McLuhan - Associazione Europea di Psicoanalisi
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MARTEDÌ 27 DICEMBRE 2005 LA REPUBBLICA 39 DIARIO DI DI ANNIVERSARI/ LA SCOMPARSA 25 ANNI FA Il 31 dicembre del 1980 moriva lo studioso dei media. Storia di un guru ei venticinque anni che ci separano dalla scomparsa di Marshall McLuhan (1911-1980) il mondo delle comunicazioni di massa è esploso (o forse imploso) in quella nebulosa a più dimensioni che chiamiamo “il mediatico”: ogni piccola porzione di informazione può rifrangersi e deformarsi, espandersi e contrarsi, lungo diramazioni innumerevoli, dai tg satellitari al più privato dei blog. È lecito domandarsi se siano ancora utili le teorie massmediologiche di questo professore canadese di letteratura inglese, cattolico, politicamente conservatore, pionieristico e bizzarro. O meglio, se tali teorie siano anche solo visibili, sotto una manciata di titoli e aforismi divenuti rituali come formule liturgiche più facili da ricordare che da comprendere: il Villaggio Globale, la Galassia Gutenberg, il “medium è il messaggio”, “il medium è il massaggio”. Studioso di retorica e di Tommaso d’Aquino, McLuhan comprese innanzitutto che il mondo delle comunicazioni di massa andava studiato in una prospettiva antropologica, a costo di riscrivere la storia dell’uomo con periodizzazioni ottenute tramite machete piuttosto che tramite cesello. Per capire il principio guida delle sue riflessioni converrà partire dall’aforisma che egli stesso aveva ricavato da T. S. Eliot (uno dei suoi autori di culto, assieme a James Joyce, a Lewis Carroll, a Ezra Pound e a Edgar Allan Poe). In un saggio sulla poesia Eliot aveva detto che il poeta si serve del significato come un ladro si serve del pezzo di carne che lancia al cane per distrarlo mentre la casa viene svaligiata. Secondo McLuhan i media fanno lo stesso con il contenuto. Pensare che i media trasmettono messaggi è come pensare che la funzione dei ladri sia quella di cibare i nostri cani. La poesia e i media ottengono i loro rispettivi effetti tramite la struttura formale dei loro messaggi, e non tramite il loro contenuto. Ecco allora che McLuhan individua nella storia dell’umanità tre invenzioni decisive: l’invenzione dell’alfabeto fonetico (fuoriuscita dall’ambiente primitivo), l’invenzione della stampa a caratteri mobili (Galassia Gutenberg), invenzione del telegrafo (comparsa dell’Uomo Elettrico). Tali innovazioni tecnologiche hanno la capacità, la forza di cambiare l’ambiente in cui l’uomo si trova a vivere, munito - prima che della propria intelligenza - del proprio sistema nervoso, del proprio corpo e dei propri organi di senso. Gli stessi media non sono altro che estensioni del corpo umano, che amplificano le possibilità di uno o più organi, a detrimento di altri organi. I media - classificati in “caldi” e “freddi” secondo una categoria che è stata fonte di molti equivoci sollecitano il corpo dei loro Nel tempo dei blog privati e dei tg satellitari, sono ancora utili le sue teorie? Marshall McLuhan nel suo studio in una fotografia del 1968 McLUHAN Cosarestadelsuovillaggioglobale STEFANO BARTEZZAGHI utenti, stimolando o ipnotizzandolo, richiedendogli lavoro o inerzia, agendo insomma come forze vere e proprie. McLuhan è certamente autore di alcuni capolavori. Del 1951 è il suo esordio, con La sposa meccanica: la sua idea è quella che i media costituiscano “il folklore dell’uomo industriale”: pubblicità, oggetti di con- sumo, titoli di giornale, fumetti al posto di proverbi, indovinelli, canti popolari, fiabe. Ma il libro