L`interrogazione al prof! Pink Floyd, prima parte Il talento, il
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L`interrogazione al prof! Pink Floyd, prima parte Il talento, il
http://pigreko.it/ Tutti i dilettanti scrivono volentieri. Perciò alcuni di loro scrivono così bene. – Friedrich Durrenmatt L’interrogazione al prof! Pink Floyd, prima parte Questo mese abbiamo intervistato per voi il professore Carmine Puglisi, docente di storia dell’arte e disegno! Partiamo con le domande classiche: sappiamo che lei ha fatto architettura all’università. Come mai ora insegna? Sperava di fare l’architetto e dopo si è trovato ad insegnare o cos’altro? Prima di iscrivermi ad architettura, ho frequentato il liceo artistico perché io sin da piccolo dipingevo (mia madre ha ancora a casa i quadri di quando avevo 8/9/10 anni..) Poi dal liceo artistico i due sbocchi naturali erano: Accademia delle Belle Arti o architettura, però siccome l’Accademia all’epoca era molto squalificata come tipo di formazione, mi sono iscritto ad architettura. Si, ovviamente pensavo di fare l’architetto poi però ho cambiato idea poiché mi sono accorto che in realtà in Italia di architettura non se ne produceva: potevo trovare pessima edilizia, che però è tutta un’altra cosa. Io mi immaginavo l’architettura come luogo dove l’uomo deve vivere, divertirsi, ma mi sono reso subito conto che non era possibile. (continua a pag. 4) I Pink Floyd sono stati uno dei gruppi più importanti e influenti nella storia del rock. Affondano le loro radici nel 1965, a Londra, fondati dall’allora leader Syd Barrett, che prese le redini del gruppo fino al suo prematuro abbandono, dovuto all’abuso di droghe, nel ’68. In questo primo periodo, i Pink Floyd risentono molto della mentalità di quegli anni: quella fu l’epoca in cui la “Beat Generation” ebbe il suo massimo apice, e chi apparteneva a questa “generazione del battito” di Enrica Dal Zotto e Priscilla Raucci di Valerio Iannantuono e Denise Minghelli (continua a pag. 2) Il talento, il carattere, la semplicità. Quando la strada incontra la forza dell’ironia. La città gli dona l’ispirazione e lui restituisce il favore: a Roma il museo all’aria aperta. Di Sara Marrone Spesso ci si dimentica che l’arte prima di tutto è semplicità, espressione genuina di filosofie personali di vita, e che non necessariamente deve luccicare, né sostare nelle gallerie più in voga né tantomeno avere un costo. Perché l’arte sa farsi notare anche utilizzando materiali poveri, scegliendo ambientazioni sporche o umili e presentandosi come un vero e proprio regalo alla città. E’ questa l’arte di Fausto Delle Chiaie. Vicino alle correnti dell’arte povera, dell’arte informale e della pop art, Delle Chiaie è un artista singolare, formatosi all’Università del Nudo di Roma, che ha scelto un modo di divulgazione tutto suo: (continua a pag. 3) 1 PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia Pink Floyd, prima parte (continua da pag. 1) (dovuto al genere di musica innovativo per quegli anni; alcune scuole di pensiero tendono invece a tradurre “beat” come “bruciato, sprecato”, data l’abitudine della quasi totalità di giovani ad assumere sostanze stupefacenti e droghe di vario tipo, è da tenere a mente infatti che proprio in quegli anni l’acido lisergico, più comunemente noto con il nome di LSD, raggiunse il numero più alto di consumatori a scopo ricreativo) soleva ascoltare musica che potesse conciliare gli stati di alterazio- ne: è l’epoca dello space rock e del rock psichedelico. Tornando alla band, i Pink Floyd nacquero dalle ceneri di un precedente gruppo (The Tea Set) in cui già suonavano i futuri componenti Roger Waters, Richard Wright, Nick Mason e Bob Klose. Quest’ultimo uscì quasi subito dal gruppo, dato che la leadership di Syd Barrett comportava una sonorità non consona ai generi suonati dal chitarrista Klose. Da questo momento Syd, prese le redini del gruppo, cominciò a comporre musiche e testi per la band, influenzato dalla corrente culturale di quegli anni. Il 5 agosto 1967 uscì il primo e unico album sotto la direzione di Syd Barrett: The Piper At The Gates Of Dawn. I brani di maggior successo furono Arnold Layne e See Emily Play, che raggiunsero rispettivamente la 20° e la 6° posizione nelle classifiche britanniche. I testi di quest’album sono spensierati e tendenti al nonsense, ma alcuni sono influenzati anche dalla musica folk (The Gnome) e non mancano avanguardistici e arditi brani strumentali (Interstellar Overdrive). In questi anni, nelle loro esibizioni live, i Pink Floyd sperimentano ciò che caratterizzerà per lungo i loro concerti: i light shows, ovvero giochi di luce e proiezioni su schermi atti a coinvolgere il pubblico. Nel ’68, però, la costante attività live e la crescente popolarità del gruppo portarono Syd ad abusare di droghe, minando già una latente instabilità psichica: per ovviare a ciò, intervenne David Gilmour, che aiutava la band a suonare sia in studio che dal vivo. Nonostante ciò, Barrett non smise di assumere droghe e per questo il suo atteggiamento peggiorò di giorno in giorno: appariva totalmente estraniato dalla realtà e durante le esibizioni live scordava le corde della propria chitarra senza un apparente motivo, in alcuni casi nemmeno si presentò sul palco. Questo suo comportamento portò i restanti componenti a non fare più affidamento su di lui: il suo ultimo live con i Pink Floyd risale al 20 gennaio 1968 ad Hastings e successivamente venne cacciato dal gruppo. Il “diamante pazzo”, ormai da solo, compose due album solisti, “The Madcap Laughs” e “Barrett”, co-prodotti e saltuariamente suonati dai suoi vecchi compagni. Syd si ritirò, fino alla sua morte, che avvenne il 7 luglio 2006, nella sua città natale, Cambridge. Si conclude così la prima fase della storia dei Pink Floyd. Poco dopo la dipartita di Syd, sempre nel ’68 i Pink Floyd composero “A Saucerful Of Secrets”, il più ricco di sperimentazioni musicali, in cui Waters, Gilmour e Wright compongono insieme la maggior parte delle canzoni. In quest’anno comincia la metamorfosi 2 di Valerio Iannantuono e Denise Minghelli musicale dei Pink Floyd, tenendo alle spalle il primo periodo “psichedelico” per approcciarsi a una sonorità più ricercata e impegnata. In quest’ultimo album c’è ancora traccia del precedente leader: in “Jugband Blues”, Barrett parla, seppur velatamente, della sua esclusione da parte del gruppo, e suona come chitarrista in “Remember a day”. L’abbandono definitivo dell’etichetta psichedelica da parte dei Pink Floyd avviene il 10 ottobre 1970 con Atom Heart Mother, l’album infatti comprende la partecipazione di un’orchestra, e il lato principale dell’LP è occupato interamente dalla suite dal titolo omonimo, caratteristica tipica degli album del Progressive Rock. Con quest’album la band ottenne una gran successo anche negli States, permettendo alla band di intraprendere il loro primo tour oltreoceano. In questi anni la formazione rimase stabile, e quest’era fu la loro epoca di maggior successo, infatti in questi anni i Pink Floyd composero, il 5 novembre 1971, Meddle, album che contiene una PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia suite di circa 24 minuti, Echoes, e brani che spaziano dalla pura sperimentazione (One Of These Days) a brani melodici e calmi (A Pillow Of Winds) e il loro album più venduto in assoluto, Dark Side Of The Moon, uscito il 24 marzo 1973. Dark Side Of The Moon fu il primo concept album dei Pink Floyd, ovvero un album che gira attorno allo stesso argomento: in questo caso i Pink Floyd parlano della vita in generale, cantandone le bellezze e vizi dell’uomo moderno (la critica alla società è un tema ricorrente tra i brani del progressive rock) in totale armonia con la musica. Gli argomenti trattati riguar- ta e dell'infanzia, Time, in cui è incluso dano vari aspetti della natura umana: il brano non ufficiale Breathe (RepriSpeak to Me/Breathe parla della nasci- se), affronta il tema dell'invecchiamen- to e del soverchiante e rapido approssimarsi della morte, con la giovinezza che passa prima che ce ne si possa rendere conto, The Great Gig in the Sky esplora pensieri religiosi e di morte, Money si burla dell'avidità e del consumismo, Us and Them si riferisce al conflitto, all'etnocentrismo, al fatto che ciascuno ritenga sé stesso sempre dalla parte della ragione, Brain Damage guarda alle malattie mentali, mostra come la follia sia solo relativa e quanto la vecchiaia porti lontano da chi si era un tempo, mentre Eclipse conclude l'album affermando il libero arbitrio