scenari della comunicazione
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scenari della comunicazione a cura di Alberto Abruzzese, Andrea Miconi e Domenico Fiormonte Marshall McLuhan McLuhan nello spirito del suo tempo a cura di Nicola Pentecoste Armando editore PENTECOSTE, Nicola (a cura di) McLuhan nello spirito del suo tempo ; Intr. di Nicola Pentecoste Roma : Armando, © 2015 280 p. ; 20 cm. (Scenari della comunicazione) ISBN: 978-88-6677-981-0 1. Cultura popolare e pubblicità 2. Media e politica 3. Linguaggio della moda CDD 300 Traduzione di Nicola Pentecoste L’Editore dichiara la propria disponibilità a regolarizzare eventuali non volute omissioni di pagamento per il permesso di riproduzione © 2015 Armando Armando s.r.l. Piazza della Radio, 14 - 00146 Roma Direzione - Ufficio Stampa 06/5894525 Direzione editoriale e Redazione 06/5817245 Amministrazione - Ufficio Abbonamenti 06/5806420 Fax 06/5818564 Internet: http://www.armando.it E-Mail: [email protected] ; [email protected] 978-88-6677-981-0 I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riservati per tutti i Paesi. Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000. 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Prima di entrare nel merito dei contenuti di un così vasto materiale, qual è quello qui pubblicato, è lecito considerare preliminarmente la logica e i criteri che hanno orientato il lavoro di selezione, che da soli spiegano il grosso dello scopo che ci si è posti nella composizione di questa nuova antologia di scritti di McLuhan. Intanto la banale constatazione che si tratta di inediti in lingua italiana, motivo che palesa un autentico interesse dell’editore Armando di perseguire un lavoro di recupero complessivo dell’opera mcluhaniana per il pubblico nostrano. Un fatto di per sé encomiabile, almeno per chi non ha ancora smesso di indagare il pensiero di questo grande studioso, ma che può far sorgere anche il legittimo sospetto sulla genuinità della stessa operazione editoriale. Senza mezzi termini, il lettore può avere l’impressione che si sia in qualche modo raschiato il famigerato “fondo del barile”. Ebbene, tanto vale dirimere subito il dubbio. È un dato di fatto: per molti versi ci troviamo di fronte a un residuo, a uno scarto di lavorazioni precedenti, a un insieme di cose che per qualche motivo non hanno passato le maglie di setacci più raffinati – se non altro perché sono arrivati prima e hanno avuto il privilegio di una più ampia scelta. E, tuttavia, non si deve 7 cedere all’inganno che si tratti di materiale di scarso valore, o anche solo di minore importanza rispetto a quanto raccolto nelle antologie precedenti, né tantomeno agli scritti considerati ragionevolmente il “massimo” della produzione mcluhaniana, ovvero i suoi libri più noti – “La sposa meccanica”, “Galassia Gutenberg” e “Understanding Media”. Anzi, prima di tutto forse andrebbe resa un po’ di giustizia alla produzione cosiddetta “minore” di McLuhan. Perché proprio qui, nella sterminata pubblicistica apparsa su riviste e periodici di varia natura, non solo di matrice accademica, spesso e volentieri il nostro autore riesce a dare il meglio di sé. Per molti versi, in effetti, il linguaggio e lo stile mcluhaniano del mosaico si prestano bene all’articolo o al saggio breve – forse in virtù della “brevità” stessa dei loro formati specifici – nei termini di una maggiore intelligibilità ed efficacia del messaggio. D’altro canto va sempre considerata l’oggettiva predilezione di McLuhan per le forme del discorso orale – e di queste, per dirla tutta, il monologo più del dialogo, l’orazione più del dibattito – e specularmente un’ostinata riluttanza a piegarsi alle rigide regole della scrittura accademica, soprattutto nel formato del libro, che certo richiede uno sforzo di sintesi e di coerenza che mal si accordava con la sua incapacità cronica di darsi un qualsiasi tipo di struttura o programma operativo. A conti fatti, la cosa che si avvicina maggiormente al formato libro nella sua produzione scritta – il che, è tutto dire – è forse Understanding Media, che riesce a tenere insieme i frammenti di cui si compone grazie a una cornice teoretica definita e un’organizzazione logica dei contenuti, codificati all’interno di categorie univoche. Frugando un po’ in quel che resta, insomma, non è detto che non si trovi qualcosa di utile o prezioso, anche se – è chiaro – la pretesa di raggiungere l’esaustività, da sola, rischia di lasciarci nelle mani un insieme piuttosto frammentato e incoerente di cose. Eppure nel nostro caso lo stesso lavoro di setaccio finora compiuto sull’opera mcluhaniana si può dire sia stato senza dubbio fruttuoso, con poche eccezioni. 8 Riconsideriamo allora, anche solo brevemente, le antologie in lingua italiana in cui si è già recuperato il grosso degli scritti brevi di McLuhan per capire intanto la loro logica. Rispetto alle precedenti pubblicazioni di Armando Editore – non solo in riferimento alla collana “Scenari della comunicazione”, ma anche alle più longeve “Teoria della comunicazione e didattica dell’immagine” e “Il villaggio globale” – questa antologia rappresenta un tassello a compimento di un mosaico che ha visto finora il recupero dei tanti personaggi che coesistono in McLuhan: il critico letterario (nella trilogia “Letteratura e metafore della realtà”); lo scienziato dei media – colto nel periodo delle sue esplorazioni scientifiche, ovvero gli anni ’50 (“Lo strano caso del Dr. McLuhan”), e in quello del suo pieno compimento, la prima metà degli anni ’60 (“Le radici del cambiamento”); il pedagogo (“Media e nuova educazione”); il credente cattolico (“La luce e il mezzo”). In attesa di uno sforzo maggiore che porti finalmente a una sistematizzazione definitiva dell’opera mcluhaniana1, allora è il caso di entrare nel merito di questo insieme residuale e rispondere alle domande che legittimamente sorgono dalla premessa. Cosa rimane? Di che materia è fatto? Quale McLuhan dovremmo aspettarci di trovare? 2. Sono ventidue gli articoli selezionati tra gli inediti in lingua italiana2, più un’intervista. Una prima scansione dei titoli individua una variabile temporale, alquanto indicativa della tipologia o della qualità dei contenuti, e ha permesso di dividere il materiale qui pubblicato in due sezioni distinte, che corrispondono a due pe1 Operazione che in qualche modo sta già compiendo per il pubblico anglosassone la Gingko Press, casa editrice americana titolare dei diritti di sfruttamento commerciale di tutta la produzione mcluhaniana, seppur in modo un po’ caotico e frammentato. 