non è un trattato: è un caleidoscopio di immagini (soprattutto ricavate da giornali popolari) commentate con brevi articoli e aforismi. Un esempio tipico di aforisma mcluhaniano: «La moderna Cappuccetto Rosso, allevata a suon di pubblicità, GUY DEBORD LO STESSO McLuhan, il primo apologeta dello spettacolo, che sembrava l’imbecille più convinto del suo secolo, ha cambiato parere scoprendo finalmente, nel 1976, che la “pressione dei mass media porta all’irrazionale” e sarebbe diventato urgente moderare il loro uso. In precedenza aveva passato vari decenni a meravigliarsi delle molteplici libertà procurate dal “villaggio planetario”, istantaneamente accessibile a tutti senza fatica. I villaggi, contrariamente alle città, sono sempre stati dominati dal conformismo, dall’isolamento, dalla sorveglianza meschina, dalla noia, dalle chiacchiere ripetute all’infinito sulle stesse famiglie. Ed è così che ormai si presenta la volgarità del pianeta spettacolare, in cui non è più possibile distinguere la dinastia dei Grimaldi-Monaco o dei Borboni-Franco, da quella che aveva sostituito gli Stuart. Tuttavia oggi certi discepoli ingrati tentano di far dimenticare McLuhan e di rispolverare le sue prime trovate, puntando a loro volta a una carriera nell’elogio mediale di tutte le nuove libertà da “scegliere” in modo aleatorio nell’effimero. E probabilmente rinnegheranno se stessi più rapidamente del loro ispiratore. “ McLUHAN “ Repubblica Nazionale 39 27/12/2005 N non ha nulla in contrario a lasciarsi mangiare dal lupo». Per studiare la relazione fra i versi di Gertrude Stein e i messaggi pubblicitari dei grandi magazzini Macy’s, McLuhan usa le stesse tecniche della Stein e della pubblicità, facendo collage di frammenti, e certamente contestando qualsiasi andamento sillogistico. Anche i suoi libri posteriori alla Sposa meccanica evitano il più possibile le logiche della dimostrazione, preferendo mostrare. Si possono anche leggere ordinatamente dalla prima pagina all’ultima, ma pare chiaro che McLuhan li ha scritti pensando a un lettore che faccia zapping fra i capitoli, gli aforismi, le immagini, le didascalie. Non per nulla Umberto Eco nel 1967 intitolò Cogitus interruptus un saggio per metà dedicato a una stroncatura, sia pure a suo modo rispettosa, di uno dei maggiori libri di McLuhan (Understanding Media, del 1964, in italiano orribilmente storpiato in Gli strumenti del comunicare). Il cogito interrotto è una somma di premesse che non giunge a conclusioni logiche ma cerca di arrivare a un’autoevidenza, per Eco surrettizia e potenzialmente ingannevole. Fantasioso ed eretico, McLuhan pare invitarci a guardare il dito e non la luna: e la sua operazione pare almeno per certi versi analoga a quella che Jacques Lacan ha condotto sull’opera di Sigmund Freud, riletta con un decisivo richiamo al significante. I due autori, peraltro diversissimi, hanno in comune anche la passione per Joyce, e un andamento saggistico sconcertante, fatto di aforismi, salti logici, cedimenti al witz e al nonsense, provocazioni, incrollabilmente convinti come erano, ognuno a modo proprio, dell’utilità del mascherare la propria maestria personale dietro alla clownerie. Almeno per quel che riguarda McLuhan è interessante proprio il suo uso euristico delle avanguardie letterarie (specialmente Pound e Joyce) da cui ricavava con un unico gesto sia gli strumenti per leggere la realtà che gli strumenti per parlarne. Fu a sua volta un personaggio mediatico e assai controverso soprattutto per il suo rifiuto di dare giudizi in termini di bene e male sul mondo