e la casualità degli eventi. Il talento, il carattere, la semplicità. Quando la strada incontra la forza dell’ironia. La città gli dona l’ispirazione e lui restituisce il favore: a Roma il museo all’aria aperta. (continua da pag. 1) estraniandosi dall’arte istituzionale, ha deciso di scendere tra la gente e di dedicare le sue opere alle città e ai passanti, come un vero e proprio dono. Dono certamente gradito, giacché a Roma quasi tutti ne hanno sentito parlare almeno una volta: ha cominciato nel 1987 a esporre le sue opere sulla salita del Pincio, fino al 1989 ha esposto alla Galleria Sciarra, per poi spostarsi in Piazza Augusto Imperatore (di fronte all’Ara Pacis) e in via di Monte Brianzo, all’altezza del Museo Napoleonico. Prima dell’Italia però c’è stata l’esperienza all’estero: le sue prime prove artistiche, composte dagli oggetti più disparati, le ha create a Bruxelles, realizzando delle “Donazioni Forzate”, o meglio delle “Infrazioni”. Nel suo Manifesto Infrazionista del 1986 spiega che l’”infra-azione” è la collocazione-donazione di una o più opere, mostrate a terra da parte dell’artista. L’infrazione, continua Delle Chiaie, è mostrare la storia in maniera superficiale, è il grido d’allarme artistico del malessere storico. Il suo museo all’aria aperta è composto di opere che ogni giorno lui stesso monta e smonta e che sono in stretto rapporto con il luogo in cui sono collocate. «Le opere vanno pensate, ed io le penso a contatto con il luogo in cui mi trovo, con la città e la strada nello specifico», ha affermato lui stesso in un’intervista. Delle Chiaie utilizza fili di stoffa, ombrelli rotti, pietre, mattoncini, bottiglie di plastica e disegna o scrive sul cemento con del gesso bian- 3 Di Sara Marrone co. La sua esposizione è strutturata come un percorso lungo un marciapiede, un muretto o una ringhiera sui quali sono posati degli oggetti. Questi sono sempre accompagnati da piccoli cartelli di cartone o pietra, con i quali l’artista lancia messaggi talvolta molto forti, altre volte più leggeri e ironici. Si va quindi dalla finta vendita delle opere (“Un disegno 50 euro, due 25 euro, tre gratis”; “Ombrello Prada pieghevole: euro 2500”), alla presa alla lettera di modi di dire (“Ho fatto una barca di soldi” di fianco a una barchetta di carta stagnola nella quale sono contenuti pochi centesimi di euro) fino ad arrivare a un quadro raffigurante un uomo dai lunghi capelli biondi che ha al suo fianco un cartello sul quale c’è scritto “Venduto”. Più in basso c’è un’altra scritta, “30 denari”. Si tratta di Gesù Cristo. Ne deriva pertanto che le opere e i messaggi che Fausto Delle Chiaie vuole esprimere sono tutt’altro che banali. Un visitatore distratto che si trova a passeggiare per Piazza Augusto Im- PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia peratore per caso si chiederà per quale motivo gli oggetti più disparati si trovino a terra, incustoditi; poi scorgerà un uomo dalla folta barba e il sorriso sdentato, con dei pantaloni tirati su con dello spago, che cammina agitato da un estremo all’altro della via per spostare quegli stessi oggetti, sistemarli, aggiungerne altri. Il visitatore allora senza nemmeno accorgersene interromperà qualsiasi conversazione stesse già intrattenendo e comincerà a leggere i cartelli, ad associarli agli og- getti, a farsi una risata, talvolta amara. Comincerà a riflettere, a pensare, ad ammirare, a porsi domande, ad apprezzare meravigliato come quella semplicità e pochezza possa racchiudere e trasmettere dei messaggi tanto grandi, vivi, attuali, nostri. Infine sarà proprio lui, Fausto Delle Chiaie, a farci sentire a casa, a fornire l’ultimo pezzo del puzzle che ci aiuterà a capire che tutto questo è opera sua, di quel tipo così eccentrico che inizialmente sembrava un barbone, e che ora guardan- dolo negli occhi ci trasmette bontà, purezza, ironia. La sua arte è curiosità, sarcasmo, semplicità, e il suo obiettivo è trasmettere l’antico messaggio di pace e di cultura che, partendo da Roma, vuole coinvolgere tutti. http://www.facebook.com/FaustoDelle Chiaie http://faustodellechiaie.nostripensieri .com/ L’interrogazione al prof! di Enrica Dal Zotto e Priscilla Raucci (continua da pag. 1) Però è davvero un abisso passare dall’architettura all’insegnare.. Beh, ma per insegnare questa materia ci vuole la laurea in architettura! Prima di insegnare, ho fatto il grafico pubblicitario per circa otto anni. Poi, non so per quale motivo, mi sono abilitato prestissimo all’insegnamento. Per molti, quando si parla d’arte ci si riferisce sempre a qualcosa di astratto e difficile da definire.. insomma, l’arte cos’è secondo lei? Intanto, è vero che l’arte è difficile. Ha un linguaggio specifico, alle volte complesso specialmente dalla seconda metà dell’ottocento in poi è diventato sempre più complessa.. però bisogna anche riflettere sul fatto che tutto ciò che rimane dell’uomo e della sua attività, alla fine, è solo l’arte. Delle civiltà antiche ci rimane prevalentemente l’arte nelle sue svariate forme: dalla pittura alla scultura, alla letteratura, alla musica e tutto il resto sparisce, passa in secondo piano. Forse è perché c’è questa necessità dell’uomo fare l’arte; non la giudico come una sovrastruttura culturale, ma qualcosa di strutturale e vitale nell’uomo. Certo non è un bisogno primario, ma dall’arte dipende la qualità di vita dell’uomo. L’arte è tutto ciò che è contemporaneamente espressione e necessità dell’uomo di dare forma al suo pensiero. Tutto ciò che va oltre una necessità pratica e che quindi è apparentemente inutile, quella è arte proprio perché non ha una funzione pratica e liberata da essa è espressione di un bisogno profondo dell’uomo. Lei prima ci ha parlato della letteratura. L’ha definita un’arte e da ciò possiamo desumere che ne è appassionato.. C’è un’opera particolare che ha più significato per lei? È difficile sceglierne una perché io leggo contemporaneamente svariati libri, anche di diversa natura. Poi passo di4 versi periodi della mia vita leggendo più un genere rispetto ad un altro, ma passo dai classici (ultimamente mi sono riletto Tolstoj) ai contemporanei. Per me non c’è un ordine nella lettura. La lettura secondo me è fondamentale per misurarsi con l’esistenza, tu attraverso la lettura ti misuri con la vita degli altri. La lettura secondo me è fondamentale per misurarsi con l’esistenza, tu attraverso la lettura ti misuri con la vita degli altri. Dallo scorso numero lei scrive sul giornalino qualcosa che non è né prosa né poesia, racconti lampo, ma perché lo fa, perché scrive? Io ho scritto anche dei romanzi anche se non tanto lunghi; ho scritto storie brevi e soprattutto sceneggiature, da appassionato di cinema, rimaste sempre nel cassetto. Ho scoperto che è piacevole scrivere. Rimango stupito anche io quando rileggo le mie storie e mi chiedo come ho fatto a scriverle: è un meccanismo strano; come quando dipingo. Io quando dipingo sono immerso in quello che faccio, poi quando lo rivedo è una cosa estranea, non è più parte di me, ha una sua vita autonoma come pure le cose che scrivi: le hai fatte tu però vivono di vita propria perché sono legate a quel momento, quello stato d’animo che non è permanente. PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia A proposito del fatto che lei scrive romanzi, abbiamo saputo che vuole scrivere un libro: “la storia dell’arte secondo loro”, ovvero un libro dove ha intenzione di catalogare le migliori “interpretazioni” dell’arte secondo gli studenti.. Quello? È un modo per fare soldi a palate! Purtroppo non ho conservato niente, ma avrei dovuto trascrivere diligentemente tutte le cose pazzesche, impensabili che avete scritto sui compiti; delle cose surreali… Non potrebbe farci qualche esempio di queste “cose surreali”? Non saprei da dove cominciare! Recentemente qualcuno mi ha scritto che Botticelli ripassava i contorni delle figure con il pennarello. Questo nasce dal fatto che si utilizzava una linea di contorno marcata che i neoplatonici usano per separare l’immagine: per loro, la realtà è imperfetta, ma l’idea è perfetta; l’idea nell’arte e nell’umanesimo si identifica con la forma, quindi la forma deve essere perfetta e quindi ben delineata. […col pennarello ndr] Tutto questo evidentemente viene tradotto con la linea marcata di contorno è fatta con il pennarello. Un’altra: l’arte paleocristiana è chiamata così perché nasce in Palestina. Una volta uno studente mi dice che gli acquedotti romani erano anche usati per le automobili. Mi sono sforzato di capire e siccome a