del red shift si stabilizza ad indicare la costanza
30
della reciproca velocità di allontanamento raggiunta, e i pendoli di
S’ di nuovo cessano di funzionare; ma nelle masse dei pendoli, come in
quelle di tutta la materia della navicella S’, è avvenuto un cambiamento importante: la massa dell’intero sistema S’ ha acquisito una
maggiore energia cinetica rispetto a quella della navicella restata nella
condizione inerziale iniziale. Nessun dubbio è possibile su questo
punto, e si può procedere.
Già la considerazione degli eventi osservabili fa capire le
differenze fisiche comportate dalla situazione qui immaginata
rispetto alle situazioni metafisiche della “relatività speciale”.
L’intento è arrivare a mostrare come moti relativi diversi
comportino misure fisiche oggettive, non relative, diverse.
Per questo proposito, arrivati a stabilire in quale reciproca
situazione si trovano le due navicelle considerate, immaginiamo
che l’equipaggio di ciascuna navicella sia stato dotato anche di
identici orologi atomici al cesio, sincronizzati come fisicamente
possibile durante il precedente viaggio inerziale fatto insieme, alla
stessa uniforme velocità, durante il quale, ai frequenti controlli sul
tempo trascorso, i due orologi mostravano di procedere perfettamente sincroni, nei limiti delle precisioni possibili in un laboratorio di misure adeguatamente attrezzato.
(v) Prima conclusione
Si può a questo punto immaginare che il sistema S’, una volta
acquisita una certa velocità V di allontanamento da S, arresti
l’accelerazione - che a tale velocità lo ha portato - per proseguire
il suo viaggio secondo un moto inerziale a velocità V.= costante.
Ogni elemento che costituisce la navicella S’, inclusi gli atomi
degli orologi di cesio a bordo, hanno subito un incremento della
loro quantità di moto e, quindi, anche della loro energia cinetica.
L’incremento di energia cinetica, ricordando la [10], è
espresso da
mc 2 (1 -
[12]
∆Em =
2
31
ψV 2
)
ψ
,
al quale questa equazione fa corrispondere anche un incremento
della massa. Infatti, dividendo la stessa equazione per c2, si ottiene
che l’incremento di massa in S’ è dato da
ψ
[13]
m(1 - V ) 2
∆Em
ψ
∆m =
=
,
2
c
2
donde, ricordando la relazione del tipo [11], si ricava
[14]
2
∆m = mV2 ,
2c
così che il valore, indichiamolo con m*, della massa totale in S’ è
ora dato dalla somma
m* = m.+.∆m = (1+ V 2 )m .
2c
2
[15]
Se si toglie adesso il c2 da quel denominatore al terzo
membro della relazione moltiplicando queste uguaglianze per c2,
dall’eguaglianza tra il primo ed il terzo membro delle stesse si
ottiene l’espressione di un’energia complessiva espressa da
E = m* c2 = mc2 + mV .
2
2
[16]
Il significato evidente di questa equazione è che l’energia
totale di un qualunque corpo in moto relativo, rispetto ad un altro
preso come riferimento, è data dalla massa del corpo in movimento
moltiplicata per il quadrato della velocità della luce; ciò equivale al
prodotto della massa dello stesso corpo rilevata quand’esso era “in quiete”
rispetto al riferimento dato, moltiplicata per il quadrato della
velocità della luce, più l’energia cinetica acquisita dalla stessa
massa quando il corpo raggiunge la velocità relativa V.
Ovviamente, se V.= 0, l’energia totale del corpo coincide con
quella intrinseca della sua massa misurata in quiete rispetto al
sistema di riferimento dato.
32
In parole più semplici, l’energia cinetica di un qualunque corpo
in movimento rispetto a qualsiasi sistema di riferimento si somma
sempre ad un’energia intrinseca, che è quella che lo stesso corpo
possiede quando si considera “fermo” rispetto al riferimento
dato. L’energia totale del corpo che ne risulta è data dal prodotto
della sua massa in moto per il quadrato della velocitá della luce.
Si intuisce, così, che il concetto di “massa” di un corpo è
indissolubilmente legato ad un’intrinseca, permanente condizione
di moto, rispetto sempre a qualcosa che non consente al corpo una
quiete assoluta, considerato che un sistema di riferimento reale,
fisicamente individuabile, non si può mai considerare esso stesso
in quiete assoluta, ovviamente nemmeno accettando l’antico criterio di prendere come riferimento “le stelle fisse”.
Altrettanto bene s’intuisce che la massa variabile di un corpo in
relazione alla sua condizione cinematica e dinamica non permette
di pensare al concetto di “massa” come riassunto in quello di
“quantità di materia” costituente il corpo. Perché, pur variando la
massa del corpo, la quantità di materia rimane inalterata.
