AIOCC Cultura e formazione per gli operatori
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INDICE ALIMENTAZIONE Per una dieta sana e corretta IL“SENTIRE” AIOCC Cultura e formazione per gli operatori VALUTARE IL DOLORE Negli anziani affetti da decadimento cognitivo DELIRIUM NEL PAZIENTE ANZIANO Cause e sintomi per evitare complicanze IL CONGRESSO AIOCC I positivi segnali di un cammino comune PIAGHE DA DECUBITO Una conseguenza davvero inevitabile? XVII CORSO INFERMIERI Dedicato all’anziano con demenza CALDO, CHE FARE? Sinergie vincenti contro la disidratazione LESIONI DA DECUBITO La qualità degli interventi in Casa di Riposo SUGGERIMENTI DA UNO STUDIO AMERICANO PER MIGLIORARE LA PRATICA CLINICA LA CURA DEL DELIRIUM Collaborazione tra medico ed infermiere OPERATORI E FORMAZIONE AIOCC e l’appuntamento a PTE Expo 2007 MUSICOTERAPIA E DEMENZA La collaborazione tra medico ed infermiere INDICE AIOCC < ALIMENTAZIONE Per una dieta sana e corretta > AIOCC * UNA CORRETTA ALIMENTAZIONE È IMPORTANTE AD OGNI ETÀ PER IL MANTENIMENTO DELLA SALUTE E DEL BENESSERE. NUMEROSI STUDI SONO STATI CONDOTTI PER VALUTARE LE ABITUDINI ALIMENTARI ED I PROBLEMI NUTRIZIONALI DELLA POPOLAZIONE ANZIANA. NEL LORO INSIEME I DATI DISPONIBILI, SEBBENE NON SIANO TOTALMENTE CONCORDI, NON EVIDENZIANO MARCATE DEFICIENZA O DIFFUSA SOTTONUTRIZIONE TRA GLI ANZIANI. RISULTA PERÒ EVIDENTE CHE LO STATO NUTRIZIONALE DIPENDE PIÙ CHE DALL’ETÀ IN SÉ DALLE CONDIZIONI COMPLESSIVE DI VITA, DALLO STATO FUNZIONALE E DI SALUTE PSICO-FISICA. LA SITUAZIONE familiare, per esempio, influenza l’alimentazione degli anziani che vivono al domicilio; infatti, coloro che vivono da soli hanno un apporto calorico mediamente inferiore del 10-20% rispetto a quelli che vivono in famiglia. Le persone che vivono da sole spesso perdono interesse per la propria persona e sono scarsamente motivate ad alimentarsi adeguatamente, perché senza stimoli e talora depresse. Anche il grado di istruzione e il reddito condizionano l’apporto alimentare: il numero di anziani che si uniformano alle raccomandazioni dietetiche è, per ogni nutriente, più alto nei gruppi a grado di istruzione più elevato. Nell’Health and Nutrition Examination Survey il 27-36% degli anziani che disponevano di un reddito basso assumeva meno di 1000 kcal/die, mentre se il reddito era elevato questa quota era del 16-18%. Le ridotte disponibilità finanziarie, l’incapacità (o la scarsa possibilità) di cucinare il cibo incidono sulle scelte alimentari dell’anziano; per questo la carne, le verdure e la frutta fresca sono raramente presenti nella dieta del vecchio. Le situazioni di limitazione dell’autosufficienza influenzano lo stato nutrizionale, anche riducendo le possibilità di accedere ai negozi, di preparare i cibi o addirittura di nutrirsi e determinano un aumentato rischio di malnutrizione. L’edentulismo è considerato uno dei più frequenti fattori di rischio di denutrizione. Il soggetto edentulo in effetti elimina spon- taneamente tutti gli alimenti che non è capace di assumere senza preparazione, privilegiando alimenti come minestre o latticini ed eliminando di conseguenza carne, frutta e verdura che sono fonti preziose di proteine, vitamine e fibre. Infine, un ruolo rilevante nell’orientare le scelte alimentari hanno le abitudini contratte con gli anni che difficilmente vengono modificate, e che anzi, sono spesso sostenute dalla disinformazione alimentare; schemi dietetici spesso inadeguati rispetto ai reali fabbisogni alimentari, ma legati a pregiudizi o a costumi sbagliati, sono conservati per anni. Dal complesso delle indagini epidemiologiche risulta che una proporzione variabile dal 15 al 25% degli anziani ha un’alimentazione insufficiente, mentre per il 20-30% dei casi l’apporto alimentare è elevato. Cosa manca nella dieta degli anziani Gli studi condotti utilizzando analisi biochimiche hanno mostrato che gli alimenti più frequentemente deficienti nella dieta dell’anziano sono le vitamine (in particolare A, C, tiamina, riboflavina e piridossina), il calcio, il ferro e lo zinco. Anche l’apporto di proteine è talvolta insufficiente; il contenuto proteico è largamente influenzato dalle disponibilità finanziarie. Modificando le abitudini dietetiche nell’età avanzata si può quindi ottenere un effettivo miglioramento delle condizioni dell’anziano. L’attenzione dei ricercatori è rivolta perciò alla definizione della “dieta salutare”, in grado di evitare le malattie e i disturbi a componente nutrizionale, dovuti a una dieta non corretta in termini qualitativi e/o quantitativi (per difetto o per eccesso di alcuni nutrienti). Per una sana alimentazione La definizione del fabbisogno nutrizionale della persona anziana non è comunque semplice; infatti i dati a questo proposito sono limitati e discussi. Fra i più noti standard di fabbisogno nutrizionale vi sono le Recommended Dietary Allowances utilizzate negli USA e i Livelli di Assunzione Raccomandati (LARN) in Italia. Queste stime dei fabbisogni nutrizionali degli anziani derivano da estrapolazioni dei dati ottenuti sui soggetti giovani adulti e si rivolgono ad un “individuo medio” di riferimento (esente da malattie, di peso ottimale, di altezza media, di costituzione normolinea, non esposto a violenti stress ambientali e che svolge un’attività fisica leggera). Le notevoli variazioni interindividuali esistenti fra gli anziani rendono però poco utilizzabili gli standard; queste indicazioni sono utili per studi su popolazioni o gruppi di popolazioni. La presenza di patologie croniche e l’eventuale disabilità, l’interazione con i farmaci, l’uso di alcool, il livello di attività fisica, la situazione socio-economica e familiare sono alcune delle condizioni che modificano i fabbisogni nutrizionali del singolo. È quindi necessaria una valutazione il più possibile individualizzata delle necessità alimentari dell’anziano, che, tenendo conto di tutti questi fattori, porti all’indicazione di un regime specifico, altamente calibrato, evitando pericolosi schematismi. Un altro importante aspetto della composizione della dieta è il rapporto fra carboidrati, lipidi e proteine. Si ritiene che nella dieta dell’anziano più del 50% delle calorie totali debbano essere fornite dai carboidrati, il 30-40% dai lipidi ed il 15GEN 06 ASSISTENZA ANZIANI 59 INDICE > AIOCC 20% dalle proteine; le calorie fornite dall’alcol non devono superare il 5% dell’apporto complessivo. Uno degli aspetti più importanti e più dibattuti dell’alimentazione dell’anziano è il fabbisogno di proteine. Le inchieste nutrizionali hanno dimostrato che la denutrizione o la malnutrizione proteica sono di frequente riscontro nella terza età. Numerose sono infatti le condizioni che in questa fascia di popolazione possono determinare un insufficiente apporto di proteine. Tra queste sono di particolare importanza la poca assunzione di carne e le condizioni organiche (la frequente edentulia, la riduzione del gusto e dell’olfatto e le malattie che interessano l’apparato gastro intestinale). Le proteine alimentari svolgono