Nantes, in Francia, esiste un acquedotto romano che è un acquedotto al terzo livello, ma è anche via carrabile al primo livello, da carrabile è diventato per le automobili. Un'altra comunissima è che le donne del paleolitico stavano a casa e rassettavano la casa e accudivano i figli. Prof, l’anno prossimo andrà in pensione… Spero! Finché non vedo il decreto firmato ho sempre il timore che sotto ci sia la fregatura. “Purtroppo” o “per fortuna”? No, ero libero di non farla la domanda di pensione, quindi assolutamente per fortuna, anche in considerazione del fatto che la situazione generale economica non è rassicurante. L’unica cosa stancante è che la differenza tra me e gli studenti cresce di anno in anno: gli studenti rimangono sempre della stessa età e io invecchio, quindi se nei primi anni che insegnavo la distanza di età e quindi di modo di pensare, di gusti, erano pressoché simili, via via io ho maturato le mie esperienze e gli studenti li ho trovati sempre più distanti. Anche nel loro interesse, c’è bisogno che ci sia un ricambio di professori. Ma c’è qualcosa che le mancherà seriamente? Io dico sempre che sarebbe non sano una cosa del genere, l’avere nostalgia. Ovviamente ciò che è più gratificante è il rapporto umano; tutto l’aspetto burocratico a me fa letteralmente schifo ed è quello che mi pesa di più: ci sono alcune mansioni burocratiche che secondo me sottraggono solo energie all’insegnamento, che è la cosa prioritaria. Bene prof! Ora diremo di passare alle nostre 10 domande veloci: Mare o montagna? Assolutamente montagna Pizza o lasagne? Lasagna Storia dell’arte o filosofia? Tutte e due, sono inscindibili. Io penso che esiste una sola materia della conoscenza che è la filosofia, tutte le altre sono branche della filosofia stessa. L’arte, quindi, è un’estensione del pensiero filosofico: c’è la filosofia da cui discendono tutte le altre materie tra cui si 5 trova l’arte; però io sono appassionato di arte, non di filosofia. Musica classica o rock psichedelico? Rock non psichedelico, ma anche classica Impressionismo o espressionismo? È difficile… espressionismo, anzi no, impressionismo. Film o libro? Una non esclude l’altra, tutte e due Cioccolato bianco o fondente? Fondente assolutamente Film: drammatico o commedia? Drammaticissimo! Pazienza o impulsività? Assolutamente impulsività Inghilterra o Germania? Germania La nostra domanda bomba, prof: secondo lei spaventa più non sapere cosa c’è dopo la morte o la morte stessa? Il non sapere cosa c’è dopo la morte è un classico, ma la morte in sé come la metti la metti è la fine. Se esiste qualcosa dopo la morte è la fine di un ciclo; se non esiste nulla è la fine di tutto. Io ad esempio ci convivo serenamente con l’idea della morte anche se non ci si abitua mai. La psicanalisi dice che tu non accetti mai fino in fondo la tua morte: la accetti come concetto astratto, altrimenti impazzisci. Forse è vero e quindi rimuovendola ci si può convivere. Possiamo toglierci una curiosità? C’è qualche domanda che si aspettava che le facessimo? Assolutamente no! E c’erano domande inaspettate? Non mi ricordo neppure quali fossero le prime.. l’Alzheimer ha colpito ancora. Concludiamo l’intervista di questo mese ringraziando di nuovo il professor Puglisi per averci concesso del tempo anche durante il suo pomeriggio. PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia Ritorno dal passato di Sara Giannessi Quanti di noi da piccoli hanno sognato di ritrovarsi al tempo dei dinosauri, o nell’era glaciale, faccia a faccia, o meglio, faccia a muso, con i giganti del passato? Beh, forse non grazie alla macchina del tempo, ma potremmo presto avere l’onore di incontrare dal vivo queste leggende: si sta infatti affacciando all’orizzonte una nuova era, in cui negli zoo potremmo osservare non solo specie animali di tutto il mondo, ma anche specie di tutti i tempi. Da anni si sta infatti cercando di ricavare una cellula utile alla clonazione dal corpo di mammut congelati (e quindi con cellule ben conservate), a partire dal primo ritrovamento di un cucciolo nel 1977, ma ancora senza risultato: infatti , almeno fino ad oggi, non era stato possibile trovare cellule i cui cromosomi fossero intatti e riutilizzabili. Il progetto di alcuni scienziati russi è quello di prelevare parte del patrimonio genetico del mammut “congelato” rinvenuto nella tundra e fecondare gli ovuli di un’elefantessa dei giorni nostri .La tecnica è già stata sperimentata, e ha portato alla nascita di un clone di un cane perfettamente sano. Il nascituro non dovrebbe avere , quindi, in tutto e per tutto le caratteristiche di un mammut di 10 milioni di anni fa, ma presenterà caratteristiche miste dei genitori. Le dimensioni saranno comunque di molto maggiori di quelle dei normali elefanti e quindi non si può pensare di ospitare il futuro clone in uno zoo o insieme ad altri elefanti. E in effetti è questo, a mio parere, il reale problema, non tanto la realizzazione del clone,ma dove e soprattutto come far crescere e vivere questo nuovo essere? L’uomo darà vita a una nuova specie animale? A quale scopo? E come ne assicureremo l’esistenza quando più di una volta abbiamo portato all’estinzione tanti altri abitanti del pianeta? Ne vale veramente la pena, per soddisfare i nostri sogni infantili? Satura tota nostra est La settima ora in trimetri giambici scazonti poco trimetri poco giambici e poco scazonti E adesso, da mattina a sera, festivo o feriale Il giorno che sia, di mestiere studenti, chini sul libro e mai altrove li trovi sperando di non diventar ripetenti. Dormiamo in esametri, mangiamo filosofie respiriamo integrali e scordiamo poesie. Ragazzi, mi raccomando i collegamenti per la tesina D’Annunzio e l’oltreuomo, Marziale come Verga è verista Tesina? Quale tesina? - Ragazzi, siamo in quinto! Eh, scusi, una svista. Fresche le mie parole ne la sera? Ma alle otto di mattina scellerata la voce che scrive sulla lavagna nera! Chiudo un occhio, poi l’altro, finisco sul banco addormentato Tu, sveglia, cos’ho appena detto? Non lo so, e ne sono straziato. Aprile, come aprile, non era ieri novembre? (eppur della fisica ancor non si dissolvono le ombre) Non fai in tempo a contar con le dita fino a cento che in arte hai finito il Novecento. 6 di Giulia Guidotti PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia Professò, saltiamo Freud, meglio Nietzsche (e in italiano si perde tempo con Felicita che taglia le camicie) la fase fallica sarà interessante come dici ma c’è un programma da chiudere di maggio il quindici. Tu al banco, non sai quando inizia la prima guerra mondiale preferisci aggiungere un’acca a tegame e alle domande scuoti la testa: “Questo io conosco e sento che dei romani triumviri, che del magma ipoabissale qualche bene o contento avrà fors’altri; a me la scuola è male.” Non ancora in palestra e già stanchi, sporchi e sudati. Settima ora? Roba da piano nazionale i…ati “Ma avete scelto voi il Pni!”; poveri i nostri neuroni bruciati! Così parlò Zarathustra (che fa quasi rima con palestra). Far lo scientifico: non so cosa preso mi abbia Dicono i giovani stremati dall’affanno e così stanno, che non si san partir di quella gabbia; e vi son molti, a questo inganno presi, stati le settimane intiere e i mesi (gli anni!) e quanti distrutti dalle dei professori ire! Vuoi sapere dunque qual è il mio ardente desiderio? Dormire. Ma non è stato sempre così, ricordi? Quei piccoli anni, così dolci al cuore… ..il biennio; e dì: non lo ricordi quel sei facile, studiare poche ore? Prima prova, sette e cinquanta, fifa a novanta se parlo del futurismo divento violenta delle altre tracce ci si accontenta. Da silenzio e dizionari (tralasciamo la vescica piena) ognuno è sommerso “Chi leggerà questa roba? Nessuno, per Ercole!” urla Persio (perdonatelo: di bile ha sempre un eccesso). Studiate tre materie, avrò finito, su? Ma ecco che un quarto libro fa cucù A! E! I! O! U! Sciukoku… koku koku! Sciu ko ku. No, mamma, non sto delirando si chiama Palazzeschi: sto studiando. Quaderno di scienze mi guardi minaccioso (anche se io vorrei andare a zonzo) imponente, più durevole del bronzo e più alto della regia mole delle piramidi che a sollevarlo fanno male pure i deltoidi. Quando corregge gli errori non si mostri aspro e offenda il meno possibile? (la fai facile, Qui’: per noi c’è da sapere l’umano scibile) Al minimo sbaglio mi si punta in faccia uno sguardo adirato Forse dal buon maestro non avevi paura di essere ridimensionato? Seconda prova, due problematici problemi, dieci impossibili quesiti. Davanti a sette integrali indefiniti meglio guardar dalla finestra i rami fioriti. 