L`interrogazione al prof! Pink Floyd, prima parte Il talento, il

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L`interrogazione al prof! Pink Floyd, prima parte Il talento, il
http://pigreko.it/
Tutti i dilettanti scrivono volentieri. Perciò
alcuni di loro scrivono così bene.
– Friedrich Durrenmatt
L’interrogazione al prof!
Pink Floyd, prima parte
Questo mese abbiamo intervistato per voi il
professore Carmine Puglisi, docente di storia
dell’arte e disegno!
Partiamo con le domande classiche:
sappiamo che lei ha fatto architettura
all’università. Come mai ora insegna?
Sperava di fare l’architetto e dopo si è
trovato ad insegnare o cos’altro?
Prima di iscrivermi ad architettura, ho
frequentato il liceo artistico perché io sin
da piccolo dipingevo (mia madre ha ancora a casa i quadri di quando avevo
8/9/10 anni..) Poi dal liceo artistico i due
sbocchi naturali erano: Accademia delle
Belle Arti o architettura, però siccome
l’Accademia all’epoca era molto squalificata come tipo di formazione, mi sono
iscritto ad architettura. Si, ovviamente
pensavo di fare l’architetto poi però ho
cambiato idea poiché mi sono accorto che
in realtà in Italia di architettura non se
ne produceva: potevo trovare pessima
edilizia, che però è tutta un’altra cosa. Io
mi immaginavo l’architettura come luogo
dove l’uomo deve vivere, divertirsi, ma
mi sono reso subito conto che non era
possibile. (continua a pag. 4)
I Pink Floyd sono stati uno dei gruppi più importanti e influenti nella storia
del rock. Affondano le loro radici nel 1965, a Londra, fondati dall’allora leader
Syd Barrett, che prese le redini del
gruppo fino al suo prematuro abbandono, dovuto all’abuso di droghe, nel
’68. In questo primo periodo, i Pink
Floyd risentono molto della mentalità di quegli anni: quella fu l’epoca in
cui la “Beat Generation” ebbe il suo
massimo apice, e chi apparteneva a
questa “generazione del battito”
di Enrica Dal Zotto e Priscilla Raucci
di Valerio Iannantuono e Denise Minghelli
(continua a pag. 2)
Il talento, il carattere, la semplicità. Quando la
strada incontra la forza dell’ironia.
La città gli dona l’ispirazione e lui restituisce il favore: a Roma il museo all’aria aperta.
Di Sara Marrone
Spesso ci si dimentica che l’arte prima di tutto è semplicità, espressione genuina di filosofie personali di vita, e che non necessariamente deve luccicare,
né sostare nelle gallerie più in voga né tantomeno avere un costo. Perché
l’arte sa farsi notare anche utilizzando materiali poveri, scegliendo ambientazioni sporche o umili e presentandosi come un vero e proprio regalo alla
città. E’ questa l’arte di Fausto Delle Chiaie.
Vicino alle correnti dell’arte povera, dell’arte informale e della pop art, Delle
Chiaie è un artista singolare, formatosi all’Università del Nudo di Roma, che
ha scelto un modo di divulgazione tutto suo: (continua a pag. 3)
1
PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia
Pink Floyd, prima parte
(continua da pag. 1)
(dovuto al genere di musica innovativo per
quegli anni; alcune scuole di pensiero tendono invece a tradurre “beat” come “bruciato, sprecato”, data l’abitudine della quasi totalità di giovani ad assumere sostanze
stupefacenti e droghe di vario tipo, è da
tenere a mente infatti che proprio in quegli
anni l’acido lisergico, più comunemente
noto con il nome di LSD, raggiunse il numero più alto di consumatori a scopo ricreativo) soleva ascoltare musica che
potesse conciliare gli stati di alterazio-
ne: è l’epoca dello space rock e del rock
psichedelico. Tornando alla band, i
Pink Floyd nacquero dalle ceneri di un
precedente gruppo (The Tea Set) in cui
già suonavano i futuri componenti Roger Waters, Richard Wright, Nick Mason e Bob Klose. Quest’ultimo uscì quasi subito dal gruppo, dato che la leadership di Syd Barrett comportava una
sonorità non consona ai generi suonati
dal chitarrista Klose. Da questo momento Syd, prese le redini del gruppo,
cominciò a comporre musiche e testi
per la band, influenzato dalla corrente
culturale di quegli anni. Il 5 agosto 1967 uscì
il primo e unico album
sotto la direzione di
Syd Barrett: The Piper
At The Gates Of Dawn. I
brani di maggior successo furono Arnold
Layne e See Emily Play,
che raggiunsero rispettivamente la 20° e la 6°
posizione nelle classifiche britanniche. I testi
di quest’album sono
spensierati e tendenti al nonsense, ma
alcuni sono influenzati anche dalla
musica folk (The Gnome) e non mancano avanguardistici e arditi brani
strumentali (Interstellar Overdrive). In
questi anni, nelle loro esibizioni live, i
Pink Floyd sperimentano ciò che caratterizzerà per lungo i loro concerti: i
light shows, ovvero giochi di luce e
proiezioni su schermi atti a coinvolgere il pubblico. Nel ’68, però, la costante
attività live e la crescente popolarità
del gruppo portarono Syd ad abusare
di droghe, minando già una latente instabilità psichica: per ovviare a ciò, intervenne David Gilmour, che aiutava la
band a suonare sia in studio che dal vivo. Nonostante ciò, Barrett non smise
di assumere droghe e per questo il suo
atteggiamento peggiorò di giorno in
giorno: appariva totalmente estraniato
dalla realtà e durante le esibizioni live
scordava le corde della propria chitarra senza un apparente motivo, in alcuni casi nemmeno si presentò sul palco.
Questo suo comportamento portò i restanti componenti a non fare più affidamento su di lui: il suo ultimo live
con i Pink Floyd risale al 20 gennaio
1968 ad Hastings e successivamente
venne cacciato dal gruppo. Il “diamante pazzo”, ormai da solo, compose due
album solisti, “The Madcap Laughs” e
“Barrett”, co-prodotti e saltuariamente suonati dai suoi vecchi compagni.
Syd si ritirò, fino alla sua morte, che
avvenne il 7 luglio 2006, nella sua città
natale, Cambridge. Si conclude così la
prima fase della storia dei Pink Floyd.
Poco dopo la dipartita di Syd, sempre
nel ’68 i Pink Floyd composero “A Saucerful Of Secrets”, il più
ricco di sperimentazioni
musicali, in cui
Waters,
Gilmour e Wright
compongono
insieme
la
maggior parte
delle canzoni.
In quest’anno
comincia
la
metamorfosi
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di Valerio Iannantuono e Denise Minghelli
musicale dei Pink Floyd, tenendo alle
spalle il primo periodo “psichedelico”
per approcciarsi a una sonorità più ricercata e impegnata. In quest’ultimo
album c’è ancora traccia del precedente leader: in “Jugband Blues”, Barrett
parla, seppur velatamente, della sua
esclusione da parte del gruppo, e suona come chitarrista in “Remember a
day”.
L’abbandono
definitivo
dell’etichetta psichedelica da parte dei
Pink Floyd avviene il 10 ottobre 1970
con Atom Heart Mother, l’album infatti
comprende la partecipazione di
un’orchestra, e il lato principale
dell’LP è occupato interamente dalla
suite dal titolo omonimo, caratteristica
tipica degli album del Progressive
Rock. Con quest’album la band ottenne
una gran successo anche negli States,
permettendo alla band di intraprendere il loro primo tour oltreoceano. In
questi anni la formazione rimase stabile, e quest’era fu la loro epoca di maggior successo, infatti in questi anni i
Pink Floyd composero, il 5 novembre
1971, Meddle, album che contiene una
PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia
suite di circa 24 minuti, Echoes, e brani
che spaziano dalla pura sperimentazione (One Of These Days) a brani melodici e calmi (A Pillow Of Winds) e il
loro album più venduto in assoluto,
Dark Side Of The Moon, uscito il 24
marzo 1973. Dark Side Of The Moon fu
il primo concept album dei Pink Floyd,
ovvero un album che gira attorno allo
stesso argomento: in questo caso i Pink
Floyd parlano della vita in generale,
cantandone le bellezze e vizi dell’uomo
moderno (la critica alla società è un
tema ricorrente tra i brani del progressive rock) in totale armonia con la
musica. Gli argomenti trattati riguar- ta e dell'infanzia, Time, in cui è incluso
dano vari aspetti della natura umana: il brano non ufficiale Breathe (RepriSpeak to Me/Breathe parla della nasci- se), affronta il tema dell'invecchiamen-
to e del soverchiante e rapido approssimarsi della morte, con la giovinezza
che passa prima che ce ne si possa
rendere conto, The Great Gig in the
Sky esplora pensieri religiosi e di morte, Money si burla dell'avidità e del
consumismo, Us and Them si riferisce
al conflitto, all'etnocentrismo, al fatto
che ciascuno ritenga sé stesso sempre
dalla parte della ragione, Brain Damage guarda alle malattie mentali, mostra
come la follia sia solo relativa e quanto
la vecchiaia porti lontano da chi si era
un tempo, mentre Eclipse conclude
l'album affermando il libero arbitrio e
la casualità degli eventi.
Il talento, il carattere, la semplicità. Quando la strada incontra la
forza dell’ironia.