un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’equilibrio fisiologico, in particolare della massa muscolare, dello scheletro e delle difese immunitarie. Alcuni studiosi sostengono che la riduzione della massa muscolare, cui si assiste con l’invecchiamento, possa essere, almeno in parte, prevenuta da un adeguato apporto di proteine e dal mantenimento dell’attività fisica. I cibi a più elevato contenuto di proteine sono la carne, il pesce, le uova e, tra i vegetali, i legumi e i cereali. Per una alimentazione equilibrata il 65% delle proteine dovrebbe essere di origine animale e il 35% vegetale. Nell’anziano almeno uno dei pasti principali deve essere quindi costituito da una porzione di carne o di pesce; nell’altro dovranno essere invece inseriti altri alimenti ricchi di proteine. Il fabbisogno di proteine aumenta poi in corso di malattie febbrili, ustioni, piaghe da decubito, fratture ed anche dopo interventi chirurgici. Con l’invecchiamento intervengono poi importanti modificazioni del metabolismi glucidico. Nonostante negli anziani si assista ad una riduzione generale della sensibilità gustativa, il “dolce” mantiene la sua importanza, perché è una situazione piacevole e gratificante. Oltre a ciò gli alimenti ricchi di glucidi sono di facile masticazione e per questo preferiti dagli anziani. La capacità di digestione e di assorbimento degli zuccheri non sono sostanzialmente compromesse nell’invecchiamento; con l’avanzare dell’età si assiste invece ad una progressiva ridu60 GEN 06 ASSISTENZA ANZIANI zione della tolleranza dei carboidrati. I carboidrati rappresentano la principale fonte di energia; almeno il 50% delle calorie totali dovrebbe essere fornita da carboidrati. La presenza invece di lipidi nella dieta è importante per l’equilibrio alimentare perché apporta sostanze che l’organismo non è in grado di sintetizzare, cioè gli acidi grassi essenziali. Queste sostanze sono indispensabili al normale mantenimento e sviluppo dell’organismo; il fabbisogno di acidi grassi non è esattamente calcolato, viene comunque considerato soddisfacente una quantità che copra dal 2 al 6% delle calorie totali. Il contenuto di acidi grassi è scarso nei lipidi di origine animale, mentre ne sono ricchi quelli di origine vegetale. L’olio di soia, per esempio, contiene il 50-65% di acidi grassi essenziali, quello di mais il 4060%, l’olio di oliva il 4-15%, mentre il burro solo l’1-4%. I lipidi sono necessari per l’assorbimento delle vitamine liposolubili: la A, la D, la E e la K. La funzione primaria dei grassi alimentari è quella di provvedere energia; i lipidi sono infatti la fonte più concentrata di calorie. Una dieta salutare deve apportare un’adeguata quantità di sali minerali, sostanze necessarie per molti processi metabolici e funzioni: per esempio per la contrattilità muscolare e miocardica, per la conduzione dell’impulso nervoso, per la funzione immunitaria. Il mantenimento della costanza della loro concentrazione nel plasma e nei liquidi extra e intracellulari è una delle funzioni fondamentali dell’organismo. I sali minerali fondamentali per il nostro organismo sono: il ferro, il sale (cloruro di sodio), il calcio e il potassio. Infine è importante non dimenticare il ruolo delle vitamine che rappresentano dei composti chimici necessari in molti processi biologici; esse agiscono in piccole quantità, però, poiché l’organismo non è in grado di sintetizzarle, è necessario un continuo apporto con la dieta. Le vitamine vengono suddivise in idrosolubili (rapidamente escrete) e liposolubili (escrezione lenta); la loro carenza determina a tutte le età sindromi tipiche, anche gravi. Le vitamine più importanti per l’organismo umano sono: vitamina C (importante per la formazione delle sostanze intercellulari), la vitamina B6 (coenzima essenziale per i metabolismi), acido folico (precursore essenziale di composti indispensabili per reazioni metaboliche), vitamina B12 (essenziale per l’accrescimento, l’emopoiesi, la riproduzione cellulare, per il trofismo della mielina), vitamina A (necessaria per la visione notturna e per l’integrità delle cellule epiteliali), vitamina D (importante per il metabolismo del calcio e del fosforo e dell’attività del paratormone), vitamina E (azione antiossidante) e vitamina K (necessaria per la sintesi di molti fattori della coagulazione). Come valutare qualità e quantità della dieta Valutare se un anziano a rischio di malnutrizione assume correttamente la dieta prescritta è il primo passo per un eventuale successivo intervento. La scheda proposta è di facile e semplice compilazione ed è indicata per la valutazione INDICE AIOCC < quantitativamente corretta. Può essere utilizzato per gli anziani che vivono a casa o istituzionalizzati e per i quali si sia reso necessario definire una dieta. La scheda può essere compilata dal familiare opportunamente informato o dall’operatore di assistenza. Non viene attribuito alcun punteggio, ma un simbolo che corrisponde alla quantità di pasto introdotto rispetto al pasto servito. * (A cura della segreteria scientifica) della quantità di cibo consumata effettivamente da un soggetto. É utile per monitorare l’effettiva assunzione della dieta prescritta, mentre è di scarsa utilità per valutare l’abituale consumo di cibo giornaliero. La compilazione accurata può evidenziare chiaramente l'inadeguata assunzione dietetica (al di sotto del 75% del fabbisogno giornaliero prescritto) e giustificare l'intervento personalizzato dello specialista, perché fornisca informazioni per una dieta qualitativamente e SCHEDA PER VALUTARE L'ASSUNZIONE DIETETICA GIORNALIERA Assunzione dietetica giornaliera Alla fine di ogni pasto metti le croci nel riquadro corrispondente: + se l'introduzione è stata 1/4 del pasto ++ se l'introduzione è stata 1/2 del pasto +++ se l'introduzione è stata 3/4 del pasto ++++ se l'introduzione è stata 4/4 del pasto Per il fuori pasto: ++ se l'introduzione è costituita da bevande calde (latte, cioccolato etc.) ++++ se l'introduzione è costituita da una bevanda più un panino, un toast o un pacchetto di cracker). data colazione pranzo merenda cena snack totale * Fonte: Department of Medicine and Gerontology Toulouse University Hospital (Valeas, 1995) Versione Italiana Bibliografia Bianchetti A e Boffelli S: Stato nutrizionale e demenza: una interazione complessa. Demenze 2000; 3:5-13 Carraro R, Staffieri E: Gli strumenti di valutazione del rischio di malnutrizione In: E.Zanetti (Ed) Gli strumenti di valutazione in geriatria Lauri Edizioni, Milano 1998. Craig S.: La Nutrizione Parenterale Una guida pratica per l'infermiere Clintec s.r.l. 1998 Menecier P., Menecier-Ossia P., Bonnet N., Bonin P, Lenoir C, Kaker N.: Protein-energy-malnutrition associated factors among nursing home elders. Age & Nutrition 1999 vol 10 Pallini P, Saggioro A., Aspetti clinici nutrizionali e ricadute economiche. Atti del Convegno "Investire in nutrizione per le Aziende Sanitarie del nuovo millennio" Nutricia Service, 1998:7-11. Steen B.: Preventive nutrition in old age - a review J Nutr Health Aging 2000;4(2):114-9 Reuben DB, Greendale GA, Harrison GG. Nutrition screening in older persons. Journal of the American Geriatrics Society. 