American Pastoral - Cinema Primavera
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American Pastoral - Cinema Primavera
scaturisce dalla magnifica prosa di Philip Roth. Nella Newark, New Jersey, del dopoguerra, la speranza di futuro dei liceali ebrei della scuola di Weequahic poggia idealmente sulle spalle dell’attraente, biondo studente Seymour Levov (McGregor), detto «Svedese» per l’aspetto wasp e ammiratissimo per i successi sportivi. E Seymour non delude le aspettative: sposatosi a una Miss Bellezza di origine irlandese (Jennifer Connelly), proprietario di un’idillica tenuta, affermato imprenditore nel settore guanti, si direbbe un americano nato. Ovvero un perfetto esempio di integrazione, in questo molto diverso dai tipici antieroi rothiani che da un lato tentano di inserirsi, dall’altro sono tormentati dal terrore di esiliarsi dalle proprie radici. Tuttavia la serena normalità dello Svedese crolla quando nel fatidico ’68 la figlia sedicenne (Dakota Fanning), affiliata a un gruppo terroristico tipo Weathermen, fa esplodere un ufficio postale, entrando in clandestinità finché l’angosciato padre dopo anni non la scopre annidata nei bassifondi di Newark, mezza barbona e sacerdotessa di non violenza. Forse la vita non ha senso, forse quanto accaduto sta lì a ricordare che esiste l’inspiegabile. Roth non nasconde la sua rabbia contro le derive di una permissività che ha distrutto un tessuto di valori; e, assumendo l’ottica del personaggio Nathan Zuckerman - lo scrittore che sulla pagina è suo abituale alias - misura la distanza fra l’America come poteva essere e l’America che è stata. La sua «Pastorale» è l’affresco feroce ed elegiaco del crollo morale di una società; il film di McEwan ne è la diligente illustrazione. Alessandra Levantesi Kezich La Stampa 20 Ottobre 2016 Mercoledì23novembre,ore16.30-19-21.00 Giovedì 24 novembre, ore 19.00 - 21.00 Un film di Cristina Comencini con Paola Cortellesi e Micaela Ramazzotti Lucia e Maria sono amiche fin dal liceo, ma non potrebbero essere più diverse. Anche il loro rapporto con gli uomini è diametralmente opposto: Lucia, scottata da un matrimonio infelice, ha elevato un muro ed è diventata una "donna di nessuno"; Maria invece è una "donna di tutti" che colleziona avventure occasionali. A scompigliare le carte arriva Luca, amante di una notte di Maria, 19 anni e una fame inesauribile di sesso. Le due amiche finiranno per contenderselo, non secondo le trite dinamiche della competizione "femminile", ma secondo un percorso di ricerca individuale della propria identità. MERCOLEDí 16 NOVEMBRE 2016, ORE 16.30-19.00-21.15 GIOVEDí 17 NOVEMBRE 2016, ORE 19.00-21.15 VENERDí 18 NOVEMBRE 2016, ORE 21.00 (VERS. ORIG.) Il cast tecnico. Regia: Ewan McGregor. Soggetto: Philip Roth. Sceneggiatura: John Romano. Fotografia: Martin Ruhe. Montaggio: Melissa Kent. Scenografia: Daniel B. Clancy. Musica: Alexandre Desplat. Origine: USA, 2016. Durata: 2h06. Gli interpreti. Ewan McGregor (Seymour "Lo Svedese" Levov), Dakota Fanning (Merry Levov), Jennifer Connelly (Dawn Levov), David Strathairn (Nathan Zuckerman), Uzo Aduba (Vicky), Valorie Curry (Rita Cohen), Rupert Evans (Jerry Levov), Peter Riegert (Lou Levov). La trama. Seymour Levov, detto “lo Svedese”, è un uomo che dalla vita ha avuto tutto: bellezza, carriera, soldi, una moglie, ex Miss New Jersey, e una bambina a lungo desiderata. Ma il suo mondo va in pezzi quando la figlia, ormai adolescente, compie un attacco terroristico. Come è possibile che una tragedia di questo tipo sia accaduta proprio a lui, una persona che per tutta la vita ha incarnato il Sogno Americano? Dove ha sbagliato? Atteso al varco (primo script nel 2006) ecco il film da Pastorale americana, uno dei capolavori di Roth (col Teatro di Sabbath), Pulitzer 1997, lato della mirabile trilogia di odio amore sulla fine dell’american dream. Seymour, Lo Svedese, è l’americano perfetto che non sa spiegarsi il perché della tragedia: cosa c’è di meno riprovevole della vita dei Levlov? si chiede il libro alla 445ª ultima pagina. Sportivo e imprenditore, è marito orgoglioso della moglie miss New Jersey e padre di Merry, che si incaricherà di mandare a monte la partita, portando guerra a domicilio a casa e tramutando il sogno americano in un incubo dilaniato dal Viet e razzismo. Anche a Seymour si chiudono le porte dell’Eden: il suo lamento fa parte di una condizione che Philip Roth nel magnifico libro (Einaudi) esplora con dolorosa consapevolezza, inseguendo le ombre di «mad men» di successo con drink, le coppie di Richard Yates, il coniglio di John Updike, risalendo fino a Carver e Dahlberg. Gran profeta della società, noto al cinema (Lamento di Portnoy, La macchia umana) Roth trova nel bravo attore-autore scozzese Ewan McGregor un fedele ma