La città gli dona l’ispirazione e lui restituisce il favore: a Roma il museo all’aria aperta.
(continua da pag. 1)
estraniandosi dall’arte istituzionale, ha
deciso di scendere tra la gente e di dedicare le sue opere alle città e ai passanti, come un vero e proprio dono.
Dono certamente gradito, giacché a
Roma quasi tutti ne hanno sentito parlare almeno una volta: ha cominciato
nel 1987 a esporre le sue opere sulla
salita del Pincio, fino al 1989 ha esposto alla Galleria Sciarra, per poi spostarsi in Piazza Augusto Imperatore (di
fronte all’Ara Pacis) e in via di Monte
Brianzo, all’altezza del Museo
Napoleonico.
Prima dell’Italia però c’è stata
l’esperienza all’estero: le sue
prime prove artistiche, composte
dagli oggetti più disparati, le ha
create a Bruxelles, realizzando
delle “Donazioni Forzate”, o meglio delle “Infrazioni”. Nel suo
Manifesto Infrazionista del 1986
spiega che l’”infra-azione” è la
collocazione-donazione di una o più
opere, mostrate a terra da parte
dell’artista. L’infrazione, continua
Delle Chiaie, è mostrare la storia
in maniera superficiale, è il grido
d’allarme artistico del malessere storico.
Il suo museo all’aria aperta è composto
di opere che ogni giorno lui stesso
monta e smonta e che sono in stretto
rapporto con il luogo in cui sono collocate. «Le opere vanno pensate, ed io le
penso a contatto con il luogo in cui mi
trovo, con la città e la strada nello specifico», ha affermato lui stesso in
un’intervista. Delle Chiaie utilizza fili
di stoffa, ombrelli rotti, pietre, mattoncini, bottiglie di plastica e disegna o
scrive sul cemento con del gesso bian-
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Di Sara Marrone
co. La sua esposizione è strutturata
come un percorso lungo un marciapiede, un muretto o una ringhiera sui
quali sono posati degli oggetti. Questi
sono sempre accompagnati da piccoli
cartelli di cartone o pietra, con i quali
l’artista lancia messaggi talvolta molto
forti, altre volte più leggeri e ironici. Si
va quindi dalla finta vendita delle opere (“Un disegno 50 euro, due 25 euro,
tre gratis”; “Ombrello Prada pieghevole: euro 2500”), alla presa alla lettera di
modi di dire (“Ho fatto una barca di
soldi” di fianco a una barchetta
di carta stagnola nella quale sono
contenuti pochi centesimi di euro) fino ad arrivare a un quadro
raffigurante un uomo dai lunghi
capelli biondi che ha al suo fianco un cartello sul quale c’è scritto “Venduto”. Più in basso c’è
un’altra scritta, “30 denari”.
Si tratta di Gesù Cristo.
Ne deriva pertanto che le opere e
i messaggi che Fausto Delle
Chiaie vuole esprimere sono
tutt’altro che banali. Un visitatore distratto che si trova a passeggiare per Piazza Augusto Im-
PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia
peratore per caso si chiederà per quale
motivo gli oggetti più disparati si trovino a terra, incustoditi; poi scorgerà
un uomo dalla folta barba e il sorriso
sdentato, con dei pantaloni tirati su
con dello spago, che cammina agitato
da un estremo all’altro della via per
spostare quegli stessi oggetti, sistemarli, aggiungerne altri. Il visitatore
allora senza nemmeno accorgersene
interromperà qualsiasi conversazione
stesse già intrattenendo e comincerà a
leggere i cartelli, ad associarli agli og-
getti, a farsi una risata, talvolta amara.
Comincerà a riflettere, a pensare, ad
ammirare, a porsi domande, ad apprezzare meravigliato come quella
semplicità e pochezza possa racchiudere e trasmettere dei messaggi tanto
grandi, vivi, attuali, nostri. Infine sarà
proprio lui, Fausto Delle Chiaie, a farci
sentire a casa, a fornire l’ultimo pezzo
del puzzle che ci aiuterà a capire che
tutto questo è opera sua, di quel tipo
così eccentrico che inizialmente sembrava un barbone, e che ora guardan-
dolo negli occhi ci trasmette bontà,
purezza,
ironia.
La sua arte è curiosità, sarcasmo, semplicità, e il suo obiettivo è trasmettere
l’antico messaggio di pace e di cultura che,
partendo da Roma, vuole coinvolgere
tutti.
http://www.facebook.com/FaustoDelle
Chiaie
http://faustodellechiaie.nostripensieri
.com/
L’interrogazione al prof!
di Enrica Dal Zotto e Priscilla Raucci
(continua da pag. 1)
Però è davvero un abisso passare
dall’architettura all’insegnare..
Beh, ma per insegnare questa materia
ci vuole la laurea in architettura! Prima di insegnare, ho fatto il grafico
pubblicitario per circa otto anni. Poi,
non so per quale motivo, mi sono abilitato prestissimo all’insegnamento.
Per molti, quando si parla d’arte ci
si riferisce sempre a qualcosa di
astratto e difficile da definire.. insomma, l’arte cos’è secondo lei?
Intanto, è vero che l’arte è difficile. Ha
un linguaggio specifico, alle volte
complesso specialmente dalla seconda
metà dell’ottocento in poi è diventato
sempre più complessa.. però bisogna
anche riflettere sul fatto che tutto ciò
che rimane dell’uomo e della sua attività, alla fine, è solo l’arte. Delle civiltà
antiche ci rimane prevalentemente
l’arte nelle sue
svariate forme:
dalla pittura alla
scultura, alla letteratura, alla musica e tutto il resto sparisce, passa in secondo
piano. Forse è
perché c’è questa
necessità
dell’uomo
fare
l’arte; non la giudico come una sovrastruttura culturale, ma qualcosa di strutturale e vitale
nell’uomo. Certo non è un bisogno
primario, ma dall’arte dipende la qualità di vita dell’uomo. L’arte è tutto ciò
che è contemporaneamente espressione e necessità dell’uomo di dare forma
al suo pensiero. Tutto ciò che va oltre
una necessità pratica e che quindi è
apparentemente inutile, quella è arte
proprio perché non ha una funzione
pratica e liberata da essa è espressione
di un bisogno profondo dell’uomo.
Lei prima ci ha parlato della letteratura. L’ha definita un’arte e da ciò
possiamo desumere che ne è appassionato.. C’è un’opera particolare
che ha più significato per lei?
È difficile sceglierne una perché io leggo contemporaneamente svariati libri,
anche di diversa natura. Poi passo di4
versi periodi della mia vita leggendo
più un genere rispetto ad un altro, ma
passo dai classici (ultimamente mi sono riletto Tolstoj) ai contemporanei.
Per me non c’è un ordine nella lettura.
La lettura secondo me è fondamentale
per misurarsi con l’esistenza, tu attraverso la lettura ti misuri con la vita
degli altri. La lettura secondo me è
fondamentale per misurarsi con
l’esistenza, tu attraverso la lettura ti
misuri con la vita degli altri.
Dallo scorso numero lei scrive sul
giornalino qualcosa che non è né
prosa né poesia, racconti lampo, ma
perché lo fa, perché scrive?
Io ho scritto anche dei romanzi anche
se non tanto lunghi; ho scritto storie
brevi e soprattutto sceneggiature, da
appassionato di cinema, rimaste sempre nel cassetto.
Ho scoperto che è piacevole scrivere.
Rimango stupito anche io quando rileggo le mie storie e mi chiedo come
ho fatto a scriverle: è un meccanismo
strano; come quando dipingo. Io quando dipingo sono immerso in quello che
faccio, poi quando lo rivedo è una cosa
estranea, non è più parte di me, ha una
sua vita autonoma come pure le cose
che scrivi: le hai fatte tu però vivono di
vita propria perché sono legate a quel
momento, quello stato d’animo che
non è permanente.
PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia
A proposito del fatto che lei scrive
romanzi, abbiamo saputo che vuole
scrivere un libro: “la storia dell’arte
secondo loro”, ovvero un libro dove
ha intenzione di catalogare le migliori “interpretazioni” dell’arte secondo gli studenti..
Quello? È un modo per fare soldi a palate! Purtroppo non ho conservato
niente, ma avrei dovuto trascrivere diligentemente tutte le cose pazzesche,
impensabili che avete scritto sui compiti; delle cose surreali…
Non potrebbe farci qualche esempio
di queste “cose surreali”?
Non saprei da dove cominciare! Recentemente qualcuno mi ha scritto che
Botticelli ripassava i contorni delle figure con il pennarello. Questo nasce
dal fatto che si utilizzava una linea di
contorno marcata che i neoplatonici
usano per separare l’immagine: per loro, la realtà è imperfetta, ma l’idea è
perfetta;
l’idea
nell’arte
e
nell’umanesimo si identifica con la
forma, quindi la forma deve essere
perfetta e quindi ben delineata. […col
pennarello ndr]
Tutto questo evidentemente viene tradotto con la linea marcata di contorno
è fatta con il pennarello.
Un’altra: l’arte paleocristiana è chiamata così perché nasce in Palestina.
Una volta uno studente mi dice che gli
acquedotti romani erano anche usati
per le automobili. Mi sono sforzato di
capire e siccome a Nantes, in Francia,
esiste un acquedotto romano che è un
acquedotto al terzo livello, ma è anche
via carrabile al primo livello, da carrabile è diventato per le automobili.
