Claudia Ochoa ha 179 mila follower, minigonne

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Claudia Ochoa ha 179 mila follower, minigonne
ESTERI
MUJERES FATAL
LE
CHAPO
di
Gabriella Saba
Claudia Ochoa ha 179 mila follower,
minigonne vertiginose e kalashnikov.
Sexy, popolari tra le ragazze e pronte
a prendere il posto dei leader in cella.
Anatomia delle nuove donne narcos
a sinoalense Claudia Ochoa
Félix ha una trentina di profili
facebook, varie comunità e
una decina di gruppi a suo
nome. La pagina pubblica più visitata
conta 179mila fans, la più sguarnita 399.
Capelli lunghi neri e occhi da gatta, la
Ochoa esibisce un fisico prorompente inguainato in gonne vertiginose o in tute
mimetiche mentre impugna kalashnikov
e pistole d’oro, o beve vino bianco affondata in un sofà con accanto due guardaspalle armati e in passamontagna. Migliaia di messaggi d’amore sfilano sulle bacheche accanto agli attestati di stima e a
qualche insulto. Molti le chiedono lavoro
promettendo fedeltà per sempre. Il fatto è
che la bella Claudia non è soltanto una star
dei social ma, secondo la vox populi enfatizzata dalla grancassa di molti media,
nientemeno che la leader de lo Los Ántrax
– le squadre armate che proteggono El
Mayo Zambada, uno dei fondatori del
Cartello di Sinaloa – salita a quel rango
dopo la cattura del compagno El Chino ed
entrata nella rosa delle narcos più temute,
benché non sia nemmeno indagata.
Nel marzo scorso, la Ochoa ha convo-
L
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cato una conferenza stampa in cui negava
il suo ruolo nel narcotraffico ed è probabile sia sincera (i più avveduti ritengono sia
solo l’amante di qualche trafficante) ma
nel frattempo era diventata un mito per
molte ragazze della mala e degli ambienti
della sottocultura: esempio vincente di
buchona, la donna del narco nella versione recentissima che unisce al fisico formoso e modellato da chirurgie estetiche l’aspetto da dura abile con le armi, spietata
e con nervi di amianto. «Sono più verga di
te» scrivono alcune ragazze nei rispettivi
profili facebook, occhi canaglia che sbucano dal passamontagna, kalashnikov e
gambe da passerella. «Ammiro la Ochoa
perché è più coraggiosa degli uomini» ci
racconta una giovane che utilizza nella
propria pagina il nome e le foto di Claudia,
pur ammettendo di non somigliarle.
Stereotipo di belle e cattive in chiave
narco pompate dall’immaginario e dal
cinema di cassetta? Non solo. Negli ultimi
anni il ruolo delle donne nel narcotraffico
è cambiato. Dal 2007 al 2010 le detenute
per crimini di droga sono aumentate del
quattrocento per cento, mentre dei trentamila catturati dal 2006 alla fine del 2012
più di un terzo sono donne. Gli ufficiali di
polizia che hanno fatto irruzione in un
campo di addestramento degli Zeta, qualche anno fa, sono rimasti stupefatti nello
scoprire che quasi
metà degli istruttori erano di sesso LA GUERA LOCA,
femminile. È vero COMANDANTE
che gli Zeta sono i DEI SICARI
DEL GOLFO,
più femministi, ma È MORTA
in generale il mon- SGOZZATA
do maschile della A 23 ANNI
3
[1] CLAUDIA OCHOA
COMPAGNA
DEL BOSS EL CHINO.
[2] MELISSA
MARGARITA
CALDERÓN OJEDA
DETTA LA CHINA
[3] ENEDINA
ARELLANO FÉLIX
DETTA LA
NARCOMAMI
[4] JOSELYN
ALEJANDRA NIÑO
DETTA LA FLACA
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droga si adegua ai tempi. Sarà che gli uomini cadono prima o vengono arrestati, e
a quel punto tocca alle donne di famiglia
prenderne il posto. Vedi l’attuale capa del
cartel de Tijuana, Enedina Arellano Félix
detta la Narcomami: a mano a mano che i
sei fratelli venivano catturati o uccisi, lei
scalava la gerarchia del gruppo che dirige
da quando, due anni fa, l’ultimo della dinasta è stato fatto fuori a una festa.