1995;43(4):415-25. Steen B.: Preventive nutrition in old age - a review J Nutr Health Aging 2000;4(2):114-9 Sullivan DH, Walls RC, Bopp MM. Protein-energy undernutrition and the risk of mortality within one year of hospital discharge: a follow-up study. Journal of the American Geriatrics Society. 1995;43(5):507-12. GEN 06 ASSISTENZA ANZIANI 61 INDICE > AIOCC IL “SENTIRE” AIOCC Cultura e formazione per gli operatori > di ERMELLINA ZANETTI * VENERDÌ 11 NOVEMBRE 2005 A FIRENZE, NELL’AMBITO DEL 50° CONGRESSO DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI GERIATRIA E GERONTOLOGIA, È STATA UFFICIALMENTE SANCITA LA NASCITA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA OPERATORI CURE CONTINUATIVE (AIOCC) DI CUI HO L’ONORE DI AVERE ASSUNTO LA PRESIDENZA. > Ermellina Zanetti L’ASSOCIAZIONE nasce dal comune sentire di diversi operatori delle cure per anziani, di avere un ambito di riflessione, crescita e diffusione di un pensiero ed una cultura della “continuità” della “presa in carico” non solo dei problemi clinici delle persone affette da malattie croniche e disabilità, ma anche dei problemi compresenti e interattivi e dei processi che sono propri della vita delle persone e non solo della cura. L’Associazione Italiana Operatori Cure Continuative (AIOCC) si rivolge a tutti coloro che si occupano di cure continuative: Medico, Infermiere, Fisioterapista, psicologo, Operatore Socio Sanitario, Operatore Socio Assistenziale, Assistente Sociale, Animatore, Educatore, a tutti coloro quindi che operano negli ambiti dedicati alla cura e assistenza dei pazienti cronici e delle loro famiglie. Operare nel settore delle cure della cronicità significa infatti integrare sensibilità e conoscenza sia di aspetti sanitari sia sociali, di malattia e salute, di tecnologia e “umanizzazione”, di specificità e globalità, senza diventare “tuttologi” ma tramite la disposizione e l’esercizio del dialogo, integrazione, confronto e coordinamento. Le molte occasioni di incontro con gli operatori mi hanno infatti insegnato che una buona qualità delle cure e dell’assistenza non è possibile senza un serio lavoro d’equipe teso alla definizione e alla condivisione di obiettivi, prima ancora che all’adozione di protocolli e procedure. 58 GEN 06 ASSISTENZA ANZIANI Le molte incertezze che caratterizzano ancora oggi la cura e l’assistenza ai soggetti anziani richiedono un costante lavoro che consenta l’integrazione tra le evidenze scientifiche disponibili, la storia del paziente, i suoi desideri e quelli della sua famiglia. Non si tratta di negoziare le cure e l’assistenza, ma di trovare la soluzione più appropriata ai bisogni dell’anziano, alla sua situazione di malattia e di vita. L’Associazione vuole dunque essere luogo di integrazione dei saperi e delle competenze dei professionisti e degli operatori e in questo primo anno di attività l’obiettivo è quello di costruire questo luogo, creando occasioni di incontro tra i diversi attori delle cure per anziani attorno ai temi della cura e dell’assistenza. La prima importante occasione sarà il I Congresso Nazionale AIOCC che si svolgerà dal 21 al 23 marzo nell’ambito del PTE-EXPO di Verona e di cui nelle pagine precedenti è riportato il programma nel dettaglio. La coincidenza della data di ufficializzazione dell’Associazione con la festa di San Martino, l’11 novembre, mi suggerisce che come il Santo ha risposto al bisogno del viandante offrendogli il suo mantello, così gli operatori delle cure debbono essere messi nelle condizioni di rispondere ai bisogni degli anziani con interventi capaci di soddisfare le loro esigenze di cura e di care. Il mantello degli operatori ha una trama di cultura e un ordito di competenza e si concretizza in gesti di cura rispettosi della dignità e del bisogno degli anziani affidati alle loro cure. L’impegno che ci assumiamo attraverso questa Associazione, che confido possa essere condiviso da molti, è quello di porre sotto questo mantello gli anziani di oggi e di domani, accolti nei diversi luoghi della cura. * Presidente Associazione Italiana Operatori Cure Continuative AIOCC ISCRIZIONI 2006 L’iscrizione è gratuita. Per iscriversi all’Associazione visitare il sito www.grg-bs.it o contattare la segreteria organizzativa: FIN-MARK Srl Via di Corticella 205 - 40128 BOLOGNA - Tel 051/4199911 - Fax 051/4199923 [email protected] www.fin-mark.com INDICE AIOCC < VALUTARE IL DOLORE Negli anziani affetti da decadimento cognitivo > di ERMELLINA ZANETTI * > Ermellina Zanetti NON C’È TEMPO DA PERDERE PER CHI NON PUÒ RICORDARE Proponiamo in questo secondo inserto AIOCC il tema della valutazione del dolore nei soggetti affetti da demenza. Quest’anno l’ Alzheimer’s Disease Association celebra i 100 anni dalla prima descrizione della malattia da parte di Alois Alzheimer (1864-1915) il, neurologo attivo ad Heidelberg e poi a Monaco da cui prese il nome la malattia. L’associazione, la stessa che ha stabilito il 21 settembre come giornata mondiale dedicata a “chi non può ricordare”, ha coniato lo slogan “non c’è tempo da perdere” per indicare la necessità di un impegno nei confronti dei pazienti e delle loro famiglie da parte di tutti i cittadini. Come operatori non possiamo sottrarci all’impegno di migliorare la nostra capacità di assistere questi pazienti i cui bisogni sono innumerevoli e complessi. Certamente la rilevazione del dolore e uno degli aspetti più controversi e difficili: vi è anche stato, anni fa, chi sosteneva che queste persone, a causa dei deficit cognitivi, non sperimentassero dolore. Oggi sappiamo che i dementi soffrono e provano dolore, esperienza che in taluni casi si associa alla disperazione di non comprendere cosa stia loro accadendo. La valutazione del “sintomosegno” dolore è dunque un aspetto importante per chi cura e assiste questi pazienti e permmette di comprendere e prevenire alcuni disturbi del comportamento associati, e di migliorare la qualità della vita di queste persone. La scala di valutazione proposta nell’articolo è disponibile sul sito www.grg-bs.it nello spazio AIOCC. FEB MAR 06 ASSISTENZA ANZIANI 59 > AIOCC INDICE Riconoscere e comunicare il dolore Ognuno di noi impara il significato della parola “dolore” attraverso esperienze molto precoci: ogni bambino, ancora prima di imparare a parlare, lo sa riconoscere senza che nessuno glielo debba insegnare. Il dolore è stata la prima conseguenza della caduta dell'uomo dal paradiso terrestre ("...moltiplicherò i tuoi dolori ... con dolore partorirai ...con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita"). Eppure, è un concetto difficilmente definibile e, soprattutto, poco quantificabile. Che cos’è il dolore, per la scienza ufficiale? Circa 20 anni fa, la International Association for the Study of Pain (IASP) ne ha fornito la seguente definizione: “un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata ad attuale o potenziale