2 Di questi American Advertising è l’unico già tradotto integralmente ne “La cultura come business” di Armando Editore, mentre di Fashion is Language abbiamo solo una traduzione parziale in “Mercanti di stile”, volume a cura di Colaiacomo e Caratozzolo per Editori Riuniti. 9 riodi storici precisi. Nella prima vengono raccolti gli articoli scritti tra il 1938 e il ’53 e nella seconda quelli dal ’64 in poi. A questa scansione temporale corrisponde, come è facile intuire per chi ha un minimo di conoscenza dell’opera mcluhaniana, uno specifico tematico e stilistico, che ha permesso di organizzare gli scritti abbastanza naturalmente in insiemi piuttosto omogenei. Lo scarto temporale tra questi, in sé, è oltremodo significativo. Il decennio “assente”, per così dire, individua proprio il periodo della cosiddetta fase scientifica della ricerca mcluhaniana, che coincide con gli anni che vanno dalla pubblicazione della rivista «Explorations: Studies in Culture and Communication» (1953-’57) fino alla metà dei ’603. La prima parte dell’antologia individua pertanto il primo McLuhan espunto quasi totalmente dai suoi interventi di natura critico-letteraria, con l’eccezione di Footprints in the Sands of Crime pubblicato sul blasonato «Sewanee Review», che non a caso è anche il pezzo di prosa più erudita tra tutti quelli qui raccolti, ma che parimenti a questi costituisce un contributo preparatorio ai contenuti de “La sposa meccanica”. La seconda parte intercetta invece il McLuhan guru dell’era elettrica e profeta del villaggio globale, ovvero quel che segue alla pubblicazione del suo best seller. Altro elemento su cui riflettere è la tipologia dei periodici in cui sono pubblicati gli articoli, che ci fornisce la “tara”, se vogliamo, di ogni frammento del nostro materiale residuo. Si tratta per la maggior parte di riviste di interesse generale, spesso di attualità e di costume, dirette comunque sia a un lettore non accademico. Questo fatto in sé non è incongruente con l’attività professionale di McLuhan che preferiva di gran lunga cimentarsi con ambienti e pubblici essoterici, soprattutto a partire dagli anni ’60, quando «trascorreva più tem- 3 Sull’idea di una tripartizione storica della ricerca mcluhaniana che vede avvicendarsi una fase poetica, ovvero letteraria, una propriamente scientifica sui media e infine una filosofica si veda N. Pentecoste, Marshall McLuhan tra scienza e filosofia: La tentazione postmoderna, Milano, Bevivino Editore, 2012. 10 po a fare discorsi a dirigenti aziendali che a insegnare in classe»4. L’effetto sul messaggio mcluhaniano è ambivalente. Da una parte il linguaggio, nel registro come nel vocabolario, tende “naturalmente” a una forma più semplificata, con un ricorso meno frequente al riferimento colto – sebbene McLuhan non riesca proprio a rinunciare alle citazioni di Joyce e di altri suoi cavalli di battaglia. Spesso l’interesse è divulgativo nel senso stretto del termine: “atto a divulgare, a far conoscere a un largo pubblico un argomento difficile e d’ambito specialistico”. E a volte riesce piuttosto bene in questo intento. Come avviene per Baseball is Culture del 1953, trascrizione di un suo intervento radiofonico per il «CBC Times», settimanale popolare della Canadian Broadcast Corporation, sulla pari dignità epistemica dei prodotti della cultura di massa – lo sport, i fumetti, il giornale e l’intero insieme dei costumi della vita quotidiana – rispetto alle arti figurative e letterarie della tradizione colta. Una prima lezioncina di sociologia culturale, buona ancora oggi per le matricole universitarie, che apre alle questioni fondamentali della disciplina. Stesso può dirsi di Comics and Culture scritto per il «Saturday Night», o Great Change-Overs for You (1966) per «Vogue»5. Nondimeno, va spesso ravvisata una ragione commerciale, legata all’interesse di soggetti terzi coinvolti, spesso i veri promotori di precise operazioni editoriali, soprattutto dopo la pubblicazione di Understanding Media quando McLuhan diventa una star mediale e un marchio facile da sfruttare. Beninteso, spesso l’intenzione divulgativa e quella economica possono convergere felicemente in “prodotti” di indiscutibile qualità, come la famosa intervista apparsa su «Playboy» nel numero di marzo del 1969, allo stesso tempo uno dei migliori contributi divulgativi di McLuhan sulla disciplina e una delle operazioni commerciali più riuscite di una rivista a tema erotico. 4 G. Havers, The Right-Wing Post-Modernism of Marshall McLuhan, in «Media, Culture & Society», n° 25, 2003, p. 512. 5 In questa antologia si è preferito tradurre il titolo di quest’ultimo articolo da quello dell’intervento seminariale per cui fu redatto originariamente, From Gutenberg to Batman. 11 Anche in questa antologia si trovano buoni pezzi di saggistica divulgativa come The Future of Education, uno dei due articoli – qui entrambi tradotti – pubblicati a doppia firma con George Leonard, direttore di «Look», sulla stessa rivista nel 1967. L’altro, The Future of Sex, è viceversa l’esempio di come una buona operazione editoriale possa corrompere la lucidità della riflessione teorica di McLuhan, costretto a un lavoro forzoso di “previsione”. Fashion Is Language, scritto per la rivista di moda e tendenza «Harper’s Bazaar» (1968), è invece un caso alquanto emblematico di come il marketing sappia sfruttare brillantemente il brand McLuhan per un prodotto di grande impatto estetico. Un mosaico di testi e immagini – queste ultime qui non riproducibili, purtroppo – che punta alla suggestione piuttosto che alla riflessione razionale attraverso stimoli sensoriali e fascinazioni verbali sulle arti esotiche, quelle tribali e orientali, in una cornice alquanto sofisticata. È chiaro, insomma, che contenuti, scopi e intenzioni dei singoli scritti finiscono spesso per essere influenzati dalla specifica linea editoriale, ovvero la politica della testata che li ospita, quando non collimano perfettamente. Per molti versi, e per rimanere all’immagine del residuo fisico e materico, è proprio questa linea che misura la “densità” del frammento, o anche, volendo, il suo “peso specifico”. Al riguardo vale la pena notare la presenza importante nella prima parte dell’antologia di riviste “impegnate” politicamente a diversi gradi e ambiti, nate in virtù di un programma o di un manifesto, che viceversa sono assenti nella seconda, dove invece appaiono testate più prestigiose, ma anche più “leggere”. 