Tutto quanto precede quadra col paradigma concettuale della
meccanica classica, in particolare con i concetti di massa e di
inerzia formulati dall’insuperato Newton, senza alcun bisogno di
far uso di astrusi fingimenti relativistici. Newton, infatti, non si
sognò mai di identificare l’inerzia di un corpo con la quantità di
materia (“massa”) che lo costituisce, ma identificò, invece, l’inerzia
come “vis insita”, cioè con la resistenza che il corpo oppone contro
alterazioni dello stato nel quale si trova.
Affinché si operi una variazione di questa energia intrinseca
occorre spostare un corpo applicando ad esso una forza f =.dE/ds,
la quale, modificando la posizione e quindi la condizione attuale
di moto del corpo, ne modifica sempre anche la massa. Che si
tratti di massa modificata, come sin qui visto, deriva dall’assunto che
c, velocità della luce, è una costante propria dello spazio fisico nel
quale ogni evento fisico, osservabile o no, ha luogo. Un punto,
questo, importante da sottoporre tuttavia ad attenta discussione.
Per i fini di questo articolo è basilare l’accertamento sperimentale
della costanza della velocità della luce in tutti gli àmbiti di inte33
resse fisico considerati dai vari problemi esaminati. Personalmente, ritengo irragionevole estrapolare la validità dell’assunto sulla
costanza della velocità della luce all’àmbito dell’intero cosmo, dopo
averla “accertata” (ma anche qui ci sono fondati dubbi) nell’àmbito, per esempio, del sistema solare finora esplorato. D’altronde,
non ci sarebbero controindicazioni, né a livello teorico né sul
piano sperimentale, se c venisse considerata come una costante
dello spazio fisico locale, uno scaling factor dal valore stabilito
mediante esperimenti locali. Possibili diversi valori di c in contesti
spaziali diversi non inficerebbe la validità generale della conclusione espressa sopra dall’equazione [16].
Il concetto di “massa in quiete”, come intrinseca energia di un
corpo in quiete rispetto ad un dato sistema, dipende sempre dalla
misura della massa effettuata rispetto al “riferimento dato”, e poco
importa sapere se questo è in moto o no rispetto a qualsiasi altro
sistema.
Ulteriore considerazione importante: a voler generalizzare il
significato dell’equazione [16], si potrebbe concludere che non
esiste limite alla velocità di un corpo. Per esempio, se fosse V.= c
si desumerebbe soltanto che la massa del corpo considerato non
andrebbe oltre una volta e mezza la sua entità iniziale, lungi
perciò dal diventare infinita. Tale generalizzazione, però, non
si deve fare, perché la stessa equazione è stata ottenuta attraverso la considerazione che le velocità di reciproco allontanamento fra due sistemi sono misurabili con uso della luce fintanto
che esse sono inferiori alla velocità della luce, così da utilizzare la formula
che misura il red-shift. Ciò, a sua volta, come già visto per altro
verso in coda la paragrafo (i), non esclude tuttavia la possibilità
reale di velocità relative superiori a quella della luce.
Nota a margine: l’equivalenza massa-energia [16], qui ottenuta seguendo un iter logico non relativistico, si potrebbe ottenere anche imponendo l’eguaglianza tra l’equazione [6], data da
Einstein per l’energia cinetica, e la formula per l’energia cinetica
data dalla meccanica classica. Ma – come già prima osservato –
così facendo si renderebbe l’energia cinetica relativistica di Einstein
34
incompatibile con la definizione di massa relativistica ottenuta dallo stesso Einstein. Se il ragionamento qui proposto, che porta a concludere con la relazione [16], non è fallace a dispetto della sua semplicità, il dubbio sulla consistenza scientifica della “relatività
ristretta” di Einstein si giustifica, e concorda a questo punto con il
dubbio circa quella teoria manifestato in qualche occasione dal
suo stesso autore negli anni che seguirono alla sua pubblicazione.
(vi) Seconda conclusione
Gli orologi al cesio sfruttano l’altissima regolarità delle oscillazioni degli atomi del metallo quando questi sono eccitati da un
raggio di micro-onde tenuto stabile sotto regime controllato.
Secondo esperienze fatte, l’uso di questi orologi ad altissima
precisione sembrerebbe non risentire della presenza o dell’assenza dell’accelerazione di gravità, ma non si deve pensare che gli
stessi orologi restino insensibili a modificazioni della loro velocità
rispetto a dati sistemi di riferimento. Il cubico reticolo cristallino
del cesio vincola le oscillazioni degli atomi del metallo ad una
rigidissima regolarità attorno al loro centro di oscillazione.