Un'altra comunissima è che le donne
del paleolitico stavano a casa e rassettavano la casa e accudivano i figli.
Prof, l’anno prossimo andrà in pensione…
Spero! Finché non vedo il decreto firmato ho sempre il timore che sotto ci
sia la fregatura.
“Purtroppo” o “per fortuna”?
No, ero libero di non farla la domanda
di pensione, quindi assolutamente per
fortuna, anche in considerazione del
fatto che la situazione generale economica non è rassicurante. L’unica cosa stancante è che la differenza tra me
e gli studenti cresce di anno in anno:
gli studenti rimangono sempre della
stessa età e io invecchio, quindi se nei
primi anni che insegnavo la distanza di
età e quindi di modo di pensare, di gusti, erano pressoché simili, via via io ho
maturato le mie esperienze e gli studenti li ho trovati sempre più distanti.
Anche nel loro interesse, c’è bisogno
che ci sia un ricambio di professori.
Ma c’è qualcosa che le mancherà seriamente?
Io dico sempre che sarebbe non sano
una cosa del genere, l’avere nostalgia.
Ovviamente ciò che è più gratificante è
il rapporto umano; tutto l’aspetto burocratico a me fa letteralmente schifo
ed è quello che mi pesa di più: ci sono
alcune mansioni burocratiche che secondo me sottraggono solo energie
all’insegnamento, che è la cosa prioritaria.
Bene prof! Ora diremo di passare alle nostre 10 domande veloci:
Mare o montagna? Assolutamente
montagna
Pizza o lasagne? Lasagna
Storia dell’arte o filosofia? Tutte e
due, sono inscindibili. Io penso che esiste una sola materia della conoscenza
che è la filosofia, tutte le altre sono
branche della filosofia stessa. L’arte,
quindi, è un’estensione del pensiero
filosofico: c’è la filosofia da cui discendono tutte le altre materie tra cui si
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trova l’arte; però io sono appassionato
di arte, non di filosofia.
Musica classica o rock psichedelico?
Rock non psichedelico, ma anche classica
Impressionismo o espressionismo? È
difficile… espressionismo, anzi no, impressionismo.
Film o libro? Una non esclude l’altra,
tutte e due
Cioccolato bianco o fondente? Fondente assolutamente
Film: drammatico o commedia?
Drammaticissimo!
Pazienza o impulsività? Assolutamente impulsività
Inghilterra o Germania? Germania
La nostra domanda bomba, prof: secondo lei spaventa più non sapere
cosa c’è dopo la morte o la morte
stessa?
Il non sapere cosa c’è dopo la morte è
un classico, ma la morte in sé come la
metti la metti è la fine. Se esiste qualcosa dopo la morte è la fine di un ciclo;
se non esiste nulla è la fine di tutto. Io
ad esempio ci convivo serenamente
con l’idea della morte anche se non ci
si abitua mai. La psicanalisi dice che tu
non accetti mai fino in fondo la tua
morte: la accetti come concetto astratto, altrimenti impazzisci. Forse è vero
e quindi rimuovendola ci si può convivere.
Possiamo toglierci una curiosità? C’è
qualche domanda che si aspettava
che le facessimo?
Assolutamente no!
E c’erano domande inaspettate?
Non mi ricordo neppure quali fossero
le prime.. l’Alzheimer ha colpito ancora.
Concludiamo l’intervista di questo mese
ringraziando di nuovo il professor Puglisi
per averci concesso del tempo anche durante il suo pomeriggio.
PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia
Ritorno dal passato
di Sara Giannessi
Quanti di noi da piccoli hanno sognato
di ritrovarsi al tempo dei dinosauri, o
nell’era glaciale, faccia a faccia, o meglio, faccia a muso, con i giganti del
passato?
Beh, forse non grazie alla macchina del
tempo, ma potremmo presto avere
l’onore di incontrare dal vivo queste
leggende: si sta infatti affacciando
all’orizzonte una nuova era, in cui negli zoo potremmo osservare non solo
specie animali di
tutto il mondo, ma
anche specie di tutti
i tempi.
Da anni si sta infatti
cercando di ricavare
una cellula utile alla
clonazione dal corpo
di mammut congelati (e quindi con cellule ben conservate),
a partire dal primo
ritrovamento di un
cucciolo nel 1977, ma ancora senza risultato: infatti , almeno fino ad oggi,
non era stato possibile trovare cellule i
cui cromosomi fossero intatti e riutilizzabili.
Il progetto di alcuni scienziati russi è
quello di prelevare parte del patrimonio genetico del mammut “congelato”
rinvenuto nella tundra e fecondare gli
ovuli di un’elefantessa dei giorni nostri
.La tecnica è già stata sperimentata, e
ha portato alla nascita di un clone di
un cane perfettamente sano. Il nascituro non dovrebbe avere , quindi, in
tutto e per tutto le caratteristiche di
un mammut di 10 milioni di anni fa,
ma presenterà caratteristiche miste
dei genitori. Le dimensioni saranno
comunque di molto maggiori di quelle
dei normali elefanti e quindi non si
può pensare di ospitare il futuro clone
in uno zoo o insieme ad altri elefanti.
E in effetti è questo, a mio parere, il
reale problema, non tanto la realizzazione del clone,ma dove e soprattutto
come far crescere e vivere questo nuovo essere? L’uomo darà vita a una nuova specie animale? A quale scopo? E
come ne assicureremo l’esistenza
quando più di una volta abbiamo portato all’estinzione tanti altri abitanti
del pianeta? Ne vale veramente la pena, per soddisfare i nostri sogni infantili?
Satura tota nostra est
La settima ora in trimetri giambici scazonti poco trimetri poco giambici e poco scazonti
E adesso, da mattina a sera, festivo o feriale
Il giorno che sia, di mestiere studenti,
chini sul libro e mai altrove li trovi
sperando di non diventar ripetenti.
Dormiamo in esametri, mangiamo filosofie
respiriamo integrali e scordiamo poesie.
Ragazzi, mi raccomando i collegamenti per la tesina
D’Annunzio e l’oltreuomo, Marziale come Verga è verista
Tesina? Quale tesina? - Ragazzi, siamo in quinto!
Eh, scusi, una svista.
Fresche le mie parole ne la sera?
Ma alle otto di mattina scellerata la voce che scrive sulla lavagna nera!
Chiudo un occhio, poi l’altro, finisco sul banco addormentato
Tu, sveglia, cos’ho appena detto?
Non lo so, e ne sono straziato.
Aprile, come aprile, non era ieri novembre?
(eppur della fisica ancor non si dissolvono le ombre)
Non fai in tempo a contar con le dita fino a cento
che in arte hai finito il Novecento.
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di Giulia Guidotti
PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia
Professò, saltiamo Freud, meglio Nietzsche
(e in italiano si perde tempo con Felicita che taglia le camicie)
la fase fallica sarà interessante come dici
ma c’è un programma da chiudere di maggio il quindici.
Tu al banco, non sai quando inizia la prima guerra mondiale
preferisci aggiungere un’acca a tegame
e alle domande scuoti la testa: “Questo io conosco e sento
che dei romani triumviri,
che del magma ipoabissale
qualche bene o contento
avrà fors’altri; a me la scuola è male.”
Non ancora in palestra
e già stanchi, sporchi e sudati.
Settima ora? Roba da piano nazionale i…ati
“Ma avete scelto voi il Pni!”; poveri i nostri neuroni bruciati!
Così parlò Zarathustra (che fa quasi rima con palestra).
Far lo scientifico: non so cosa preso mi abbia
Dicono i giovani stremati dall’affanno
e così stanno,
che non si san partir di quella gabbia;
e vi son molti, a questo inganno presi,
stati le settimane intiere e i mesi
(gli anni!) e quanti distrutti dalle dei professori ire!
Vuoi sapere dunque qual è il mio ardente desiderio?
Dormire.
Ma non è stato sempre così, ricordi?
Quei piccoli anni, così dolci al cuore…
..il biennio; e dì: non lo ricordi
quel sei facile, studiare poche ore?
Prima prova, sette e cinquanta, fifa a novanta
se parlo del futurismo divento violenta
delle altre tracce ci si accontenta.
Da silenzio e dizionari (tralasciamo la vescica piena) ognuno è sommerso
“Chi leggerà questa roba? Nessuno, per Ercole!” urla Persio
(perdonatelo: di bile ha sempre un eccesso).
Studiate tre materie, avrò finito, su?
Ma ecco che un quarto libro fa cucù
A! E! I! O! U!
Sciukoku… koku koku! Sciu ko ku.
No, mamma, non sto delirando
si chiama Palazzeschi: sto studiando.
Quaderno di scienze mi guardi minaccioso (anche se io vorrei andare a zonzo)
imponente, più durevole del bronzo
e più alto della regia mole delle piramidi
che a sollevarlo fanno male pure i deltoidi.
Quando corregge gli errori non si mostri aspro e offenda il meno possibile?
(la fai facile, Qui’: per noi c’è da sapere l’umano scibile)
Al minimo sbaglio mi si punta in faccia uno sguardo adirato
Forse dal buon maestro non avevi paura di essere ridimensionato?