3. Rimanendo alla prima sezione troviamo ben tre periodici cattolici. Tra questi il «Fleur de Lis», per cominciare, la rivista letteraria studentesca dell’Università di Saint Louis, nel Missouri, dove McLuhan insegnò dal 1937 al 1944, e di cui condivideva lo scopo più alto di costituirsi come voce del nuovo cattolicesimo americano, illuminato dal pensiero dei padri medievali e della dottrina dell’A12 quinate6. La fede di McLuhan si fa qui militanza attiva. Ne è esempio eloquente Peter or Peter Pan, pubblicato sul numero di maggio del 1938: un manifesto contro l’industrialismo, il suo sistema economico, la pubblicità, il marxismo, il sentimento antireligioso. Peter Pan, eterno bambino, è la figura posta a simbolo della condizione di perpetua fantasia e immaturità emozionale dell’uomo moderno, che si contrappone a Peter, ovvero (San) Pietro, emblema della cristianità e dei suoi valori. Il mood dell’articolo, carico di tensione critica e di fervore moralistico, resterà un connotato costante negli scritti dello studioso canadese per tutti gli anni ’40 fino alla pubblicazione de “La sposa meccanica”, che sappiamo segna la chiusura non soltanto di un capitolo della ricerca mcluhaniana, ma anche di un preciso atteggiamento “politico”. Tra la prima e la seconda sezione di articoli, infatti, quel che colpisce maggiormente è proprio il tono generale, l’umore, lo stato d’animo di McLuhan. Il mood, si è detto. L’atteggiamento polemico, spesso sarcastico, caustico, pungente, che negli anni giovanili cavalca il fervore di un cattolicesimo intransigente, e che a volte raggiunge estremi di vera violenza verbale, lascia il posto a un’ironia più sottile e distaccata, a uno sguardo critico ma anche velato di speranza, quasi di ottimismo, quando non si fa letteralmente visione, oracolo, profezia. Le ragioni di questo cambiamento, come è noto, sono testimoniate dallo stesso McLuhan: Per molti anni […] ho adottato un approccio estremamente moralistico nei confronti della tecnologia ambientale. Detestavo le macchine, odiavo le città, consideravo la Rivoluzione Industriale alla stessa stregua della Caduta dell’uomo. In breve, rifiutavo quasi ogni elemento della vita moderna a favore di un’utopia alla Rousseau. Ma gradualmente ho cominciato a percepire quanto fosse sterile e inutile il mio atteggiamento […]. Ho cessato di essere un moralista e sono divenuto uno studioso. Come chi è dedito alla letteratura e alle 6 P. Marchand, Marshall McLuhan: The Medium and the Messenger, Cambridge (MA), Mit Press, 19982, p. 55. 13 tradizioni dell’alfabetismo, ho cominciato a studiare il nuovo ambiente che metteva in pericolo i valori letterari e ben presto mi sono reso conto che non potevano essere messi da parte per oltraggio alla morale o per pietistica indignazione7. Si potrebbe dire che McLuhan si trovi a combattere nel tempo su due fronti apparentemente inconciliabili: inizialmente quello del critico censore dei costumi del suo tempo nella prima linea di una retroguardia, e successivamente quello del profeta del villaggio globale nelle retrovie di un’avanguardia. L’equivoco sulla sua visione politica, ovvero sul sostrato politico delle sue teorie – il fatto, in sostanza, che McLuhan passi da intellettuale progressista finendo per incarnare uno dei simboli della controcultura americana degli anni ’60 e ’70 – è dovuto sicuramente a molte sue considerazioni sull’avvento dell’era elettrica e del villaggio globale. E molto fa anche la sua scelta, maturata dopo la pubblicazione de “La sposa meccanica”, di un’astensione consapevole da ogni giudizio di valore. Ma la confessata conversione al dettato weberiano dell’avalutatività, senza peraltro che Weber sia mai tirato in ballo, è solo fumo negli occhi8. Quel residuo fisso, che sta nelle sue convinzioni religiose, e più in 7 H.M. McLuhan, Marshall McLuhan: A Candid Conversation with the High Priest of Popcult and Metaphysician of Media, intervista di E. Norden per «Playboy Magazine» 1969 (marzo); trad. it. Candida conversazione con il sommo sacerdote della cultura pop e metafisico dei media, in G. Gamaleri (a cura di), Understanding McLuhan: L’uomo del villaggio globale, Roma, Kappa, 2006, p. 264. 8 Una considerazione a latere, che vale più uno spunto di riflessione sul dramma etico di McLuhan, riguarda il suo atteggiamento verso la scienza, su cui si è avuto modo già modo di ragionare diffusamente (cfr. N. Pentecoste, op. cit.). Certo è che l’opinione negativa più volte da lui palesata verso la sociologia – intesa per lo più nell’accezione di “ingegneria sociale” – ha significato per lo più un’ostacolo alla costruzione di una solida metodologia nella sua ricerca sui media e la cultura. Nella fattispecie tra le numerose assenze nella bibliografia di McLuhan, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo di Weber risulta, però, ancora più inspiegabile, considerando il tema specifico di quello studio e le idee dello studioso canadese sul rapporto stretto tra protestantesimo e tecnologia tipografica. . 14 generale nel suo senso morale, non scompare del tutto, ma si ritira in un’area di retroscena, nel suo più intimo privato. È questo movimento carsico del suo attivismo politico che alimenterà l’incomprensibile marca progressista e ottimista del suo messaggio più maturo. La ricorsività di alcuni temi negli scritti giovanili, ma non solo, dimostra infatti un interesse intellettuale e morale, ma anche, come è ormai sdoganato da tempo, un’ossessione patologica, una fissazione mentale. È il caso dell’omosessualità e più in generale delle relazioni tra i sessi – cui sono legate molte questioni, tra cui l’aumento del tasso dei divorzi, l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, l’educazione mista nelle scuole, l’abbandono scolastico – temi rispetto ai quali la lucidità di McLuhan soccombe spesso alla sua religiosità e ai suoi pregiudizi. Testimonianze di diversi amici e annotazioni nei diari tenuti in modo abbastanza regolare da McLuhan confermano il conservatorismo del McLuhan privato: diffidente verso i nuovi media elettrici tanto da consigliarne un uso limitato a parenti e amici, sottilmente misogino al punto di vedere nella femminilizzazione del maschio americano (immortalata nel fumetto di Blondie e Dagwood) la causa principale di molte degenerazioni contemporanee, profondamente ostile verso ogni forma palesata o latente, di omosessualità (l’unica cosa che disprezzava a Cambridge era proprio l’omosessualità diffusa tra gli studenti), attivista del movimento antiabortista, l’uomo McLuhan sembra davvero un’altra persona, tutto tranne il guru progressista solitamente dipinto9. 4. Gli anni di Saint Louis sono certamente quelli in cui McLuhan ricerca più attivamente spazi di espressione per le sue invettive di critica sociale, proponendosi come autore per riviste di interesse generale proprio su tali tematiche. In questo periodo il giovane canadese si immerge nella stesura di due articoli mai pubblicati: Is 9 E. Lamberti, Marshall McLuhan, Milano, Paravia Bruno Mondadori Editore, 2000, pp. 85-86. 