scenari della comunicazione

Transcript

scenari della comunicazione
scenari della comunicazione
a cura di Alberto Abruzzese, Andrea Miconi e Domenico Fiormonte
Marshall McLuhan
McLuhan nello spirito
del suo tempo
a cura di
Nicola Pentecoste
Armando
editore
PENTECOSTE, Nicola (a cura di)
McLuhan nello spirito del suo tempo ; Intr. di Nicola Pentecoste
Roma : Armando, © 2015
280 p. ; 20 cm. (Scenari della comunicazione)
ISBN: 978-88-6677-981-0
1. Cultura popolare e pubblicità
2. Media e politica
3. Linguaggio della moda
CDD 300
Traduzione di Nicola Pentecoste
L’Editore dichiara la propria disponibilità a regolarizzare eventuali non volute omissioni
di pagamento per il permesso di riproduzione
© 2015 Armando Armando s.r.l.
Piazza della Radio, 14 - 00146 Roma
Direzione - Ufficio Stampa 06/5894525
Direzione editoriale e Redazione 06/5817245
Amministrazione - Ufficio Abbonamenti 06/5806420
Fax 06/5818564
Internet: http://www.armando.it
E-Mail: [email protected] ; [email protected]
978-88-6677-981-0
I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi
mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riservati
per tutti i Paesi.
Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di
ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto
dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato
tra SIAE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO,
CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000.
Le riproduzioni a uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero
di pagine non superiore al 15% del presente volume/fascicolo, solo a seguito di specifica
autorizzazione rilasciata da AIDRO, Via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano, telefax 02
809506, e-mail [email protected]
Sommario
Introduzione di Nicola Pentecoste
Il residuo fisso: morale e politica dell’antimoderno
7
Parte prima: Il crepuscolo della Sposa Meccanica 35
Pietro o Peter Pan
37
Fuori dal castello dentro l’ufficio commerciale
45
Sulla cultura popolare: cinema, sport, fumetti, magazine,
romanzi gialli
Scimmie e angoli
L’America di Dagwood
Impronte nelle sabbie del crimine
La psicopatologia di «Time» e «Life»
Il baseball è cultura
Fumetti e cultura
55
55
61
71
91
109
119
Pubblicità: l’arte dell’uomo industriale
La pubblicità americana
La pubblicità come istituzione magica
L’era della pubblicità
125
125
139
149
Parte seconda: L’alba dellA squillo elettrica
Da Gutenberg a Batman
157
159
Dei media nella politica, o della politica dei media
Ucciso dalla televisione
175
175
Tutti i candidati sono addormentati
Il signor Nixon e la strategia della ritirata
181
191
Sulla moda
La moda è linguaggio
Moda: una guerra noiosa?
197
197
219
Sull’amore
Amore
223
223
Sul futuro
233
Il futuro dell’educazione
233
Il futuro del sesso
243
Il futuro della moralità: la ricerca interiore contro quella esteriore 259
Poscritto
Un ultimo sguardo al tubo
275
275
Introduzione
Il residuo fisso:
morale e politica dell’antimoderno
di Nicola Pentecoste
Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu
Tommaso d’Aquino
1. Prima di entrare nel merito dei contenuti di un così vasto materiale, qual è quello qui pubblicato, è lecito considerare preliminarmente la logica e i criteri che hanno orientato il lavoro di selezione,
che da soli spiegano il grosso dello scopo che ci si è posti nella
composizione di questa nuova antologia di scritti di McLuhan. Intanto la banale constatazione che si tratta di inediti in lingua italiana,
motivo che palesa un autentico interesse dell’editore Armando di
perseguire un lavoro di recupero complessivo dell’opera mcluhaniana per il pubblico nostrano. Un fatto di per sé encomiabile, almeno
per chi non ha ancora smesso di indagare il pensiero di questo grande studioso, ma che può far sorgere anche il legittimo sospetto sulla
genuinità della stessa operazione editoriale. Senza mezzi termini, il
lettore può avere l’impressione che si sia in qualche modo raschiato
il famigerato “fondo del barile”. Ebbene, tanto vale dirimere subito
il dubbio. È un dato di fatto: per molti versi ci troviamo di fronte
a un residuo, a uno scarto di lavorazioni precedenti, a un insieme
di cose che per qualche motivo non hanno passato le maglie di setacci più raffinati – se non altro perché sono arrivati prima e hanno
avuto il privilegio di una più ampia scelta. E, tuttavia, non si deve
7
cedere all’inganno che si tratti di materiale di scarso valore, o anche
solo di minore importanza rispetto a quanto raccolto nelle antologie
precedenti, né tantomeno agli scritti considerati ragionevolmente il
“massimo” della produzione mcluhaniana, ovvero i suoi libri più
noti – “La sposa meccanica”, “Galassia Gutenberg” e “Understanding Media”.
Anzi, prima di tutto forse andrebbe resa un po’ di giustizia alla
produzione cosiddetta “minore” di McLuhan. Perché proprio qui,
nella sterminata pubblicistica apparsa su riviste e periodici di varia
natura, non solo di matrice accademica, spesso e volentieri il nostro autore riesce a dare il meglio di sé. Per molti versi, in effetti,
il linguaggio e lo stile mcluhaniano del mosaico si prestano bene
all’articolo o al saggio breve – forse in virtù della “brevità” stessa
dei loro formati specifici – nei termini di una maggiore intelligibilità ed efficacia del messaggio. D’altro canto va sempre considerata
l’oggettiva predilezione di McLuhan per le forme del discorso orale
– e di queste, per dirla tutta, il monologo più del dialogo, l’orazione
più del dibattito – e specularmente un’ostinata riluttanza a piegarsi
alle rigide regole della scrittura accademica, soprattutto nel formato
del libro, che certo richiede uno sforzo di sintesi e di coerenza che
mal si accordava con la sua incapacità cronica di darsi un qualsiasi
tipo di struttura o programma operativo. A conti fatti, la cosa che si
avvicina maggiormente al formato libro nella sua produzione scritta – il che, è tutto dire – è forse Understanding Media, che riesce a
tenere insieme i frammenti di cui si compone grazie a una cornice
teoretica definita e un’organizzazione logica dei contenuti, codificati
all’interno di categorie univoche.
Frugando un po’ in quel che resta, insomma, non è detto che non
si trovi qualcosa di utile o prezioso, anche se – è chiaro – la pretesa
di raggiungere l’esaustività, da sola, rischia di lasciarci nelle mani
un insieme piuttosto frammentato e incoerente di cose. Eppure nel
nostro caso lo stesso lavoro di setaccio finora compiuto sull’opera
mcluhaniana si può dire sia stato senza dubbio fruttuoso, con poche
eccezioni.