danno tessutale…”. Anche se la IASP contempla un certo grado di obiettività quando collega l’esperienza a un “danno tessutale”, dalla definizione emerge chiaramente che il dolore è sempre soggettivo. Entro certi limiti, è soggettiva anche la tolleranza al dolore: alcuni di noi riescono a sopportare disagi anche di un certo rilievo, mentre molti non tollerano il minimo dolore. La semeiotica classica definisce il dolore come un sintomo (non un segno), il più soggettivo tra i sintomi, il più influenzato e quindi "sporcato", ingigantito o ridotto da infinite variabili psichiche, personologiche, culturali, sociali, ambientali. La valutazione del dolore, quindi, dovrebbe basarsi su due attori principali: il paziente che riferisce e il medico, l'infermiere, il familiare, ecc. che ascolta ed interviene. Tutto procede per il meglio quando colui che prova dolore è in grado di comunicarlo e colui che deve curare ha competenza sufficiente per raccogliere la richiesta di aiuto. Cosa succede quando uno dei due soggetti si indebolisce? In particolare, quando il paziente (il portatore del sintomo) non è in grado di ricordare un'esperienza, o di riferirla, o di concettualizzarla? Come si valuta la presenza e l'entità di un dolore nel paziente affetto da demenza? 60 FEB MAR 06 ASSISTENZA ANZIANI INDICE AIOCC < Il problema non è secondario: chi assiste e cura soprattutto soggetti anziani deve necessariamente porselo. Alcuni studi pubblicati in passato avevano segnalato, nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer (AD), un utilizzo di analgesici inferiore rispetto ai soggetti anziani di pari età. Il dato era stato interpretato con diverse spiegazioni, alcune delle quali sono oggi assolutamente rifiutate. Per qualche tempo si è ipotizzato addirittura che i pazienti affetti da AD sarebbero stati soggetto sostanzialmente più sani rispetto ai cognitivamente integri, o che sarebbero stati relativamente immuni dalle sensazioni dolorose. La difficoltà di ricordare un'esperienza, o di riferirla, o di concettualizzarla che caratterizza la demenza e gli studi che hanno dimostrato che i soggetti con decadimento cognitivo lieve e molto lieve lamentano un numero significativamente maggiore di sintomi rispetto ai cognitivamente integri, rendono ragione della necessità di valutare in questi pazienti la presenza di sintomatologia dolorosa. Per valutare il dolore nei soggetti con deficit cognitivo sono stati proposti strumenti di valutazione specifici (Scherder, 1997; Fisher Morris, 1997; Frisoni, 1999; Feldt, 2000). Nei pazienti con decadimento cognitivo più grave, per i quali gli strumenti di valutazione proposti non sono applicabili, la valutazione della presenza e delle possibili cause di dolore è affidata all’osservazione degli operatori: spesso un’agitazione improvvisa o un comportamento insolito possono rappresentare la modalità con cui il paziente cerca di comunicare la propria sofferenza. Rimane estremamente difficile in questi pazienti misurare l’intensità del dolore, Come già accennato, il dolore provoca frequentemente "confusione" associata a apatia o a disturbi comportamentali di tipo positivo, come agitazione, deliri, allucinazioni, insonnia (il termine esatto per definire il tutto è "delirium"). In queste condizioni, è difficile avere la collaborazione del paziente e ottenere delle risposte utili, anche usufruendo delle scale proposte in letteratura che sfruttano le capacità percettive dei pazienti . FEB MAR 06 ASSISTENZA ANZIANI 61 INDICE NURSING < Osservare il dolore Nelle tabelle viene presentato uno strumento di valutazione definito dagli autori con la sigla NOPPAIN - Non-comunicative Patient’s Pain Assessment Instrument- (Lynn Snow et al, 2004) che guida gli operatori ad osservare durante le attività di assistenza diretta i comportamenti che suggeriscono dolore. E’ di facile utilizzo e, oltre a rilevare possibili comportamenti o espressioni che denotano dolore, affina la nostra capacità di osservazione. * Presidente AIOCC Bibliografia • Feldt Karen S; Improving Assessment and Treatment of Pain in Cognitively Impaired Nursing Home Residents Annals of Long-Term Care:Clinical Care and Aging 2000;8[9]:36-42 • Fisher-Morris M, Gellatly A. The experience and expression of pain in Alzheimer patients. Age Ageing 1997;26:497-500. • Frisoni GB, Fedi V, Geroldi C, Trabucchi M. Cognition and the Perception of Physical Symptoms in the Community-dwelling Elderly. Behavior Med 1999;25:5-12. • International Association for the Study of Pain. Pain terms: A list with definitions and notes on usage recommended by the IASP Subcommittee on Taxonomy. Pain 1979;6:249-52. • Lynn Snow et al: NOPPAIN: A Nursing Assistant-Administered Pain Assessment Instrument for Use in Dementia. Dement Geriatr Cogn Disord 2004;17:240–246 • Scherder EJ, Bouma A. Is decreased use of analgesics in Alzheimer disease due to a change in the affective component of pain? Alzheimer Dis Assoc Disord 1997;11:171-174 • Schmidt Luggen A.:Chronic pain in older adults. A quality of life issue. J.Geront.Nurs.1998; 24: 48-54.. • Feldt Karen S; Improving Assessment and Treatment of Pain in Cognitively Impaired Nursing Home Residents Annals of Long-Term Care:Clinical Care and Aging 2000;8[9]:36-42 FEB MAR 06 ASSISTENZA ANZIANI 63 INDICE > AIOCC DELIRIUM NEL PAZIENTE ANZIANO Cause e sintomi per evitare complicanze > di MICHELE ZANI * IL DELIRIUM SI MANIFESTA FREQUENTEMENTE TRA I PAZIENTI ANZIANI OSPEDALIZZATI E SI ASSOCIA AD ALTA MORBILITÀ E MORTALITÀ1. E’ PERTANTO IMPORTANTE RICONOSCERNE E INTERPRETARE I SEGNI E SINTOMI AL FINE DI EVITARE COMPLICANZE. Obiettivi del presente articolo sono: • definire il delirium e le possibili cause, • descrivere i sintomi e i segni per un precoce riconoscimento1. Definizione e criteri diagnostici Tre sono le definizioni di delirium riportate nella letteratura analizzata: • sindrome clinica caratterizzata da alterazioni acute dell’attenzione e dello stato cognitivo2. • sindrome mentale ed organica, acuta e transitoria caratterizzata da un deterioramento globale delle funzioni cognitive, da una riduzione del livello di coscienza, da disturbi dell’attenzione, da aumento o diminuzione dell’attività psicomotoria e da alterazioni del ritmo sonno veglia (1) • sindrome caratterizzata da un’alterazione della coscienza e delle capacità 1 3 2 4 52 APR MAG 06 ASSISTENZA ANZIANI cognitive3. I primi criteri di standardizzazione furono pubblicati nel 1980 dal Diagnostic Statistical Manual III (DSM) basati sul consenso degli esperti e successivamente rivisti nel DSM III-R nel 1987 e nel DSM IV nel 1994. L’importanza di un riconoscimento precoce del delirum si riflette anche sulle decisioni terapeutiche e sugli interventi da attuare: essendo una patologia seconda- INDICE AIOCC < DELIRIUM:CRITERI DIAGNOSTICI DSM IV a. alterazione della coscienza (cioè riduzione della lucidità e della percezione dell’ambiente), con ridotta capacità di focalizzare, mantenere o spostare l’attenzione b. una modificazione cognitiva (quale deficit di