15 Post-war Polygamy Inevitable?, poi rifiutato dall’«Esquire», e Dale Carnegie: America’s Machiavelli, la cui stesura risale al 1939, che costituisce uno sviluppo ulteriore delle sue riflessioni sul vero inventore del self-marketing, Dale Carnegie, appena abbozzate in Peter or Peter Pan. Lo stesso piglio moralistico, pur edulcorato dal contesto più sobrio in cui si colloca, lo ritroviamo in Out of the Castle into the Counting-House, scritto per il numero di settembre 1946 di «Politics», rivista di orientamento nazionalista progressista10 diretta da Dwight MacDonald . L’intervento è più precisamente un commento a un articolo di Ethel Goldwater, The Independent Woman, che aprì all’epoca sulla stessa rivista un dibattito molto vivace tra sostenitori e detrattori del movimento per i diritti delle donne11. Nel suo scritto l’autrice denuncia il carattere storico-culturale delle differenze sessuali e dei relativi ruoli che la società ha destinato all’uomo e alla donna, relegando quest’ultima a una posizione di subalternità. Il tono è serio, le argomentazioni sono espresse con logica stretta e forte convinzione. Va tenuto conto peraltro, che è la prima volta nella storia della rivista che il tema dei diritti delle donne viene legittimato come problema politico, o quantomeno ritenuto degno di discussione. McLuhan, dal canto suo, nel proprio intervento gioca spesso la carta del sarcasmo e del paternalismo laddove, ad esempio, propone provocatoriamente la poligamia come soluzione pratica a l’unico limite biologico che impedisce una piena realizzazione professionale della donna: la procreazione e l’allevamento dei figli. Più in generale il testo è infarcito di una malcelata misoginia che difficilmente ritroviamo altrove e che si condensa in affermazioni che oggi suonano ancora più stridenti tanto con la nostra acquisita sensibilità sugli argomenti trattati, quanto con l’immagine del McLuhan degli anni ’60. 10 Nel caso del Canada queste due parole insieme non costituiscono quello che per noi sembra un chiaro ossimoro. 11 L’articolo nella fattispecie apparve nel numero di maggio dello stesso anno con il titolo The Independent Woman: A New Course. 16 «L’indipendenza della donna dall’uomo – scrive McLuhan – è la premessa al collasso della comunità». Un esempio di conservatorismo, che vale un altro brano preso qua e là nei testi dell’epoca, in cui emerge il lato più intimo del canadese, lo sdegno morale verso la promiscuità sessuale e l’omosessualità, che egli mette in relazione all’evirazione del maschio moderno occidentale da parte della donna e al cosiddetto “mammismo”. A onor del vero va tenuto conto che parliamo pur sempre di un uomo nato nel 1911, che per quanto possa essere “avanti” su molti argomenti non può che esser figlio dei tempi che vive. E c’è da credere che su molte questioni inerenti la famiglia, il sesso, l’educazione morale dei figli, il suo pensiero non fosse tanto distante da quello di molti suoi contemporanei – e anche oggi più di qualcuno si esprimerebbe sugli stessi argomenti con la stessa cruda veemenza. Se a questo aggiungiamo la fresca conversione al cattolicesimo, arrivata nel 1937, assieme al suo temperamento, alla giovane età, e a un contesto culturale quale è quello ai confini della Bible Belt degli Stati Uniti, non dovremmo stupirci così tanto di molte sue esternazioni. Certo è che tutto questo nella fervida intelligenza di McLuhan produce argomentazioni alquanto originali, in cui tutto finisce per fare “sistema”. È il caso dell’educazione mista nelle scuole, che per gli istituti cattolici continuerà ad essere un tabù per molti anni a seguire da quelli in cui scriveva il canadese. «L’impulso principale dietro la pratica dell’educazione mista in America – afferma ancora McLuhan – risiede in una paura latente per le tendenze omosessuali». Dopodiché aggiunge: Non sto criticando l’educazione mista. È molto probabile che la strategia inconscia che c’è dietro sia giustificata dalle circostanze. […] Ma a proposito del successo dell’educazione mista nel superare la paura del sesso e l’ostilità causate dalle stimolazioni di una continua vicinanza, vale la pena ricordare un grave inconveniente. La signora Goldwater osserva che “la ragazza matura fisicamente e mentalmente prima del ragazzo”. L’effetto di questo nelle scuole 17 americane è stato quello di portare i ragazzi ad abbandonare gli studi (in cui essi sono inferiori fino agli anni del college) in favore della “durezza”. Una conclusione alla linea argomentativa qui avviata sull’educazione mista trova compimento in un articolo di due anni prima, Dagwood’s America, pubblicato sul «Columbia», il mensile dei Knigths of Columbus, una delle più estese società di mutuo soccorso di stampo cattolico12. La rivista contava all’epoca circa mezzo milione di lettori, una tiratura enorme, anche per quei tempi. Qui McLuhan più esplicitamente ammonisce: Gli uomini americani sembrano essere stati fin troppo ansiosi di gettare la spugna della disciplina intellettuale alla signora Uomo Comune. Così facendo, hanno creato una nuova assurdità umana […]: l’assurdità dei ragazzi di essere educati da donne e nella stessa aula con le ragazze! […] Non possedendo il concetto di autorità impersonale, le insegnanti donne non potranno impartire mai a nessuno energia intellettuale e ambizione. Sono più interessate agli alunni che agli argomenti, cosicché i ragazzi americani non si formano su nessuna nozione di ciò che costituisce specificamente l’atteggiamento maschile e l’approccio alla conoscenza. Prendiamo poi Dagwood, oggetto di molte riflessioni del canadese. Il protagonista delle strisce di Chic Young è «un servo della gleba salariato, espropriato e alienato dall’intera struttura della vita economica e sociale». Quest’alienazione deriverebbe dall’evirazione della sua funzione sociale nella famiglia come nel sistema economico. A sua volta l’effetto comico delle sue peripezie sul lettore dipenderebbe dall’inversione dei ruoli maschili e femminili nell’era moderna, ovvero dal sovvertimento di quell’“ordine naturale” in cui «l’uomo impone l’autorità razionale, l’ordine e lo scopo, ricevendo 12 18 In inglese una fraternal benefits society. in cambio sostegno emotivo e sicurezza dalla moglie». L’uomo comune può ridere del “pathos remissivo” con cui Dagwood affronta le costanti umiliazioni della vita, proprio perché quel modello maschile che egli incarna rappresenta l’opposto di quello che dovrebbe essere un uomo. Un po’ alla maniera del Paperino di Adorno e Horkheimer, che «come i poveracci nella realtà, riceve la sua buona dose di botte», non perché «gli spettatori imparino ad abituarsi alle proprie»13, quanto perché vi riconoscono molti aspetti della loro stessa condizione per un più semplice processo di proiezione e di identificazione. È chiaro comunque che nel lettore di Dagwood si inneschi un qualche processo di catarsi emotiva, un meccanismo di disciplinamento psicologico che rende più sopportabile la sua medesima condizione sociale, ma non è su questo punto che insiste la riflessione del giovane studioso canadese. 