che descriveva. Dai suoi libri si possono ricavare ancora quantità di suggestioni utili quanto meno a stimolare la nostra perplessità e il nostro sconcerto. Ma se lui stesso ha usato il significato delle sue parole come cibo per distrarre i cani, il vero effetto - o il vero bottino - della sua opera sta nell’idea che il cortocircuito e la scintilla delle idee illuminano il campo dei media più dell’analisi sillogistica della loro ideologia. I media non ci “veicolano” qualcosa, ma ci modellano e ci trasformano. Chiunque abbia visto Io e Annie di Woody Allen si è divertito alla scena in cui il protagonista è ossessionato da un professore della Columbia che sta dietro di lui nella fila per il cinema, e arringa una ragazza con un milione di bubbole massmediologiche. Allora Allen immagina di poter far comparire Marshall McLuhan in persona che confuta le tesi del chiacchierone. McLuhan accettò di comparire nel film, e coniò una battuta paradossale per zittire il suo interlocutore: «You mean my fallacy is wrong?». La traduzione italiana («vuol dire che la mia utopia è utopica?») è molto meno sottile: la battuta originale ci dice che McLuhan poteva accettare il torto delle sue ragioni, probabilmente perché sentiva le ragioni del suo torto. 40 LA REPUBBLICA LE TAPPE PRINCIPALI MARTEDÌ 27 DICEMBRE 2004 DIARIO LA FORMAZIONE, 1911 Marshall McLuhan nasce il 21 luglio 1911 a Edmonton, in Canada. A Cambridge studia con I. A. Richards e F. R. Leavis ed è influenzato dal New Criticism e dalle analisi sugli “effetti” della comunicazione L’UNIVERSITÀ, 1949 Si laurea su Thomas Nashe. Insegna nel Wisconsin, all’Università di Saint Louis e alla Toronto University, dove rimarrà trent’anni. Tra i suoi allievi c’è Walter J. Ong IL PRIMO LIBRO, 1951 Con La sposa meccanica prosegue gli studi sull’opinione pubblica e la cultura di massa. Ottiene la presidenza di un seminario alla Ford Foundation sulla teoria delle comunicazioni LA TESTIMONIANZA DELLO STUDIOSO EREDE DI McLUHAN COSÌ IO RICORDO IL MIO STRANO MAESTRO DERRICK DE KERCKHOVE I LIBRI MARSHALL McLUHAN Gli strumenti del comunicare Net, Il Saggiatore 2002 La luce e il mezzo. Riflessioni sulla religione Armando 2002 Media e nuova educazione Armando 1998 La cultura come business Armando 1998 Le radici del cambiamento Armando 1998 Percezioni. Per un dizionario mediologico Armando 1998 La sposa meccanica SugarCo 1994 Repubblica Nazionale 40 27/12/2005 La legge dei media Lavoro 1994 La galassia Gutenberg Armando 1991 1930-1979 Corrispondenza SugarCo 1990 Dal cliché all’archetipo SugarCo 1987 Il Paesaggio interiore SugarCo 1983 (a cura di Eugene McNamara) Il medium è il massaggio Feltrinelli 1968 Guerra e pace nel villaggio globale Apogeo 1995 (con Quentin Fiore) Toronto o lavorato con Marshall McLuhan dal 1972 al 1980. Lo ricordo come un uomo pieno di humour, calore umano, passione e creatività. Era un grande maestro e una persona straordinariamente divertente. I suoi saggi non nascevano quasi mai “a tavolino”, ma sempre nell’ambito di lezioni, seminari, esperienze di vita, scambi pubblici e privati. A me telefonava nel cuore della notte, mi diceva: «Dai vieni, ho un’idea». Gli rispondevo: «Marshall sto dormendo, non vengo», ma alla fine vinceva sempre lui. Andavo a casa sua e lì si lavorava per ore. Il suo impatto sulla nostra cultura è stato pari a quello di Einstein. Ancora in vita, non gli è stato probabilmente riconosciuto il giusto merito. Marshall scandalizzava, sorprendeva, infastidiva. Non ha mai aderito a nessuna delle mode culturali dei suoi tempi: sociologia, marxismo, psicoanalisi. Il