le argonautiche di apollonio rodio
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le argonautiche di apollonio rodio
LE ARGONAUTICHE DI APOLLONIO RODIO: FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE L’ARGOMENTO E GLI INTENTI DELL’AUTORE L’argomento del poema di Apollonio Rodio è costituito dall’antichissimo mito degli argonauti. Esso appare già menzionato nei poemi omerici e in Esiodo, ed era il soggetto di due poemi del cosiddetto Ciclo omerico (I Canti Naupatti e I Canti Corinzi). In seguitò offrirà materia a Pindaro (IV Pitica) e ad Euripide (Medea). Il recupero di questo mito già trattato nei primordi della civiltà ellenica consente ad Apollonio di presentarsi come un secondo Omero. In ogni caso i poemi omerici costituiscono il modello imprescindibile con cui Apollonio si misura con l’intento di rinnovare e rivitalizzare un genere letterario da tempo in declino. Inoltre il motivo del viaggio offriva ampie occasioni per digressioni erudite di natura geografica, etnologica, religiosa, encomiastica, eziologica, secondo il gusto tipico di età alessandrina. Per altro, la pressoché universale conoscenza della vicenda da parte del pubblico permetteva all’autore di intessere un gioco di suggestive allusioni sul piano dei contenuti emotivi, anticipando ad es. il futuro abbandono di Medea ad opera di Giasone. INNOVAZIONE DELLA TRADIZIONE EPICA Dunque, il rapporto di Apollonio con Omero non è di imitazione ma di profonda revisione. C’è in Apollonio l’intento di creare un’epica nuova attraverso l’infrazione del modello omerico , che comunque è costantemente presente, e attraverso la mescolanza con altri generi letterari, e in particolare con la tragedia. Un primo elemento di scarto consiste nel mezzo di diffusione dell’opera e nei destinatari: Apollonio non si affida all’oralità, non presuppone una ricezione aurale, ma concepisce la sua opera come testo scritto destinato alla lettura individuale; e il suo pubblico non è quello ampio e variegato che ascoltava le recitazioni dei rapsodi, ma quello selezionato e colto in grado di leggere e sopratutto di apprezzare i riferimenti dotti ed eruditi di cui il poeta filologo intesse la sua opera. Completamente estranea allo spirito originario dell’epos è dunque la componente erudita. Un esempio significativo si vede dalla scelta di collocare come ultimo verso dell’opera il calco di un verso emerico(Od XXIII, 296) che, secondo l’opinione di filologi quali Aristofane di Bisanzio e Aristarco, costituiva originariamente il verso finale dell’Odissea, un’opinione che, con la sua scelta, Apollonio evidentemente intendeva sostenere. L’interesse erudito si riscontra anche in innumerevoli digressioni di tipo mitologico, antiquario ed etnico-antropologico (queste ultime spesso caratterizzate dal gusto dello strano, del singolare, del meraviglioso), e ancora negli excursus eziologici, non infrequenti. Rientra in questo genere di interessi anche l’impiego (talora) di varianti rare del mito e le numerose allusioni ad episodi e passaggi omerici che vengono ovviamente rielaborati. Ad es. il motivo del ritorno subisce una profonda rielaborazione in Apollonio. Il nostos degli argonauti segue un itinerario che porta gli eroi a percorrere un itinerario simile a quello di Odisseo (Scilla e Cariddi, le mucche del sole, Circe, i Feaci, le sirene), ma mentre nell’Odissea il ritorno ha un significato interamente positivo, nelle Argonautiche il viaggio è circolare: l’obiettivo finale coincide con la situazione di partenza; l’itinerario omerico, lineare e progressivo è trasformato in un circolo, in cui la valenza eroica del viaggio risulta indebolita. Significative, ai fini di un confronto di Apollonio con Omero, sono anche le diverse dimensioni delle rispettive opere: se è vero che Apollonio prende di fatto le distanze dalla riluttanza callimachea per l’epos e per le opere di grandi dimensioni, tuttavia, non c’è dubbio che, rispetto ai poemi omerici, l’estensione delle Argonautiche è molto ridotta: quattro libri (contro i 24 di ciascuno dei poemi omerici), ognuno della lunghezza più o meno corrispondente a quella di una tragedia; sicché l’opera nel suo insieme veniva a corrispondere grosso modo a una tetralogia tragica 1. Altrettanto estranei alla tradizione epica sono i frequenti interventi dell’io narrante nel racconto (ad es. lì dove l’autore si esorta a lasciare un argomento per tornare alla vicenda principale, 1Questo consente di chiarire meglio il rapporto con Callimaco, che la tradizione successiva probabilmente a torto immaginò conflittuale. In realtà, nonostante le scelte divergenti di genere letterario, la poetica di Apollonio non è poi così lontana da quella dell’autore degli Aitia, che forse fu anche suo maestro; non a caso il nome di Apollonio non figura