7 PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia Ma prof, prima che mi arrenda posso , per pietà, fare almeno merenda? Lunedì di latino il compito Martedì disegnami un circuito Mercoledì classificami il detrito Giovedì due interrogazioni ho patito Venerdì… davanti a tutti i voti son sfinito. Il verdetto? È grave: problemi con le declinazioni in filosofia troppe astrazioni qui sbagliata una strofa, lì due derivate che mi meriti forse la fatal accusa? “Eh, ragazzi, voi non studiate.” Mi perdonino (in ordine rigorosamente analfabetico, alogico e amorale) Gozzano, Catullo, Freud, Marziale, Quintiliano, Leopardi, Orazio, Ariosto, Pascoli, Palazzeschi, Lucilio, D’Annunzio, Nietzsche e Persio per averli più o meno indirettamente citati senza il loro permesso scritto (fatta eccezione per quel barzellettiere di Marziale, ma ho perso il foglietto con l’autorizzazione da qualche parte nel secondo cassetto della scrivania). Furbo come 'na trota di Daniele Pacitti Un politico col vocione, ar comizio de un partito, incitava l'idea de 'na divisione : "Staccamose da 'sto paese, ormai è finito! Quelli del potere de Roma, poi , gestiscono tutto, ma male! Non credono più nè a santi, nè a eroi, nè alla Nazione, nè all'ideale. Escluso me, l'omini de politica mica lavorano, so pagari, ma sempre se lamentano. Rubano al popolo, che c'ha un lavoro onesto e sano. E' l'ora de finilla, uscimo da 'sto pantano! Dividemose da 'sto paese ingrato, famone uno senza ladri, uno che, da 'sto schifo, è liberato!" E la gente je credeva! "Roma ladrona" urlava. Poi baciava la bandiera : "Roma Ladrona", continuava. Un giorno, 'sto politico che ve sto a dì, stava a uscì dal parlamento: entra in macchina e se pia la tangente del venerdì. "E' un finanziamento -scherzò col comparedevo rifà er bagno de casa!" Quant'era contento! L'amico che de sti giri era informato je chiede : "Come va col fatto della divisione?" "E' un buon affare- risponde- sorattutto se sei affamato. 8 PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia A sti comizi de partito c'è sempre qualcuno che porta da mangià. Prima parlo de rivoluzione agitando la mano, e poi me abbuffo de baccalà e abbacchio romano". Stay hungry, stay curious di Silvio Manu Tutti i giorni a scuola ci vengono poste domande , la maggior parte di esse hanno delle risposte ben precise ed è nostro compito capire, attraverso le lezioni scolastiche, quali esse siano. Ma si sa, molte risposte portano a galla solo altre domande, alcune delle quali non hanno ancora avuto risposta. E’ facile distrarsi durante una lezioni di filosofia, per esempio, per una parola detta dall’insegnante che ha fatto scattare in noi un pò di curiosità. Ma anche durante una qualsiasi altra materia, durante qualsiasi ora, durante qualsiasi momento della giornata. Come ci si sente ad essere un gatto, o un cane? I pesci soffrono? Il Big Bang è accaduto per caso? C’è un Dio? Nel caso, bisognerebbe considerarlo maschio o femmina? O nessuna delle due? Perchè esiste il male? Per non parlare poi delle più drammatiche : Creo io il mio futuro o è tutto già scritto? Ma nell’ultimo caso, potrei dire lo stesso di essere libero? Ho la possibilità di scegliere? Pensandoci poi... io sono solamente una macchina biologica? Allora perchè sono dotato della capacità di pensare? Potranno pensare anche i robot, un giorno? E se tutto fosse un sogno? Se sono solo l’invenzione di qualcuno? Cosa c’è dopo la morte? Molte domande non hanno risposta e probabilmente non l’avranno ancora per lungo tempo, o addirittura potrebbero non averla mai. Non importa! Porsi queste domande significa scavare nel profondo della conoscenza, cercando informazioni e indizi nel vano tentativo di avvicinarsi ad una risposta, e chissà dove può portare la mente! Si esplorano vasti territori di curio- sità e immaginazione, arrivando ai confini della propria conoscenza, o di quella altrui, rimanendo comunque con la stessa domanda irrisolta; in molti casi verremmo sommersi solo da altre domande invece che da valide risposte, ma questo significherebbe avere altre opportunitò di viaggiare con la mente, il che è un bene. Voglio prendere in considerazioni due delle tante irrisolte domande, non per cercare di dare una risposta, ma solo per il piacere di viaggiare con la mente. 1-Quanti universi esistono? Le notti dipinte di un cielo stellato possono essere ispirazioni per tantissime persone. Spesso mi rendo conto di quanto insignificante ci si può sentire di fronte a tale spettacolo ma anche di quanto fortunati si sia a poter vedere e a poterci rendere conto della vastità di quello che ci circonda. Le stelle, puntini bianchi, dietro di loro un vasto e maestoso sfondo nero che rappresenta il limite visivo dei nostri occhi. In verità il nero nasconde solo altre luci, altri colori, altre stelle, altre galassie, altre nebulose...e altri universi? 9 Ricercatori fisici dei nostri tempi stanno dando spazio a una teoria chiamata Teoria delle stringhe e si fonda sul principio secondo cui spazio e tempo sono solo manifestazioni di entità fisiche primordiali (chiamate appunto stringhe), il più piccolo degli elementi che compongono l’universo, che si sviluppano su un diverso numero di dimensioni. Questa teoria permette di credere a sempre più scienziati che c’è possibilità della presenza di più universi, ognuno formato da proprie particelle, da diverse leggi e diverse proprietà. Queste stringhe si suppone siano delle piccole stringhe di forma chiusa che vibrando danno vita a tutto quello che esiste. In una visione un pò più creativa, l’universo è tutta una sinfonia di suoni.Tutto è musica? Splendido. Altre correnti di studio e di pensiero stanno cercando di dimostrare che in ogni momento si crea un universo nel quale succede un qualcosa di diverso da quello che è effettivamente successo nel momento in cui si vive la situazione. Per esempio, mentre io sto scrivendo si stanno creando diversi universi nei quali io scelgo diverse parole, oppure nel quale decido di chiudere il PC e di andare a prendere il sole o magari in un altro universo mi è venuta l’improvvisa ispirazione di conquistare il mondo. Entrambe teorie affascinanti, ma finchè non si tocca l’argomento con mano, andando a verificare ogni calcolo non ci si può credere facilmente. Inol- PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia tre sono solamente teorie e per ora tali rimangono. C’è un’ altra cosa che affascina molto riguardo a questo argomento e su questa la scienza sembra essere certa : l’universo è in continua espansione. Logicamente ,dopo l’esplosione del Big Bang, l’universo dovrebbe rallentare pian piano la sua corsa all’espansione per via delle forze gravitazionali. Quello che è strabiliante invece è che tutto sta accelerando, l’espansione aumenta la sua velocità invece di rallentarla! Molte delle galassie che ci sono la fuori probabilmente non le vedremo mai perchè si arriverà al punto in cui la velocità della luce non basterà più a mostrarci quelle galassie che, già lontane, si allontanano sempre più. La prossima volta che guarderete un cielo di notte e avrete la possibilità di pensare con calma, provate a perdervi nell’infinita grandezza di quello che abbiamo sopra la testa, cercate di vedere quello che c’è oltre alle stelle visibili ad occhio nudo. Scoprirete sensazioni mai provate prima. 