rinasce palazzo barberini vermeer: la lettera d`amore

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rinasce palazzo barberini vermeer: la lettera d`amore
RINASCE PALAZZO BARBERINI
VERMEER: LA LETTERA D’AMORE
Anna Lo Bianco e Angela Negro
E’ nella consuetudine della vita di ogni grande museo avviare sul piano internazionale scambi di
capolavori che favoriscono la conoscenza reciproca di diverse culture figurative, creando così nel
pubblico nuovi stimoli e nuove aperture.
La presenza nella Galleria Nazionale di Arte Antica del quadro famoso di Vermeer acquista però
oggi un più profondo significato. E’ questa infatti la prima tappa di un percorso che ha come
traguardo la rinascita di Palazzo Barberini come grande museo, così come progettato nel 1949 con
l’acquisto dell’imponente dimora per ospitare le collezioni di arte antica di proprietà dello Stato in
un’unica, ineguagliabile sede nel cuore di Roma.
A breve scadenza, a questo primo incontro, seguirà infatti l’apertura del giardino seicentesco
restaurato nella sua struttura monumentale che si integra mirabilmente agli arredi arborei e alla
elegante architettura della serra, perfettamente recuperata nel restauro. Nei lavori è stata ripristinata
l’antica rampa originale a gradoni di ingresso al giardino, luogo privilegiato della corte Barberini.
Furono infatti proprio i cardinali Francesco e Antonio a dedicare cure particolari al grande giardino,
meravigliosamente ricco di essenze rare e preziose, ma anche di esemplari di fauna esotica come –
stando alle fonti – un cammello. Nel restauro è stato mantenuto il carattere seicentesco di giardino
segreto, dove si stemperava nei profumi della natura la grandiosità della vicina architettura. Un
giardino all’italiana diviso in percorsi verdi dalle siepi di bosso, ora perfettamente tornate in sede,
così come le documentano le incisioni del tempo. Una natura razionalizzata a misura d’uomo,
quindi, simile ma anche antitetica rispetto al verde lussureggiante e casuale che più oltre
fiancheggiava fino a Porta Pia il percorso antico dell’attuale via XX Settembre.
Seguirà quindi l’attesa riapertura al pubblico delle sale del piano nobile restaurate secondo i criteri
della moderna musealizzazione, in cui saranno collocati i dipinti della fine del Cinquecento e
dell’età barocca. Sarà finalmente possibile esporre opere conservate nei depositi per mancanza di
spazio, ma essenziali alla comprensione delle varie fasi della produzione artistica di questo periodo
cruciale. Tra queste i grandi paesaggi di Brill e di Dughet, le tele di Passarotti, di Mastelletta, di
Tintoretto, di Poussin. E ancora i quadri di Valentin de Boulogne, di Manetti, di Baglione, di Preti
ricostruendo in maniera allargata il vasto nucleo di pittura caravaggesca, che può vantare la galleria.
Si potranno poi vedere alcune opere acquistate recentemente come il Parnaso di Taddeo Zuccari,
affresco proveniente dal Casino del Bufalo, demolito alla fine dell’ottocento per far spazio a via del
Tritone. E ancora la Divina Sapienza di Andrea Sacchi, posta nella sala affrescata dal pittore con lo
stesso tema. Ma rivedremo anche i preziosi dipinti di Francken il giovane, recentemente restaurati e
le tele dei cortoneschi Romanelli e Gimignani, fra cui una Allegoria della fortuna, recentemente
acquisita dallo Stato, che rinnovano la loro stretta sintonia con la vita del palazzo. Prende così il suo
assetto definitivo la prima tranche del riallestimento della galleria nei tre piani del palazzo, come
previsto negli ultimi accordi fra Ministero della Difesa e Ministero per i Beni e le Attività Culturali,
che continuerà negli anni seguenti con la sistemazione al piano terra dei Primitivi e del
Quattrocento. Infine il riallestimento su vasta scala del Settecento al secondo piano del palazzo. Né
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Via dei Baullari, 4 - 00186 Roma - Tel. +39 06 6893806 - Fax. +39 06 68808671
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questo percorso artistico sarà fatto solo di quadri: si vuole infatti accostare la loro presenza gli
arredi barocchi di cui la galleria è ricca, relegati fino a oggi nei depositi, ad una scelta di arazzi e
sculture di scavo o sei-settecentesche, che da sempre servirono come ornamento del palazzo.
Nella prima metà del prossimo anno, si terrà poi la mostra Bernini pittore allestita nel salone di
Pietro da Cortona: una sceltissima selezione di opere provenienti da tutto il mondo curata da
Tomaso Montanari.
La Lettera d’amore di Vermeer, il capolavoro siglato e datato dal pittore nel 1667, non è mai stato
esposto a Roma. Il fascino della sua pittura e la sua straordinaria raffinatezza esecutiva dalla
riscoperta dell’artista in tempi relativamente recenti alla fine dell’Ottocento non hanno cessato di
incrementarsi fino allo straordinario successo della grande mostra tenutasi all’Aja nel 199. Una
delle chiavi di questo successo moderno è proprio nella scelta di una quotidianità domestica e
borghese, rappresentata spesso negli aspetti più intimi. Il versante segreto della ricca borghesia
nordica, mercantile e operosa, circondata in patria dal solido benessere di una vita confortevole e
aperta sui mari verso gli orizzonti di grandi rotte commerciali. Quanto lontana per noi questa
consapevole sicurezza nella realtà delle piccole cose del seicento olandese dalla retorica altisonante
del barocco romano, dal gioco delle illusioni e degli spazi illimitati che trova nel voltone Barberini
di Pietro da Cortona il suo manifesto più significativo! Un incontro tanto insolito quanto
emblematico per mettere due mondi a confronto.
Vermeer non è mai stato a Roma, eppure il viaggio in Italia e il soggiorno romano erano una
consuetudine per gli artisti nordici. Proprio in questa seconda metà del seicento nella città papale si
sviluppa quel movimento comunemente chiamato dei Bamboccianti che applica alla visione delle
antiche rovine e della luce italiana la realtà della strada e del cortile, con figurette dal vivo di
borghesi, mendicanti, soldati. Una realtà popolare “ senza storia” che nel pittoresco trova la
ragione del suo successo, e insieme il suo limite invalicabile, tale da circoscriverla nel campo
ristretto della “pittura di genere”.
Pur partendo dalla stessa radice quotidiana, Vermeer se ne distanzia anni luce .Nelle sue scene di
interno gli oggetti del vivere, anche se descritti con rara e ostinata minuzia, sono solo la cornice di
una dimensione dell’anima, quasi sempre indefinibile e sospesa: tanto circondata di confortevoli
materiali certezze, quanto intima e impercettibile nella sostanza. Il mistero che ne deriva è il
fascino più profondo dell’opera anche se le infinite domande che la scena ci pone rimangono senza
risposta.
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