8
Riconsideriamo allora, anche solo brevemente, le antologie in
lingua italiana in cui si è già recuperato il grosso degli scritti brevi di
McLuhan per capire intanto la loro logica. Rispetto alle precedenti
pubblicazioni di Armando Editore – non solo in riferimento alla collana “Scenari della comunicazione”, ma anche alle più longeve “Teoria della comunicazione e didattica dell’immagine” e “Il villaggio
globale” – questa antologia rappresenta un tassello a compimento di
un mosaico che ha visto finora il recupero dei tanti personaggi che
coesistono in McLuhan: il critico letterario (nella trilogia “Letteratura e metafore della realtà”); lo scienziato dei media – colto nel
periodo delle sue esplorazioni scientifiche, ovvero gli anni ’50 (“Lo
strano caso del Dr. McLuhan”), e in quello del suo pieno compimento, la prima metà degli anni ’60 (“Le radici del cambiamento”); il
pedagogo (“Media e nuova educazione”); il credente cattolico (“La
luce e il mezzo”).
In attesa di uno sforzo maggiore che porti finalmente a una sistematizzazione definitiva dell’opera mcluhaniana1, allora è il caso
di entrare nel merito di questo insieme residuale e rispondere alle
domande che legittimamente sorgono dalla premessa. Cosa rimane?
Di che materia è fatto? Quale McLuhan dovremmo aspettarci di trovare?
2. Sono ventidue gli articoli selezionati tra gli inediti in lingua
italiana2, più un’intervista. Una prima scansione dei titoli individua una variabile temporale, alquanto indicativa della tipologia o
della qualità dei contenuti, e ha permesso di dividere il materiale
qui pubblicato in due sezioni distinte, che corrispondono a due pe1 Operazione che in qualche modo sta già compiendo per il pubblico anglosassone la Gingko Press, casa editrice americana titolare dei diritti di sfruttamento
commerciale di tutta la produzione mcluhaniana, seppur in modo un po’ caotico e
frammentato.
2 Di questi American Advertising è l’unico già tradotto integralmente ne “La
cultura come business” di Armando Editore, mentre di Fashion is Language abbiamo solo una traduzione parziale in “Mercanti di stile”, volume a cura di Colaiacomo e Caratozzolo per Editori Riuniti.
9
riodi storici precisi. Nella prima vengono raccolti gli articoli scritti
tra il 1938 e il ’53 e nella seconda quelli dal ’64 in poi. A questa
scansione temporale corrisponde, come è facile intuire per chi ha
un minimo di conoscenza dell’opera mcluhaniana, uno specifico
tematico e stilistico, che ha permesso di organizzare gli scritti abbastanza naturalmente in insiemi piuttosto omogenei. Lo scarto
temporale tra questi, in sé, è oltremodo significativo. Il decennio
“assente”, per così dire, individua proprio il periodo della cosiddetta fase scientifica della ricerca mcluhaniana, che coincide con
gli anni che vanno dalla pubblicazione della rivista «Explorations:
Studies in Culture and Communication» (1953-’57) fino alla metà
dei ’603. La prima parte dell’antologia individua pertanto il primo
McLuhan espunto quasi totalmente dai suoi interventi di natura
critico-letteraria, con l’eccezione di Footprints in the Sands of Crime pubblicato sul blasonato «Sewanee Review», che non a caso
è anche il pezzo di prosa più erudita tra tutti quelli qui raccolti,
ma che parimenti a questi costituisce un contributo preparatorio ai
contenuti de “La sposa meccanica”. La seconda parte intercetta invece il McLuhan guru dell’era elettrica e profeta del villaggio globale, ovvero quel che segue alla pubblicazione del suo best seller.
Altro elemento su cui riflettere è la tipologia dei periodici in cui
sono pubblicati gli articoli, che ci fornisce la “tara”, se vogliamo, di
ogni frammento del nostro materiale residuo. Si tratta per la maggior
parte di riviste di interesse generale, spesso di attualità e di costume,
dirette comunque sia a un lettore non accademico. Questo fatto in
sé non è incongruente con l’attività professionale di McLuhan che
preferiva di gran lunga cimentarsi con ambienti e pubblici essoterici,
soprattutto a partire dagli anni ’60, quando «trascorreva più tem-
3 Sull’idea di una tripartizione storica della ricerca mcluhaniana che vede avvicendarsi una fase poetica, ovvero letteraria, una propriamente scientifica sui media e infine una filosofica si veda N. Pentecoste, Marshall McLuhan tra scienza e
filosofia: La tentazione postmoderna, Milano, Bevivino Editore, 2012.
10
po a fare discorsi a dirigenti aziendali che a insegnare in classe»4.
L’effetto sul messaggio mcluhaniano è ambivalente. Da una parte il
linguaggio, nel registro come nel vocabolario, tende “naturalmente”
a una forma più semplificata, con un ricorso meno frequente al riferimento colto – sebbene McLuhan non riesca proprio a rinunciare alle
citazioni di Joyce e di altri suoi cavalli di battaglia. Spesso l’interesse è divulgativo nel senso stretto del termine: “atto a divulgare, a far
conoscere a un largo pubblico un argomento difficile e d’ambito specialistico”. E a volte riesce piuttosto bene in questo intento. Come
avviene per Baseball is Culture del 1953, trascrizione di un suo intervento radiofonico per il «CBC Times», settimanale popolare della
Canadian Broadcast Corporation, sulla pari dignità epistemica dei
prodotti della cultura di massa – lo sport, i fumetti, il giornale e
l’intero insieme dei costumi della vita quotidiana – rispetto alle arti
figurative e letterarie della tradizione colta. Una prima lezioncina di
sociologia culturale, buona ancora oggi per le matricole universitarie, che apre alle questioni fondamentali della disciplina. Stesso può
dirsi di Comics and Culture scritto per il «Saturday Night», o Great
Change-Overs for You (1966) per «Vogue»5.
Nondimeno, va spesso ravvisata una ragione commerciale, legata all’interesse di soggetti terzi coinvolti, spesso i veri promotori
di precise operazioni editoriali, soprattutto dopo la pubblicazione di
Understanding Media quando McLuhan diventa una star mediale e
un marchio facile da sfruttare. Beninteso, spesso l’intenzione divulgativa e quella economica possono convergere felicemente in “prodotti” di indiscutibile qualità, come la famosa intervista apparsa su
«Playboy» nel numero di marzo del 1969, allo stesso tempo uno dei
migliori contributi divulgativi di McLuhan sulla disciplina e una delle operazioni commerciali più riuscite di una rivista a tema erotico.
4 G. Havers, The Right-Wing Post-Modernism of Marshall McLuhan, in «Media, Culture & Society», n° 25, 2003, p. 512.
5 In questa antologia si è preferito tradurre il titolo di quest’ultimo articolo da
quello dell’intervento seminariale per cui fu redatto originariamente, From Gutenberg to Batman.
11
Anche in questa antologia si trovano buoni pezzi di saggistica divulgativa come The Future of Education, uno dei due articoli – qui
entrambi tradotti – pubblicati a doppia firma con George Leonard,
direttore di «Look», sulla stessa rivista nel 1967. L’altro, The Future
of Sex, è viceversa l’esempio di come una buona operazione editoriale possa corrompere la lucidità della riflessione teorica di McLuhan,
costretto a un lavoro forzoso di “previsione”. Fashion Is Language,
scritto per la rivista di moda e tendenza «Harper’s Bazaar» (1968),
è invece un caso alquanto emblematico di come il marketing sappia
sfruttare brillantemente il brand McLuhan per un prodotto di grande
impatto estetico. Un mosaico di testi e immagini – queste ultime qui
non riproducibili, purtroppo – che punta alla suggestione piuttosto
che alla riflessione razionale attraverso stimoli sensoriali e fascinazioni verbali sulle arti esotiche, quelle tribali e orientali, in una cornice alquanto sofisticata.