tra gli avversari di Callimaco nel prologo dei Telchini. oppure lì docve si congeda da un tema che non è lecito narrare), un metodo diegetico che predilige il racconto episodico per scorci ed allusioni, anziché per esteso, e il ricorso alla variatio anche in relazione all’impiego dei formulari omerici (v. infra). La struttura narrativa è complessa, per via dei numerosi episodi in cui si articola la storia, che si presentano dotati di una certa autonomia, quasi degli epilli dentro la cornice del poema. Sarebbe tuttavia scorretto parlare – come pure si è fatto – di “poema del frammento”, quasi che la struttura complessiva del racconto sia una pura cornice. Essa è invece sapientemente studiata. Si è già detto infatti della struttura ad anello. Occorre aggiungere che la struttura temporale ha una sua complessità attentamente meditata, che è il risultato dell’intersecarsi dei piani temporali. L’asse narrativo fondamentale è lineare e segue la progressione cronologica degli avvenimenti. Tuttavia, al passato della vicenda mitica si intrecciano il presente dell’autore, che spesso interviene nell’opera con frequenti incursioni personali, e il futuro delle predizioni (diegetiche ed extradiegetiche). In questo modo si realizza anche una saldatura tra passato mitico e presente storico che finisce col conferire un’aura di veridicità al racconto. Inoltre il racconto si articola fondamentalmente in due parti con ritmi narrativi molto diversi: in una prima rientrano il viaggio di andata, lento e digressivo e il successivo racconto della storia d’amore di Medea e Giasone, di carattere lineare, in cui prevale l’analisi della dimensione psicologica; nella seconda parte, invece, relativa al drammatico evolversi dei fatti e alla fuga, il ritmo è incalzante. Al principio della variatio risponde la studiata alternanza tra sequenze narrative e scene dialogate, di un tipo che potrebbe essere definito “drammatico”. Apollonio, seguendo in questo una modalità tipica della tragedia, è più attento alla preparazione dell’azione che all’azione in sé. A questo proposito è opportuno ribadire come in Apollonio la tradizione epica presenti frequenti intersezioni con quella tragica, come in parte già si è visto e come ora si vedrà meglio sotto il profilo tematico. Intanto è opportuno sottolineare che le Argonautiche fondono in un unico disegno i temi fondamentli dei due poemi omerici: le gesta eroiche e le avventurose peregrinazioni. Va però detto con forza che le prime, nelle Argonautiche, non si ammantano di ideali nobili ed eroici: l’unica vera battaglia, quella con i Dolioni, è più che altro una mischia notturna avvenuta per errore, in cui gli argonauti scambiano per nemici coloro cui erano legati da patti di amicizia; la stessa spedizione nella Colchide non sembra avere una credibile motivazione dal punto di vista dell'ethos eroico, e nasce piuttosto dall’intento strumentale di Pelia di allontanare Giasone e farlo perire. Comunque alle due menzionate tematiche “epiche” se ne aggiunge un’altra che rivestiva importanza, oltre che nella lirica, nella tragedia. Si tratta dell’amore, che con le Argonautiche acquista una centralità del tutto sconosciuta all’epica tradizionale. L’amore tra Medea e Giasone domina infatti tutta la seconda parte dell’opera e costituisce l’elemento risolutore della vicenda. Ulteriore aspetto di interesse di questa storia d’amore è la riduzione alla dimensione dell’umano dei personaggi del mito, che riflette l’attenzione all’orizzonte del quotidiano e al realismo della poetica ellenistica. La vicenda amorosa di Medea è illustrata nella sua progressiva maturazione: dall’estatica contemplazione del primo incontro, alle ansie e ai sogni rivelatori, al tentativo di resistere alla passione, all’abbandono sentimentale, al tradimento della patria e della famiglia in nome dell’amore, fino al profilarsi allusivo, come presagio, dell’atroce conclusione della storia, con l’abbandono di Medea da parte di Giasone e l’assassinio che la maga compie dei figli avuti da lui. Questo triste epilogo rimane esterno al poema, ma è presente alla mente dell’autore come del lettore ed incombe sulla vicenda come un destino ineluttabile creando anche un effetto come di ironia tragica sulla vicenda. E in rapporto a Medea, in particolare, si può misurare un’ulteriore duplice innovazione nel campo dell’epos: (1) la valorizzazione della figura femminile, che assume un rilievo senza precedenti nel genere epico (è indubbio che Medea è il personaggio più complesso e artisticamente riuscito dell’opera, quello più profondo, dinamico2 e sfaccettato, che assolve anche a un ruolo decisivo ai fini della realizzazione dell’impresa eroica); (2) l’attenzione prestata all’interiorità dei personaggi, alla loro dimensione emotiva e ai loro moti