Seconda prova, due problematici problemi, dieci impossibili quesiti.
Davanti a sette integrali indefiniti
meglio guardar dalla finestra i rami fioriti.
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PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia
Ma prof, prima che mi arrenda
posso , per pietà, fare almeno merenda?
Lunedì di latino il compito
Martedì disegnami un circuito
Mercoledì classificami il detrito
Giovedì due interrogazioni ho patito
Venerdì… davanti a tutti i voti son sfinito.
Il verdetto? È grave: problemi con le declinazioni
in filosofia troppe astrazioni
qui sbagliata una strofa, lì due derivate
che mi meriti forse la fatal accusa?
“Eh, ragazzi, voi non studiate.”
Mi perdonino (in ordine rigorosamente analfabetico, alogico e amorale) Gozzano, Catullo, Freud, Marziale, Quintiliano, Leopardi, Orazio, Ariosto, Pascoli, Palazzeschi, Lucilio, D’Annunzio, Nietzsche e Persio per averli più o meno indirettamente citati senza il loro permesso scritto (fatta eccezione per quel barzellettiere di Marziale, ma ho perso il foglietto con l’autorizzazione da qualche parte nel secondo cassetto della scrivania).
Furbo come 'na trota
di Daniele Pacitti
Un politico col vocione,
ar comizio de un partito,
incitava l'idea de 'na divisione :
"Staccamose da 'sto paese, ormai è finito!
Quelli del potere de Roma, poi ,
gestiscono tutto, ma male!
Non credono più nè a santi, nè a eroi,
nè alla Nazione, nè all'ideale.
Escluso me,
l'omini de politica mica lavorano,
so pagari, ma sempre se lamentano.
Rubano al popolo, che c'ha un lavoro onesto e sano.
E' l'ora de finilla, uscimo da 'sto pantano!
Dividemose da 'sto paese ingrato,
famone uno senza ladri,
uno che, da 'sto schifo, è liberato!"
E la gente je credeva!
"Roma ladrona" urlava.
Poi baciava la bandiera :
"Roma Ladrona", continuava.
Un giorno,
'sto politico che ve sto a dì,
stava a uscì dal parlamento:
entra in macchina e se pia la tangente del venerdì.
"E' un finanziamento
-scherzò col comparedevo rifà er bagno de casa!"
Quant'era contento!
L'amico che de sti giri era informato
je chiede : "Come va col fatto della divisione?"
"E' un buon affare- risponde- sorattutto se sei affamato.
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PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia
A sti comizi de partito
c'è sempre qualcuno che porta da mangià.
Prima parlo de rivoluzione agitando la mano,
e poi me abbuffo de baccalà
e abbacchio romano".
Stay hungry, stay curious
di Silvio Manu
Tutti i giorni a scuola
ci vengono poste domande , la maggior
parte di esse hanno
delle risposte ben
precise ed è nostro
compito capire, attraverso le lezioni
scolastiche, quali esse
siano.
Ma si sa, molte risposte portano a galla solo altre domande, alcune delle quali non
hanno ancora avuto
risposta. E’ facile distrarsi durante una
lezioni di filosofia,
per esempio, per una parola detta
dall’insegnante che ha fatto scattare in
noi un pò di curiosità. Ma anche durante una qualsiasi altra materia, durante qualsiasi ora, durante qualsiasi
momento della giornata.
Come ci si sente ad essere un gatto, o un
cane? I pesci soffrono? Il Big Bang è accaduto per caso? C’è un Dio? Nel caso, bisognerebbe considerarlo maschio o femmina?
O nessuna delle due? Perchè esiste il male?
Per non parlare poi delle più drammatiche :
Creo io il mio futuro o è tutto già scritto?
Ma nell’ultimo caso, potrei dire lo stesso di
essere libero? Ho la possibilità di scegliere?
Pensandoci poi... io sono solamente una
macchina biologica? Allora perchè sono
dotato della capacità di pensare? Potranno
pensare anche i robot, un giorno? E se tutto
fosse un sogno? Se sono solo l’invenzione di
qualcuno? Cosa c’è dopo la morte?
Molte domande non hanno risposta e
probabilmente non l’avranno ancora
per lungo tempo, o addirittura potrebbero non averla mai. Non importa!
Porsi queste domande significa scavare
nel profondo della conoscenza, cercando informazioni e indizi nel vano
tentativo di avvicinarsi ad una risposta, e chissà dove può portare la mente! Si esplorano vasti territori di curio-
sità e immaginazione, arrivando ai
confini della propria conoscenza, o di
quella altrui, rimanendo comunque
con la stessa domanda irrisolta; in molti casi verremmo sommersi solo da altre domande invece che da valide risposte, ma questo significherebbe avere altre opportunitò di viaggiare con la
mente, il che è un bene.
Voglio prendere in considerazioni due
delle tante irrisolte domande, non per
cercare di dare una risposta, ma solo
per il piacere di viaggiare con la mente.
1-Quanti universi esistono?
Le notti dipinte di un cielo stellato
possono essere ispirazioni per tantissime persone. Spesso mi rendo conto
di quanto insignificante ci si può sentire di fronte a tale spettacolo ma anche
di quanto fortunati si sia a poter vedere e a poterci rendere conto della vastità di quello che ci circonda. Le stelle,
puntini bianchi, dietro di loro un vasto
e maestoso sfondo nero che rappresenta il limite visivo dei nostri occhi. In
verità il nero nasconde solo altre luci,
altri colori, altre stelle, altre galassie,
altre nebulose...e altri universi?
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Ricercatori
fisici
dei nostri tempi
stanno dando spazio a una teoria
chiamata Teoria delle stringhe e si fonda
sul principio secondo cui spazio e
tempo sono solo
manifestazioni di
entità fisiche primordiali (chiamate
appunto stringhe), il
più piccolo degli
elementi che compongono
l’universo, che si
sviluppano su un
diverso numero di dimensioni. Questa
teoria permette di credere a sempre
più scienziati che c’è possibilità della
presenza di più universi, ognuno formato da proprie particelle, da diverse
leggi e diverse proprietà. Queste stringhe si suppone siano delle piccole
stringhe di forma chiusa che vibrando
danno vita a tutto quello che esiste. In
una visione un pò più creativa,
l’universo è tutta una sinfonia di suoni.Tutto è musica? Splendido.
Altre correnti di studio e di pensiero
stanno cercando di dimostrare che in
ogni momento si crea un universo nel
quale succede un qualcosa di diverso
da quello che è effettivamente successo nel momento in cui si vive la situazione. Per esempio, mentre io sto scrivendo si stanno creando diversi universi nei quali io scelgo diverse parole,
oppure nel quale decido di chiudere il
PC e di andare a prendere il sole o magari in un altro universo mi è venuta
l’improvvisa ispirazione di conquistare
il mondo.
Entrambe teorie affascinanti, ma finchè non si tocca l’argomento con mano, andando a verificare ogni calcolo
non ci si può credere facilmente. Inol-
PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia
tre sono solamente teorie e per ora tali
rimangono.
C’è un’ altra cosa che affascina molto
riguardo a questo argomento e su questa la scienza sembra essere certa :
l’universo è in continua espansione.
Logicamente ,dopo l’esplosione del Big
Bang, l’universo dovrebbe rallentare
pian piano la sua corsa all’espansione
per via delle forze gravitazionali. Quello che è strabiliante invece è che tutto
sta accelerando, l’espansione aumenta
la sua velocità invece di rallentarla!
Molte delle galassie che ci sono la fuori
probabilmente non le vedremo mai
perchè si arriverà al punto in cui la velocità della luce non basterà più a mostrarci quelle galassie che, già lontane,
si allontanano sempre più.
La prossima volta che guarderete un
cielo di notte e avrete la possibilità di
pensare con calma, provate a perdervi
nell’infinita grandezza di quello che
abbiamo sopra la testa, cercate di vedere quello che c’è oltre alle stelle visibili ad occhio nudo. Scoprirete sensazioni mai provate prima.
2- Extraterrestri, esistono?
Se prendiamo in considerazione il fatto
che l’universo è infinito, la possibilità
che esista una forma di vita extraterrestre è sicura al 100%. Quello che più mi
confonde è come sia arrivata la vita
sulla terra. E se gli extraterrestri siamo
noi? Potrebbe esser capitato che qual-
che meteorite, schiantatosi sulla Terra,
conservasse in sè delle forme di vita
primordiali che ha dato il via al processo evolutivo.
La vita sul nostro bel pianeta potrebbe
esser stata portata proprio da altri extraterrestri che volevano colonizzare
la terra, o fare strani esperimenti
scientifici o chissà cosa altro.
Ci sono settori nei campi scientifici che
pensano a cercare un contatto con le
forme aliene attraverso onde elettromagnetiche lanciate nello spazio. Ma
se gli alieni avessero superato queste
tecnologie ? E’ una probabilità bella e
scomoda.
La verità potrebbe essere anche che
noi siamo l’unica forma di vita intelligente nelle vicinanze della nostra galassia , per quanto è vasto l’universo
questa è una cosa più che possibile.
Questo significherebbe dire addio ai
sogni di alcuni di incontrare e di parlare con forme di vita diverse da quelle
del nostro pianeta. Che a pensarci bene
non è del tutto un male, chi ci assicura
che gli alieni non abbiano solo intenzioni colonizzatrici? Non voglio finire
a pulire i bagni come schiavo in casa di
un alieno brutto e puzzolente (chissà
se esistono alieni che fanno la cacca
come noi, è una cosa che mi turba).