È chiaro, insomma, che contenuti, scopi e intenzioni dei singoli
scritti finiscono spesso per essere influenzati dalla specifica linea
editoriale, ovvero la politica della testata che li ospita, quando non
collimano perfettamente. Per molti versi, e per rimanere all’immagine del residuo fisico e materico, è proprio questa linea che misura
la “densità” del frammento, o anche, volendo, il suo “peso specifico”. Al riguardo vale la pena notare la presenza importante nella
prima parte dell’antologia di riviste “impegnate” politicamente a
diversi gradi e ambiti, nate in virtù di un programma o di un manifesto, che viceversa sono assenti nella seconda, dove invece appaiono
testate più prestigiose, ma anche più “leggere”.
3. Rimanendo alla prima sezione troviamo ben tre periodici cattolici. Tra questi il «Fleur de Lis», per cominciare, la rivista letteraria studentesca dell’Università di Saint Louis, nel Missouri, dove
McLuhan insegnò dal 1937 al 1944, e di cui condivideva lo scopo
più alto di costituirsi come voce del nuovo cattolicesimo americano,
illuminato dal pensiero dei padri medievali e della dottrina dell’A12
quinate6. La fede di McLuhan si fa qui militanza attiva. Ne è esempio eloquente Peter or Peter Pan, pubblicato sul numero di maggio
del 1938: un manifesto contro l’industrialismo, il suo sistema economico, la pubblicità, il marxismo, il sentimento antireligioso. Peter
Pan, eterno bambino, è la figura posta a simbolo della condizione di
perpetua fantasia e immaturità emozionale dell’uomo moderno, che
si contrappone a Peter, ovvero (San) Pietro, emblema della cristianità e dei suoi valori.
Il mood dell’articolo, carico di tensione critica e di fervore moralistico, resterà un connotato costante negli scritti dello studioso canadese per tutti gli anni ’40 fino alla pubblicazione de “La sposa meccanica”, che sappiamo segna la chiusura non soltanto di un capitolo della
ricerca mcluhaniana, ma anche di un preciso atteggiamento “politico”.
Tra la prima e la seconda sezione di articoli, infatti, quel che colpisce
maggiormente è proprio il tono generale, l’umore, lo stato d’animo di
McLuhan. Il mood, si è detto. L’atteggiamento polemico, spesso sarcastico, caustico, pungente, che negli anni giovanili cavalca il fervore
di un cattolicesimo intransigente, e che a volte raggiunge estremi di
vera violenza verbale, lascia il posto a un’ironia più sottile e distaccata, a uno sguardo critico ma anche velato di speranza, quasi di ottimismo, quando non si fa letteralmente visione, oracolo, profezia. Le
ragioni di questo cambiamento, come è noto, sono testimoniate dallo
stesso McLuhan:
Per molti anni […] ho adottato un approccio estremamente moralistico nei confronti della tecnologia ambientale. Detestavo le macchine, odiavo le città, consideravo la Rivoluzione Industriale alla
stessa stregua della Caduta dell’uomo. In breve, rifiutavo quasi ogni
elemento della vita moderna a favore di un’utopia alla Rousseau.
Ma gradualmente ho cominciato a percepire quanto fosse sterile e
inutile il mio atteggiamento […]. Ho cessato di essere un moralista e
sono divenuto uno studioso. Come chi è dedito alla letteratura e alle
6
P. Marchand, Marshall McLuhan: The Medium and the Messenger, Cambridge (MA), Mit Press, 19982, p. 55.
13
tradizioni dell’alfabetismo, ho cominciato a studiare il nuovo ambiente che metteva in pericolo i valori letterari e ben presto mi sono
reso conto che non potevano essere messi da parte per oltraggio alla
morale o per pietistica indignazione7.
Si potrebbe dire che McLuhan si trovi a combattere nel tempo
su due fronti apparentemente inconciliabili: inizialmente quello del
critico censore dei costumi del suo tempo nella prima linea di una
retroguardia, e successivamente quello del profeta del villaggio globale nelle retrovie di un’avanguardia. L’equivoco sulla sua visione
politica, ovvero sul sostrato politico delle sue teorie – il fatto, in sostanza, che McLuhan passi da intellettuale progressista finendo per
incarnare uno dei simboli della controcultura americana degli anni
’60 e ’70 – è dovuto sicuramente a molte sue considerazioni sull’avvento dell’era elettrica e del villaggio globale. E molto fa anche la
sua scelta, maturata dopo la pubblicazione de “La sposa meccanica”, di un’astensione consapevole da ogni giudizio di valore. Ma la
confessata conversione al dettato weberiano dell’avalutatività, senza
peraltro che Weber sia mai tirato in ballo, è solo fumo negli occhi8.
Quel residuo fisso, che sta nelle sue convinzioni religiose, e più in
7 H.M. McLuhan, Marshall McLuhan: A Candid Conversation with the High
Priest of Popcult and Metaphysician of Media, intervista di E. Norden per «Playboy
Magazine» 1969 (marzo); trad. it. Candida conversazione con il sommo sacerdote
della cultura pop e metafisico dei media, in G. Gamaleri (a cura di), Understanding
McLuhan: L’uomo del villaggio globale, Roma, Kappa, 2006, p. 264.
8 Una considerazione a latere, che vale più uno spunto di riflessione sul dramma
etico di McLuhan, riguarda il suo atteggiamento verso la scienza, su cui si è avuto
modo già modo di ragionare diffusamente (cfr. N. Pentecoste, op. cit.). Certo è che
l’opinione negativa più volte da lui palesata verso la sociologia – intesa per lo più
nell’accezione di “ingegneria sociale” – ha significato per lo più un’ostacolo alla
costruzione di una solida metodologia nella sua ricerca sui media e la cultura. Nella
fattispecie tra le numerose assenze nella bibliografia di McLuhan, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo di Weber risulta, però, ancora più inspiegabile,
considerando il tema specifico di quello studio e le idee dello studioso canadese sul
rapporto stretto tra protestantesimo e tecnologia tipografica.
.
14
generale nel suo senso morale, non scompare del tutto, ma si ritira in
un’area di retroscena, nel suo più intimo privato. È questo movimento carsico del suo attivismo politico che alimenterà l’incomprensibile marca progressista e ottimista del suo messaggio più maturo.
La ricorsività di alcuni temi negli scritti giovanili, ma non solo,
dimostra infatti un interesse intellettuale e morale, ma anche, come
è ormai sdoganato da tempo, un’ossessione patologica, una fissazione mentale. È il caso dell’omosessualità e più in generale delle
relazioni tra i sessi – cui sono legate molte questioni, tra cui l’aumento del tasso dei divorzi, l’ingresso delle donne nel mondo del
lavoro, l’educazione mista nelle scuole, l’abbandono scolastico –
temi rispetto ai quali la lucidità di McLuhan soccombe spesso alla
sua religiosità e ai suoi pregiudizi.