Tuttavia, come accade per ogni atomo di qualsiasi materiale,
l’ampiezza e la frequenza delle oscillazioni atomiche risentono
delle alterazioni della pressione, della temperatura e di altri
possibili cambiamenti nello stato fisico del metallo.
L’oscillazione mantiene ogni atomo sono il vincolo di una
forza centrale che è schematicamente descritta dall’equazione del
moto armonico, data da:
d 2s
m
+ ks = 0
[17]
dt 2
dove m è la massa dell’atomo in S e in S’ durante il moto inerziale
congiunto, s è la distanza istantanea, al tempo t, del baricentro
dell’atomo dal rispettivo centro di oscillazione, e k è l’elasticità
specifica del cesio.
Come noto, l’integrazione di questa equazione è data da:
35
k ± φ ),
m
s = D cos.( t
[18]
nella quale D è l’ampiezza dell’oscillazione, cioè la massima
distanza dell’atomo dal proprio centro di oscillazione, e φ costante d’integrazione – rappresenta una generica fase iniziale
dell’oscillazione dell’atomo. La distanza s dal centro dell’oscillazione eguaglia D quando t.√
√k /m +φ = 0, e t = T / 4, cioè per
T = 4φ
[19]
m/k
dove T è il periodo di oscillazione dell’atomo.
In particolare, ogni atomo di cesio convoglia una quantità
addizionale di energia cinetica, rispetto a prima che l’accelerazione di S’ avesse inizio, espressa dalla [12], nella quale, tenuto conto
della definizione di V data dalla relazione del tipo [10] su
ricordata, ψV rappresenta la frequenza della luce in arrivo ad S’
da S . L’incremento di massa in S’ indicato dall’equazione [14] si
riflette anche sul periodo di oscillazione dell’atomo di cesio. Il
periodo di oscillazione, espresso dalla [19], diviene in S’ il seguente:
[20]
TV = 4ϕ
m + ∆m
=ϕ
k
8m ⋅ (2 +
k
V2
)
c2
.
L’espandersi del periodo d’oscillazione degli atomi di cesio in
S’, quando questo ha acquisito una velocità V costante rispetto ad
S, comporta un rallentamento della frequenza delle oscillazioni e,
quindi, anche un ritardo dell’orologio in S’ rispetto al ritmo dell’orologio identico restato in S. Tale ritardo permane con il permanere della nuova velocità inerziale di S’ rispetto a quella di S.
Questa osservazione permette di capire che il famoso “paradosso relativistico dei gemelli” dipende dall’astrattezza della relatività speciale di Einstein, giacché non è vero che le accelerazioni
relative di due sistemi che si allontanano l’uno dall’altro hanno lo
stesso significato fisico per due sistemi inerziali inizialmente in
36
condizioni di moto identiche. Se uno dei due sistemi si allontana
dall’altro, quello che si allontana è quello che per far ciò deve
accelerare (o deve aver accelerato prima di passare vicino
all’altro), e l’accelerazione è oggettivamente rilevabile per chi la
subisce, ed essa di per sé trasforma (o ha prima trasformato) il
sistema, già inerziale, in allontanamento in un sistema non inerziale prima e diversamente inerziale dopo, il quale acquisisce
un’oggettiva velocità diversa dall’altro sistema inerziale che è
“rimasto a guardare” senza modificare il suo stato. Se poi le
effettive accelerazioni di allontanamento (certificate da pendoli in
azione) dovessero riguardare entrambi i sistemi, l’accelerazione di
uno sarebbe opposta a quella dell’altro con aggiuntiva perdita di
velocità relativa di uno dei due sistemi rispetto all’altro, e gli effetti
dei ritardi degli orologi si sommerebbero, perché le masse di uno
aumenterebbero, mentre diminuirebbero quelle dell’altro, rispetto
al valore delle medesime masse rilevabili nell’identico stato inerziale iniziale dei due sistemi.
L’oggettività di velocità diverse rivelate dal red shift, che non
tiene conto di tempi diversi marcati da orologi identici, perché
basata sull’assunto della costanza della velocità della luce come
caratteristica inerente allo spazio fisico, mette implicitamente in
evidenza l’oggettivo uso di tale spazio fisico come sistema di
riferimento definitivo, problema ben capito da Lorentz e da lui
risolto con l’ipotesi di uno spazio costituito da un etere cosmico
immobile.26 Ma quale che sia la consistenza di questo spazio fisico,
il fatto che esso sia immobile o che si muova non incide sulla
praticabilità di concetti e di metodi della fisica che sono istituzionalmente basati sull’operatività dei criteri di osservazione, di misura e di controllo dei fenomeni osservati.