non banale illustratore, che incide senza paura nella carne viva della famiglia modello (l’esempio è ancora il Commesso viaggiatore di Miller), orchestrando le voci del concerto-sconcerto dove ciascuno ha do di petto e stonature. Jennifer Connelly e Dakota Fanning, straordinarie, contribuiscono alla verità di un mito anche di cinema americano che s’accascia in diretta. Maurizio Porro Il Corriere della Sera 20 Ottobre 2016 Così scrive Philip Roth in Pastorale americana (1997): «Sto pensando agli anni '60 e alla confusione provocata dalla guerra nel Vietnam, a come certe famiglie persero i figli e certe famiglie no, e a come la famiglia di Seymour Levov fu una delle prime: famiglie piene di tolleranza e di buona volontà, una buona volontà amorevole, ben intenzionata, progressista; e furono i figli di queste famiglie a dare di matto…». Un affermato scrittore, il consueto alter ego di Roth Nathan Zuckerman, ritrova le tracce perse da decenni dello Svedese durante la guerra e subito dopo il mito di tutti i ragazzi del quartiere e della comunità ebraica di Newark. La sua inimitabile parabola si è infranta nel 1968, quando la figlia Merry, adolescente dotata, ha abbracciato i movimenti di protesta più radicali, ha messo una bomba che ha ucciso un uomo, ha rotto ogni relazione con la famiglia. McGregor regista ha firmato un onorevole adattamento; Ewan interprete ha incarnato credibilmente l’ingenuità e il tormento dello Svedese. Paolo D’Agostini La Repubblica 20 Ottobre 2016 Durante un ritrovo di ex compagni di scuola, lo scrittore Nathan Zuckerman incontra il vecchio amico Jerry Levov, che gli racconta la storia di suo fratello Seymour, detto "lo Svedese", idolo sportivo del giovane Zuckerman. È la storia di un uomo che ha avuto tutto, la bellezza, la fortuna professionale, una moglie Miss New Jersey, e che ha visto il suo mondo andare in pezzi quando la figlia adorata, adolescente, compie un attacco terroristico, uccidendo un uomo e sparendo nella clandestinità. È la storia di un sogno di pace e prosperità e dell'ipocrisia nascosta in esso, della "desiderata pastorale americana" e della contropastorale, "l'innata rabbia cieca dell'America", nelle parole di Philip Roth, dal cui romanzocapolavoro il film è tratto. La parabola della sua vita, la piega che prende dopo una prima parte in cui ogni cosa che tocca sembra trasformarsi in oro, è ciò che fa dello Svedese l'uomo che è. Anche l'ebreo che è, nel senso letterario della condanna all'introspezione e del caricarsi di un senso di colpa senza prove, del tutto autoinflitto. Questo, il film non può renderlo al meglio: può fare del suo meglio per renderlo, ma è un'altra cosa ("Il basket è un'altra cosa, Skip"), perché quella è materia di un'altra natura, appartiene alla grande letteratura. Il film di McGregor fa del suo meglio, non a caso, quando si tratta di attori: non solo la sua incarnazione di Seymour Levov è credibile, forse un po' troppo modellata sul personaggio che ha interpretato per Tim Burton in Big Fish (si direbbe che persino alcuni abiti siano gli stessi), ma capace di portare il peso del dramma sul volto, nello sguardo, prima che in gesti più plateali. Capace anche - lo si dice senza ironia - di incarnare il vuoto in certi sguardi, vuoto che nella storia è pieno di senso. E notevoli sono anche le interpretazioni di Dakota Fanning e di Jennifer Connelly, alle prese con un altro, differente "requiem" per il sogno americano. Quello che il personaggio di McGregor, e il suo film in maniera speculare, non sanno fare, è rendere conto del passato dello Svedese, della sua aura di baciato dalla grazia e dalla sorte. Pur citandolo a parole, nella voice over di Zuckerman, "the magic trick that turns past into present", quel modo davvero magico di andare avanti e indietro e mescolare le carte della temporalità, che è del romanzo, il film non arriva mai nemmeno a sfiorarlo. Tra passato e presente, è costretto a scegliere, e opta per la formula della cornice, che è corretta, sicura, ma anche chiusa, museale, come la teca dietro la quale si conservano, irraggiungibili, i trofei sportivi dello Svedese. Marianna Cappi www.mymovies.it 20 Ottobre 2016 Il falso problema è se un film a base letteraria debba essere valutato secondo un criterio di fedeltà al testo. Certo che no, un film vive di vita propria: però quando il romanzo ispiratore è un capolavoro, è raro che il cinema sia all’altezza. Nessun dubbio che l’attore Ewan McGregor, qui alla sua prima prova di regia, abbia affrontato con impegno l’impresa di trasporre sullo schermo American Pastoral (Einaudi): scritta con equilibrio, girata con professionalità e ben recitata, la pellicola regala persino qualche emozione, ma non riesce a restituire la stratificata complessità della pagina, quale