suo pensiero seguiva iperboli e paradossi. Aveva una personalità prepotentemente anti accademica, un grande interesse per la cultura popolare. I suoi libri non nascevano mai dal rispetto di un “metodo”. Quando penso a lui, mi viene in mente la scena di una commedia di Molière, in cui due medici si incontrano e uno dice: “Sono molto contento di come ho curato un mio paziente”. “Ah è guarito”, gli fa l’altro. Risposta: “No, è morto, ma secondo le regole”. Ecco, Marshall non ha mai rispettato le regole, ma soltanto la necessità delle sue idee e interessi. Con il passare del tempo, le sue idee acquistano sempre più rilievo. Oggi ci servono ad analizzare non soltanto i meccanismi dell’informazione, ma anche il mondo del business, la struttura delle multinazionali, le dialettiche globale/locale. Più problematica una valutazione dei suoi contributi alla nascente rivoluzione digitale. McLuhan non si è mai davvero occupato di computer, anche se a lui spetta la diffusione del termine surfing in riferimento al movimento rapido all’interno di un corpo di documenti eterogenei. Esistono libri anche molto belli come quello di Paul Levinson, Digital McLuhan, che mostra come McLuhan possa essere capito meglio alla luce della rivoluzione digitale. Ma Marshall resta secondo me indissolubilmente legato all’antitesi alfabeto/elettricità, al passaggio dall’età in cui domina il discorso orale, la pagina scritta, a quella dei media elettronici. H ‘‘ ,, CARATTERE Aveva una personalità prepotentemente antiaccademica, una grande passione intellettuale e interesse per la cultura popolare McLuhan ha spiegato i modi in cui i media strutturano la percezione, e questa a sua volta l’organizzazione sociale. Insomma, quello che pensiamo è legato al modo in cui percepiamo. Alcuni critici hanno parlato ‘‘ ,, IL SUO LASCITO È stato il primo a spiegare i modi in cui i media strutturano la percezione e come questa a sua volta condiziona la società di una sua certa “indifferenza morale” nei confronti della rivoluzione tecnologica in corso. Non sono d’accordo. Per Marshall la tecnologia non aveva di per sé un significato morale, ma gli uomini dovevano comunque essere sempre coscienti de- ALAIN TOURAINE gli effetti che i cambiamenti tecnologici hanno sulle loro percezioni. La non-vigilanza sull’impatto dei media poteva trasformare il “villaggio globale” in un luogo di controllo autoritario. Ecco perché la sua visione non era così ottimistica. Il villaggio I MEDIA Sopra, i primi anni della televisione negli Usa; a sinistra, McLuhan con Woody Allen JOHN CAGE La comunicazione di massa conferisce il primato alla comunicazione, dunque all’impatto, sul messaggio, idea che McLuhan espresse per primo Concordo con McLuhan, secondo il quale l’elettricità ha esteso i confini del sistema nervoso centrale. Il mondo è una mente che può mutare se stessa Critica della modernità 1992 Intervista a Jonathan Brent 1981 ANDY WARHOL JEAN BAUDRILLARD Il modo per fare contro cultura e avere successo commerciale era fare come McLuhan: scrivere un libro che diceva che i libri erano obsoleti Per dire le cose nel loro insieme, la formula “Il medium è il messaggio” non significa soltanto la fine del messaggio, ma anche la fine del medium Pop 1980 Simulacri e impostura 1981 era secondo McLuhan un luogo segnato da pericoli totalitari. Il controllo dei media favoriva l’imposizione di strategie unitarie di pensiero, sensibilità, sentimenti. L’età dell’alfabeto, della lettura, della scrittura, aveva detribalizzato le società, affermato il controllo dell’individuo