È una signora bionda e riservata di 54
anni che ha rivoluzionato la politica del
suo Cartello, uno dei più spietati benché
in decadenza, puntando sulle alleanze
anziché sulla guerra, tanto che ha fatto
pace perfino con il Cártel de Sinaloa, con
cui per anni si erano scannati per il controllo della Baja California. La Narcomami è un’eccezione per i modi concilianti,
molto sui generis tra le consimili: spietate
come gli uomini, capaci delle peggiori efferatezze come nel caso della Guera Loca,
comandante dei sicari del Cártel del Golfo
morta sgozzata a 23 anni dopo aver decapitato decine di nemici con coltellini o
machete, perfino seghe elettriche. Da lì
quel soprannome Loca, pazza, mentre la
Guera sta per bionda: benché non ci siano
foto, si sa che era chiara d’occhi, alta e fine
così come la giovanissima sicaria dello
stesso Cartello, Joselyn Alejandra Niño
detta La Flaca, il cui corpo è stato trovato
a pezzi in una sacca frigorifera vicino al
confine con gli Stati Uniti qualche mese fa.
Sottile e acqua a sapone, sorriso da
bambina e occhiali da sole sulla testa, la
Niño era stata immortalata mentre posava con un giubbotto antiproiettile e un
fucile d’assalto e la sua foto, così diversa
da quella delle narcos solite, aveva fatto il
giro della rete. Tra l’altro, il soprannome
Flaca indicherebbe una nuova categoria di
sicarie di vari cartelli, tutte giovanissime
e che i narcos utilizzano per l’apparenza
insospettabile. Inevitabile che il nuovo,
femminile narco deal abbia generato film
e libri come Miss Narco del giornalista
Javier Valdez: interviste a killer, buchonas
e vittime. «Negli Stati più poveri molte
donne vedono il narcotraffico come un’opportunità di lavoro in cui hanno un ruolo
più centrale rispetto a qualche anno fa» ci
spiega. «Per amore o per interesse sono
coinvolte in operazioni di riciclaggio del
denaro, traffico di droga e omicidi. Non
vanno giudicate, ma capite in quel conte-
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sto e quindi in maniera empatica».
Eppure, come provare empatia per
personaggi come Melissa Margarita Calderón Ojeda detta La China, arrestata
quattro mesi fa e accusata di ben 150 crimini? Bella ed esotica, la trentunenne
China era la leader dei Damasos, gruppo
d’assalto del Cartello di Sinaloa da cui si
staccò portandosi dietro parte dei sicari.
A tradirla è stato il suo vice e fidanzato che,
dopo l’arresto, ha patteggiato in cambio di
informazioni sulla donna ma che ha parlato di quest’ultima con ammirazione. Per
esempio ha raccontato con che coraggio
avesse fatto fuori una coppia innocente, il
fido aiutante Tyson e le compagne di alcuni narcos. In questa guerra di efferatezze
è complicato stabilire chi abbia lo scettro
visto che nel panorama figurano narco
ladies come la veterana Elizabeth Garza,
una delle quindici
criminali più ricercate al mondo se- LA REINA
DEL PACIFICO,
condo la Dea.
Di certo brilla DI SINALOA,
HA CREATO
per spietatezza IL RAPPORTO
María de los Ángel- TRA I NARCOS
es Pineda, moglie E EL CHAPO
del sindaco di Iguala e detta Lady Macbeth
da quando si è scoperto che è stata lei, in
combutta con il marito, a ordinare a polizia e narcos del cartello Guerreros Unidos
di far sparire 43 studenti che manifestavano, nel settembre dell’anno scorso. Arrestata un anno fa, pare che la Pineda
fosse una leader di quel cartello, ambiziosissima e di famiglia narco, con ascendente enorme sul marito debole e complessato per la bassissima statura che compensava con palestra e pettinature cotonate.
María de los Ángeles è invece piuttosto
imponente, benché non raffinata. Niente a
che fare con l’eleganza di quel mito del
passato recente che è stata la 55enne Sandra Ávila Beltrán detta la Reina del Pacifico, del Cartello di Sinaloa, donna intelligentissima al cui charme si ascrive di aver
tessuto vincoli tra i narcos colombiani e il
Chapo. In libertà da qualche mese dopo
otto anni di reclusione, la Reina ha perso
molto appeal rispetto a quando, sprezzante e irresistibile, guardava dalle foto che
ne immortalavano il carisma. È imbolsita
e dimessa, lo sguardo appannato sotto i
capelli incanutiti, come di donna rassegnata. Ma non è detto.