Testimonianze di diversi amici e annotazioni nei diari tenuti in modo
abbastanza regolare da McLuhan confermano il conservatorismo del
McLuhan privato: diffidente verso i nuovi media elettrici tanto da
consigliarne un uso limitato a parenti e amici, sottilmente misogino
al punto di vedere nella femminilizzazione del maschio americano
(immortalata nel fumetto di Blondie e Dagwood) la causa principale
di molte degenerazioni contemporanee, profondamente ostile verso
ogni forma palesata o latente, di omosessualità (l’unica cosa che
disprezzava a Cambridge era proprio l’omosessualità diffusa tra gli
studenti), attivista del movimento antiabortista, l’uomo McLuhan
sembra davvero un’altra persona, tutto tranne il guru progressista
solitamente dipinto9.
4. Gli anni di Saint Louis sono certamente quelli in cui McLuhan
ricerca più attivamente spazi di espressione per le sue invettive di
critica sociale, proponendosi come autore per riviste di interesse
generale proprio su tali tematiche. In questo periodo il giovane canadese si immerge nella stesura di due articoli mai pubblicati: Is
9
E. Lamberti, Marshall McLuhan, Milano, Paravia Bruno Mondadori Editore,
2000, pp. 85-86.
15
Post-war Polygamy Inevitable?, poi rifiutato dall’«Esquire», e Dale
Carnegie: America’s Machiavelli, la cui stesura risale al 1939, che
costituisce uno sviluppo ulteriore delle sue riflessioni sul vero inventore del self-marketing, Dale Carnegie, appena abbozzate in Peter or
Peter Pan.
Lo stesso piglio moralistico, pur edulcorato dal contesto più sobrio in cui si colloca, lo ritroviamo in Out of the Castle into the
Counting-House, scritto per il numero di settembre 1946 di «Politics», rivista di orientamento nazionalista progressista10 diretta da
Dwight MacDonald . L’intervento è più precisamente un commento
a un articolo di Ethel Goldwater, The Independent Woman, che aprì
all’epoca sulla stessa rivista un dibattito molto vivace tra sostenitori
e detrattori del movimento per i diritti delle donne11. Nel suo scritto l’autrice denuncia il carattere storico-culturale delle differenze
sessuali e dei relativi ruoli che la società ha destinato all’uomo e
alla donna, relegando quest’ultima a una posizione di subalternità.
Il tono è serio, le argomentazioni sono espresse con logica stretta
e forte convinzione. Va tenuto conto peraltro, che è la prima volta
nella storia della rivista che il tema dei diritti delle donne viene legittimato come problema politico, o quantomeno ritenuto degno di
discussione. McLuhan, dal canto suo, nel proprio intervento gioca
spesso la carta del sarcasmo e del paternalismo laddove, ad esempio,
propone provocatoriamente la poligamia come soluzione pratica a
l’unico limite biologico che impedisce una piena realizzazione professionale della donna: la procreazione e l’allevamento dei figli. Più
in generale il testo è infarcito di una malcelata misoginia che difficilmente ritroviamo altrove e che si condensa in affermazioni che oggi
suonano ancora più stridenti tanto con la nostra acquisita sensibilità
sugli argomenti trattati, quanto con l’immagine del McLuhan degli
anni ’60.
10 Nel caso del Canada queste due parole insieme non costituiscono quello che
per noi sembra un chiaro ossimoro.
11 L’articolo nella fattispecie apparve nel numero di maggio dello stesso anno
con il titolo The Independent Woman: A New Course.
16
«L’indipendenza della donna dall’uomo – scrive McLuhan – è la
premessa al collasso della comunità». Un esempio di conservatorismo, che vale un altro brano preso qua e là nei testi dell’epoca, in
cui emerge il lato più intimo del canadese, lo sdegno morale verso
la promiscuità sessuale e l’omosessualità, che egli mette in relazione
all’evirazione del maschio moderno occidentale da parte della donna
e al cosiddetto “mammismo”.
A onor del vero va tenuto conto che parliamo pur sempre di un
uomo nato nel 1911, che per quanto possa essere “avanti” su molti argomenti non può che esser figlio dei tempi che vive. E c’è da
credere che su molte questioni inerenti la famiglia, il sesso, l’educazione morale dei figli, il suo pensiero non fosse tanto distante da
quello di molti suoi contemporanei – e anche oggi più di qualcuno
si esprimerebbe sugli stessi argomenti con la stessa cruda veemenza.
Se a questo aggiungiamo la fresca conversione al cattolicesimo, arrivata nel 1937, assieme al suo temperamento, alla giovane età, e a
un contesto culturale quale è quello ai confini della Bible Belt degli
Stati Uniti, non dovremmo stupirci così tanto di molte sue esternazioni. Certo è che tutto questo nella fervida intelligenza di McLuhan
produce argomentazioni alquanto originali, in cui tutto finisce per
fare “sistema”. È il caso dell’educazione mista nelle scuole, che per
gli istituti cattolici continuerà ad essere un tabù per molti anni a
seguire da quelli in cui scriveva il canadese. «L’impulso principale
dietro la pratica dell’educazione mista in America – afferma ancora
McLuhan – risiede in una paura latente per le tendenze omosessuali». Dopodiché aggiunge:
Non sto criticando l’educazione mista. È molto probabile che la
strategia inconscia che c’è dietro sia giustificata dalle circostanze.
[…] Ma a proposito del successo dell’educazione mista nel superare la paura del sesso e l’ostilità causate dalle stimolazioni di una
continua vicinanza, vale la pena ricordare un grave inconveniente.
La signora Goldwater osserva che “la ragazza matura fisicamente
e mentalmente prima del ragazzo”. L’effetto di questo nelle scuole
17
americane è stato quello di portare i ragazzi ad abbandonare gli
studi (in cui essi sono inferiori fino agli anni del college) in favore
della “durezza”.
Una conclusione alla linea argomentativa qui avviata sull’educazione mista trova compimento in un articolo di due anni prima,
Dagwood’s America, pubblicato sul «Columbia», il mensile dei
Knigths of Columbus, una delle più estese società di mutuo soccorso di stampo cattolico12. La rivista contava all’epoca circa mezzo
milione di lettori, una tiratura enorme, anche per quei tempi. Qui
McLuhan più esplicitamente ammonisce:
Gli uomini americani sembrano essere stati fin troppo ansiosi di gettare la spugna della disciplina intellettuale alla signora Uomo Comune. Così facendo, hanno creato una nuova assurdità umana […]:
l’assurdità dei ragazzi di essere educati da donne e nella stessa aula
con le ragazze! […] Non possedendo il concetto di autorità impersonale, le insegnanti donne non potranno impartire mai a nessuno
energia intellettuale e ambizione. Sono più interessate agli alunni
che agli argomenti, cosicché i ragazzi americani non si formano su
nessuna nozione di ciò che costituisce specificamente l’atteggiamento maschile e l’approccio alla conoscenza.