Tanto per sollecitare un pò di curiosità, qui di seguito ecco alcune domande
a cui cercare di rispondere (sono in
Storia di lupi
La notte era oltremodo gelida. La luna
alta illuminava a giorno il paese
disteso in cima al monte. La neve
rifletteva la luce dando dei riflessi
spettrali. Tra le strade deserte si
aggirava il grosso lupo che il freddo e
la fame aveva spinto tra le case in
cerca di cibo. Il suo piccolo branco era
rimasto alle porte del paese, timoroso.
Era la prima volta che si trovavano a
cercare cibo così vicino all’uomo e lo
avevano lasciato avanzare da solo.
L’odore dell’uomo era forte e il lupo
era nervoso. Camminava al centro
della strada principale tra le case di
pietra, sulla neve che alle volte gli
inglese, sicuramente delle grandi menti come le vostre sapranno tradurle) :
 How old would you be if you didn’t
know how old you are?
 If life is so short, why do we do so
many things we don’t like and like
so many things we don’t do?
 Which is worse, failing or never
trying?
 Have you ever seen insanity where
you later saw creativity?
 If it's zero degrees outside today
and it's supposed to be twice as
cold tomorrow, how cold is it going
to be?
 If we learn from our mistakes, why
are we always so afraid to make a
mistake?
 Can you cry under water?
 If mars had earthquakes would
they be called marsquakes?
 If you try to fail, and succeed,
which have you done?
 Are zebras black with white
stripes, or white with black
stripes?
 If you accidentally ate your own
tongue, what would it taste like?
 At a movie theater which arm rest
is yours?
 If you dug a hole through the center of the earth, and jumped in,
would you stay at the center because of gravity?
di Federico Pellati
arrivava alla pancia e lo costringeva a
muoversi a balzi. Alle volte la neve era
così calpestata e gelata che quasi
scivolava. Ogni pochi metri si fermava
ad annusare l’aria. Sentiva l’odore
dell’uomo sempre più forte ma
altrettanto forte sentiva odore di cibo,
di caldo, di cavalli, di pecore e galline.
La fame lo costringeva ad avanzare, la
paura ad essere guardingo. I suoi occhi
scrutavano negli angoli bui, le orecchie
tese cercavano di percepire il più
piccolo rumore. Nella notte chiara si
sentiva solo il vento che ogni tanto si
alzava leggero e rendeva la notte
ancora più fredda. Ad un tratto,
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passando davanti ad una porta, l’odore
del cibo gli arrivò così forte che quasi
uggiolò dalla fame. Si accostò e annusò
profondamente cercando di sentire
ogni odore e rumore.
PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia
Era così teso tra la fame e la paura che
vide praticamente l’interno: nella
stanza dormivano due adulti e quattro
cuccioli. Avevano mangiato una
minestra di legumi con ciotole e
cucchiai di legno. Il fuoco era ancora
acceso nel camino, i pagliericci erano
coperti da pelli e stracci di lana. Con
uno scarto si allontanò silenzioso e
sospettoso. Attraversò una strada e si
fermò vicino a una casa in attesa
fiutando l’aria. Il muro della casa
riluceva coperto dal ghiaccio. Un
refolo di vento gli sollevò il pelo e gli
portò l’odore di una pecora. Camminò
a balzi verso l’odore che si perse subito
appena cessato il vento. Ma ora sapeva
che poteva trovare qualcosa da
mangiare. Continuò ad avanzare verso
il fondo della via. L’odore dell’uomo
era ancora più forte e questo lo
rendeva ancora più prudente. Ormai si
sentiva lontano dal branco. Qualche
lupo più anziano si era addentrato per
qualche metro ma si era fermato
incerto annusando l’aria e osservando
il capo branco che si addentrava nella
via. A quel punto la femmina del capo
branco avanzò circospetta sulle orme
del maschio e il resto del branco
avanzò
ancora
qualche
metro
all’interno del paese in completo
silenzio scrutando gli angoli bui. Il
capo branco si avvicinò a un portone
annusando e ascoltando attentamente.
Era il portone della casa di un
benestante, all’interno vi era un
porticato con un giardino e una
fontana gelata che rifletteva la luce
della luna come un lampadario di
vetro. Si allontanò verso il successivo
portone che era della chiesa. L’odore di
uomo era mescolato a quello della
cera, delle
panche di legno,
dell’incenso e passò oltre senza
avvicinarsi troppo. La femmina
continuava a muoversi sulle orme del
maschio a una certa distanza, il resto
del branco era riluttante e si muoveva
solo di qualche passo tenendo d’occhio
la coppia. Il lupo passò davanti un’altra
porta. Era la casa di un contadino che
dormiva in una stanza con tutta la
famiglia. Il lupo sentì l’odore del fuoco
ancora acceso, del resto della zuppa di
farro nel paiolo sulla tavola, dell’uomo
e i suoi cuccioli che dormivano in un
unico pagliericcio avvolti tra pelli e
stracci di lana, della stalla con due
mucche e un asino che stavano oltre
una porta chiusa da un uscio leggero e
sconnesso. Andò oltre tentando di
aggirare la casa e alla porta successiva
sentì di nuovo l’odore della pecora. Era
chiusa in una specie di ripostiglio della
casa che dava all’esterno. La porta era
leggera ed era chiusa con una tavoletta
che ruotando si incastrava in un’asola
dello stipite in pietra. Il lupo si
appoggiò alla porta con le zampe
intanto che sentiva che nella camera al
di là della porta non c’erano uomini. La
femmina capì che era stato trovato
qualcosa e si affrettò a raggiungere il
maschio. Il resto del branco divenne
attento e cominciò ad avvicinarsi,
pronto ad intervenire nonostante il
pericolo.
Il lupo raspò sulla porta e mosse il
paletto: la porta si aprì verso l’interno.
I due si slanciarono nel buio mentre la
pecora, che si era accorta di quanto
stava per accadere, iniziò a belare
terrorizzata. Al secondo belato il lupo
aveva trovato la sua gola e l’aveva
atterrata impedendole di fare altri
rumori. I due lupi cominciarono a
mangiarla mentre ancora scalciava
nell’agonia. Il resto del branco capì che
era stato trovato del cibo e corse
seguendo le impronte
della coppia dominante. I
lupi entrarono nella
camera secondo l’ordine
gerarchico del branco per
mangiare.
In
quel
momento, nel silenzio
quasi assoluto, interrotto
da leggeri ringhi che i
lupi emettevano per
richiamare gli altri al
rispetto
del
proprio
rango, si sentì il latrato di
un cane. Cominciò quasi
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incerto e poi rabbioso fino a rimanere
senza fiato. Immediatamente presero a
latrare tutti i cani del paese, chi perché
aveva sentito l’odore dei lupi e chi
perché gli altri abbaiavano. I padroni
tentarono dapprima, presi dal sonno,
di zittirli; poi ascoltarono sorpresi il
tipo di latrato cattivo e particolare, si
alzarono, la maggioranza di loro già
vestiti, e si affacciarono alle porte con
lampade a olio e rami accesi presi dal
camino. “I lupi!!” gridarono quelli che
si affacciarono sulla via e videro il
branco.
Il
grido
si
sparse
immediatamente per il paese di casa in
casa. Gli uomini si finirono di vestire di
corsa, presero forconi, falci, roncole,
rami e fiaccole accese e si buttarono
fuori casa per cacciare i lupi. “Qui, qui,
sono da questa parte!” gridarono quelli
più vicini. I lupi appena videro i primi
uomini affacciarsi dalle porte con le
torce si lanciarono sulle proprie orme
per uscire dal paese. Gli uomini
accorsero verso il luogo dove era la
pecora. Uno di questi dal fondo della
via tirò una freccia verso il capo
branco che stava scappando per ultimo
e lo mancò di pochi centimetri.
Quando fu pronto per tirarne una
seconda ormai i lupi erano fuori vista.
Gli uomini si raccolsero davanti la
porta aperta della piccolissima stalla a
commentare i fatti. Alcuni presero in
giro quello che aveva sbagliato il colpo
chiedendogli se si sentiva mancare
qualcosa dalla tasca. Lui rispose “Non
vi preoccupate, riuscirò a guadagnare
gli augustali che ho perso stasera”
L’editto parlava chiaro: per chiunque
avesse ucciso un lupo sarebbe stato
pagato un quarto di augustale. Gli
uomini si rammaricavano di aver perso
un’occasione simile e commentavano
la perdita della pecora e l’abilità dei
lupi dimostrata nell’apertura della
porta.
PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia
I commenti passarono rapidamente
dall’idea di fare una battuta di caccia al
lupo a racconti di prodezze compiute
dai lupi. A poco a poco i racconti
presero a ingigantirsi e si sentirono
ben presto storie di lupi che avevano
assalito e divorato un viandante, tre
viandanti, una carovana, erano entrati
in una casa e si erano mangiati un
bambino, due gemelli, una famiglia
intera. L’iniziale baldanza andò
scemando e quindi il sonno cominciò a
farsi sentire per cui un po’ alla volta
cominciarono a salutare e a dirigersi
verso casa. Il proprietario della pecora
si portò i resti in casa maledicendo il
momento in cui aveva deciso di
lasciarla nel ripostiglio esterno, ma si
consolò con la moglie dicendole che
forse era meglio così perché con quello
“stratagemma” aveva salvato la
famiglia dall’assalto dei lupi che
sarebbero senz’altro entrati in casa e li
avrebbero mangiati tutti nel
sonno. Per sicurezza quella
sera appoggiarono la tavola
contro la porta e si rimisero a
dormire. Fuori la luna
splendeva alta nel celo
continuando
a
rendere
irreale il paese innevato.