psicologici. Su questo terreno la distanza con Omero è abissale, mentre il modello è piuttosto la tragedia greca e in particolare Euripide. La caratterizzazione 2Il personaggio di Medea conosce un’evoluzione psicologica palmare, che va dalla negazione dell’eros alla sua graduale accetazione, fino alle estreme conseguenze del tradimento della patria, della famiglia e dell’uccisione del fratello introspettiva del personaggio di Medea, a detta di alcuni studiosi, costituisce un indizio evidente del passaggio dagli schemi di una “civiltà della vergogna”, tipica del mondo greco arcaico, a quelli di una “civiltà della colpa”, in cui assume preminenza la coscienza individuale. Giasone è un personaggio meno articolato e di molto minor spessore rispetto a Medea. Sovente si è voluto vedere in lui un seduttore spregiudicato intento solo al proprio tornaconto, una figura mediocre, scialba, un “uomo senza qualità”. Se un’aretè gli si vuol riconoscere, questa è data dal suo fascino, che fa di lui un tipo di eroe molto sui generis, un eroe erotico (C.R. Beye). Giasone non sceglie di sua iniziativa di affrontare l’avventurosa impresa, che gli è affidata da altri; né si pone lui a capo della spedizione, la cui guida assume solo dopo il rifiuto di Eracle. Appare dominato dal desiderio di tornare in patria e liberarsi da quell’impresa che sembra priva di senso; manifesta riluttanza nei confronti della guerra e dell’azione eroica; e si mostra incapace di produrre lo scioglimento della vicenda. Per Apollonio egli rappresenta il prototipo dell’antieroe. Per la sua passività e debolezza (amechanìa = lett. “impotenza”, “mancanza di risorse”) si colloca sul versante opposto dell’eroe omerico, saldo nelle certezze che gli derivavano dalla solidità di un sistema di valori guerrieri, ormai tramontato; per certi aspetti Giasone anticipa l’Enea virgiliano. Per questo egli appare anche alternativo ad Eracle, che incarna nelle Argonautiche il modello dell’eroe tradizionale, audace e determinato, che non a caso ben presto abbandona l’impresa, quasi a dimostrazione dell’impossibilità della convivenza tra figure così diverse. In un certo senso in Giasone si riflette l’immagine dell’uomo nuovo, smarrito in un mondo di cui non ha il controllo, esposto all’azione di forze che lo sovrastano. La sua umana fragilità lo avvicina alla dimensione del quotidiano. Con Apollonio il mito viene ridotto da paradigma dell’esistenza e contenitore di valori sociali e civili a spunto narrativo per un’opera d’arte autonoma, in piena adesione ai canoni della poetica alessandrina dell’“arte per l’arte”. Gli dei delle Argonautiche non intervengono in modo risolutore nelle vicende umane, ma più che altro accompagnano l’azione quando questa si è già determinata. La loro presenza appare fondamentalmente un omaggio alla tradizione. Di fatto il loro ruolo è secondario. Dall’unica scena divina dell’opera degna di nota, che vede riunite Afrodite, Atena ed Era (inizio lib. III), gli dei appaiono soprattutto come fatui spettatori delle vicende umane; e di essi ci viene offerta un’immagine per così dire “borghese” ed assai poco sacrale: per loro le drammatiche vicende degli uomini diventano oggetto di conversazione frivola, materia con cui si può giocare. La Tyche acquista un rilievo nuovo, ma come potenza oscura e minacciosa, che produce azioni di cui gli uomini sono inconsapevoli. Dallo scarto tra progetto e realizzazione determinato dall’arbitrarietà della Tyche nasce un inquieto pessimismo che domina le Argonautiche. LINGUA E STILE: In linea di massima la lingua è omerica, ma la morfologia, il lessico e la sintassi evidenziano un’intenzione innovativa rispetto al modello. Si osservano ad es. studiate variazioni lessicali rispetto ad Omero. Inoltre il periodo si fa più complesso e l’ipotassi prevale sulla paratassi. Come si è già detto le formule omeriche sono oggetto di una sistematica variatio: Apollonio utilizza elementi formulari e stilemi omerici, ma anche provvede a modificarli in modo originale, modulandoli con nuove sfumature o caricandoli di valori diversi. Anche le similitudini sono spesso originali, e si rileva una sensibile riduzione degli epiteti. I giudizi della critica non sono stati in passato molto entustici, o almeno riduttivi. Per l'Anonimo del Sublime, ad es., Apollonio è un “autore mediocre, senza errori”, mentre per Quintiliano, egli “non ci ha lasciato... un poema disprezzabile” ed “è costante la sua temperanza dello stile”. Ha sicuramente nuociuto ad Apollonio il confronto non vantaggioso col modello omerico e la concentrazione pressoché esclusiva sugli aspetti formali. Tuttavia anche solo da quest'ultimo punto di vista le Argonautiche andrebbero rivalutate, proponendo un esempio squisito di arte accurata fortemente espressiva.