5. Quel che emerge, ad ogni modo, è che il primo McLuhan ricorre spesso a un’analisi dei contenuti dei mass media, con un atteggiamento e un linguaggio molto simile a quello degli esponenti della scuola marxista e post-marxista. Da qui le somiglianze rinvenute da molti con i francofortesi, con le dovute differenze, già abbondantemente sviscerate e su cui pertanto non torneremo con dovizia di particolari, anche se inevitabilmente viene spontaneo fare qualche parallelo14. E, infatti, secondo McLuhan, l’origine di ogni male, per 13 T. Adorno, M. Horkheimer, Dialektik der Aufklärung: Philosophische Fragmente, New York (NY), Social Studies Ass. Inc, 1944; trad. it. di R. Solmi, Dialettica dell’illuminismo, Torino, Einaudi, 1997, p. 147. 14 Sulle somiglianze e le differenze tra le teorie di McLuhan e quelle della Scuola di Francoforte si leggano, tra gli altri: J. Carey, Walter Benjamin, Marshall McLuhan, and the Emergence of Visual Society, in «Prospects: An Annual of American Cultural Studies», n° 12, 1987, pp. 29-38; P. McCallum, Walter Benjamin and Marshall McLuhan: Theories of History, in «Signature: A Journal of Theory and Canadian Literature», vol. 1, n° 1, 1989, pp. 71-89; J. Stamps, Unthinking Modernity: Innis, McLuhan and the Frankfurt School, Montreal, McGill-Queen’s University Press, 1995; P. Grosswiler, The Dialectical Methods of Marshall McLuhan, Marxism, and Critical Theory, in «Canadian Journal of Communication», vol. 21, n° 1, 1996. 19 l’uomo come per la donna moderni, è nel completo asservimento della civiltà occidentale alla logica commerciale e alla macchina industriale, in altre parole nella sostituzione di un principio ordinatore con un altro. Laddove la cultura orale garantiva un equilibrio sensoriale indispensabile all’esercizio della ragione autonoma, «il razionalismo della macchina – puntualizza McLuhan in The Psychopathology of Time and Life – è uno pseudo-ordine», perché «la macchina è potere». Ovviamente rispetto ai francofortesi manca una critica esplicita e diretta al capitalismo, se non come sottoprodotto della tecnologia di Gutenberg15. L’indagine specifica sui contenuti della cultura di massa spinge McLuhan a una critica degli stessi modelli di vita che questa veicola, come nel caso dei “nuovi generi di film” prodotti da Hollywood “girati da Lubitsch, Frank Capra, Alexander Hall e i loro imitatori” o il “genere associato a William Powell e Myrna Loy” o Irene Dunne e Cary Grant. L’argomento è sviluppato in Apes and Angles, altro articolo scritto per il «Fleur de Lis», in cui McLuhan denuncia quell’“atteggiamento ludico alla vita” che costituisce uno degli aspetti fondamentali della sofisticazione. L’essere sofisticati significa, infatti, «aver esplorato tutte le esperienze offerte dalla società in un dato tempo e luogo, e l’aver sperimentato la delusione che ne risulta». Tanto più l’uomo comune, ovvero il piccolo borghese suburbano, è legato alla necessità della sua vita quotidiana, tanto più si disillude, prende coscienza della distanza tra la sua condizione materiale e lo stile di vita dei personaggi hollywoodiani. Nel contempo egli sperimenta in modo vicario le possibilità offerte dal mondo del consumo che lo eleva al di sopra del suo status di Piccolo Uomo. 15 In effetti, per quel che vale più di una curiosità, la parola stessa “capitalismo” non appare che in pochissime occasioni, e comunque mai negli scritti qui presentati. È abbastanza emblematico, poi, come in Understanding Media, la parola capitalism non sia mai utilizzata, mentre capitalist conti solamente due occorrenze: nel secondo paragrafo del capitolo sui Giochi in funzione di aggettivo e nel secondo paragrafo del capitolo sulle Armi come sostantivo. 20 Il tema della “sofisticazione” è ripetuto e ampliato in una serrata analisi dei contenuti di Time, Life e Fortune, che McLuhan definisce come il “triumvirato di Luce”. Qui la tesi del canadese fa un passo avanti ulteriore, dacché da un semplice processo di proiezione e identificazione, il lettore può sentirsi partecipe in prima persona di quel mondo raffinato che queste rappresentano. Il lettore di Time si eleva a quelle “altezze divine” da cui può osservare e giudicare la realtà, riscattandosi dalla misera condizione di Dagwood in carne e ossa. E a conti fatti questi settimanali rappresentano l’altra faccia della stessa politica di Hollywood. Ma si tratta di una politica senza testa, inintenzionale, sub-razionale. Anzi, il “principale fatto politico” sta proprio nella “totale assenza di pensiero sociale e politico” e soprattutto nel fatto che l’effetto è ricevuto a livello inconscio. «Non è il valore o il carattere delle immagini e delle dichiarazioni presentate che ha significato politico ma l’effetto che si osserva su un lettore fortemente focalizzato», scrive McLuhan. Lo stato ipnotico che si registra sul lettore/spettatore è dato infatti dalla velocità dell’impressione sensoriale, che non permette un’elaborazione a livello conscio e razionale. La stessa cosa avviene per la pubblicità, che nelle riviste di Luce è talmente intrecciata con le notizie da essere quasi indistinguibile da queste. Leggiamo infatti in un altro articolo, Advertising as a Magical Institution, che «in una rivista come Life o The Saturday Evening Post […] i servizi sono così orientati agli annunci e ai prodotti pubblicizzati che, qualora fossero rimossi gli annunci i servizi risulterebbero di cattivo gusto». La stessa osservazione, guarda caso, si ritrova nell’Industria culturale, dove Adorno e Horkheimer non mancano di rilevare: La pubblicità diventa l’arte per eccellenza, con cui Goebbels, col suo fiuto, l’aveva già identificata: l’art pour l’art, reclame di se stessa, pura esposizione del potere sociale. Già nei grandi settimanali americani “Life” e “Fortune” una rapida occhiata riesce appena a distinguere figure e testi pubblicitari da quelli della parte redaziona21 le. Redazionale è il reportage illustrato, entusiastico e non pagato, sulle abitudini di vita e sull’igiene personale del divo, che gli procura nuovi fan, mentre le pagine pubblicitarie si basano su fotografie e dati così oggettivi e realistici da rappresentare l’ideale stesso dell’informazione, a cui la parte redazionale non fa che