Il capo branco con tutti i lupi
del branco guardarono a
lungo il paese illuminato da
una vicina altura annusando
l’aria. Poi il capo branco ululò
con la sua femmina e gli altri lupi
ulularono a loro volta riempiendo la
notte di richiami.
Il paese rabbrividì nel sonno.
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori
di Priscilla Raucci
Proserpina è tornata dall’Ade, e il modo ridestato dal suo torpore dà inizio
la sua festa. Nei campi, che durante
tutto il lungo inverno apparivano sterili e privi di vita, germogliano verdi
gemme, pronte altresì a spigare con
mirabile velocità e indorarsi nel giro di
poche lune. Gli alberi, riempiti di nuove vite che dai nidi cantano sublimi
melodie, si ornavano di gioielli, boccioli pronti a dischiudersi quando il
tempo è propizio.
Mentre i soli si allungano e celermente
diventano più caldi si prepara anche la
più ardua e sanguinosa battaglia di
questo lungo lustro. “Dura battaglia e
crudele e diversa
è cominciata” . Se al
di fuori delle mura del Castello di Mattoni Rossi la Natura sembra già festeggiare una vittoria, dentro di esse ci si
affanna per prepararsi ai continui
scontri che con rapidità si susseguono;
si affilano le spade, si lucidano gli
usberghi e si aggiustano le armature,
negli intervalli che la dura battaglia
concede agli eroici Pascalini. Questo è
il momento per loro dimostrare il loro
coraggio, di compiere eroiche gesta
che verranno scolpite nella storia, questo è il momento in cui si decide se cadere in battaglia o salvarsi.
E’ arrivato maggio. Tocca mettersi sotto con lo studio.
Il roscio
di Domenico Cerrato
il roscio, conosciuto anche col nome di
sergio marinetti, era la parodia di un
ometto. con quegli occhietti infossati
dietro le lenti spesse, la barba rossa
morbida che copriva le lentiggini, i capelli sottili e oleosi, anch’essi rossi, e
quell’aria da nullità… pareva infatti
non poter essere altro.
quando doveva frequentare scuola era
solito indossare gli stessi abiti gli stessi
giorni. il maglioncino verde di lana
pregiata sopra i pantaloni beige era
destinato al lunedì, al mercoledì e al
giovedì. il venerdì, ultimo giorno della
settimana scolastica (aveva scelto il liceo Gabriele D’Annunzio per il noto
prestigio dell’istituto), quasi fosse un
giorno più importante degli altri!, vestiva una fine camicia grigia sotto la
giacca nera e un paio di pantaloni di
seta. il martedì, per via dell’Educazione
Fisica, era il turno della tuta acetata. la
routine dell’abbigliamento non cambiava mai: il diciassettenne vestiva in
egual modo che fosse estate, primavera, inverno o autunno. a dir la verità,
non era questa l’unica goffa caratteristica che contraddistingueva marinetti
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e che ne faceva il passatempo preferito
dei compagni della classe: il vestiario,
segno di cattivo, pessimo gusto, era solo uno dei molteplici addendi che rendevano il roscio non solo ‘un tipo strano’, ma ‘uno coi problemi alla testa’.
marinetti!,
gli urlava sovente la professoressa di
Filosofia. lo sciocco allora si svegliava
e, ritto sulla sedia, si giustificava:
eh… ah… m-mi scusi, signov-v-vina
pv-v-ofessov-v-vessa,
tutti ridevano. il suo balbettare e la
demenziale r moscia risultavano comi-
PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia
cissimi e lo rendevano ancora più tonto di quanto non fosse già agli occhi
delle altri.
che fai? dormi?
allora marinetti sollevava le mani dal
banco e faceva una smorfia con la bocca guardandosi intorno, come a cercare consensi negli altri che appoggiassero il suo non comprendere
l’insistenza dell’insegnante.
lo sguardo da cucciolo però non funzionava.
non pareva inoltre gli importasse molto del suo rendimento scolastico, sebbene si ostinasse a dare epiteti d’altri
tempi ai professori. pareva uscito fuori
dal diciottesimo secolo.
ma come parli?,
gli rimproverava in continuazione
qualcuno in classe,
usa parole semplici! basta con questi
termini aulici che nessuno capisce! …
devi parlare come mangi,
e pare non mangiasse proprio il roscio,
giacché paragonarlo a un chiodo non
avrebbe reso onore alla sua magrezza.
alto un metro e novanta, pareva il ritratto della debolezza in carne e ossa,
ossa soprattutto.
la sua persona, nel liceo, era leggenda.
quando qualcuno diceva in sua presenza:
il roscio!,
tutti si voltavano e sorridevano e si
guardavano negli occhi con complicità.
ma come avviene per molte leggende,
nessuno sapeva la verità su quello strano personaggio. nessuno era a conoscenza del motivo per cui camminava
in quello strano modo, pareva si credesse un aristocratico!, nei corridoi
della scuola. povero scemo! nessuno,
soprattutto, era al corrente del luogo
in cui marinetti trascorreva quel quarto d’ora di ricreazione permesso nel
Gabriele D’Annunzio. secondo una dicitura del primo piano, questi si rinchiudeva nel bagno dei professori e, con la
complicità di Maurizio il bidello, trascorreva tutto il tempo dentro uno dei
cinque cessi disponibili. un’altra tradizione orale, forse più attendibile, narrava dei suoi quotidiani incontri con
un
grande
personaggio
tipico
dell’istituto, benedetto gentile. gentile,
a differenza dei suoi compagni di quinto superiore, aveva ventidue anni.
grande e grosso, capellone e trasandato, forse ritardato, era stato bocciato
un anno sì e uno no per tre volte!, era
l’unico amico che così si potesse definire di marinetti. di cosa parlassero si
sa ben poco, con probabilità si trattava
di frivolezze quali musica e cinema
d’altri tempi, che tanto piacevano al
tonto, intendo quello di ventidue anni.
perché, perché marinetti si comportava in quel modo? cosa sperava di ottenere dalla vita con quell’atteggiamento
distaccato e al contempo sciocco? non
lo capimmo mai, noi, il roscio. ricordo
l’ultima volta che lo vidi, all’uscita,
mentre Arturo, Giacomo e Emilio si
prendevano gioco di lui dopo avergli
strappato di mano a tradimento la valigia, perché il roscio non poteva avere
un comune zaino come tutti.
pev-v-vché mi fate questo? n-non sono
d’accov-v-vdo con il vostv-vo compovvtamento,
ripeteva con fare da vittima. poi, accortosi della mia presenza:
aiutami tu, s-sei un mio compagno di
classe!,
ma non lo aiutai, quel poveraccio. gli
diedi un pugno sulla spalla e gli urlai
con rabbia:
perché continui a comportarti da signorino? sei tonto? fai l’uomo vero una
volta!,
ma l’aria da signorino non se la scrollò
mai di dosso, il roscio, nemmeno quando fu trovato appeso in
bagno con la camicia grigia e i pantaloni di seta addosso e la giacca sulla lavatrice, di lunedì.
il mio ometto,
si ripeteva la madre, disperandosi,
che cosa ha fatto? perché?,
e nessuno di noi immaginò mai il suo
perché, almeno finché passato qualche
mese non ci scordammo di lui.
A Mente Libera …
Rubrica poetica
Vivo di te con la leggerezza di una farfalla.
Resti immobile, purché non scappi via.
E chiedi al vento di essere tuo amico
e nuvole le tue sorelle,
affinché goda del sole
sul fiore che sei.
Petali azzurri che si confondono col cielo
ed io colgo lo sguardo di chi
ama davvero...e mai come ora
ho desiderato vivere
per più di un giorno.
di Gerardina Orlando
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PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia
“forse” e “se solo”..
di Enrica Dal Zotto
Sembra che siamo nati per aspettare.
Aspettare una risposta, un messaggio, un saluto, uno sguardo.
Aspettare l’estate non troppo calda, l’inverno non troppo freddo.
Aspettare una chiamata, un grido.
Aspettare l’amore, l’amicizia perfetta.
Aspettare un mondo migliore.
E pur consci del fatto che nulla arriverà mai grazie al solo aspettare, noi
aspettiamo.
Fermi ed immobili: senza fare nulla, tranne aspettare. Magari, a volte,
tutto ciò che aspettavamo da sempre è appena passato davanti ai nostri
occhi, ma eravamo talmente presi nel lamentarci dell’attesa che non
l’abbiamo notato. Assurdo? Eppure è così.
Aspettare.
Solo aspettare, senza agire. Ma a che serve aspettare? A nulla, credo. È
semplicemente più facile.
Cos’è? È la forza o la voglia di agire che ci manca?