Prendiamo poi Dagwood, oggetto di molte riflessioni del canadese. Il protagonista delle strisce di Chic Young è «un servo della
gleba salariato, espropriato e alienato dall’intera struttura della vita
economica e sociale». Quest’alienazione deriverebbe dall’evirazione della sua funzione sociale nella famiglia come nel sistema economico. A sua volta l’effetto comico delle sue peripezie sul lettore
dipenderebbe dall’inversione dei ruoli maschili e femminili nell’era
moderna, ovvero dal sovvertimento di quell’“ordine naturale” in cui
«l’uomo impone l’autorità razionale, l’ordine e lo scopo, ricevendo
12
18
In inglese una fraternal benefits society.
in cambio sostegno emotivo e sicurezza dalla moglie». L’uomo comune può ridere del “pathos remissivo” con cui Dagwood affronta
le costanti umiliazioni della vita, proprio perché quel modello maschile che egli incarna rappresenta l’opposto di quello che dovrebbe essere un uomo. Un po’ alla maniera del Paperino di Adorno e
Horkheimer, che «come i poveracci nella realtà, riceve la sua buona dose di botte», non perché «gli spettatori imparino ad abituarsi
alle proprie»13, quanto perché vi riconoscono molti aspetti della loro
stessa condizione per un più semplice processo di proiezione e di
identificazione. È chiaro comunque che nel lettore di Dagwood si
inneschi un qualche processo di catarsi emotiva, un meccanismo di
disciplinamento psicologico che rende più sopportabile la sua medesima condizione sociale, ma non è su questo punto che insiste la
riflessione del giovane studioso canadese.
5. Quel che emerge, ad ogni modo, è che il primo McLuhan ricorre spesso a un’analisi dei contenuti dei mass media, con un atteggiamento e un linguaggio molto simile a quello degli esponenti della
scuola marxista e post-marxista. Da qui le somiglianze rinvenute da
molti con i francofortesi, con le dovute differenze, già abbondantemente sviscerate e su cui pertanto non torneremo con dovizia di
particolari, anche se inevitabilmente viene spontaneo fare qualche
parallelo14. E, infatti, secondo McLuhan, l’origine di ogni male, per
13 T. Adorno, M. Horkheimer, Dialektik der Aufklärung: Philosophische Fragmente, New York (NY), Social Studies Ass. Inc, 1944; trad. it. di R. Solmi, Dialettica dell’illuminismo, Torino, Einaudi, 1997, p. 147.
14 Sulle somiglianze e le differenze tra le teorie di McLuhan e quelle della
Scuola di Francoforte si leggano, tra gli altri: J. Carey, Walter Benjamin, Marshall
McLuhan, and the Emergence of Visual Society, in «Prospects: An Annual of American Cultural Studies», n° 12, 1987, pp. 29-38; P. McCallum, Walter Benjamin and
Marshall McLuhan: Theories of History, in «Signature: A Journal of Theory and
Canadian Literature», vol. 1, n° 1, 1989, pp. 71-89; J. Stamps, Unthinking Modernity: Innis, McLuhan and the Frankfurt School, Montreal, McGill-Queen’s University Press, 1995; P. Grosswiler, The Dialectical Methods of Marshall McLuhan,
Marxism, and Critical Theory, in «Canadian Journal of Communication», vol. 21,
n° 1, 1996.
19
l’uomo come per la donna moderni, è nel completo asservimento
della civiltà occidentale alla logica commerciale e alla macchina
industriale, in altre parole nella sostituzione di un principio ordinatore con un altro. Laddove la cultura orale garantiva un equilibrio
sensoriale indispensabile all’esercizio della ragione autonoma, «il
razionalismo della macchina – puntualizza McLuhan in The Psychopathology of Time and Life – è uno pseudo-ordine», perché «la
macchina è potere». Ovviamente rispetto ai francofortesi manca una
critica esplicita e diretta al capitalismo, se non come sottoprodotto
della tecnologia di Gutenberg15.
L’indagine specifica sui contenuti della cultura di massa spinge
McLuhan a una critica degli stessi modelli di vita che questa veicola, come nel caso dei “nuovi generi di film” prodotti da Hollywood
“girati da Lubitsch, Frank Capra, Alexander Hall e i loro imitatori” o il “genere associato a William Powell e Myrna Loy” o Irene
Dunne e Cary Grant. L’argomento è sviluppato in Apes and Angles,
altro articolo scritto per il «Fleur de Lis», in cui McLuhan denuncia quell’“atteggiamento ludico alla vita” che costituisce uno degli
aspetti fondamentali della sofisticazione. L’essere sofisticati significa, infatti, «aver esplorato tutte le esperienze offerte dalla società
in un dato tempo e luogo, e l’aver sperimentato la delusione che
ne risulta». Tanto più l’uomo comune, ovvero il piccolo borghese
suburbano, è legato alla necessità della sua vita quotidiana, tanto
più si disillude, prende coscienza della distanza tra la sua condizione materiale e lo stile di vita dei personaggi hollywoodiani. Nel
contempo egli sperimenta in modo vicario le possibilità offerte dal
mondo del consumo che lo eleva al di sopra del suo status di Piccolo Uomo.
15 In effetti, per quel che vale più di una curiosità, la parola stessa “capitalismo”
non appare che in pochissime occasioni, e comunque mai negli scritti qui presentati. È abbastanza emblematico, poi, come in Understanding Media, la parola capitalism non sia mai utilizzata, mentre capitalist conti solamente due occorrenze: nel
secondo paragrafo del capitolo sui Giochi in funzione di aggettivo e nel secondo
paragrafo del capitolo sulle Armi come sostantivo.
20
Il tema della “sofisticazione” è ripetuto e ampliato in una serrata analisi dei contenuti di Time, Life e Fortune, che McLuhan
definisce come il “triumvirato di Luce”. Qui la tesi del canadese
fa un passo avanti ulteriore, dacché da un semplice processo di
proiezione e identificazione, il lettore può sentirsi partecipe in
prima persona di quel mondo raffinato che queste rappresentano.
Il lettore di Time si eleva a quelle “altezze divine” da cui può osservare e giudicare la realtà, riscattandosi dalla misera condizione di Dagwood in carne e ossa. E a conti fatti questi settimanali
rappresentano l’altra faccia della stessa politica di Hollywood.
Ma si tratta di una politica senza testa, inintenzionale, sub-razionale. Anzi, il “principale fatto politico” sta proprio nella “totale
assenza di pensiero sociale e politico” e soprattutto nel fatto che
l’effetto è ricevuto a livello inconscio. «Non è il valore o il carattere delle immagini e delle dichiarazioni presentate che ha significato politico ma l’effetto che si osserva su un lettore fortemente
focalizzato», scrive McLuhan. Lo stato ipnotico che si registra
sul lettore/spettatore è dato infatti dalla velocità dell’impressione
sensoriale, che non permette un’elaborazione a livello conscio e
razionale. La stessa cosa avviene per la pubblicità, che nelle riviste di Luce è talmente intrecciata con le notizie da essere quasi
indistinguibile da queste. Leggiamo infatti in un altro articolo,
Advertising as a Magical Institution, che «in una rivista come
Life o The Saturday Evening Post […] i servizi sono così orientati agli annunci e ai prodotti pubblicizzati che, qualora fossero
rimossi gli annunci i servizi risulterebbero di cattivo gusto». La
stessa osservazione, guarda caso, si ritrova nell’Industria culturale, dove Adorno e Horkheimer non mancano di rilevare:
La pubblicità diventa l’arte per eccellenza, con cui Goebbels, col
suo fiuto, l’aveva già identificata: l’art pour l’art, reclame di se stessa, pura esposizione del potere sociale. Già nei grandi settimanali
americani “Life” e “Fortune” una rapida occhiata riesce appena a
distinguere figure e testi pubblicitari da quelli della parte redaziona21
le. Redazionale è il reportage illustrato, entusiastico e non pagato,
sulle abitudini di vita e sull’igiene personale del divo, che gli procura nuovi fan, mentre le pagine pubblicitarie si basano su fotografie e dati così oggettivi e realistici da rappresentare l’ideale stesso
dell’informazione, a cui la parte redazionale non fa che aspirare16.