aspirare16. L’interesse verso la pubblicità – argomento che è al centro degli articoli raccolti nell’ultimo blocco della prima parte dell’antologia – segna un ulteriore passo in avanti nella ricerca mcluhaniana verso una teoria generale dei media. La sua fede religiosa cede il passo a un’osservazione più obiettiva, attraverso un processo di generalizzazione che va oltre i contenuti specifici dei mezzi di comunicazione e che finisce per concentrarsi più specificamente sulle forme culturali. Si può dire, anzi, senza esagerare – e giocando un po’ con la celebre critica di Umberto Eco – che in alcuni passaggi McLuhan sembra quasi un Durkheim che si esprime a fumetti. Il passaggio seguente, in The Age of Advertising, richiama prepotentemente le Forme elementari della vita religiosa, senza che il sociologo francese sia mai citato direttamente: Le marche nazionali di merci, come Coca-Cola o Lucky Strike sono sulla strada buona per diventare una sorta di istituzione totemica. Le società del totem sono tenute assieme collettivamente dalla pianta o l’animale totem. L’uomo era un membro del clan o della tribù del canguro. Era un canguro. Partecipava alla vita del canguro con i suoi fratelli. Si creava una specie di comunione e di partecipazione mistica. La pubblicità, con il suo appello all’emozione collettiva, […] dà all’uomo la sensazione di appartenere a qualcosa di più grande di lui. Fa parte di un processo e di una cultura che lo contiene e lo nutre. L’associazione della marca commerciale al totem stabilisce, infatti, il trait d’union tra la religione, il più antico sistema culturale creato dall’uomo, e le nuove forme della cultura di massa. È il riconoscimento di una funzione sociale, assolta dalla pubblicità, 16 22 T. Adorno, M. Horkheimer, op. cit., p. 176. ovvero il folklore, o anche l’arte dell’uomo industriale. In questo va ravvisato e riconosciuto un vero e proprio atto fondativo di una sociologia della cultura. La pubblicità, infatti, va vista come una vera e propria «situazione sociale […] escogitata in primo luogo per ottenere effetti particolari», che si verificano, ancora una volta, proprio dal suo «non suscitare troppa attenzione e curiosità». Ma se la portiamo a livello cosciente, ovvero se trattiamo gli annunci pubblicitari non come “mezzi di manipolazione sociale”, ma come “finestre per l’illuminazione sociale”, questi «offrono una visione razionale di tutto il panorama sociale e psicologico delle nostre comunità». Tali riflessioni intercettano un McLuhan più maturo, quello degli anni ’50. In effetti, l’ultima citazione è del 1953, ed è estratta da un articolo pubblicato sul «Commonweal», altra rivista cattolica. Ma qualcosa è cambiato nello studioso canadese, non tanto nelle sue convinzioni religiose, quanto nell’approccio alla ricerca. McLuhan, va ribadito, non rinuncerà mai alla sua fede cattolica. Il tomismo continuerà a costituire il nucleo del suo sistema di pensiero, anche nella sua cosiddetta “teoria del medium”. Elena Lamberti ci aiuta ancora a far luce su questo aspetto, laddove afferma con grande lucidità: Non credo si possa parlare di un aspetto “evangelico” nelle teorizzazioni di McLuhan, non credo al McLuhan occulto “missionario” di una “ideologia” cattolica; piuttosto mi sembra che la tradizione cattolica si manifesti in modo più evidente attraverso la ripresa di una modalità esegetica legata alla pratica della “translatio studii”, così come appresa da Tommaso d’Aquino. L’affermazione con cui McLuhan si presenta come un «tomista per il quale l’ordine sensoriale risuona con il Logos divino», si integra con quella in cui egli afferma che la sua «attitudine alla cristianità è, essa stessa, consapevolezza del processo». […] Dal punto di vista delle implicazioni più strettamente filosofiche, quindi, la religiosità di McLuhan “uomo di lettere” e personaggio pubblico sembra configurarsi più come 23 tradizione “intellettuale”, modalità esegetica, tipologia di studio e dialogo continuo tra presente e passato, mediato attraverso la ripresa della tradizione dei commentari17. 6. Il tomismo, insomma, la sostanza densa e pesante del residuo fisso del pensiero politico mcluhaniano, si traduce nell’awareness come risultato ultimo e auspicabile dell’unico compito che ci resta da assolvere come uomini e come studiosi: “capire i media”. Il dato è acquisito. Quel che è meno evidente, e che resiste nella vulgata del villaggio globale, è ancora però il dettato politico di McLuhan, tutt’altro che progressista. Qui, l’astensione consapevole dall’esprimere un qualsiasi giudizio di valore sui costumi e sui fatti del suo tempo aggiunge una lamina di ambiguità ancora difficile da perforare. Solo entrando nei meriti specifici delle sue riflessioni è possibile riconoscere e discernere quel che resta di questo residuo, e quanto influenzi la parte migliore della sua ricerca. E infatti dovremmo distinguere, ancora una volta, il McLuhan scienziato dei media dal McLuhan guru dell’era elettrica, un ruolo che tutto sommato solletica, e non poco, l’ego smisurato del professore di Toronto, ma complica il lavoro esegetico dello studioso contemporaneo. E a sua volta distinguere il personaggio pubblico da quello privato, come il significato politico delle sue teorie dalle sue opinioni politiche in senso stretto. Nella seconda parte di questa antologia tali ambiguità emergono con molta chiarezza, proprio laddove McLuhan si cala nella parte dell’oracolo dei nuovi media. Emblematici sono i brani inclusi nel blocco intitolato “Sul futuro”, tra cui i due firmati con George Leonard. La parola futuro torna in molti titoli scritti da McLuhan nella seconda metà degli anni ’60 e soprattutto negli anni ’70. Non è un caso. Da una parte si tratta sicuramente dell’effetto collaterale della divulgazione mediatica del suo pensiero, che non si traduce solo nella scelta di un lessico più evocativo per il pubblico di massa, 17 24 E. Lamberti, op. cit., pp. 136-137. ma anche nell’identificazione psicologica col personaggio del guru. D’altra parte il passaggio di decennio segna anche il decollo di una certa letteratura anticipatrice o predittiva, il cui esempio più notevole sta forse in Future Shock di Alvin Toffler – scrittore e giornalista per primo ad insignirsi del titolo di “futurologo” – ma anche in altri lavori sulla società post-industriale e sulla società dell’informazione. Gli esiti non sempre sono brillanti. Nel caso di The Future of Education, come si è già detto, troviamo uno dei migliori McLuhan. D’altronde il tema dell’educazione è quello su cui vanta maggior esperienza, su cui ha dedicato gran parte della sua ricerca e dove può essere accreditato come un vero e proprio