La nostra vita non deve perdersi tra un “forse” e un “se solo” dettati dal
fatto che abbiamo semplicemente ASPETTATO. Chi è che ci ha messo in
testa che il tempo impiegato per aspettare il sorgere del sole vale la sua
luminosità? A volte ad aspettare si può rimane delusi, sapete?
Agire senza aspettare, non aspettare senza agire.
Si può sbagliare, è vero, ad agire senza aspettare, ma se si ha la voglia di provare, si avrà anche la forza di accettare
l’inaspettato che arriverà dopo il nostro agire.
Fotoricordo
di Silvio Manu
Non so cosa si prova a perdere un padre. Non so cosa si prova sentire il proprio mondo ribaltato e pieno di dubbi.
So però che la vita non potrà mai essere piena di certezze al punto da lasciarci tranquilli, non potremo mai sapere come
andranno davvero le cose. Questo è quello che i miei genitori mi hanno insegnato. Mi hanno anche spiegato che non bisogna mai buttarsi giù quando le cose diventano veramente difficili, che essere forti è sinonimo di amare se stessi e i propri
cari.
Voglio immaginare la vita come una successione di avvenimenti e di emozioni che potranno essere riviste in fotografia, in
un grande album che verrà completato solo quando la morte deciderà di arrivare. Uno dei compiti di chi è in vita è quello
di risfogliare di tanto in tanto questo album stracarico di foto e sorridere a quel che è stato, anche se la nostalgia potrà
prendere facilmente il sopravvento. Tutte le foto messe
insieme ci rendono quello che siamo, tutte le persone
(alcune più di altre ) sono la causa di quello che oggi conosciamo del mondo e della vita.
Non dimenticarsi di se stessi, ricordarsi di prendere
qualche foto per conto proprio, qualche emozione stravolgente catturata in un infinità di colori da ricordare
per sempre, anche questo è compito di chi ha ancora il
dono della vita.
Forse tutto è un continuo ciclo, un misto di squilibri che
hanno breve fine solo nel momento in cui troveranno
un equilibrio precario ; l’equilibrio presto crollerà e il
ciclo ricomincerà.
Dopo l’inverno c’è sempre la primavera.
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PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia
Le chiavi – Parte Uno
di Francesco De Dominicis
La putrida acqua verde scorreva lenta
lungo il canale. Le gondole, elegantemente rifinite, seguivano pigramente il
verso della corrente. Le persone attorno a me camminavano come per inerzia, i loro volti grigi ed inespressivi.
Mi ero buttato a peso morto sul parapetto del ponte, a contemplare il muschio che cresceva rigoglioso lungo gli
argini di pietra. Una gran bella città
Venezia. O quantomeno lo è stata. Già
allora era diventata un mero scarico
fognario. Solo un po' più bello degli altri.
Un gatto grigio, scheletrico, mi si avvicinò miagolando. Mi chinai a carezzarlo, mentre lui si strofinava sulla mia
gamba facendo le fusa. Aveva fame, si
vedeva.
«Mi dispiace» gli dissi «non ho niente
da darti.» Questi mi guardò attraverso
i suoi occhi neri come la pece per qualche secondo. Quando capì che non
avrebbe ottenuto niente da me scivolò
via dalle mie carezze e fuggì tra i vicoli. Non lo seguii, né tantomeno mi sentii ferito da quel comportamento. Quel
gatto cercava soltanto di vivere. Come
tutti noi.
Attraversai il ponte e seguii il corso del
canale. Mendicanti, truffatori, pseudomaghi e morti di fame si riversavano ai
bordi del marciapiede, nella speranza
di racimolare quelle quattro monete al
giorno con cui vivere.
Girai l'angolo proprio quando il campanile suonò l'arrivo delle sei di pomeriggio. Ero arrivato in un vicoletto
buio, illuminato da quella poca luce
diurna rimasta. Bussai due volte ad
una porta ad arco, alta appena un metro e settanta. Era un legno scurissimo,
consumato dagli anni e dallo smog. Ad
aprirmi fu un omone, talmente grande
che sarebbe passato con difficoltà attraverso quella porta. Mi squadrò da
capo a piedi, poi emise una sorta di
grugnito e si fece da parte per farmi
passare.
Malgrado la porticina angusta, dentro
il locale era decisamente ampio, per
quanto sovraffollato. La sala, lunga una
ventina di metri e larga una quindicina, era stata ricavata abbattendo tutti i
muri interni del palazzo. Solo le colon-
ne portanti erano rimaste. Il soffitto
portava
con
sé
i
segni
di
un’affrescatura vecchia di qualche secolo, distrutta e consumata dal fumo e
dai forti odori. Il Comune di Venezia.
Era stato chiamato così quell’edificio.
In realtà non aveva niente a che vedere
col Comune vero e proprio. Portava
questo nome perché lì potevi trovare
tutta la malavita ed i disgraziati della
città. In quanto a
rappresentanza cittadina batteva di
gran lunga il Comune ufficiale.
Attraversai la sala a
passo spedito, ignorando le urla, le zuffe e gli insulti
tutt’attorno a me.
Tra criminali non
esistevano cose come l’altruismo o
l’etica. Un tempo
c’erano state, certo.
Ma ormai esisteva
solo sopravvivere, e
per farlo bisognava
essere sempre sopra
agli altri.
Arrivato davanti ad
un vecchio tavolo
pericolante mi fermai ad osservare
Greedon, aspettando
che alzasse lo sguardo. Il contrabbandiere, però, era
troppo intento a
contare e lucidare le sue monete per
accorgersi che gli stavo davanti.
Spazientito presi un sacchetto dalla tasca interna dell’impermeabile e lo buttai sul tavolo sotto agli occhi
dell’uomo. Questi lo prese in mano
avidamente e, dopo averlo studiato per
qualche secondo, alzò lo sguardo soddisfatto.
«Sono tutti?» mi chiese. Lo guardai con
sufficienza.
«Dodici cristalli, di medie dimensioni.
Esattamente come avevi chiesto.» risposi seccato. «E non mi hai ancora
pagato.» continuai.
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Greedon mi fissò infastidito, poi prese
una mazzetta di banconote dal tavolo e
me le tirò. Le presi in mano e le esaminai attentamente, in modo da controllare che fossero tutte autentiche. Saranno state una cinquantina, quindi ci
misi un po’ a finire il lavoro. Una volta
finito le misi in tasca e mi voltai senza
salutare.
«Te ne vai così presto?» chiese con vo-
ce melliflua senza scomporsi. Mi voltai
sospettoso verso di lui. Sulla sua faccia
era stampato un sorrisetto quasi idiota.
«Sai, avrei una proposta per te. Un altro lavoretto che deve essere svolto al
più presto. Ovviamente pagato,
s’intende.»
Mi avvicinai lentamente al tavolo.
Qualsiasi “lavoretto” di Greedon portava guai, questo era poco ma sicuro.
Però la paga era buona, ed io avevo un
disperato bisogno di denaro.
«Che cosa ti serve?» chiesi lapidario.
Greedon sospirò ed iniziò a parlare.
PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia
«Pare che un paio di giorni fa sia arrivato un nuovo carico in città. È un carico di Chiavi.» non finì di parlare che
mi alzai di scatto.
«Non credere che mi metta a trattare
quella roba.» quasi urlai per la rabbia.
Le Chiavi erano una sorta di droga usata dalla polizia per gli interrogatori. Si
chiamavano così perché si dicesse
aprissero le “porte della verità”. In
realtà erano un misto di allucinogeni e
veleno, che intossicavano il prigioniero
e lo costringevano a dire, tra i dolori,
qualunque cosa gli passasse per la testa. Non le avevo mai viste in azione,
ma mai e poi mai avrei volontariamente avuto a che fare con quelle.
Feci per andarmene ma mi ritrovai
dietro uno dei gorilla di Greedon, alto
più di due metri e largo quante due
persone. Con uno scatto provai ad evitarlo passando di lato, ma questi mi
bloccò quasi subito. Provai a divincolarmi tirandogli un calcio alla caviglia
(non potevo fare altro), ma andai a
vuoto. In risposta fui gettato a terra ed
immobilizzato. Greedon si avvicinò con
la sua solita lentezza.
«Ti agiti troppo, lo sai?» chiese provocatorio. Credo che se in quel momento
non fossi stato immobilizzato gli sarei
saltato addosso e l’avrei strangolato.
Invece mi toccò sentirlo tutto il tempo.
«È inutile che mi minacci o mi malmeni, non voglio averci niente a che fare.» gli dissi senza mezzi termini.
«Davvero?» la sua voce era rimasta
impassibile. «Perché sai, ho preso contatti con una persona. Una simpatica, a
quanto ho capito molto vicina a te …»
A quel punto provai veramente ad alzarmi e strangolarlo. Senza successo.
L’uomo che mi sovrastava pesava non
poco.
«Tu lo farai o a quella persona succederanno tante cose spiacevoli. Che ne
dici, ti piace come patto?» chiese sarcastico. Rigettando il mio orgoglio ferito sussurrai un sì. A lui bastò.
«Benissimo, ti metti all’opera stasera,
aspetta che ti do tutti i dettagli.» disse
soddisfatto.
Quando uscii dal Comune il lampione
di fronte alla porta emetteva una luce
intermittente. Preso dall’ira e dalla
frustrazione gli tirai un calcio. Il suono
rimbombò per tutto il vicolo. Poi il
lampione si spense completamente.