sullo spazio. La radio era invece il medium della retribalizzazione. Attraverso di essa, si era affermato il potere dei capi tribù. Era successo nell’Italia di Mussolini, nella Germania di Hitler. Sarebbe successo nell’Iran di Khomeini, che diffondeva il suo messaggio fondamentalista con cassette e altoparlanti dai minareti. Il villaggio globale di McLuhan è quindi pieno di paure. Il passaggio dalla cultura dell’alfabeto a quella dell’elettricità crea una crisi di identità, un vuoto del sé che genera violenza. Culture diverse, che girano a velocità diverse, sono portate a difendere la loro unicità. Una scena mondiale sempre più uniforme, unificata da radio e televisione, crea interdipendenza e coesistenza, ma anche tensioni e rotture degli equilibri. L’elettricità fa implodere lo spazio. È una visione che si fa profezia oggi, nell’età del terrorismo planetario. La tecnologia ha infatti ristretto lo spazio. In un mondo sempre più piccolo, i terroristi riescono a diffondere con estrema facilità e rapidità la loro strategia di tensione e paura. Ma la tecnologia è anche lo strumento per sviluppare nuovi strumenti di indagine, per MARTEDÌ 27 DICEMBRE 2004 LA REPUBBLICA 41 DIARIO IL VILLAGGIO GLOBALE, 1962 La Galassia Gutenberg studia il legame tra media e società, dalla cultura orale a quella scritta, fino alle nuove tecnologie e alla teoria del “villaggio globale” I NUOVI MEDIA, 1964-1967 Escono Understanding Media e The Medium is the Massage. A San Francisco nasce il McLuhan Festival. Fonda e poi dirige il “Center for Culture and Technology” a Toronto GLI ULTIMI ANNI, 1973-1980 È consulente della commissione vaticana per le comunicazioni sociali. Nel 1977 aveva interpretato se stesso in Io e Annie di Woody Allen. Muore il 31 dicembre del 1980 PARLA L’ANTROPOLOGO MARC AUGÉ È STATO IL PROFETA DEGLI ANNI SESSANTA LAURA LILLI ella memoria di molti di coloro che li hanno vissuti con intensità, gli anni Sessanta hanno lasciato una scia luminosa, simile alla coda di una cometa “buona” che si è avuto il privilegio di cavalcare. (Sto parlando di quanti non si sono “pentiti”, particolare non privo di importanza nel paese di Girella Emerito). Camminavamo ebbene, sì: c’ero anch’io - come se avessimo ai piedi gli stivali delle sette leghe. Ma, quel che qui conta, non solo nel presente, che ci sembrava la cosa più ovvia: sapevamo cosa era giusto e cosa era sbagliato, e avremmo raddrizzato tutto. Il fatto è che avevamo stivali magici anche temporali, diretti verso il futuro. Eravamo certi di andare verso grandi cambiamenti, che immaginavamo ipertecnologici ma buoni, da cui non solo noi ma l’intero pianeta, votato a magnifiche sorti e progressive, avrebbe tratto enormi vantaggi. Icone confuse, amatissime, di quell’epoca di trasformazione, com’è noto, assai prima del Sessantotto, furono la triade Kennedy-Kruscev-Papa Giovanni, la rivoluzione culturale cinese (sì, di quella fede c’è da pentirsi, ma va anche detto che avevamo cattivi maestri), i Beatles, Mary Quant, James Bond, gli happening, la musica di John Cage, i cantautori della “scuola di Genova”, un pizzico di nascente NewAge e via continuando A darci sicurezza, avevamo i nostri profeti, da Marcuse a Cooper e Laing (Basaglia in Italia) a Marshall McLuhan. Alcuni di questi profeti, come poi si è visto, avevano ragione; altri no. Fra i “no”, a quanto pare, bisogna ormai mettere Marshall McLuhan, inventore nel 1964, fra molto altro, del fortunato ossimoro “Villaggio globale” (ossimoro, per chi si senta lontano dagli studi classici, sono due parole di segno opposto messe