memoria, disorientamento, alterazione del linguaggio), o lo sviluppo di un’alterazione percettiva che non risulta meglio giustificata da una preesistente demenza, stabilizzata o in evoluzione c. l’alterazione si sviluppa in un breve periodo di tempo (generalmente di ore o giorni), e tende a presentare fluttuazioni giornaliere Eziologia: 1. condizioni mediche generali (malattie epatiche o renali, traumi cranici, infezioni sistemiche) 2. indotto da sostanze (intossicazione o astinenza) 3. dovuto a eziologie molteplici (eziologia differenziale dalle due precedenti) ria, se presa per tempo, può essere corretta. Epidemiologia In uno studio italiano riportato sulla rivista “Assistenza infermieristica e ricerca” condotto su 585 pazienti ricoverati in geriatria e di età compresa tra i 55 ed i 96 anni i casi di delirium erano pari al 22%. In altri studi la percentuale di pazienti (prevalentemente anziani) colpiti dal delirium oscilla tra il 14% e il 56%2. Fattori di rischio e fattori predisponenti1 Inouye et al (1993) e Inouye & Charpentier (1996) hanno diviso i fattori di rischio in predisponenti e precipitanti. I fattori predisponenti sono presenti al momento dell’ospedalizzazione mentre i fattori precipitanti sono correlati all’ospedalizzazione. Tra i fattori predisponesti si annoverano: • deterioramento cognitivo; • polipatologie; • disidratazione; • età particolarmente avanzata; • abuso di alcool; • sesso maschile. Nei fattori di rischio sono anche incluse le fratture, la depressione e i deficit della vista. In una review condotta da Elie et al nel 1998 su 27 lavori pubblicati tra il 1966 e il 1995 risultò che i fattori di rischio maggiori erano la demenza, l’età avanzata e la polipatologia. Inouye & Charpentier (1996) individuarono cinque fattori precipitanti: la contenzione, la malnutrizione, più di tre farmaci di recente prescrizione, l’uso del catetere vescicale e alcuni fattori iatrogeni. Per Schor et al. (1992) i fattori precipitanti sono le infezioni e l’utilizzo di neurolettici e narcotici; per Martin et al (2002) sono un alto numero di farmaci somministrati durante l’ospedalizzazione, interventi chirurgici, un alto numero di trattamenti diagnostici e cure intensive. I rischi pre-operatori (Marcantonio et al. 1994) sono l’età, l’abuso di alcool, il decadimento cognitivo e dell’attività funzionale, anomalie ematiche di sodio sierico, potassio e glucosio. I rischi post-operatori (Hofsté et al. 1997 e Marcantonio et al. 1998) sono stati individuati nel basso valore di emoglobina e nella perdita di sangue (durante l’intervento), la necessità di trasfusioni e il calo dell’ematocrito. L’anestesia sembra non avere alcuna influenza nello sviluppo di delirium. I fattori correlati all’ospedalizzazione sono la perdita del sonno, la lontananza dai familiari, frequenti cambiamenti di posto (unità di degenza) e la mancanza di finestre. La necessità di conoscere i fattori di rischio e i fattori predisponenti diventa essenziale nella pratica infermieristica al fine di concentrare gli “sforzi” assistenziali su quei soggetti che più di altri potrebbero sviluppare delirium. Come si presenta? Dai dati raccolti in letteratura i segni e sintomi comuni del delirium possono essere così riassunti: • disturbi della percezione (ad es. allucinazioni); • disorientamento; • disturbi del ritmo sonno-veglia; • aumento o diminuzione dell’attività psico-motoria (agitazione o lentezza/letargia); • fluttuazioni del comportamento; • disturbi del linguaggio. Interessante è anche il vissuto dei pazienti che si può ricostruire da alcune interviste riassunte sul “Journal of Clinical Nursing”1: essi descrivono una sensazione di paura e ansia, un profondo senso di solitudine e di mancanza di sicurezza, riferiscono che ogni piccolo segnale esterno può avere un enorme significato e che il modo di fare degli infermieri ha un importante impatto. Descrivono l’esperienza in maniera estremamente varia: da piacevole e divertente a brutta e spaventosa. Gli strumenti di valutazione Tra gli strumenti di valutazione del rischio di delirium si segnala in particolare la NEECHAM Confusion Scale, composta da 9 items di osservazione (processi cognitivi, attenzione, risposta ai comandi orientamento, aspetto, movimento, capacità di parlare, segni vitali, continenza urinaria e saturazione dell’ossigeno) e di cui si riporta una breve presentazione. * Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia AIOCC Bibliografia “Early recognition of delirium: review of the literature” - Marieke J. Schuurmans Phd, RN; Sijmen A Duursma MD, PhD; Lillie M. Shortridge-Baggett EdD, RN, FSAAN - JOURNAL OF CLINICAL NURSING 2001; 10; 721-729 2 “Lo stato confusionale acuto” - A cura della redazione - Assistenza infermieristica e ricerca, 1999; 18, 2 3 “Guida al DSM-IV” - Allen Frances, Michael B. First, Harnold Alan Pincus Edizione italiana a cura di Romolo Rossi, Francesco j. Scarsi, Piera Fele Masson Editore - 1997 1 APR MAG 06 ASSISTENZA ANZIANI 53 INDICE AIOCC < IL CONGRESSO AIOCC I positivi segnali di un cammino comune > di ERMELLINA ZANETTI * E’ CON VIVA SODDISFAZIONE CHE RIPENSO AL PRIMO APPUNTAMENTO NAZIONALE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA OPERATORI DELLE CURE CONTINUATIVE CHE HO L’ONORE E L’ORGOGLIO DI PRESIEDERE. NON SOLO PER L’ELEVATO NUMERO DI OPERATORI INTERVENUTI, MA SOPRATTUTTO PER LA PARTECIPAZIONE ATTENTA SIA ALLE RELAZIONI CHE HANNO APERTO LE TRE GIORNATE, SIA AI 33 CORSI PARALLELI. > Ermellina Zanetti NELLE tre letture che si sono succedute ad apertura delle tre giornate di congresso i relatori Guaita, Bianchetti e Manzoni hanno sapientemente illustrato i tre aspetti che rappresentano il programma di questi primi due anni di attività di AIOCC. Mi permetto di richiamali sottolineando alcuni degli aspetti che avremo l’opportunità di approfondire nelle prossime future iniziative. 1) L’organizzazione delle cure agli anziani cronici. L’ospedale non è più il luogo della cura, lo sono molto di più la casa o la casa di riposo. L’ organizzazione delle cure e dell’assistenza deve considerare la necessità di accompagnare il paziente e la famiglia per un lungo periodo in cui si possono manifestare bisogni e intensità di cure diversi che richiedono un accompagnamento graduale e costante e grande attenzione agli aspetti relazionali, oltre che clinici. 2) I risultati delle cure sulla salute degli anziani. Dove non è possibile la guarigione (molte malattie croniche, si pensi alla demenza o al parkinson, sono progressive e irreversibili) è importantissimo orientare le cure e l’assistenza a obiettivi che migliorino le condizioni di vita, il benessere delle persone, attraverso l’eliminazione della sofferenza evitabile, il mantenimento della massima autonomia possibile, la prevenzione delle complicanze soprattutto quelle imputabili al comune sentire che giustifica con la vecchiaia acciacchi e perdita dell’efficienza. 