To be continued …
Dormiamo
di Federico Pellati
"È interessante come tu decida di azionarti proprio quando ho bisogno di te, cervello mio."
"Non posso farci nulla mio caro, quando mi abituo poi mi rimane difficile placarmi!"
"Diavolo, mi farai diventare matto!"
"Forse già lo sei. Se non te ne fossi reso conto, stai parlando con me a voce alta. Pensi abbia delle orecchie?"
"Magari puoi provare le mie e smetterla di fare il comodo tuo!"
"Magari posso cominciare a spegnermi proprio quando più hai bisogno di me. Hai un test di matematica lunedì, correggimi
se sbaglio..."
"Infame, vile cane. Perché dipendo
così tanto da te?!"
"Perché sei un povero umano ed io
sono semplicemente più figo di te."
"20 regioni, 150 stati,6 continenti,
centinaia di pianeti milioni di galassie
migliaia si universi... E tu a me dovevi
rompere le scatole?"
"Sei l'unico che mi permette questi
lussi. Ti fai pochi problemi, ma ragioni
bene con me. Non ti fai influenzare,
così mi trovo a ragionare solo sulle
TUE idee. D'altronde, riconosco la tua
superiorità rispetto alla media."
"Wow..."
"Gia..."
"Sì ma ora voglio dormire"
"'notte.."
...
"Ci sei ancora?"
"NO!"
"notte.
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PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia
Bianca come il latte
rossa come il sangue
a cura di Priscilla Raucci
Leo è un sedicenne come tanti, ama le
chiacchiere con gli amici, il calcetto, le
scorribande in motorino e vive in perfetta simbiosi con il suo iPod. Le ore
passate a scuola sono uno strazio, i
professori "una specie protetta che
speri si estingua definitivamente".
Leo sente in sé la forza di un leone, ma
c’è un nemico che lo atterrisce: il bianco. Il bianco è tutto ciò che è legato alla
perdita, al nulla, alla morte. Il contrario del bianco è il rosso; il rosso è amore, emozione, uragano che ti travolge;
il rosso è Beatrice, la ragazza di cui Leo
si innamora. Accanto a Leo ci sono anche altre personaggi, più vicini, come
Niko, compagno di squadra nel torneo
di calcetto, Silvia, amica sempre fedele,
il Sognatore, il supplente di storia e filo, “uno che ci crede veramente in
quello che fa”.
Leo un giorno scopre che Beatrice è
ammalata
di leucemia. Morirà:
l’epilogo è chiaro subito. La grandezza
nel libro non sta infatti nella trama,
ma nelle domande che vengono poste e
nel modo in cui questo ragazzo le vive.
E durante la malattia di Beatrice la
domanda di fondo sarà una sola: il rosso può prevalere sul bianco?
Bianca come il latte, rossa come il sangue di Alessandro D’Avenia (un profes-
I Macarons
Grazie al mio ultimo viaggio
d'istruzione a Parigi, ho scoperto
queste delizie francesi, i macarons,
piccoli dolcetti formati da due
dischetti di meringa e farciti con ogni
varietà di creme, dal semplice
cioccolato al sofisticato tartufo.
Il loro nome può suonarci familiare.
“Macarons” deriva infatti dall'italiano
“maccheroni” e la tradizione vuole che
siano stati importanti dal nostro paese
in Francia da Caterina de' Medici che li
fece subito diventare popolari nelle
sore di lettere di Milano) è un libro
che, pubblicato un paio di anni fa, ha
subito scalato le classifiche alla voce
“letteratura adolescenziale” ed è proprio questo, un libro che parla di adolescenti, ma non scritto solo per adolescenti. Forse non sarà un capolavoro,
ma ha abbastanza spessore per sollevare domande importanti, regalare
una lacrima e un sorriso, abbastanza
forte da distruggere e fare a pezzi gli
stereotipi e le etichette che troppo
spesso vengono appiccicate a quella
fase della vita.
De Gustibus
corti francesi. Si narra
inoltre che siano stati i
dolci preferiti da Maria
Antonietta.
La storia moderna dei
macarons inizia poi nel
1862, quando viene fondata
la nota catena di pasticcerie “Ladurèe”,
ormai conosciuta in tutto il mondo
proprio per la preparazione di questi
pasticcini. È proprio il fondatore Pierre
Desfointaines ad aver aggiunto la
varietà di creme tra le due meringhe.
Passeggiando per le strade di Parigi si
possono incontrare diversi punti
vendita “Ladurèe”, riconoscibili dalle
immense vetrine caratterizzate da
piramidi multicolore di macarons e da
scatoline ricamate e infiocchettate
piene di dolcetti. Entrando poi per
curiosare ci si rende conto di non
essere più in una normale pasticceria
ma in un magico mondo che odora di
mandorle e zucchero, ingredienti
principali dei macaron. Vi confesso che
la scelta è stata molto ardua di fronte
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Rubrica culinaria a cura di Noemi Sgrigna
ad un arcobaleno di sapori e colori
quando una simpatica inserviente mi
ha invitato a provarne uno!
Il tocco segreto dei laboratori Laduree
consiste nel far riposare ogni macaron
in posizione verticale per permettere
alla crema di fondersi perfettamente
con il sapore della meringa.
Ultimamente la moda dei macarons sta
dilagando anche nel nostro Paese così
Ladurèe ha deciso di aprire due punti
vendita anche a Milano.
Preparare dei macarons non è
semplicissimo ma se dopo aver letto
questo articolo avete voglia di
provarne uno potete recarvi al “Caffè
Ciampini” in P.zza Trinità dei Monti a
Roma, uno dei pochi rivenditori della
nostra zona.
PìgreKo – Giornalino scolastico dell’I.I.S. “Blaise Pascal” di Pomezia
The Game
Luca
di Luca Albertini
di Carmine Puglisi
Ti sto per insegnare questo gioco ma se non vuoi conoscer-
La conosceva da sempre
Viveva nella casa accanto alla sua
Erano cresciuti senza mai rivolgersi la parola
I loro genitori non si erano mai sopportati
E anche loro non si sopportavano
Lei era femmina e faceva giochi da femmina
Lui era maschio e faceva giochi da maschio
L’aveva vista giocare con le bambole in giardino per ore
da sola in silenzio
senza mai alzare lo sguardo
Quando alle volte la sua palla andava di là
Lei neanche voltava la testa
Doveva andare a suonare alla loro porta
sentire i rimproveri della madre
lo smetti di leggere.
Ho imparato a giocare solo qualche anno fa da un mio
amico che si chiama Matteo
E vorrei aggiungere che una volta capito il meccanismo
non ne ho potuto più fare a meno.
Giocando, mi cimentavo per trovare nuovi modi per far
rosicare la gente e dopo ve ne farò un esempio.
A questo punto inizierei col spiegarvi in cosa consiste,
Ma devo fare una premessa, il gioco finisce se
E solo se tutto il mondo sarà a conoscenza di questo gioco.
Non è l'unico modo però questo per far finire il gioco,
un'altra variante afferma che il gioco finirà quando il primo ministro britannico annuncerà Il gioco è finito (The
game is up).
Poi improvvisamente era scomparsa
Non usciva più in giardino
Sentiva la sua presenza
solo attraverso la luce accesa
o la musica che veniva dalla sua camera
Il gioco nasce in Inghilterra intorno agli anni '90. Non sappiamo chi lo abbia inventato ma conosciamo il motivo: disturbare la mente umana.
Un giorno mentre Luca tornava a casa
l’aveva incontrata mentre lei usciva
Dopo qualche passo improvvisamente lentamente
si era voltata verso di lui
Lo aveva guadato per la prima volta negli occhi
Per un attimo era rimasto sorpreso
Non la riconosceva più
Lei non era più lei
lui non era più lui
Come funziona? E' semplice, il gioco consiste nell'evitare di
ricordarsi del gioco stesso. Un palese esempio lo troviamo
in questa frase si Dostoevskij: "cerca di non pensare ad un
orso bianco e questo continuerà a venirti in mente". Inoltre, ogni volta che si pensa al gioco si perde e si entra nel
"grace period" che consiste in 30' minuti di immunità.
Terminato questo intervallo, ricomincia il ciclo. Adesso vi
propongo un esempio di The Game carino e simpatico: leggete le iniziali maiuscole di ogni riga a partire da "Ti sto..."
e vedrete che si comporrà qualcosa.
Ora, improvvisamente, in una frazione di secondo
Luca aveva scoperto cosa fosse l’amore
Con questo chiudo dicendoti: "Hai perso".
P.S. Hai appena iniziato a giocare!
Frammenti
a cura di Ivan Procaccini
“
Non lo se mamma aveva ragione, o se ce l'ha il
tenente Dan o… non lo so. Se abbiamo ognuno il
suo destino o se siamo tutti trasportati in giro per caso come da una brezza. Ma io… io credo… può darsi le due cose.
Forse le due cose capitano nello stesso momento. Mi manchi tanto Jenny. Se hai bisogno di qualcosa, non sarò molto
lontano.
”
dal film “Forrest Gump”
Contatti:
Internet: http://pigreko.it/
e-mail: [email protected]
Referenti : Federico Pellati e Giulia Guidotti
Grafica: Francesco De Dominicis
Sito Internet: Matteo Filippi
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