una accanto all’altra. Qui, “villaggio” è piccolo, “globale” è grande). Secondo alcuni, McLuhan è l’inventore della parola “globalizzazione”, che regna e impera in questo inizio di Duemila. Ma per molti studiosi, tra cui Umberto Eco «Marshall McLuhan ha sbagliato tutto. Il bilancio è presto fatto: non ne ha azzeccata una» (frase “rubata” in una telefonata di auguri). Tuttavia, anche se aveva torto, lo studioso canadese di comunicazioni di massa (alcune sue opere: nel 1951 La sposa meccanica, sul folklore dell’uomo industriale, nel 1961 Galassia Gutemberg, sul radicale cambiamento introdotto nella civiltà moderna con l’invenzione della stampa a caratteri mobili, nel 1964 Gli strumenti del comunicare, sul tentativo di capire e controllare i conflitti controllati dai media), merita una disamina un po’ più attenta. Ci siamo rivolti per questo a Marc Augé, antropologo dei mondi contemporanei, che insegna alla Ecole des Hauts Etudes di Parigi. «Certo, il mestiere di profe- N Repubblica Nazionale 41 27/12/2005 bloccare altri attentati. Nel bene e nel male, siamo tutti connessi. Quanto alla televisione, ha sì creato un mondo unico segnato da simultaneità, interdipendenza, continua presenza degli altri. Ma ha anche catapultato GLI AUTORI Il Sillabario di Guy Debord è tratto da Commentari sulla società dello spettacolo. Marc Augé, antropologo, insegna all’Ecole des Hauts Etudes. Derrick de Kerckhove dirige il “McLuhan Program” di Toronto. I DIARI ONLINE Tutti i numeri del “Diario” di Repubblica sono consultabili in Rete al sito www.repubblica.it, sezione “Cultura e spettacoli”. Qui i lettori troveranno le pagine comprensive di tutte le illustrazioni. nel regno dei media aree del mondo quasi sconosciute fino a quarant’anni fa. Queste aree difendono i loro valori e religioni contro la cultura un tempo dominante, quella americana. La televisione ha così creato una rete di villaggi globali e strettamente connessi. La progressive integrazione con altri media rende il processo ancora più veloce. Il web ha dato visibilità a comunità e centri negli angoli più sperduti del mondo. I vecchi network uniformavano e accorciavano lo spazio. La nuova televisione, i canali satellitari, le reti specialistiche, l’uso integrato di Internet legano lo spazio in una catena senza fine di punti collegati tra di loro. Un’ultima cosa. Penso che la sfida più importante dei prossimi anni sia quella volta a tutelare un’identità umana che vada al di là della pura identità digitale. Marshall credeva nei media elettronici come estensione del sistema nervoso umano. C’è comunque, nella sua riflessione, il continuo riferimento a una dimensione umana da tutelare contro l’uniformità prodotta dalla società della comunicazione. Oggi viviamo ancora in una fase di transizione tra l’età dell’alfabeto e quella dell’elettricità. Tra vent’anni potremmo essere tutti cyborg, tutti “googlizzati”. Ci resta poco tempo per rivendicare, attraverso la parola, la lettura, l’alfabeto, l’individualità irripetibile dell’esperienza umana. (testo raccolto da Roberto Festa) ‘‘ ,, OSSIMORO “Villaggio globale” era una contraddizione voluta. Ma nella sua idea di villaggio c’era qualcosa di sbagliato ‘‘ ,, RIVOLUZIONE È innegabile la sua capacità di aver colto in anticipo alcune nuove tendenze come la diffusione dei computer ta è difficile», esordisce. «La parola disgraziata nel famigerato ossimoro», aggiunge, «è a mio parere la prima, “villaggio”. Che la globalizzazzione stia avvenendo siamo tutti d’accordo, ma lo sta facendo sul piano economico e tecnologico. “Villaggio”, invece, implica