2- Extraterrestri, esistono? Se prendiamo in considerazione il fatto che l’universo è infinito, la possibilità che esista una forma di vita extraterrestre è sicura al 100%. Quello che più mi confonde è come sia arrivata la vita sulla terra. E se gli extraterrestri siamo noi? Potrebbe esser capitato che qual- che meteorite, schiantatosi sulla Terra, conservasse in sè delle forme di vita primordiali che ha dato il via al processo evolutivo. La vita sul nostro bel pianeta potrebbe esser stata portata proprio da altri extraterrestri che volevano colonizzare la terra, o fare strani esperimenti scientifici o chissà cosa altro. Ci sono settori nei campi scientifici che pensano a cercare un contatto con le forme aliene attraverso onde elettromagnetiche lanciate nello spazio. Ma se gli alieni avessero superato queste tecnologie ? E’ una probabilità bella e scomoda. La verità potrebbe essere anche che noi siamo l’unica forma di vita intelligente nelle vicinanze della nostra galassia , per quanto è vasto l’universo questa è una cosa più che possibile. Questo significherebbe dire addio ai sogni di alcuni di incontrare e di parlare con forme di vita diverse da quelle del nostro pianeta. Che a pensarci bene non è del tutto un male, chi ci assicura che gli alieni non abbiano solo intenzioni colonizzatrici? Non voglio finire a pulire i bagni come schiavo in casa di un alieno brutto e puzzolente (chissà se esistono alieni che fanno la cacca come noi, è una cosa che mi turba). Tanto per sollecitare un pò di curiosità, qui di seguito ecco alcune domande a cui cercare di rispondere (sono in Storia di lupi La notte era oltremodo gelida. La luna alta illuminava a giorno il paese disteso in cima al monte. La neve rifletteva la luce dando dei riflessi spettrali. Tra le strade deserte si aggirava il grosso lupo che il freddo e la fame aveva spinto tra le case in cerca di cibo. Il suo piccolo branco era rimasto alle porte del paese, timoroso. Era la prima volta che si trovavano a cercare cibo così vicino all’uomo e lo avevano lasciato avanzare da solo. L’odore dell’uomo era forte e il lupo era nervoso. Camminava al centro della strada principale tra le case di pietra, sulla neve che alle volte gli inglese, sicuramente delle grandi menti come le vostre sapranno tradurle) : How old would you be if you didn’t know how old you are? If life is so short, why do we do so many things we don’t like and like so many things we don’t do? Which is worse, failing or never trying? Have you ever seen insanity where you later saw creativity? If it's zero degrees outside today and it's supposed to be twice as cold tomorrow, how cold is it going to be? If we learn from our mistakes, why are we always so afraid to make a mistake? Can you cry under water? If mars had earthquakes would they be called marsquakes? If you try to fail, and succeed, which have you done? Are zebras black with white stripes, or white with black stripes? If you accidentally ate your own tongue, what would it taste like? At a movie theater which arm rest is yours? If you dug a hole through the center of the earth, and jumped in, would you stay at the center because of gravity? di Federico Pellati arrivava alla pancia e lo costringeva a muoversi a balzi. Alle volte la neve era così calpestata e gelata che quasi scivolava. Ogni pochi metri si fermava ad annusare l’aria. Sentiva l’odore dell’uomo sempre più forte ma altrettanto forte sentiva odore di cibo, di caldo, di cavalli, di pecore e galline. La fame lo costringeva ad avanzare, la paura ad essere guardingo. I suoi occhi scrutavano negli angoli bui, le orecchie tese cercavano di percepire il più piccolo rumore. Nella notte chiara si sentiva solo il vento che ogni tanto si alzava leggero e rendeva la notte ancora più fredda. Ad un tratto, 10 passando davanti ad una porta, l’odore del cibo gli arrivò così forte che quasi uggiolò dalla fame. Si accostò e annusò profondamente cercando di sentire ogni odore e rumore. PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia Era così teso tra la fame e la paura che vide praticamente l’interno: nella stanza dormivano due adulti e quattro cuccioli. Avevano mangiato una minestra di legumi con ciotole e cucchiai di legno. Il fuoco era ancora acceso nel camino, i pagliericci erano coperti da pelli e stracci di lana. Con uno scarto si allontanò silenzioso e sospettoso. Attraversò una strada e si fermò vicino a una casa in attesa fiutando l’aria. Il muro della casa riluceva coperto dal ghiaccio. Un refolo di vento gli sollevò il pelo e gli portò l’odore di una pecora. Camminò a balzi verso l’odore che si perse subito appena cessato il vento. Ma ora sapeva che poteva trovare qualcosa da mangiare. Continuò ad avanzare verso il fondo della via. L’odore dell’uomo era ancora più forte e questo lo rendeva ancora più prudente. Ormai si sentiva lontano dal branco. Qualche lupo più anziano si era addentrato per qualche metro ma si era fermato incerto annusando l’aria e osservando il capo branco che si addentrava nella via. A quel punto la femmina del capo branco avanzò circospetta sulle orme del maschio e il resto del branco avanzò ancora qualche metro all’interno del paese in completo silenzio scrutando gli angoli bui. Il capo branco si avvicinò a un portone annusando e ascoltando attentamente. Era il portone della casa di un benestante, all’interno vi era un porticato con un giardino e una fontana gelata che rifletteva la luce della luna come un lampadario di vetro. Si allontanò verso il successivo portone che era della chiesa. L’odore di uomo era mescolato a quello della cera, delle panche di legno, dell’incenso e passò oltre senza avvicinarsi troppo. La femmina continuava a muoversi sulle orme del maschio a una certa distanza, il resto del branco era riluttante e si muoveva solo di qualche passo tenendo d’occhio la coppia. Il lupo passò davanti un’altra porta. Era la casa di un contadino che dormiva in una stanza con tutta la famiglia. Il lupo sentì l’odore del fuoco ancora acceso, del resto della zuppa di farro nel paiolo sulla tavola, dell’uomo e i suoi cuccioli che dormivano in un unico pagliericcio avvolti tra pelli e stracci di lana, della stalla con due mucche e un asino che stavano oltre una porta chiusa da un uscio leggero e sconnesso. Andò oltre tentando di aggirare la casa e alla porta successiva sentì di nuovo l’odore della pecora. Era chiusa in una specie di ripostiglio della casa che dava all’esterno. La porta era leggera ed era chiusa con una tavoletta che ruotando si incastrava in un’asola dello stipite in pietra. Il lupo si appoggiò alla porta con le zampe intanto che sentiva che nella camera al di là della porta non c’erano uomini. La femmina capì che era stato trovato qualcosa e si affrettò a raggiungere il maschio. Il resto del branco divenne attento e cominciò ad avvicinarsi, pronto ad intervenire nonostante il pericolo. Il lupo raspò sulla porta e mosse il paletto: la porta si aprì verso l’interno. I due si slanciarono nel buio mentre la pecora, che si era accorta di quanto stava per accadere, iniziò a belare terrorizzata. Al secondo belato il lupo aveva trovato la sua gola e l’aveva atterrata impedendole di fare altri rumori. I due lupi cominciarono a mangiarla mentre ancora scalciava nell’agonia. Il resto del branco capì che era stato trovato del cibo e corse seguendo le impronte della coppia dominante. I lupi entrarono nella camera secondo l’ordine gerarchico del branco per mangiare. In quel momento, nel silenzio quasi assoluto, interrotto da leggeri ringhi che i lupi emettevano per richiamare gli altri al rispetto del proprio rango, si sentì il latrato di un cane. Cominciò quasi 11 incerto e poi rabbioso fino a rimanere senza fiato. Immediatamente presero a latrare tutti i cani del paese, chi perché aveva sentito l’odore dei lupi e chi perché gli altri abbaiavano. I padroni tentarono dapprima, presi dal sonno, di zittirli; poi ascoltarono sorpresi il tipo di latrato cattivo e particolare, si alzarono, la maggioranza di loro già vestiti, e si affacciarono alle porte con lampade a olio e rami accesi presi dal camino. “I lupi!!” gridarono quelli che si affacciarono sulla via e videro il branco. Il grido si sparse immediatamente per il paese di casa in casa. Gli uomini si finirono di vestire di corsa, presero forconi, falci, roncole, rami e fiaccole accese e si buttarono fuori casa per cacciare i lupi. “Qui, qui, sono da questa parte!” gridarono quelli più vicini. I lupi appena videro i primi uomini affacciarsi dalle porte con le torce si lanciarono sulle proprie orme per uscire dal paese. Gli uomini accorsero verso il luogo dove era la pecora. Uno di questi dal fondo della via tirò una freccia verso il capo branco che stava scappando per ultimo e lo mancò di pochi centimetri. Quando fu pronto per tirarne una seconda ormai i lupi erano fuori vista. Gli uomini si raccolsero davanti la porta aperta della piccolissima stalla a commentare i fatti. Alcuni presero in giro quello che aveva sbagliato il colpo chiedendogli se si sentiva mancare qualcosa dalla tasca. Lui rispose “Non vi preoccupate, riuscirò a guadagnare gli augustali che ho perso stasera” L’editto parlava chiaro: per chiunque avesse ucciso un lupo sarebbe stato pagato un quarto di augustale. Gli uomini si rammaricavano di aver perso un’occasione simile e commentavano la perdita della pecora e l’abilità dei lupi dimostrata nell’apertura della porta. PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia I commenti passarono rapidamente dall’idea di fare una battuta di caccia al lupo a racconti di prodezze compiute dai lupi. A poco a poco i racconti presero a ingigantirsi e si sentirono ben presto storie di lupi che avevano assalito e divorato un viandante, tre viandanti, una carovana, erano entrati in una casa e si erano mangiati un bambino, due gemelli, una famiglia intera. L’iniziale baldanza andò scemando e quindi il sonno cominciò a farsi sentire per cui un po’ alla volta cominciarono a salutare e a dirigersi verso casa. Il proprietario della pecora si portò i resti in casa maledicendo il momento in cui aveva deciso di lasciarla nel ripostiglio esterno, ma si consolò con la moglie dicendole che forse era meglio così perché con quello “stratagemma” aveva salvato la famiglia dall’assalto dei lupi che sarebbero senz’altro entrati in casa e li avrebbero mangiati tutti nel sonno. Per sicurezza quella sera appoggiarono la tavola contro la porta e si rimisero a dormire. Fuori la luna splendeva alta nel celo continuando a rendere irreale il paese innevato. Il capo branco con tutti i lupi del branco guardarono a lungo il paese illuminato da una vicina altura annusando l’aria. Poi il capo branco ululò con la sua femmina e gli altri lupi ulularono a loro volta riempiendo la notte di richiami. Il paese rabbrividì nel sonno. Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori di Priscilla Raucci Proserpina è tornata dall’Ade, e il modo ridestato dal suo torpore dà inizio la sua festa. Nei campi, che durante tutto il lungo inverno apparivano sterili e privi di vita, germogliano verdi gemme, pronte altresì a spigare con mirabile velocità e indorarsi nel giro di poche lune. Gli alberi, riempiti di nuove vite che dai nidi cantano sublimi melodie, si ornavano di gioielli, boccioli pronti a dischiudersi quando il tempo è propizio. Mentre i soli si allungano e celermente diventano più caldi si prepara anche la più ardua e sanguinosa battaglia di questo lungo lustro. “Dura battaglia e crudele e diversa è cominciata” . Se al di fuori delle mura del Castello di Mattoni Rossi la Natura sembra già festeggiare una vittoria, dentro di esse ci si affanna per prepararsi ai continui scontri che con rapidità si susseguono; si affilano le spade, si lucidano gli usberghi e si aggiustano le armature, negli intervalli che la dura battaglia concede agli eroici Pascalini. Questo è il momento per loro dimostrare il loro coraggio, di compiere eroiche gesta che verranno scolpite nella storia, questo è il momento in cui si decide se cadere in battaglia o salvarsi. E’ arrivato maggio. Tocca mettersi sotto con lo studio. Il roscio di Domenico Cerrato il roscio, conosciuto anche col nome di sergio marinetti, era la parodia di un ometto. con quegli occhietti infossati dietro le lenti spesse, la barba rossa morbida che copriva le lentiggini, i capelli sottili e oleosi, anch’essi rossi, e quell’aria da nullità… pareva infatti non poter essere altro. quando doveva frequentare scuola era solito indossare gli stessi abiti gli stessi giorni. il maglioncino verde di lana pregiata sopra i pantaloni beige era destinato al lunedì, al mercoledì e al giovedì. il venerdì, ultimo giorno della settimana scolastica (aveva scelto il liceo Gabriele D’Annunzio per il noto prestigio dell’istituto), quasi fosse un giorno più importante degli altri!, vestiva una fine camicia grigia sotto la giacca nera e un paio di pantaloni di seta. il martedì, per via dell’Educazione Fisica, era il turno della tuta acetata. la routine dell’abbigliamento non cambiava mai: il diciassettenne vestiva in egual modo che fosse estate, primavera, inverno o autunno. a dir la verità, non era questa l’unica goffa caratteristica che contraddistingueva marinetti 12 e che ne faceva il passatempo preferito dei compagni della classe: il vestiario, segno di cattivo, pessimo gusto, era solo uno dei molteplici addendi che rendevano il roscio non solo ‘un tipo strano’, ma ‘uno coi problemi alla testa’. marinetti!, gli urlava sovente la professoressa di Filosofia. lo sciocco allora si svegliava e, ritto sulla sedia, si giustificava: eh… ah… m-mi scusi, signov-v-vina pv-v-ofessov-v-vessa, tutti ridevano. il suo balbettare e la demenziale r moscia risultavano comi- PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia cissimi e lo rendevano ancora più tonto di quanto non fosse già agli occhi delle altri. che fai? dormi? allora marinetti sollevava le mani dal banco e faceva una smorfia con la bocca guardandosi intorno, come a cercare consensi negli altri che appoggiassero il suo non comprendere l’insistenza dell’insegnante. lo sguardo da cucciolo però non funzionava. non pareva inoltre gli importasse molto del suo rendimento scolastico, sebbene si ostinasse a dare epiteti d’altri tempi ai professori. pareva uscito fuori dal diciottesimo secolo. ma come parli?, gli rimproverava in continuazione qualcuno in classe, usa parole semplici! basta con questi termini aulici che nessuno capisce! … devi parlare come mangi, e pare non mangiasse proprio il roscio, giacché paragonarlo a un chiodo non avrebbe reso onore alla sua magrezza. alto un metro e novanta, pareva il ritratto della debolezza in carne e ossa, ossa soprattutto. la sua persona, nel liceo, era leggenda. quando qualcuno diceva in sua presenza: il roscio!, tutti si voltavano e sorridevano e si guardavano negli occhi con complicità. ma come avviene per molte leggende, nessuno sapeva la verità su quello strano personaggio. nessuno era a conoscenza del motivo per cui camminava in quello strano modo, pareva si credesse un aristocratico!, nei corridoi della scuola. povero scemo! nessuno, soprattutto, era al corrente del luogo in cui marinetti trascorreva quel quarto d’ora di ricreazione permesso nel Gabriele D’Annunzio. secondo una dicitura del primo piano, questi si rinchiudeva nel bagno dei professori e, con la complicità di Maurizio il bidello, trascorreva tutto il tempo dentro uno dei cinque cessi disponibili. un’altra tradizione orale, forse più attendibile, narrava dei suoi quotidiani incontri con un grande personaggio tipico dell’istituto, benedetto gentile. gentile, a differenza dei suoi compagni di quinto superiore, aveva ventidue anni. grande e grosso, capellone e trasandato, forse ritardato, era stato bocciato un anno sì e uno no per tre volte!, era l’unico amico che così si potesse definire di marinetti. di cosa parlassero si sa ben poco, con probabilità si trattava di frivolezze quali musica e cinema d’altri tempi, che tanto piacevano al tonto, intendo quello di ventidue anni. perché, perché marinetti si comportava in quel modo? cosa sperava di ottenere dalla vita con quell’atteggiamento distaccato e al contempo sciocco? non lo capimmo mai, noi, il roscio. ricordo l’ultima volta che lo vidi, all’uscita, mentre Arturo, Giacomo e Emilio si prendevano gioco di lui dopo avergli strappato di mano a tradimento la valigia, perché il roscio non poteva avere un comune zaino come tutti. pev-v-vché mi fate questo? n-non sono d’accov-v-vdo con il vostv-vo compovvtamento, ripeteva con fare da vittima. poi, accortosi della mia presenza: aiutami tu, s-sei un mio compagno di classe!, ma non lo aiutai, quel poveraccio. gli diedi un pugno sulla spalla e gli urlai con rabbia: perché continui a comportarti da signorino? sei tonto? fai l’uomo vero una volta!, ma l’aria da signorino non se la scrollò mai di dosso, il roscio, nemmeno quando fu trovato appeso in bagno con la camicia grigia e i pantaloni di seta addosso e la giacca sulla lavatrice, di lunedì. il mio ometto, si ripeteva la madre, disperandosi, che cosa ha fatto? perché?, e nessuno di noi immaginò mai il suo perché, almeno finché passato qualche mese non ci scordammo di lui. A Mente Libera … Rubrica poetica Vivo di te con la leggerezza di una farfalla. Resti immobile, purché non scappi via. E chiedi al vento di essere tuo amico e nuvole le tue sorelle, affinché goda del sole sul fiore che sei. Petali azzurri che si confondono col cielo ed io colgo lo sguardo di chi ama davvero...e mai come ora ho desiderato vivere per più di un giorno. di Gerardina Orlando 13 PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia “forse” e “se solo”.. di Enrica Dal Zotto Sembra che siamo nati per aspettare. Aspettare una risposta, un messaggio, un saluto, uno sguardo. Aspettare l’estate non troppo calda, l’inverno non troppo freddo. Aspettare una chiamata, un grido. Aspettare l’amore, l’amicizia perfetta. Aspettare un mondo migliore. E pur consci del fatto che nulla arriverà mai grazie al solo aspettare, noi aspettiamo. Fermi ed immobili: senza fare nulla, tranne aspettare. Magari, a volte, tutto ciò che aspettavamo da sempre è appena passato davanti ai nostri occhi, ma eravamo talmente