L’interesse verso la pubblicità – argomento che è al centro degli articoli raccolti nell’ultimo blocco della prima parte dell’antologia – segna
un ulteriore passo in avanti nella ricerca mcluhaniana verso una teoria
generale dei media. La sua fede religiosa cede il passo a un’osservazione più obiettiva, attraverso un processo di generalizzazione che va
oltre i contenuti specifici dei mezzi di comunicazione e che finisce per
concentrarsi più specificamente sulle forme culturali. Si può dire, anzi,
senza esagerare – e giocando un po’ con la celebre critica di Umberto
Eco – che in alcuni passaggi McLuhan sembra quasi un Durkheim che
si esprime a fumetti. Il passaggio seguente, in The Age of Advertising,
richiama prepotentemente le Forme elementari della vita religiosa, senza che il sociologo francese sia mai citato direttamente:
Le marche nazionali di merci, come Coca-Cola o Lucky Strike sono
sulla strada buona per diventare una sorta di istituzione totemica. Le
società del totem sono tenute assieme collettivamente dalla pianta o
l’animale totem. L’uomo era un membro del clan o della tribù del
canguro. Era un canguro. Partecipava alla vita del canguro con i suoi
fratelli. Si creava una specie di comunione e di partecipazione mistica. La pubblicità, con il suo appello all’emozione collettiva, […] dà
all’uomo la sensazione di appartenere a qualcosa di più grande di lui.
Fa parte di un processo e di una cultura che lo contiene e lo nutre.
L’associazione della marca commerciale al totem stabilisce, infatti, il trait d’union tra la religione, il più antico sistema culturale
creato dall’uomo, e le nuove forme della cultura di massa. È il
riconoscimento di una funzione sociale, assolta dalla pubblicità,
16
22
T. Adorno, M. Horkheimer, op. cit., p. 176.
ovvero il folklore, o anche l’arte dell’uomo industriale. In questo
va ravvisato e riconosciuto un vero e proprio atto fondativo di una
sociologia della cultura. La pubblicità, infatti, va vista come una
vera e propria «situazione sociale […] escogitata in primo luogo
per ottenere effetti particolari», che si verificano, ancora una volta,
proprio dal suo «non suscitare troppa attenzione e curiosità». Ma
se la portiamo a livello cosciente, ovvero se trattiamo gli annunci
pubblicitari non come “mezzi di manipolazione sociale”, ma come
“finestre per l’illuminazione sociale”, questi «offrono una visione
razionale di tutto il panorama sociale e psicologico delle nostre
comunità».
Tali riflessioni intercettano un McLuhan più maturo, quello degli
anni ’50. In effetti, l’ultima citazione è del 1953, ed è estratta da un
articolo pubblicato sul «Commonweal», altra rivista cattolica. Ma
qualcosa è cambiato nello studioso canadese, non tanto nelle sue
convinzioni religiose, quanto nell’approccio alla ricerca. McLuhan,
va ribadito, non rinuncerà mai alla sua fede cattolica. Il tomismo
continuerà a costituire il nucleo del suo sistema di pensiero, anche
nella sua cosiddetta “teoria del medium”. Elena Lamberti ci aiuta
ancora a far luce su questo aspetto, laddove afferma con grande lucidità:
Non credo si possa parlare di un aspetto “evangelico” nelle teorizzazioni di McLuhan, non credo al McLuhan occulto “missionario”
di una “ideologia” cattolica; piuttosto mi sembra che la tradizione
cattolica si manifesti in modo più evidente attraverso la ripresa di
una modalità esegetica legata alla pratica della “translatio studii”,
così come appresa da Tommaso d’Aquino. L’affermazione con cui
McLuhan si presenta come un «tomista per il quale l’ordine sensoriale risuona con il Logos divino», si integra con quella in cui egli
afferma che la sua «attitudine alla cristianità è, essa stessa, consapevolezza del processo». […] Dal punto di vista delle implicazioni più
strettamente filosofiche, quindi, la religiosità di McLuhan “uomo
di lettere” e personaggio pubblico sembra configurarsi più come
23
tradizione “intellettuale”, modalità esegetica, tipologia di studio e
dialogo continuo tra presente e passato, mediato attraverso la ripresa
della tradizione dei commentari17.
6. Il tomismo, insomma, la sostanza densa e pesante del residuo
fisso del pensiero politico mcluhaniano, si traduce nell’awareness
come risultato ultimo e auspicabile dell’unico compito che ci resta
da assolvere come uomini e come studiosi: “capire i media”. Il dato
è acquisito. Quel che è meno evidente, e che resiste nella vulgata
del villaggio globale, è ancora però il dettato politico di McLuhan,
tutt’altro che progressista. Qui, l’astensione consapevole dall’esprimere un qualsiasi giudizio di valore sui costumi e sui fatti del suo
tempo aggiunge una lamina di ambiguità ancora difficile da perforare. Solo entrando nei meriti specifici delle sue riflessioni è possibile
riconoscere e discernere quel che resta di questo residuo, e quanto
influenzi la parte migliore della sua ricerca. E infatti dovremmo distinguere, ancora una volta, il McLuhan scienziato dei media dal
McLuhan guru dell’era elettrica, un ruolo che tutto sommato solletica, e non poco, l’ego smisurato del professore di Toronto, ma
complica il lavoro esegetico dello studioso contemporaneo. E a sua
volta distinguere il personaggio pubblico da quello privato, come
il significato politico delle sue teorie dalle sue opinioni politiche in
senso stretto.
Nella seconda parte di questa antologia tali ambiguità emergono
con molta chiarezza, proprio laddove McLuhan si cala nella parte dell’oracolo dei nuovi media. Emblematici sono i brani inclusi
nel blocco intitolato “Sul futuro”, tra cui i due firmati con George
Leonard. La parola futuro torna in molti titoli scritti da McLuhan
nella seconda metà degli anni ’60 e soprattutto negli anni ’70. Non
è un caso. Da una parte si tratta sicuramente dell’effetto collaterale
della divulgazione mediatica del suo pensiero, che non si traduce
solo nella scelta di un lessico più evocativo per il pubblico di massa,
17
24
E. Lamberti, op. cit., pp. 136-137.
ma anche nell’identificazione psicologica col personaggio del guru.
D’altra parte il passaggio di decennio segna anche il decollo di una
certa letteratura anticipatrice o predittiva, il cui esempio più notevole sta forse in Future Shock di Alvin Toffler – scrittore e giornalista
per primo ad insignirsi del titolo di “futurologo” – ma anche in altri
lavori sulla società post-industriale e sulla società dell’informazione.