progressista e sperimentatore. McLuhan è stato uno dei primi a capire che l’istituzione scolastica stava perdendo terreno nel suo stesso campo di azione rispetto ai nuovi media elettrici, che le diverse modalità percettive e cognitive stimolate dalla televisione e dai nuovi dispositivi elettronici mettevano in discussione i metodi più sedimentati dell’istruzione primaria e secondaria. Le sue considerazioni sono ancora oggi valide e meritevoli di approfondimento per i docenti e gli esperti di pedagogia e spiegano i motivi più profondi alla base del fallimento dei metodi tradizionali di insegnamento basati ancora sul libro e sulle pratiche della lezione frontale. The Future of Morality, invece, pur essendo per molta parte un commento all’opera di Havelock, è più difficilmente giudicabile dal punto di vista delle capacità predittive di McLuhan. Molte affermazioni sono condivisibili, ma altre possono essere interpretate in modo completamente opposto date le stesse premesse da cui discendono e, per inciso, proprio in questa inversione di giudizio potrebbe uscir fuori il pensiero più genuino del canadese. Cominciamo con la candida ammissione di aver «trascorso diversi anni a meditare sulla possibile estensione della coscienza per mezzo della tecnologia elettrica, solo per scoprire che il carattere immediato e totale della dispersione delle informazioni elettroniche tende ad estendere non la coscienza, ma il subconscio». Ora, se entriamo nel merito delle riflessioni di McLuhan sull’estensione della consapevolezza umana insita 25 in ogni rivoluzione tecnologica, l’esternalizzazione del subconscio e delle sue strutture, e conseguentemente l’aumentata importanza che assume la ricerca interiore rispetto a quella esteriore possono leggersi come una presa di coscienza del carattere tecnologico delle nostre stesse estensioni – come peraltro più volte espresso in Understanding Media e in molti suoi scritti successivi qui compresi – ma anche come l’irruzione dell’irrazionalismo nella vita dell’uomo moderno, cioè l’affermarsi di un nuovo dominio della sfera emozionale su quella razionale, del pathos sul logos. Il saggio si chiude infine con due affermazioni alquanto opinabili: «Nelle condizioni di questa ricerca interiore, “sincerità” e “integrità” hanno la precedenza su rispettabilità e accettabilità. Paradossalmente, questa ricerca di unicità e precisione nel mezzo del cambiamento sistematico manifesta una ferma dedizione per il bene della famiglia e dell’uomo». Ma, a parte la possibile obiezione sul fatto che “rispettabilità” e “accettabilità” cadano in secondo piano in un contesto come quello attuale dominato dai social media, in cui la reputazione riassume un’indiscutibile centralità nell’etica delle reti, può anche significare l’emergere di una mentalità più “conservatrice”, come peraltro McLuhan stesso più lucidamente ammette nella sua intervista a «Playboy»18. Ma forse è la proprio l’idea che la ricerca interiore soppianti, o sia semplicemente predominante rispetto a quella esteriore, a rivelarsi erronea. Qui probabilmente a McLuhan manca la distanza necessaria per osservare con obiettività gli effetti della televisione, che si faranno più evidenti negli anni ’80 del XX secolo. La televisione può essere infatti considerata la causa principale di nuove forme di edonismo e di narcisismo, e ancora di più, per molti studiosi contemporanei, lo sono internet e i social media nel nuovo millennio. Più in generale, come si è già detto altrove, non è sul terreno della previsione che si può giudicare McLuhan. E infatti a leggere The Future of Sex non si può che sorridere su certe anticipazioni del 18 H.M. McLuhan, Marshall McLuhan: A Candid Conversation with the High Priest of Popcult and Metaphysician of Media, cit., p. 256. 26 futuro, che suonano oggi più come un personalissimo auspicio che una riflessione seria sulle possibili conseguenze a lungo termine dovute agli effetti strutturali dei nuovi media. Questo vale, ad esempio, per il pronostico di un’inversione di tendenza nell’aumento dei tassi di divorzio, la scomparsa dell’omosessualità e della prostituzione, e forse – ma qui siamo decisamente in un altro campo disciplinare – la diminuzione delle ulcere nei maschi adulti americani. È piuttosto evidente, insomma, che ogni volta che McLuhan entra nel merito di questi argomenti – del sesso e delle relazioni tra i sessi – manchi della giusta obiettività nel giudizio. D’altra parte i molteplici commenti sugli hippy, l’amore libero e i viaggi lisergici, spesso velati di bonaria condiscendenza, non devono trarre in inganno. McLuhan osservava i nuovi “nativi televisivi” e i loro comportamenti con la curiosità disinteressata dello studioso, ma questo non si traduceva in un’adesione agli ideali libertari e anarchici dei movimenti controculturali. E mai prese una posizione netta sugli avvenimenti più scottanti della cronaca del suo tempo. Non si schierò mai contro l’interventismo degli USA in Vietnam, ad esempio, né appoggiò apertamente il movimento per i diritti dei neri del pastore protestante Martin Luther King, sebbene il suo assassinio avvenne durante il periodo di soggiorno a New York di McLuhan ed egli stesso, benché latore di opinioni retrive su molti argomenti, disprezzasse ogni forma di razzismo. 7. Per quanto sia, sulle opinioni politiche di McLuhan è difficile formulare un giudizio univoco. Si è detto più volte del suo connaturato conservatorismo, anche se nutriva un autentico sentimento di amicizia e di stima verso Pierre Trudeau, grande liberale, di cui apprezzava certamente l’operato politico e lo stile comunicativo. Tuttavia rimane difficile farsi un’idea precisa di ciò che pensava su questioni più puntuali e sugli stessi fatti di attualità su cui fu spesso interpellato dentro e fuori i confini del Canada. Prendiamo il blocco dei tre articoli che hanno come argomento specifico un fatto politico in senso stretto. Il primo, Murder by Te27 levision, è pubblicato sul numero di gennaio del 1964 di «Canadian Forum», una storica rivista canadese. Si tratta di un frammento del frammento. Molti paragrafi li ritroveremo tali e quali rimiscelati nel XXXI capitolo di Understanding Media dedicato alla televisione. Il titolo e l’incipit dell’articolo si riferiscono all’omicidio in diretta televisiva di Lee Oswald per mano di Jack Ruby, avvenuto il 22 novembre del 1963, poco più di un mese prima della sua pubblicazione. Ma si tratta di un pretesto per parlare degli effetti della televisione, del suo potere di coinvolgere il pubblico in profondità in eventi drammatici, come l’assassinio stesso di Kennedy e la trasmissione televisiva dei suoi funerali. Il secondo, invece, All of