3) La ricerca di significato. Tutti gli operatori della salute che assistono pazienti cronici devono essere consapevoli che i loro interventi hanno a che fare con la vita delle persone che si affidano alle loro cure. La malattia cronica non interrompe la routine della vita, ma ne diviene parte: compito degli operatori è di curare e assistere rispettando la vita, permettendo alla vita comunque di esprimersi nei significati personalissimi da ciascuno attribuiti. L’apertura del Congresso con la presenza del Presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, Prof Roberto Bernabei, e del Direttore Scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica, Prof Marco Trabucchi, due realtà che già da anni si preoccupano della formazione di tutti gli operatori che si prendono cura degli anziani, testimonia la disponibilità ad un cammino comune e da parte di AIOCC l’impegno a non moltiplicare il ripetersi di iniziative analoghe, ma piuttosto ad identificare temi nuovi con un’attenzione particolare per gli operatori socio sanitari. Gli studiosi della scienza delle organizzazioni hanno individuato nella capacità di tessere legami professionali tra operatori il valore aggiunto delle organizzazioni sanitarie: crediamo che ciò possa valere anche tra associazioni che perseguono lo stesso obiettivo e che insieme possono raggiungere molti operatori nei tanti luoghi della cura. Mi sia permesso un ringraziamento a tutte le amiche e gli amici del Gruppo di Ricerca Geriatrica e del Centro Studi EBN di Bologna che hanno sostenuto e sostengono le attività intraprese da AIOCC. A Mauro Grillini e Daniela Lassandro della Fin-mark, promotori e organizzatori di PTE-Expo, un grazie riconoscente per averci spronato a creare AIOCC e per l’intelligente e accurato lavoro di segreteria. * Presidente Associazione Italiana Operatori Cure Continuative APR MAG 06 ASSISTENZA ANZIANI 51 INDICE > AIOCC PIAGHE DA DECUBITO Una conseguenza davvero inevitabile? > di ERMELLINA ZANETTI * LA PREVENZIONE e la cura delle piaghe da decubito sono un problema rilevante per chi assiste le persone anziane allettate a causa di una malattia acuta o cronica che ha compromesso, anche temporaneamente, le possibilità dell’individuo di muoversi da solo. Conoscere cos’è una piaga da decubito e perché si forma è fondamentale per mettere in atto gli interventi per prevenirla. La piaga da decubito è una lesione localizzata della cute che può interessare anche i tessuti sottostanti (derma, muscolo, ossa) causata da una prolungata e/o eccessiva pressione del corpo con una superficie: il letto, la sedia, la poltrona. Non sono le caratteristiche del materasso o l’imbottitura della sedia a determinare la formazione della piaga, ma le caratteristiche dell’anziano, legate soprattutto alla cute e alle capacità di movimento autonomo. Il punto critico dello sviluppo di una piaga si raggiunge quando la pressione fra la superficie del corpo e il piano di appoggio è più intensa della pressione del sangue nelle arteriole e nei capillari della cute. Se la durata di questo fenomeno è breve (tutti noi avvertiamo fastidio se rimaniamo seduti a lungo nella stessa posizione e pertanto la cambiamo spesso! Ciò accade anche durante il sonno) ciò non determina alcun danno, ma se per l’impossibilità del soggetto a spostarsi da solo o perché egli non avverte alcun fastidio, ciò perdura per lungo tempo (2 ore secondo gli studiosi del problema) si verifica un danno alla cute che se non trattato porta alla formazione di una piaga da decubito. Ci sono parti del corpo che più di altre sono interessate da questa complicanza; se la persona è allettata queste sono: sacro, talloni e fianco. Se la persona rimane a lungo in poltrona o carrozzina la zona più a rischio è rappresentata dai glutei. Ogni malattia o condizione che riducano nell’anziano l’abilità a muoversi liberamente e da solo aumentano il rischio che si formi una piaga. Gli esiti di un ictus (emiplegia), il morbo di Parkinson, le demenze nello stadio più avanzato, il dolore e le fratture ossee, l’uso di farmaci sedativi, diminuendo o abolendo la capacità di muoversi del soggetto possono far comparire una piaga. Anche una carente nutrizione può favorire SCHEMA UTILE PER VALUTARE LA PRESENZA E LA GRAVITÀ DEL RISCHIO DI SVILUPPARE UNA LESIONE DA DECUBITO Nessun rischio La persona si lava, mangia da sola, prende le medicine. Si alza e cammina, anche se con il bastone. E' lucida, risponde in modo logico e rapido alle domande. Non è incontinente anche se magari ha un catetere. Rischio lieve La persona ha bisogno di aiuto per alcune azioni. E' lucida ma è necessario ripetergli le domande. Si alza e cammina da sola per un po’, ma poi va sorretta. Occasionalmente è incontinente per le urine. Molto a rischio La persona necessita di aiuto per numerose azioni. Non sempre è lucida. E' costretta su sedia a rotelle e si alza solo con aiuto. E' incontinente per le urine e le feci più di due volte al giorno ma non sempre. Rischio grave La persona è totalmente dipendente dagli altri per tutte le azioni. E' completamente disorientata. E' costretta a letto per tutte le 24 ore. Richiede assistenza per qualunque movimento. E' incontinente. 50 GIU 06 ASSISTENZA ANZIANI l’insorgenza delle piaghe e rallentarne o addirittura impedirne la guarigione. L’eccessiva magrezza favorisce gli effetti dannosi della pressione. Le malattie croniche quali il diabete e l’insufficienza renale, le malattie febbrili sono anch’esse associate ad una maggiore insorgenza di piaghe. Sia una cute secca, sia una cute costantemente umida aumentano le probabilità che si formi una piaga. In particolare la presenza di incontinenza urinaria e fecale pone l’anziano più a rischio. Anche la sudorazione, magari legata alla presenza di lenzuola in materiale sintetico o tele cerate, aumenta le possibilità di formazione di una piaga. Gli anziani dimostrano una maggiore facilità a sviluppare una lesione da decubito anche a causa di alcune modificazioni della cute legate all’invecchiamento. In particolare la cute è più sottile e secca, diminuisce lo spessore del tessuto adiposo sottocutaneo, diminuisce la percezione del dolore e le ferite guariscono più lentamente. Inoltre la reazione della cute al danno provocato dalla compressione è ridotta e meno efficace che nel soggetto giovane e, pertanto, il tempo necessario allo sviluppo di una piaga è diminuito. Lo schema seguente può essere utile per valutare la presenza e la gravità del rischio di sviluppare una lesione da decubito. Obiettivo prevenzione La prevenzione delle lesioni da decubito si fonda su tre punti fondamentali: 1. cura e protezione adeguate della cute; 2. corretta alimentazione; 3. mobilizzazione periodica e corretta. E' necessario controllare almeno una volta al giorno la cute, soprattutto le zone sottoposte a pressione. Lavare la cute con sapone neutro e acqua tiepida e in caso di pelle secca utilizzare una crema idratante. In presenza di incontinenza INDICE urinaria utilizzare pannoloni che mantengano la cute asciutta, mentre in presenza di incontinenza fecale è necessario cambiare la persona ogni volta che si sporca. Non devono mai essere utilizzate le frizioni con sostanze