un’organizzazione sociale che mi pare lontanissima da quella che il pianeta sta assumendo». Vale a dire? «Alcuni grandi insiemi si stanno formando e possono anche generare relazioni conflittuali. Il primo è l’Asia, con giganti come Cina e Giappone, con l’India in arrivo; il se- IL MESSAGGIO In alto, le copertine di due importanti lavori di McLuhan condo è l’America latina, che sta andando verso una ricomposizione, le cui conseguenze vedremo in futuro. Il terzo, malgrado tante difficoltà, è l’Europa. Non so dove andrà a finire, ma certo è un ensemble considérable, un insieme notevole. Sì, esistono enti mondiali come l’Onu o il Wto, che pretende di regolare il commercio. Ma non parlano la stessa lingua». Parlano inglese, il nuovo latino. «... che è non certo una lingua da villaggio. Più che un villaggio, il mondo sta diventando un’enorme metropoli». Che però usa il computer, tanto decantato da McLuhan... «È innegabile. Questa penso sia una rivoluzione irreversibile. Ma, ciò detto, vorrei aggiungere due cose. E qui sono io, Marc Augé a parlare, lasciando stare McLuhan. La prima: ritengo che, di fronte al computer, il libro non sia in regressione. A mio avviso, non ci sarà necessariamente una guerra tra l’informatica e la carta. Il binomio scritturalettura non è in pericolo». Molti però, specie giovani, leggono solo sullo schermo. «Dovremo abituarci a una maggiore ricchezza di questo binomio: leggere anche sul video e non solo sfogliare pagine di carta. Ma il testo scritto non sparirà». Cosa glielo fa dire? «Intanto, l’informatica consente di salvare libri che altrimenti - quelli sì - sarebbero condannati a sparire. In secondo luogo, il computer rilancia la scrittura, e non è poco. Ciò significa che non siamo condannati all’immagine, questa invadente (ma apparente) regina del nostro tempo. Poi, vorrei dire che ciò minaccia il monopolio mondiale dell’inglese». In che modo, mi scusi? Tutto è scritto sempre di più in inglese, specie sui computer... «La cosa a cui si sta lavorando più intensamente adesso è la traduzione automatica. E sa cosa significa? Che reintrodurrà le diversità linguistiche». Mi chiedo come. Penso, ad esempio, a molte letterature di Paesi emergenti. In India c’è un’infinità di lingue, ma molti, fra loro, senza l’inglese non si capirebbero. Lo stesso avviene in Africa, non solo con l’inglese, ma anche col francese. Per di più, molte lingue africane non sono scritte. «Non ho detto che l’inglese debba scomparire, ho parlato di monopolio a rischio. La traduzione automatica permette che mentre uno scrive nella sua lingua, l’altro lo capisce subito nella propria. Senza interpreti, come ora avviene al Parlamento europeo. Il che ci riporta a un rapporto personale, senza mediazioni. Le pare poco?». Tutt’altro. Ma penso che il povero McLuhan aveva parlato di passaggio da “uomo meccanico” a “uomo elettrico”. Che fosse un modo per parlare di “uomo informatico”? I LIBRI ZIGMUNT BAUMAN La società sotto assedio Laterza 2005 NOAM CHOMSKY La democrazia del Grande Fratello Piemme 2005 JÜRGEN HABERMAS Storia e critica dell’opinione pubblica Laterza 2005 ALAIN TOURAINE Critica della modernità Net 2005 GIOVANNA COSENZA Semiotica dei nuovi media Laterza 2004 MARIO PERNIOLA Contro la comunicazione Einaudi 2004 KARL R. POPPER Cattiva maestra televisione Marsilio 2002 NEIL POSTMAN Divertirsi da morire Marsilio 2001 MASSIMO BALDINI Storia della comunicazione Newton Compton 2003 JEAN BAUDRILLARD Il sogno della merce Lupetti 1995 PIERRE LÉVY Cybercultura Feltrinelli 1999 Il virtuale Raffaello Cortina 1997