the Candidates are Asleep, pubblicato sul «Saturday Evening Post» nell’estate del 1968 ha come argomento la campagna elettorale per l’elezione del presidente degli Stati Uniti d’America che vedrà poi la vittoria di Nixon. McLuhan riprende qui la linea argomentativa dell’articolo precedente sostenendo che tutti i candidati e i loro slogan elettorali – dal democratico Wallace, al repubblicano Nixon e lo stesso indipendente Humphrey – sono troppo caldi per il nuovo ambiente televisivo. La televisione, infatti, è «un mezzo di profondità per cui la serietà è fatale». La profondità richiede percezione a molti livelli e, di conseguenza, l’assenza di un unico scopo o direzione. Un mondo tutto-in-unavolta, modellato da informazioni elettriche, esige un candidato pieno di giochi di parole e sfumature inaspettate. Tale uomo è uno che sa tanto del contemporaneo interfacciamento di tutte le culture da non potersi assolutamente illudere in nessuna seria considerazione su ognuna di esse. I nuovi cambiamenti non sono morali ma tecnologici. Motivi questi per cui qualsiasi personalità e punto di vista altamente definiti falliscono nello scopo, e tutti i candidati alla corsa alla Casa Bianca sono di fatto “irrilevanti”. Tutti, tranne Robert Kennedy, a cui McLuhan riconosce una «qualità (di eroe riluttante) 28 che ha conferito integrità e potere alla sua immagine televisiva». Peccato che quando scrive l’articolo Kennedy, dato per favorito alla presidenza, sia stato già assassinato. Nel suo giudizio unanime e negativo sull’inadeguatezza di tutti i candidati, insomma, McLuhan gioca la carta facile dell’apoliticismo e dimostra di aver appreso pienamente il dettato di Joyce, e cioè che «gli oracoli non prendono posizione»19. Altro esempio è fornito dal terzo articolo specificamente dedicato a un tema politico, quello scritto per il prestigioso “New York Times” su Richard Nixon, che arriva a pochi giorni dal suo coinvolgimento giudiziario nell’affare Watergate20. È un argomento su cui il professore di Toronto coltiva delle idee molto precise. Egli pensava che l’intera vicenda fosse stata scatenata da «un conflitto interno tra CIA e FBI», e che il KGB «riscuotesse la ricompensa»21. Il suo biografo sottolinea al riguardo come sebbene «il cinismo non fosse nella sua natura […], Mcluhan aveva appreso fin dagli anni quaranta che la politica era una branca dello show business», e che il Watergate fosse «una degradazione rituale dei leader tribali montata per la delizia degli spettatori televisivi»22. Nell’articolo, ovviamente, non troviamo nulla di tutto questo. Semmai McLuhan affina le argomentazioni degli articoli precedenti, aggiungendo alcune riflessioni che riscoprono un certo lato oscuro, o solo una zona d’ombra dei media elettronici. Intanto l’idea che il villaggio globale sia sostanzialmente un mondo della sorveglianza, in 19 P. Marchand, op. cit., p. 218. Il 13 giugno 1973, infatti, la commissione senatoriale composta per indagare sul caso apprese dall’ex segretario alla presidenza, Alexander Butterfield, che Nixon registrava dal 1971 tutte le conversazioni che si tenevano nel suo ufficio, comprese quelle telefoniche. Il 23 luglio 1973, Nixon si rifiutò di consegnare alla commissione e al procuratore speciale i nastri registrati, appellandosi all’executive pivilege (“privilegio dell’esecutivo”), prerogativa ad appannaggio del presidente e i membri dell’esecutivo di rifiutarsi di rispondere alle richieste del potere giudiziario. 21 P. Marchand, op. cit., p. 267 22 Ibidem. Marchand riporta quanto McLuhan scrisse in uno dei suoi diari il 22 febbraio del 1973 e in una lettera a Sheila Watson del 23 febbraio, 22 marzo 1973. 20 29 cui «lo “spionaggio” è diventato una strategia ordinaria di sopravvivenza». Idea in realtà già presente nella “Galassia Gutenberg” dove il villaggio globale è descritto come un «piccolo mondo di tamburi tribali», in cui «mentre i sensi vanno fuori di noi, il Grande Fratello entra in noi»23. Fa capolino in forme edulcorate quel cospirativismo radicato nella psicologia paranoide di McLuhan che vedeva nella politica mondiale un complotto ordito dai cosiddetti “ghiottoni del potere” – spesso evocati nei suoi scritti giovanili e che assomigliano tanto ai “persuasori occulti” di Packard – che egli identificava in ultimo con la Massoneria, i cui membri si sarebbero infiltrati ovunque, nei servizi segreti nazionali come nelle alte sfere del Vaticano24. 23 H.M. McLuhan, The Gutenberg Galaxy: The Making of Typographic Man, Toronto, Toronto University Press, 1962; trad. it. di S. Rizzo, La galassia Gutenberg: Nascita dell’uomo tipografico, Roma, Armando, 1976, p. 60. 24 Sul cospirativismo di McLuhan e la sua ossessione per la Massoneria e le società segrete si è scritto poco. Quello che sappiamo proviene quasi interamente da Marchand che ha attinto copiosamente dai diari e le lettere dello studioso canadese per la sua biografia, insinuando più di un sospetto sulle motivazioni più profonde dietro la sua scelta di astenersi da ogni giudizio di valore. Vale la pena leggere un sunto esteso della biografia di Marchand sull’argomento: «[McLuhan] scrisse a Ezra Pound di aver passato l’anno 1952 a studiare i rituali di organizzazioni come quelle dei Massoni e i Rosacrociani. Con sua sorpresa e immenso disgusto aveva scoperto che queste organizzazioni avevano esteso i loro tentacoli praticamente ovunque nelle arti e nelle scienze. [...] Anche l’opposizione verso di lui da parte dei suoi colleghi all’Università di Toronto poteva essere spiegata come incentrata in una o due società segrete fiorite in altre facoltà. [...] Cominciò a sentire di essere stato un folle nei suoi scritti precedenti, per aver espresso i suoi punti di vista senza avere coscienza che questi fossero contrari agli interessi delle società segrete. [...] McLuhan era convinto che attorno a lui si celebrassero messe nere e che gli annunci “personali” nei quotidiani di Toronto contenessero messaggi in codice su luoghi e orari di queste messe. (Per qualche ragione McLuhan credeva che fossero celebrate frequentemente a Casa Loma, un enorme palazzo edwardiano abbandonato, nonché attrazione turistica di Toronto non tanto distante dall’università). [...] La più importante società segreta, secondo McLuhan, era la Massoneria, nemico storico della Chiesa Cattolica. McLuhan cominciò a credere che la storia dell’occidente fosse stata plasmata in modi sconosciuti dalle attività dei massoni. Diede per certo a una delle figlie di Bernard Muller-Thym che la Guerra Civile Americana era stata in realtà uno scontro fra la sezione della massoneria del sud e quella del nord. Guardando l’insediamento di John F. Kennedy nel 30