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societàinchiestepoliticacronaca
LA LAMBRETTA
CHE AVVIÒ IL TERRORISMO
FINISCE IN POLIZIA
di Donatella Alfonso
ANSA
A Genova nel 1971 due membri della
XXII Ottobre la rubarono per una rapina
con omicidio. Il primo atto delle proto-Br
in Italia. Sarà accanto alla Renault di Moro
ENOVA. Per molti anni quella
Lambretta chiara, le foto in
bianco e nero non permettevano di sapere che fosse azzurrina, anzi «Azzurro Oltremare» come c’è
scritto sul libretto di circolazione, è stata
un simbolo. In negativo. Come la Renault
4 rossa con il corpo di Moro nel bagagliaio,
la Lambretta rubata una notte di marzo
del 1971, usata per la rapina all’Istituto
case popolari di Genova da parte della
banda di Mario Rossi (solo dopo chiamata
Banda XXII Ottobre) nel corso del quale fu
ucciso il fattorino Alessandro Floris, è
stata il segno visivo degli anni di piombo.
Anzi: proprio a quelle immagini, scattate
dallo studente lavoratore Ilio Galletta
dalla finestra di casa dopo aver sentito lo
sparo, si è fatta risalire la nascita del terrorismo di sinistra in Italia.
«Io la Lambretta l’avevo lasciata parcheggiata sotto casa di mia madre, in via
Timavo, dove ero andato a cena ed ero rimasto a vedere la televisione perché davano Riso amaro con Silvana Mangano. Poi
quando sono uscito non l’ho trovata più»
spiega , mentre tira su la saracinesca del
garage, Giovanni Errera, 85 anni da compiere, la vita che si divide tra Genova e
l’amatissima Pantelleria, il proprietario
dello scooter. Eccola, in fondo al box, in
una tranquilla strada del quartiere genovese di Albaro. Colore originale, la necessità di passare tra le mani di un bravo
G
SOPRA, GIOVANNI ERRERA CON LA LAMBRETTA
CHE VENNE RUBATA E USATA DALLA XXII OTTOBRE
PER LA RAPINA CHE COSTÒ LA VITA
AD ALESSANDRO FLORIS (A SINISTRA)
meccanico: ma potrebbe ancora andare.
«Prima io, poi mio figlio, l’abbiamo usata
fino a una ventina d’anni fa. L’avevamo
ridipinta, poi l’ho riportata al colore originale». E con una memoria che non lascia
indietro né un nome, né un evento, l’allora
responsabile dell’ufficio legale del Credito
Italiano racconta la denuncia del furto
della Lambretta, peraltro comprata sei
mesi prima, e il ritorno in ufficio dopo la
visita a un cliente. «Mi dicono: hanno
parlato alla radio di una rapina, e di due
scappati su una Lambretta, sarà mica la
tua? Io aspetto il giorno dopo, vedo la foto
sui giornali, e vado in Questura. Me la ridanno subito. Poi però mi fanno arrabbiare, perché mi hanno chiesto di ridargliela
per altre indagini…».
La Lambretta che incrocia la storia,
cilindrata 125, targa GE 112187, rientra
nella quotidianità. Porta in giro il suo
proprietario, poi il figlio e infine trova riposo in garage. Da dove, adesso, Giovanni
Errera vorrebbe farla uscire per una destinazione finale: il Museo della Polizia, dove
si trova, tra altre auto-simbolo della storia
recente, anche la Renault Rossa che accolse il corpo di Moro. «Penso che sarebbe
giusto lasciarla lì, perché fa parte della
storia di quegli anni», dice Errera.
E nel corso di questi 45 anni Mario
Rossi sconta la sua condanna per l’omicidio Floris e torna alla vita civile. Nel libro
Animali di Periferia (Castelvecchi), da cui
è stato tratto anche uno spettacolo del
Teatro dell’Ortica, ha raccontato quella
maledetta mattina: «Eravamo cospiratori,
quello sì, ma non terroristi. E sapevamo
che non avremmo mai dovuto uccidere,
che sarebbe stata la nostra fine».
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