A parte tutto quanto precede a proposito del “tempo”, non è
poi proprio il caso di confondere la “ritardata” misura del tempo
mostrata dall’orologio nella navetta spaziale S’ col processo d’invecchiamento biologico del relativo equipaggio. L’invecchiare ri26
Lo stesso “etere cosmico” nel quale Einstein maturo, lui pure, finì per
credere.
37
guarda processi entropici che non si curano affatto degli orologi.
Il rallentamento del ritmo dell’orologio in S’ significa soltanto che
l’unità di misura del tempo nel sistema S’ è diventata diversa da quella
indicata in S da un orologio “identico”.
A questo proposito, si ricordi la nota no 13 a pie’ di pagina 9,
dove si menziona l’osservazione dell’astronomo Richer registrata
nella seconda metá del ‘600: al fatto che in Guyana il suo pendolo marcasse minuti piú lunghi di quelli marcati in Parigi non
pare sia mai corrisposta una statistica indicante che la vita media
in Guyana é piú lunga di quella rilevata in Francia. Anzi, stando ai
dati statistici disponibili al 2011, le aspettative di vita in Guyana
sarebbero di 66,8 anni per gli uomini e di 73,1 per le donne,
contro i 78,4 gli 84,8, rispettivamente, in Francia; tanto per evitare
dubbi ingiustificati.
(vii) Su un’apparente contrazione delle lunghezze
L’Equazione [20] ci dà la misura dell’incremento del periodo
di oscillazione dell’orologio dotato di maggiore energia cinetica
rispetto all’altro della navicella che non ha modificato il suo stato
di moto. La diversa misura del tempo nella navicella S’ comporta
evidentemente una diversa misura della velocità all’interno di
questa. Supponiamo che un raggio di luce all’interno di essa,
prima che questa modifichi il suo stato di moto, percorra in un
tempo tc la lunghezza l di una barra attrezzata per l’esperimento,
fissata in posizione ortogonale alla direzione del moto della
navicella27. L’orologio in S’, modificato dalla sua accresciuta
energia cinetica, registra che la luce compie adesso lo stesso
percorso in un tempo tc’ più breve, dovuto al rallentamento del
ritmo dello stesso orologio. Ció essendo dovuto – non lo si
dimentichi – al fatto che la velocitá della luce nello spazio fisico é
costante e indipendente dalle condizioni di moto del sistema di
27
L’orientamento della barra ortogonale alla direzione del moto in pratica non
altera la lunghezza del percorso dell’impulso luminoso. Invece, per la luce che
viaggia lungo la barra, il percorso si allungherebbe, o si accorcerebbe, rispettivamente, se l’impulso luminoso viaggiasse nello stesso verso del moto o nel
verso opposto.
38
riferimento. Se non si ammettesse la dilatazione del tempo
occorsa con l’orologio in S’, si avrebbe l’impressione che la
lunghezza della barra dell’esperimento si sia accorciata, ma è
chiaro che si tratta soltanto di una contrazione apparente, dovuta
unicamente al diverso sistema di misura della velocitá della luce.
Nota: Quest’articolo è parziale traduzione e rimaneggiamento di un’appendice del libro “Vacuum, Vortices and Gravitation”, dello stesso autore, pubblicato soltanto in inglese28. Intento principale di quel libro è suggerire una
spiegazione teorica della forza di gravità e della gravitazione sulla base di uno
spazio fisico, di ciò che usualmente è chiamato il vuoto, ipotizzato come costituente fondamentale dell’universo. Tale “spazio fisico”, denominato “plenum”,
non è l’etere cosmico pensato da molti fisici del passato e del presente, ma è
esso stesso l’essenza che determina tutti i fenomeni fisici, a cominciare dalla
formazione della massa delle particelle materiali e dalla capacità di trasmettere
segnali luminosi. Il “plenum”, di per sé, non possiede massa: si tratterebbe di
un continuo spaziale dotato di fluidità, ma non costituito da particelle elementari. Sulla base di questa ipotesi, si facilita, per esempio, la comprensione di
forze come quella gravitazionale, elettrica e magnetica, e si supera un’aporia
nella quale s’imbatterono Lorentz e Poincaré, autori principali della teoria della
relatività speciale e problematici assertori dell’esistenza dell’etere.
28
Vacuum, Vortices and Gravitation, EU-Art&Science, Poznań, 2004-2012, per
intero e liberamente leggibile in www.mario-ludovico.com.
39