Gli esiti non sempre sono brillanti. Nel caso di The Future of
Education, come si è già detto, troviamo uno dei migliori McLuhan.
D’altronde il tema dell’educazione è quello su cui vanta maggior
esperienza, su cui ha dedicato gran parte della sua ricerca e dove
può essere accreditato come un vero e proprio progressista e sperimentatore. McLuhan è stato uno dei primi a capire che l’istituzione
scolastica stava perdendo terreno nel suo stesso campo di azione
rispetto ai nuovi media elettrici, che le diverse modalità percettive e
cognitive stimolate dalla televisione e dai nuovi dispositivi elettronici mettevano in discussione i metodi più sedimentati dell’istruzione primaria e secondaria. Le sue considerazioni sono ancora oggi
valide e meritevoli di approfondimento per i docenti e gli esperti di
pedagogia e spiegano i motivi più profondi alla base del fallimento
dei metodi tradizionali di insegnamento basati ancora sul libro e sulle pratiche della lezione frontale.
The Future of Morality, invece, pur essendo per molta parte un
commento all’opera di Havelock, è più difficilmente giudicabile dal
punto di vista delle capacità predittive di McLuhan. Molte affermazioni sono condivisibili, ma altre possono essere interpretate in
modo completamente opposto date le stesse premesse da cui discendono e, per inciso, proprio in questa inversione di giudizio potrebbe
uscir fuori il pensiero più genuino del canadese. Cominciamo con
la candida ammissione di aver «trascorso diversi anni a meditare
sulla possibile estensione della coscienza per mezzo della tecnologia
elettrica, solo per scoprire che il carattere immediato e totale della
dispersione delle informazioni elettroniche tende ad estendere non la
coscienza, ma il subconscio». Ora, se entriamo nel merito delle riflessioni di McLuhan sull’estensione della consapevolezza umana insita
25
in ogni rivoluzione tecnologica, l’esternalizzazione del subconscio
e delle sue strutture, e conseguentemente l’aumentata importanza
che assume la ricerca interiore rispetto a quella esteriore possono
leggersi come una presa di coscienza del carattere tecnologico delle
nostre stesse estensioni – come peraltro più volte espresso in Understanding Media e in molti suoi scritti successivi qui compresi – ma
anche come l’irruzione dell’irrazionalismo nella vita dell’uomo moderno, cioè l’affermarsi di un nuovo dominio della sfera emozionale
su quella razionale, del pathos sul logos.
Il saggio si chiude infine con due affermazioni alquanto opinabili: «Nelle condizioni di questa ricerca interiore, “sincerità” e “integrità” hanno la precedenza su rispettabilità e accettabilità. Paradossalmente, questa ricerca di unicità e precisione nel mezzo del
cambiamento sistematico manifesta una ferma dedizione per il bene
della famiglia e dell’uomo». Ma, a parte la possibile obiezione sul
fatto che “rispettabilità” e “accettabilità” cadano in secondo piano in
un contesto come quello attuale dominato dai social media, in cui la
reputazione riassume un’indiscutibile centralità nell’etica delle reti,
può anche significare l’emergere di una mentalità più “conservatrice”, come peraltro McLuhan stesso più lucidamente ammette nella
sua intervista a «Playboy»18. Ma forse è la proprio l’idea che la ricerca interiore soppianti, o sia semplicemente predominante rispetto
a quella esteriore, a rivelarsi erronea. Qui probabilmente a McLuhan
manca la distanza necessaria per osservare con obiettività gli effetti
della televisione, che si faranno più evidenti negli anni ’80 del XX
secolo. La televisione può essere infatti considerata la causa principale di nuove forme di edonismo e di narcisismo, e ancora di più,
per molti studiosi contemporanei, lo sono internet e i social media
nel nuovo millennio.
Più in generale, come si è già detto altrove, non è sul terreno
della previsione che si può giudicare McLuhan. E infatti a leggere
The Future of Sex non si può che sorridere su certe anticipazioni del
18
H.M. McLuhan, Marshall McLuhan: A Candid Conversation with the High
Priest of Popcult and Metaphysician of Media, cit., p. 256.
26
futuro, che suonano oggi più come un personalissimo auspicio che
una riflessione seria sulle possibili conseguenze a lungo termine dovute agli effetti strutturali dei nuovi media. Questo vale, ad esempio,
per il pronostico di un’inversione di tendenza nell’aumento dei tassi
di divorzio, la scomparsa dell’omosessualità e della prostituzione, e
forse – ma qui siamo decisamente in un altro campo disciplinare – la
diminuzione delle ulcere nei maschi adulti americani. È piuttosto
evidente, insomma, che ogni volta che McLuhan entra nel merito
di questi argomenti – del sesso e delle relazioni tra i sessi – manchi
della giusta obiettività nel giudizio.
D’altra parte i molteplici commenti sugli hippy, l’amore libero e
i viaggi lisergici, spesso velati di bonaria condiscendenza, non devono trarre in inganno. McLuhan osservava i nuovi “nativi televisivi”
e i loro comportamenti con la curiosità disinteressata dello studioso, ma questo non si traduceva in un’adesione agli ideali libertari e
anarchici dei movimenti controculturali. E mai prese una posizione
netta sugli avvenimenti più scottanti della cronaca del suo tempo.
Non si schierò mai contro l’interventismo degli USA in Vietnam, ad
esempio, né appoggiò apertamente il movimento per i diritti dei neri
del pastore protestante Martin Luther King, sebbene il suo assassinio
avvenne durante il periodo di soggiorno a New York di McLuhan
ed egli stesso, benché latore di opinioni retrive su molti argomenti,
disprezzasse ogni forma di razzismo.
7. Per quanto sia, sulle opinioni politiche di McLuhan è difficile
formulare un giudizio univoco. Si è detto più volte del suo connaturato conservatorismo, anche se nutriva un autentico sentimento
di amicizia e di stima verso Pierre Trudeau, grande liberale, di cui
apprezzava certamente l’operato politico e lo stile comunicativo.
Tuttavia rimane difficile farsi un’idea precisa di ciò che pensava su
questioni più puntuali e sugli stessi fatti di attualità su cui fu spesso
interpellato dentro e fuori i confini del Canada.
Prendiamo il blocco dei tre articoli che hanno come argomento
specifico un fatto politico in senso stretto. Il primo, Murder by Te27
levision, è pubblicato sul numero di gennaio del 1964 di «Canadian
Forum», una storica rivista canadese. Si tratta di un frammento del
frammento. Molti paragrafi li ritroveremo tali e quali rimiscelati nel
XXXI capitolo di Understanding Media dedicato alla televisione.
