Azione - Settimanale di Migros Ticino La pastorale di Ewan McGregor

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Azione - Settimanale di Migros Ticino La pastorale di Ewan McGregor
La pastorale di Ewan McGregor
L’attore scozzese ha diretto un film basato su un celebre romanzo di Philip Roth
/ 17.10.2016
di Blanche Greco
L’idea che un libro famoso e difficile, vincitore del Premio Pulitzer, come American Pastoral, di Philip
Roth, venga scelto da un attore per la sua prima regia cinematografica, stupisce, anche se si tratta
di Ewan McGregor, quarantacinquenne attore scozzese intelligente e talentuoso, da anni alla ricerca
di una storia che lo convinca a spingersi dall’altro lato della cinepresa. Così, qualche giorno fa, alla
presentazione a Roma di Pastorale Americana del quale è regista e protagonista, insieme a Jennifer
Connelly e Dakota Fanning, gli abbiamo chiesto cosa gli avesse dato il coraggio d’iniziare la sua
nuova carriera proprio con un capolavoro della letteratura: «Credo che sia stato il fatto di essere
padre di quattro figlie, e di ricordare ancora molto bene di essere stato, a mia volta, “figlio”, non
troppo tempo fa. Perché questa è la storia di un padre e di una figlia, di due identità a confronto. E
io che per anni avevo cercato di essere il migliore dei padri e dei mariti, e un essere umano pieno di
buone intenzioni, mi sono angosciosamente specchiato nell’abisso descritto da Roth, prima come
attore, interpellato per interpretare “lo Svedese”, protagonista di un film che molti, tra cui Philip
Noyce, avrebbero dovuto dirigere; poi, come regista, quando dopo più di quattro anni, sembrò che il
progetto naufragasse. Non potevo permettere che quella sceneggiatura che tanto mi aveva
commosso e appassionato, restasse lettera morta, così tirai fuori tutte le idee che mi ero fatto, tutto
il coraggio che avevo e ne parlai con i produttori che detenevano i diritti del film».
La storia ambientata alla fine degli anni >60, racconta lo strano destino di Seymour Levov detto lo
«Svedese», ragazzone ebreo, biondo con gli occhi azzurri, al quale la vita sembra aver dato tutto.
Bello, buono e fortunato, in pochi anni lo «Svedese» è un uomo ricco, di successo, che gode
dell’affetto dei suoi amici e della stima dei suoi impiegati. Sua moglie Dawn (Jennifer Connelly), è
un’ex reginetta di bellezza del New Jersey, hanno una bambina adorabile e insieme sono una
famiglia perfetta. Ma la bionda e solare Merry, da sempre affetta da una leggera balbuzie, con
l’adolescenza, cambia profondamente, frequenta gruppi fortemente politicizzati, mentre l’America è
scossa da violenti scontri razziali e dalle proteste sulla guerra nel Vietnam.
A poco a poco, la ragazza alza un muro tra sé e i genitori, diventa un’estremista politica e dopo, un
attentato a un ufficio postale, in cui muore una persona, nella sua stessa cittadina, Merry sparisce ed
entra in clandestinità. «È terribile per un padre non sapere più come fare breccia nel cuore della
propria figlia, come parlarle. Non sapere mai dov’è; con chi è; cosa pensa; cosa fa, mentre,
naturalmente s’interroga per capire dove abbia sbagliato, e cosa, di ciò che ha fatto, o detto, possa
aver provocato tutto questo», ha spiegato McGregor.
«Il film esplora un periodo specifico della storia americana: quando la generazione del dopoguerra,
quella del “sogno americano”, entrò in collisione con la generazione successiva, quella dei propri
figli – Merry simboleggia tutto questo. Un periodo che purtroppo ha molte similitudini con la nostra
tormentata attualità, dove vediamo tanti giovani reclutati da gruppi politici estremisti».
La sceneggiatura scritta da John Romano riesce per molti versi, a «catturare» l’essenza del
ponderoso romanzo di Philip Roth che esplora i molteplici aspetti della società americana, e che,
come ha sottolineato Ewan McGregor: «mette a fuoco un argomento sotto i differenti punti di vista
dei vari personaggi, senza mai prendere partito, o rivelarci il suo pensiero. Così ognuno di noi è
incoraggiato a pensare per conto proprio, e a farsi la propria idea, discutendo idealmente con i vari
personaggi del romanzo, ai quali finisce per legarsi sentimentalmente. Io non potevo procedere nello
stesso modo nel film, ma ho cercato di mantenere un po’ di quella distanza e di quella pluralità di
argomentazioni, perché volevo davvero capire Merry e le sue ragioni, non liquidarla come una
giovane pazza e cattiva. Volevo conoscere i motivi delle teorie della psicologa, la Dottoressa Sheila,
su questa famiglia perfetta e sul perché Merry balbetti, e fare in modo che nel pubblico ci sia chi le
dà ragione, ma anche chi sospetti che le sue parole siano dettate da gelosia o invidia. Ovviamente
molte delle implicazioni e delle sfumature del romanzo non hanno trovato posto nel film, che però è
esattamente quello che avevo in mente e questo mi tranquillizza».
Nei panni di Merry c’è una strepitosa Dakota Fanning, giovane attrice scelta da McGregor dopo
molte ricerche, che è una vera rivelazione in un ruolo così complesso. «Fare il regista è molto
complicato, devi rassicurare sempre tutti e tenere i tuoi terrori per te. Devi ascoltare gli attori e far
sì che siano fiduciosi e motivati e in questo ho imparato da Danny Boyle, con il quale ho lavorato
quando ero molto giovane e che sapeva tirare fuori il meglio da ogni attore. Lui lo sa, ma io gliel’ho
ripetuto quest’estate, quando abbiamo girato Trainspotting 2. E ritrovarsi di nuovo insieme, e
riprendere in mano i propri personaggi vent’anni dopo, è stata una bella e strana esperienza».
Ride finalmente rilassato Ewan McGregor e poi aggiunge: «È stato come sentirseli tutti addosso di
colpo, questi vent’anni passati».