presi nel lamentarci dell’attesa che non l’abbiamo notato. Assurdo? Eppure è così. Aspettare. Solo aspettare, senza agire. Ma a che serve aspettare? A nulla, credo. È semplicemente più facile. Cos’è? È la forza o la voglia di agire che ci manca? La nostra vita non deve perdersi tra un “forse” e un “se solo” dettati dal fatto che abbiamo semplicemente ASPETTATO. Chi è che ci ha messo in testa che il tempo impiegato per aspettare il sorgere del sole vale la sua luminosità? A volte ad aspettare si può rimane delusi, sapete? Agire senza aspettare, non aspettare senza agire. Si può sbagliare, è vero, ad agire senza aspettare, ma se si ha la voglia di provare, si avrà anche la forza di accettare l’inaspettato che arriverà dopo il nostro agire. Fotoricordo di Silvio Manu Non so cosa si prova a perdere un padre. Non so cosa si prova sentire il proprio mondo ribaltato e pieno di dubbi. So però che la vita non potrà mai essere piena di certezze al punto da lasciarci tranquilli, non potremo mai sapere come andranno davvero le cose. Questo è quello che i miei genitori mi hanno insegnato. Mi hanno anche spiegato che non bisogna mai buttarsi giù quando le cose diventano veramente difficili, che essere forti è sinonimo di amare se stessi e i propri cari. Voglio immaginare la vita come una successione di avvenimenti e di emozioni che potranno essere riviste in fotografia, in un grande album che verrà completato solo quando la morte deciderà di arrivare. Uno dei compiti di chi è in vita è quello di risfogliare di tanto in tanto questo album stracarico di foto e sorridere a quel che è stato, anche se la nostalgia potrà prendere facilmente il sopravvento. Tutte le foto messe insieme ci rendono quello che siamo, tutte le persone (alcune più di altre ) sono la causa di quello che oggi conosciamo del mondo e della vita. Non dimenticarsi di se stessi, ricordarsi di prendere qualche foto per conto proprio, qualche emozione stravolgente catturata in un infinità di colori da ricordare per sempre, anche questo è compito di chi ha ancora il dono della vita. Forse tutto è un continuo ciclo, un misto di squilibri che hanno breve fine solo nel momento in cui troveranno un equilibrio precario ; l’equilibrio presto crollerà e il ciclo ricomincerà. Dopo l’inverno c’è sempre la primavera. 14 PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia Le chiavi – Parte Uno di Francesco De Dominicis La putrida acqua verde scorreva lenta lungo il canale. Le gondole, elegantemente rifinite, seguivano pigramente il verso della corrente. Le persone attorno a me camminavano come per inerzia, i loro volti grigi ed inespressivi. Mi ero buttato a peso morto sul parapetto del ponte, a contemplare il muschio che cresceva rigoglioso lungo gli argini di pietra. Una gran bella città Venezia. O quantomeno lo è stata. Già allora era diventata un mero scarico fognario. Solo un po' più bello degli altri. Un gatto grigio, scheletrico, mi si avvicinò miagolando. Mi chinai a carezzarlo, mentre lui si strofinava sulla mia gamba facendo le fusa. Aveva fame, si vedeva. «Mi dispiace» gli dissi «non ho niente da darti.» Questi mi guardò attraverso i suoi occhi neri come la pece per qualche secondo. Quando capì che non avrebbe ottenuto niente da me scivolò via dalle mie carezze e fuggì tra i vicoli. Non lo seguii, né tantomeno mi sentii ferito da quel comportamento. Quel gatto cercava soltanto di vivere. Come tutti noi. Attraversai il ponte e seguii il corso del canale. Mendicanti, truffatori, pseudomaghi e morti di fame si riversavano ai bordi del marciapiede, nella speranza di racimolare quelle quattro monete al giorno con cui vivere. Girai l'angolo proprio quando il campanile suonò l'arrivo delle sei di pomeriggio. Ero arrivato in un vicoletto buio, illuminato da quella poca luce diurna rimasta. Bussai due volte ad una porta ad arco, alta appena un metro e settanta. Era un legno scurissimo, consumato dagli anni e dallo smog. Ad aprirmi fu un omone, talmente grande che sarebbe passato con difficoltà attraverso quella porta. Mi squadrò da capo a piedi, poi emise una sorta di grugnito e si fece da parte per farmi passare. Malgrado la porticina angusta, dentro il locale era decisamente ampio, per quanto sovraffollato. La sala, lunga una ventina di metri e larga una quindicina, era stata ricavata abbattendo tutti i muri interni del palazzo. Solo le colon- ne portanti erano rimaste. Il soffitto portava con sé i segni di un’affrescatura vecchia di qualche secolo, distrutta e consumata dal fumo e dai forti odori. Il Comune di Venezia. Era stato chiamato così quell’edificio. In realtà non aveva niente a che vedere col Comune vero e proprio. Portava questo nome perché lì potevi trovare tutta la malavita ed i disgraziati della città. In quanto a rappresentanza cittadina batteva di gran lunga il Comune ufficiale. Attraversai la sala a passo spedito, ignorando le urla, le zuffe e gli insulti tutt’attorno a me. Tra criminali non esistevano cose come l’altruismo o l’etica. Un tempo c’erano state, certo. Ma ormai esisteva solo sopravvivere, e per farlo bisognava essere sempre sopra agli altri. Arrivato davanti ad un vecchio tavolo pericolante mi fermai ad osservare Greedon, aspettando che alzasse lo sguardo. Il contrabbandiere, però, era troppo intento a contare e lucidare le sue monete per accorgersi che gli stavo davanti. Spazientito presi un sacchetto dalla tasca interna dell’impermeabile e lo buttai sul tavolo sotto agli occhi dell’uomo. Questi lo prese in mano avidamente e, dopo averlo studiato per qualche secondo, alzò lo sguardo soddisfatto. «Sono tutti?» mi chiese. Lo guardai con sufficienza. «Dodici cristalli, di medie dimensioni. Esattamente come avevi chiesto.» risposi seccato. «E non mi hai ancora pagato.» continuai. 15 Greedon mi fissò infastidito, poi prese una mazzetta di banconote dal tavolo e me le tirò. Le presi in mano e le esaminai attentamente, in modo da controllare che fossero tutte autentiche. Saranno state una cinquantina, quindi ci misi un po’ a finire il lavoro. Una volta finito le misi in tasca e mi voltai senza salutare. «Te ne vai così presto?» chiese con vo- ce melliflua senza scomporsi. Mi voltai sospettoso verso di lui. Sulla sua faccia era stampato un sorrisetto quasi idiota. «Sai, avrei una proposta per te. Un altro lavoretto che deve essere svolto al più presto. Ovviamente pagato, s’intende.» Mi avvicinai lentamente al tavolo. Qualsiasi “lavoretto” di Greedon portava guai, questo era poco ma sicuro. Però la paga era buona, ed io avevo un disperato bisogno di denaro. «Che cosa ti serve?» chiesi lapidario. Greedon sospirò ed iniziò a parlare. PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia «Pare che un paio di giorni fa sia arrivato un nuovo carico in città. È un carico di Chiavi.» non finì di parlare che mi alzai di scatto. «Non credere che mi metta a trattare quella roba.» quasi urlai per la rabbia. Le Chiavi erano una sorta di droga usata dalla polizia per gli interrogatori. Si chiamavano così perché si dicesse aprissero le “porte della verità”. In realtà erano un misto di allucinogeni e veleno, che intossicavano il prigioniero e lo costringevano a dire, tra i dolori, qualunque cosa gli passasse per la testa. Non le avevo mai viste in azione, ma mai e poi mai avrei volontariamente avuto a che fare con quelle. Feci per andarmene ma mi ritrovai dietro uno dei gorilla di Greedon, alto più di due metri e largo quante due persone. Con uno scatto provai ad evitarlo passando di lato, ma questi mi bloccò quasi subito. Provai a divincolarmi tirandogli un calcio alla caviglia (non potevo fare altro), ma andai a vuoto. In risposta fui gettato a terra ed immobilizzato. Greedon si avvicinò con la sua solita lentezza. «Ti agiti troppo, lo sai?» chiese provocatorio. Credo che se in quel momento non fossi stato immobilizzato gli sarei saltato addosso e l’avrei strangolato. Invece mi toccò sentirlo tutto il tempo. «È inutile che mi minacci o mi malmeni, non voglio averci niente a che fare.» gli dissi senza mezzi termini. «Davvero?» la sua voce era rimasta impassibile. «Perché sai, ho preso contatti con una persona. Una simpatica, a quanto ho capito molto vicina a te …» A quel punto provai veramente ad alzarmi e strangolarlo. Senza successo. L’uomo che mi sovrastava pesava non poco. «Tu lo farai o a quella persona succederanno tante cose spiacevoli. Che ne dici, ti piace come patto?» chiese sarcastico. Rigettando il mio orgoglio ferito sussurrai un sì. A lui bastò. «Benissimo, ti metti all’opera stasera, aspetta che ti do