Il titolo e l’incipit dell’articolo si riferiscono all’omicidio in diretta
televisiva di Lee Oswald per mano di Jack Ruby, avvenuto il 22 novembre del 1963, poco più di un mese prima della sua pubblicazione. Ma si tratta di un pretesto per parlare degli effetti della televisione, del suo potere di coinvolgere il pubblico in profondità in eventi
drammatici, come l’assassinio stesso di Kennedy e la trasmissione
televisiva dei suoi funerali. Il secondo, invece, All of the Candidates
are Asleep, pubblicato sul «Saturday Evening Post» nell’estate del
1968 ha come argomento la campagna elettorale per l’elezione del
presidente degli Stati Uniti d’America che vedrà poi la vittoria di
Nixon. McLuhan riprende qui la linea argomentativa dell’articolo
precedente sostenendo che tutti i candidati e i loro slogan elettorali – dal democratico Wallace, al repubblicano Nixon e lo stesso
indipendente Humphrey – sono troppo caldi per il nuovo ambiente
televisivo. La televisione, infatti, è «un mezzo di profondità per cui
la serietà è fatale».
La profondità richiede percezione a molti livelli e, di conseguenza,
l’assenza di un unico scopo o direzione. Un mondo tutto-in-unavolta, modellato da informazioni elettriche, esige un candidato pieno di giochi di parole e sfumature inaspettate. Tale uomo è uno che
sa tanto del contemporaneo interfacciamento di tutte le culture da
non potersi assolutamente illudere in nessuna seria considerazione
su ognuna di esse. I nuovi cambiamenti non sono morali ma tecnologici.
Motivi questi per cui qualsiasi personalità e punto di vista altamente definiti falliscono nello scopo, e tutti i candidati alla corsa alla Casa Bianca sono di fatto “irrilevanti”. Tutti, tranne Robert
Kennedy, a cui McLuhan riconosce una «qualità (di eroe riluttante)
28
che ha conferito integrità e potere alla sua immagine televisiva».
Peccato che quando scrive l’articolo Kennedy, dato per favorito alla
presidenza, sia stato già assassinato. Nel suo giudizio unanime e
negativo sull’inadeguatezza di tutti i candidati, insomma, McLuhan
gioca la carta facile dell’apoliticismo e dimostra di aver appreso
pienamente il dettato di Joyce, e cioè che «gli oracoli non prendono
posizione»19.
Altro esempio è fornito dal terzo articolo specificamente dedicato a un tema politico, quello scritto per il prestigioso “New York
Times” su Richard Nixon, che arriva a pochi giorni dal suo coinvolgimento giudiziario nell’affare Watergate20. È un argomento su cui il
professore di Toronto coltiva delle idee molto precise. Egli pensava
che l’intera vicenda fosse stata scatenata da «un conflitto interno
tra CIA e FBI», e che il KGB «riscuotesse la ricompensa»21. Il suo
biografo sottolinea al riguardo come sebbene «il cinismo non fosse
nella sua natura […], Mcluhan aveva appreso fin dagli anni quaranta
che la politica era una branca dello show business», e che il Watergate fosse «una degradazione rituale dei leader tribali montata per la
delizia degli spettatori televisivi»22.
Nell’articolo, ovviamente, non troviamo nulla di tutto questo.
Semmai McLuhan affina le argomentazioni degli articoli precedenti,
aggiungendo alcune riflessioni che riscoprono un certo lato oscuro, o
solo una zona d’ombra dei media elettronici. Intanto l’idea che il villaggio globale sia sostanzialmente un mondo della sorveglianza, in
19
P. Marchand, op. cit., p. 218.
Il 13 giugno 1973, infatti, la commissione senatoriale composta per indagare sul caso apprese dall’ex segretario alla presidenza, Alexander Butterfield, che
Nixon registrava dal 1971 tutte le conversazioni che si tenevano nel suo ufficio,
comprese quelle telefoniche. Il 23 luglio 1973, Nixon si rifiutò di consegnare alla
commissione e al procuratore speciale i nastri registrati, appellandosi all’executive
pivilege (“privilegio dell’esecutivo”), prerogativa ad appannaggio del presidente
e i membri dell’esecutivo di rifiutarsi di rispondere alle richieste del potere giudiziario.
21 P. Marchand, op. cit., p. 267
22 Ibidem. Marchand riporta quanto McLuhan scrisse in uno dei suoi diari il 22
febbraio del 1973 e in una lettera a Sheila Watson del 23 febbraio, 22 marzo 1973.
20
29
cui «lo “spionaggio” è diventato una strategia ordinaria di sopravvivenza». Idea in realtà già presente nella “Galassia Gutenberg” dove
il villaggio globale è descritto come un «piccolo mondo di tamburi
tribali», in cui «mentre i sensi vanno fuori di noi, il Grande Fratello
entra in noi»23. Fa capolino in forme edulcorate quel cospirativismo
radicato nella psicologia paranoide di McLuhan che vedeva nella
politica mondiale un complotto ordito dai cosiddetti “ghiottoni del
potere” – spesso evocati nei suoi scritti giovanili e che assomigliano
tanto ai “persuasori occulti” di Packard – che egli identificava in ultimo con la Massoneria, i cui membri si sarebbero infiltrati ovunque,
nei servizi segreti nazionali come nelle alte sfere del Vaticano24.
23 H.M. McLuhan, The Gutenberg Galaxy: The Making of Typographic Man,
Toronto, Toronto University Press, 1962; trad. it. di S. Rizzo, La galassia Gutenberg: Nascita dell’uomo tipografico, Roma, Armando, 1976, p. 60.
24 Sul cospirativismo di McLuhan e la sua ossessione per la Massoneria e le
società segrete si è scritto poco. Quello che sappiamo proviene quasi interamente
da Marchand che ha attinto copiosamente dai diari e le lettere dello studioso canadese per la sua biografia, insinuando più di un sospetto sulle motivazioni più
profonde dietro la sua scelta di astenersi da ogni giudizio di valore. Vale la pena
leggere un sunto esteso della biografia di Marchand sull’argomento: «[McLuhan]
scrisse a Ezra Pound di aver passato l’anno 1952 a studiare i rituali di organizzazioni come quelle dei Massoni e i Rosacrociani. Con sua sorpresa e immenso
disgusto aveva scoperto che queste organizzazioni avevano esteso i loro tentacoli
praticamente ovunque nelle arti e nelle scienze. [...] Anche l’opposizione verso
di lui da parte dei suoi colleghi all’Università di Toronto poteva essere spiegata
come incentrata in una o due società segrete fiorite in altre facoltà. [...] Cominciò
a sentire di essere stato un folle nei suoi scritti precedenti, per aver espresso i suoi
punti di vista senza avere coscienza che questi fossero contrari agli interessi delle
società segrete. [...] McLuhan era convinto che attorno a lui si celebrassero messe
nere e che gli annunci “personali” nei quotidiani di Toronto contenessero messaggi in codice su luoghi e orari di queste messe. (Per qualche ragione McLuhan
credeva che fossero celebrate frequentemente a Casa Loma, un enorme palazzo
edwardiano abbandonato, nonché attrazione turistica di Toronto non tanto distante
dall’università). [...] La più importante società segreta, secondo McLuhan, era la
Massoneria, nemico storico della Chiesa Cattolica. McLuhan cominciò a credere
che la storia dell’occidente fosse stata plasmata in modi sconosciuti dalle attività
dei massoni. Diede per certo a una delle figlie di Bernard Muller-Thym che la
Guerra Civile Americana era stata in realtà uno scontro fra la sezione della massoneria del sud e quella del nord. Guardando l’insediamento di John F. Kennedy nel
30