alcoliche (anche acque di colonia) che contrariamente a quanto spesso si crede, danneggiano la cute poiché asportano lo strato lipidico e la seccano. Le lenzuola, rigorosamente di cotone o lino, dovranno essere ben tese e l’uso della tela cerata sarà limitato ai casi di vera necessità. Per mantenere la cute elastica e protetta è importante una buona alimentazione ricca di proteine e di calorie. E’ importante che l’anziano a rischio di sviluppare una piaga abbia un’alimentazione equilibrata ed una buona idratazione. Se non vi sono problemi legati ad altre malattie quali diabete o insufficienza renale si cercherà di fornire all’anziano cibi nutrienti e graditi, non tralasciando l’eventuale uso di integratori proteici e/o calorici che hanno il grande vantaggio di concentrare in piccole porzioni grandi quantità di nutrienti. Una cute sana è anche conseguente a una buona idratazione che non deve essere inferiore ai due litri al giorno con eventuali aggiunte in caso di sudorazione, febbre, diarrea, uso di diuretici. Naturalmente l’acqua può essere fornita anche sotto forma di succhi di frutta (ideali quelli preparati in casa e consumati nel giro di pochi minuti per non perdere le preziose vitamine in essi contenute), tisane, infusi, latte, brodo. La migliore prevenzione di una lesione da decubito è il movimento. Le persone costrette a letto o su sedia o carrozzina e incapaci di muoversi possono sviluppare una lesione da decubito anche dopo 1 o 2 ore di permanenza nella stessa posizione. Si rende necessario per l’anziano allettato cambiare posizione almeno ogni due ore durante il giorno. Di notte si possono rispettare intervalli di tempo più lunghi, sempre se ciò non nuoce all’anziano. Questa regola deve essere modificata e l’intervallo di tempo ridotto se dopo due ore sulla zona di appoggio è comparsa un'area rossa, dolente, che non diventa bianca se la si preme con un dito: questo significa che la cute è stata danneggiata e che il tempo di due ore per quell’anziano è eccessivo. Analogamente se dopo due ore la cute della zona d’appoggio appare intatta è possibile aumentare l’intervallo di tempo. Quando si pone il paziente in posizione seduta a letto ed anche in carrozzina è importante prevenire l’inevitabile tendenza allo scivolamento verso il basso, che determina lesioni della cute di pari gravità ad una elevata e duratura compressione, ponendo anche una semplice scatola in cartone rivestita con della gommapiuma al fondo del letto o inclinando leggermente lo schienale della poltrona e/o fornendo un appoggio per i piedi. E’ utile e semplice da reperire un archetto alzacoperte da porre al fondo del letto per evitare che il peso di lenzuola e coperte gravi sui piedi e aumenti la pressione di contatto fra questi e il letto Indispensabile quando si sposta un anziano nel letto sollevarlo e non trascinarlo: l’attrito fra la cute e il piano del letto danneggia la cute esponendola maggiormente al rischio di piagarsi. Anche quando l’anziano è seduto sulla sedia o sulla poltrona è importante sollevare le zone di appoggio per qualche minuto ogni ora (anche in questo caso l’intervallo di tempo deve essere adattato al soggetto). E’ certamente un impegno gravoso per chi assiste questi anziani: da tempo l’industria studia e mette a disposizione dei consumatori i cosiddetti “presidi antidecubito”; si tratta di cuscini, materassi, sovramaterassi o veri e propri letti per la cui costruzione vengono impiegati materiali e tecnologie che consentono di distribuire su tutta la superficie del presidio la forza di compressione, mantenendola entro valori sopportabili ed evitando quindi che vi siano zone del corpo più compresse di altre. L’utilizzo di questi presidi può far aumentare l’intervallo di tempo fra un cambio di posizione e l’altro. Molte Aziende Sanitarie Locali, dietro richiesta del medico, li forniscono gratuitamente. Alcuni esperti consigliano l’uso dei cuscini di piume da interporre fra il corpo e la zona di appoggio per distribuire la pressione: possono essere utili ma devono essere sprimacciati spesso. Sono invece assolutamente da evitare le ciambelle di gommapiuma o i comuni salvagente che posti sotto il sacro o i calcagni determinano più lesioni di quante non ne prevengano. Per evitare che si formino piaghe sui calcagni l’uso di cuscini sotto la gamba, in modo tale da non far appoggiare i talloni, è il metodo più semplice. La lesione da decubito è stata a lungo indicata come espressione di trascuratezza, oggi sappiamo che in alcuni casi di particolare gravità dell’anziano è inevitabile la sua formazione: anche in queste situazioni l’attuare un’attenta prevenzione consente di limitare il danno, ridurre la sofferenza e diminuire il tempo necessario alla guarigione. * Presidente AIOCC GIU 06 ASSISTENZA ANZIANI 51 INDICE AIOCC < XVII CORSO INFERMIERI Dedicato all’anziano con demenza IL XVII CORSO NAZIONALE INFERMIERI, ORGANIZZATO DAL GRUPPO DI RICERCA GERIATRICA DI BRESCIA AL CENTRO PASTORALE PAOLO VI, SARÀ QUEST’ANNO INTERAMENTE DEDICATO AL TEMA DELL’ASSISTENZA ALL’ANZIANO AFFETTO DA DEMENZA. IN QUEST’ANNO 2006 L’ALZHEIMER’S DISEASE ASSOCIATION CELEBRA I 100 ANNI DALLA PRIMA DESCRIZIONE DELLA MALATTIA DA PARTE DI ALOIS ALZHEIMER (1864-1915), NEUROLOGO ATTIVO AD HEIDELBERG E SUCCESSIVAMENTE A MONACO, A CUI DIEDE IL SUO NOME. > Ermellina Zanetti LO SLOGAN scelto dall’associazione “non c’è tempo da perdere” è un invito a tutti gli operatori sanitari ad un impegno concreto per ricercare risposte ai tanti interrogativi che la malattia pone all’organizzazione delle cure e dell’assistenza. La nostra Associazione vuole in particolare essere presente, oltre che attraverso uno stand per presentare le proprie ini- ziative, con due corsi dedicati agli operatori su altrettanti temi di particolare rilevanza per i pazienti affetti da demenza e le loro famiglie: la malnutrizione e il dolore. Sebbene apparentemente scollegati questi due problemi hanno in comune la difficoltà ad essere riconosciuti e, quindi, trattati. La malnutrizione, che non è sinonimo di magrezza, spesso si instaura subdolamente e quando conclamata ha già prodotto danni difficilmente recuperabili. Il dolore nei soggetti affetti da demenza non è più un sintomo che la persona comunica a chi le sta accanto, ma segno che va ricercato, con non poche difficoltà nel riconoscerlo, misurarne l’intensità, localizzarlo e definirne la causa. Nei primi due inserti AIOCC pubblicati su questa rivista abbiamo già trattato questi temi. I testi, oltre che sulla rivista, sono disponibili sul sito del gruppo di Ricerca Geriatrica all’indirizzo: www.grg-bs.it. dove potete trovare tutte le informazioni relative al Corso Nazionale, che sono pubblicate anche su questo numero della rivista. (a cura di Ermellina Zanetti - GRG Brescia) Centro Pastorale Paolo VI - Sede del Corso GIU 06 ASSISTENZA ANZIANI 49 INDICE > AIOCC CALDO, CHE FARE? Sinergie vincenti contro la disidratazione > di ERMELLINA ZANETTI - MICHELE ZANI * SONO SEMPRE DI PIÙ GLI AMBITI DELLA CURAALL’ANZIANO FRAGILE IN CUI SI