tutti i dettagli.» disse soddisfatto. Quando uscii dal Comune il lampione di fronte alla porta emetteva una luce intermittente. Preso dall’ira e dalla frustrazione gli tirai un calcio. Il suono rimbombò per tutto il vicolo. Poi il lampione si spense completamente. To be continued … Dormiamo di Federico Pellati "È interessante come tu decida di azionarti proprio quando ho bisogno di te, cervello mio." "Non posso farci nulla mio caro, quando mi abituo poi mi rimane difficile placarmi!" "Diavolo, mi farai diventare matto!" "Forse già lo sei. Se non te ne fossi reso conto, stai parlando con me a voce alta. Pensi abbia delle orecchie?" "Magari puoi provare le mie e smetterla di fare il comodo tuo!" "Magari posso cominciare a spegnermi proprio quando più hai bisogno di me. Hai un test di matematica lunedì, correggimi se sbaglio..." "Infame, vile cane. Perché dipendo così tanto da te?!" "Perché sei un povero umano ed io sono semplicemente più figo di te." "20 regioni, 150 stati,6 continenti, centinaia di pianeti milioni di galassie migliaia si universi... E tu a me dovevi rompere le scatole?" "Sei l'unico che mi permette questi lussi. Ti fai pochi problemi, ma ragioni bene con me. Non ti fai influenzare, così mi trovo a ragionare solo sulle TUE idee. D'altronde, riconosco la tua superiorità rispetto alla media." "Wow..." "Gia..." "Sì ma ora voglio dormire" "'notte.." ... "Ci sei ancora?" "NO!" "notte. 16 PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia Bianca come il latte rossa come il sangue a cura di Priscilla Raucci Leo è un sedicenne come tanti, ama le chiacchiere con gli amici, il calcetto, le scorribande in motorino e vive in perfetta simbiosi con il suo iPod. Le ore passate a scuola sono uno strazio, i professori "una specie protetta che speri si estingua definitivamente". Leo sente in sé la forza di un leone, ma c’è un nemico che lo atterrisce: il bianco. Il bianco è tutto ciò che è legato alla perdita, al nulla, alla morte. Il contrario del bianco è il rosso; il rosso è amore, emozione, uragano che ti travolge; il rosso è Beatrice, la ragazza di cui Leo si innamora. Accanto a Leo ci sono anche altre personaggi, più vicini, come Niko, compagno di squadra nel torneo di calcetto, Silvia, amica sempre fedele, il Sognatore, il supplente di storia e filo, “uno che ci crede veramente in quello che fa”. Leo un giorno scopre che Beatrice è ammalata di leucemia. Morirà: l’epilogo è chiaro subito. La grandezza nel libro non sta infatti nella trama, ma nelle domande che vengono poste e nel modo in cui questo ragazzo le vive. E durante la malattia di Beatrice la domanda di fondo sarà una sola: il rosso può prevalere sul bianco? Bianca come il latte, rossa come il sangue di Alessandro D’Avenia (un profes- I Macarons Grazie al mio ultimo viaggio d'istruzione a Parigi, ho scoperto queste delizie francesi, i macarons, piccoli dolcetti formati da due dischetti di meringa e farciti con ogni varietà di creme, dal semplice cioccolato al sofisticato tartufo. Il loro nome può suonarci familiare. “Macarons” deriva infatti dall'italiano “maccheroni” e la tradizione vuole che siano stati importanti dal nostro paese in Francia da Caterina de' Medici che li fece subito diventare popolari nelle sore di lettere di Milano) è un libro che, pubblicato un paio di anni fa, ha subito scalato le classifiche alla voce “letteratura adolescenziale” ed è proprio questo, un libro che parla di adolescenti, ma non scritto solo per adolescenti. Forse non sarà un capolavoro, ma ha abbastanza spessore per sollevare domande importanti, regalare una lacrima e un sorriso, abbastanza forte da distruggere e fare a pezzi gli stereotipi e le etichette che troppo spesso vengono appiccicate a quella fase della vita. De Gustibus corti francesi. Si narra inoltre che siano stati i dolci preferiti da Maria Antonietta. La storia moderna dei macarons inizia poi nel 1862, quando viene fondata la nota catena di pasticcerie “Ladurèe”, ormai conosciuta in tutto il mondo proprio per la preparazione di questi pasticcini. È proprio il fondatore Pierre Desfointaines ad aver aggiunto la varietà di creme tra le due meringhe. Passeggiando per le strade di Parigi si possono incontrare diversi punti vendita “Ladurèe”, riconoscibili dalle immense vetrine caratterizzate da piramidi multicolore di macarons e da scatoline ricamate e infiocchettate piene di dolcetti. Entrando poi per curiosare ci si rende conto di non essere più in una normale pasticceria ma in un magico mondo che odora di mandorle e zucchero, ingredienti principali dei macaron. Vi confesso che la scelta è stata molto ardua di fronte 17 Rubrica culinaria a cura di Noemi Sgrigna ad un arcobaleno di sapori e colori quando una simpatica inserviente mi ha invitato a provarne uno! Il tocco segreto dei laboratori Laduree consiste nel far riposare ogni macaron in posizione verticale per permettere alla crema di fondersi perfettamente con il sapore della meringa. Ultimamente la moda dei macarons sta dilagando anche nel nostro Paese così Ladurèe ha deciso di aprire due punti vendita anche a Milano. Preparare dei macarons non è semplicissimo ma se dopo aver letto questo articolo avete voglia di provarne uno potete recarvi al “Caffè Ciampini” in P.zza Trinità dei Monti a Roma, uno dei pochi rivenditori della nostra zona. PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia The Game Luca di Luca Albertini di Carmine Puglisi Ti sto per insegnare questo gioco ma se non vuoi conoscer- La conosceva da sempre Viveva nella casa accanto alla sua Erano cresciuti senza mai rivolgersi la parola I loro genitori non si erano mai sopportati E anche loro non si sopportavano Lei era femmina e faceva giochi da femmina Lui era maschio e faceva giochi da maschio L’aveva vista giocare con le bambole in giardino per ore da sola in silenzio senza mai alzare lo sguardo Quando alle volte la sua palla andava di là Lei neanche voltava la testa Doveva andare a suonare alla loro porta sentire i rimproveri della madre lo smetti di leggere. Ho imparato a giocare solo qualche anno fa da un mio amico che si chiama Matteo E vorrei aggiungere che una volta capito il meccanismo non ne ho potuto più fare a meno. Giocando, mi cimentavo per trovare nuovi modi per far rosicare la gente e dopo ve ne farò un esempio. A questo punto inizierei col spiegarvi in cosa consiste, Ma devo fare una premessa, il gioco finisce se E solo se tutto il mondo sarà a conoscenza di questo gioco. Non è l'unico modo però questo per far finire il gioco, un'altra variante afferma che il gioco finirà quando il primo ministro britannico annuncerà Il gioco è finito (The game is up). Poi improvvisamente era scomparsa Non usciva più in giardino Sentiva la sua presenza solo attraverso la luce accesa o la musica che veniva dalla sua camera Il gioco nasce in Inghilterra intorno agli anni '90. Non sappiamo chi lo abbia inventato ma conosciamo il motivo: disturbare la mente umana. Un giorno mentre Luca tornava a casa l’aveva incontrata mentre lei usciva Dopo qualche passo improvvisamente lentamente si era voltata verso di lui Lo aveva guadato per la prima volta negli occhi Per un attimo era rimasto sorpreso Non la riconosceva più Lei non era più lei lui non era più lui Come funziona? E' semplice, il gioco consiste nell'evitare di ricordarsi del gioco stesso. Un palese esempio lo troviamo in questa frase si Dostoevskij: "cerca di non pensare ad un orso bianco e questo continuerà a venirti in mente". Inoltre, ogni volta che si pensa al gioco si perde e si entra nel "grace period" che consiste in 30' minuti di immunità. Terminato questo intervallo, ricomincia il ciclo. Adesso vi propongo un esempio di The Game carino e simpatico: leggete le iniziali maiuscole di ogni riga a partire da "Ti sto..." e vedrete che si comporrà qualcosa. Ora, improvvisamente, in una frazione di secondo Luca aveva scoperto cosa fosse l’amore Con questo chiudo dicendoti: "Hai perso". P.S. Hai appena iniziato a giocare! Frammenti a cura di Ivan Procaccini “ Non lo se mamma aveva ragione, o se ce l'ha il tenente Dan o… non lo so. Se abbiamo ognuno il suo destino o se siamo tutti trasportati in giro per caso come da una brezza. Ma io… io credo… può darsi le due cose. Forse le due cose capitano nello stesso momento. Mi manchi tanto Jenny. Se hai bisogno di qualcosa, non sarò molto lontano. ” dal film “Forrest Gump” Contatti: Internet: http://pigreko.it/ e-mail: [email protected] Referenti : Federico Pellati e Giulia Guidotti Grafica: Francesco De Dominicis Sito Internet: Matteo Filippi 18