SONO RISCONTRATI BUONI RISULTATI RIGUARDO ALL’ASSISTENZA, SE LA STESSA ERA GARANTITA DA OPERATORI CON DIVERSA QUALIFICA (MEDICI, INFERMIERI, FISIOTERAPISTI, ADDETTI ALL’ASSISTENZA) CHE INTERVENIVANO CON PERCORSI E PROGETTI CONDIVISI. IN TANTE SITUAZIONI DOVE È LA COMPLESSITÀ (CLINICA O ASSISTENZIALE) A FARE LA DIFFERENZA IL LAVORO D’ÈQUIPE RENDE POSSIBILE RAGGIUNGERE RISULTATI MIGLIORI. ANCHE LA PREVENZIONE, IL RICONOSCIMENTO E IL TRATTAMENTO DEI POSSIBILI DANNI DETERMINATI DAL CALDO SULLE PERSONE PIÙ FRAGILI POSSONO GIOVARSI DI UN INTERVENTO COORDINATO DI OPERATORI SOCIALI E SANITARI CHE, INSIEME, POSSONO FARE LA DIFFERENZA. PUÒ essere utile ad infermieri e operatori un richiamo a come si riconosce e si gestisce uno dei segni più classici legati ai danni prodotti dal caldo nel soggetto anziano: la disidratazione. E’ stata definita come il più comune squilibrio di liquidi ed elettroliti nella popolazione anziana. Nelle persone anziane fragili la disidratazione determina un aumento della morbilità e della mortalità (i pazienti anziani ospedalizzati per disidratazione, hanno un tasso di mortalità del 45%) e rappresenta anche uno dei principali rischi cui va incontro l’anziano fragile, sia in struttura residenziale sia a domicilio. In uno studio eseguito tra gli ospiti di una casa di riposo ricoverati in ospedale per un evento acuto si è riscontrata disidratazione nel 34% dei soggetti. In un altro studio nel 23% dei pazienti di oltre 70 anni ammessi in ospedale, fu riscontrata disidratazione. Nella Tabella 1 è proposta una classificazione della disidratazione e le possibili cause. Individuare i soggetti a rischio L’associazione dei direttori medici delle nursing home americane (AMDA) distingue i fattori che possono aumentare il rischio di disidratazione in condizioni cliniche e fattori ambientali. Le condizioni cliniche comprendono la demenza o il deficit cognitivo, la febbre, la diarrea e il vomito, la sudorazione eccessiva, la dipendenza dagli operatori per l’alimentazione e l’idratazione, la disfagia, l’assunzione di farmaci 40 LUG 06 ASSISTENZA ANZIANI quali diuretici e lassativi, le ulcere da pressione, l’iperventilazione, il sanguinamento gastrointestinale, la diuresi eccessiva, la prescrizione di una restrizione di liquidi, le infezioni, la presenza di polipatologia (es. ictus cerebrale, diabete, scompenso cardiaco congestizio), precedenti episodi di disidratazione, la depressione. I fattori ambientali comprendono l’isolamento, la mancanza di supporto familiare o sociale, problemi di comunicazione, l’allettamento, la contenzione fisica, l’inadeguatezza degli operatori, fattori che possono esporre i pazienti ad un caldo eccessivo. Il Joanna Briggs Institute in un Best Practice del 2001 indica ad alto rischio di disidratazione sia le persone anziane totalmente dipendenti sia le persone parzialmente dipendenti che sembrano essere in grado di idratarsi autonomamente mentre in realtà non lo sono. Gli anziani incontinenti vanno valutati poiché potrebbero decidere di bere meno per evitare gli episodi di incontinenza. L’istituzionalizzazione viene identificata come un fattore di rischio per la riduzione della assunzione di liquidi poiché tra i residenti delle case di riposto si sono riscontrati minori livelli di assunzione di liquidi rispetto agli anziani residenti al domicilio Valutare lo stato di idratazione Per valutare accuratamente la quantità di liquidi assunti nei soggetti a rischio può essere utilizzata una semplice scheda in cui registrare le quantità assunte nelle 24 ore e confrontando poi tale quantità con l’introito giornaliero raccomandato (RDI). La valutazione dello stato di idratazione della persona anziana può risultare difficile in quanto i classici segni di disidratazione possono essere assenti. L’AMDA suggerisce che segni e sintomi di disidratazione possono essere rappresentati da una recente e repentina perdita di peso, febbre, vomito, ipotensione posturale, polso superiore a 100 battiti al minuto e/o pressione arteriosa sistolica inferiore a 100 mmHg, cambiamenti nello stato mentale, secchezza di occhi e/o bocca, infezioni delle vie urinarie, cadute, confusione. Indicatori caratteristici della gravità della disidratazione nell’anziano sono la secchezza e la presenza di scanalature longitudinali della lingua, la secchezza delle mucose, la debolezza dei muscoli della TAB 1. CLASSIFICAZIONI DI DISIDRATAZIONE Descrizione Possibili cause Isotonica Perdita di sodio = perdita di acqua Completo digiuno Episodi di vomito o diarrea Ipotonica Perdita di sodio > perdita di acqua Sodio sierico > 135mmlo/L Uso eccessivo di diuretici Ipertonica Perdita di sodio < perdita di acqua Sodio sierico > 145mmol/L Febbre Diminuzione dell’assunzione di liquidi (casi iatrogeni) Deprivazione di liquidi, possibile negligenza INDICE AIOCC < TAB 2. LIVELLI DI ASSUNZIONE DI LIQUIDI RACCOMANDATE Standard Raccomandazione Quantità raccomandata in un soggetto di 70 kg 1 30 mL/Kg peso corporeo 2100 mL 2 1 mL liquidi/calorie consumate 1800 mL 3 100 mL/kg per i primi 10 kg 50 mlL/Kg per i successivi 10 Kg 15 mL/kg per il rimanente peso. 2250 mL parte superiore del corpo, la confusione, la difficoltà nel parlare e gli occhi incavati. La determinazione del peso specifico delle urine è un metodo semplice ed accurato per determinare lo stato di idratazione del paziente. Idratare L’idratazione è responsabilità di tutti e tutti gli operatori dovrebbero essere coinvolti, è opportuno pertanto sviluppare ed implementare un piano di intervento interdisciplinare da parte degli infermieri, degli operatori di supporto, dei medici e, se presente, della dietista. Gli studi non concordano su un metodo univoco nel determinare quanti liquidi debbano essere introdotti. Nella Tabella 2 sono proposti tre standard che determinano diversi quantitativi di liquidi da introdurre nelle 24 ore: uno studio sugli ospiti delle case di riposo che avevano il loro reale livello di liquidi assunti confrontati con tre calcoli di QRL standardizzati ha individuato che il reale livello di liquidi assunti non era significativamente diverso da quello raccomandato dallo Standard 1, significativamente più alto dello Standard 2, e significativamente più basso dello Standard 3. Il Joanna Briggs Institute raccomanda l’introduzione di non meno di 1600ml/24 ore al fine di assicurare un’idratazione adeguata. Spesso la difficoltà nell’idratare le persone anziane risiede nella loro scarsa sensazione di sete che li induce a non chiedere espressamente di bere. E’ importante che tutto lo staff sia educato a garantire ai pazienti o agli ospiti una corretta idratazione utilizzando sistematicamente una o più d’una delle seguenti indicazioni: • offrire liquidi con regolarità (solo selezionatissime condizioni cliniche richiedono una restrizione idrica!); • ricordare agli anziani di assumere liquidi fra i pasti; • offrire liquidi agli anziani allettati almeno ogni ora e mezza durante il giorno; • considerare che la somministrazione della terapia orale può essere un’occasione per idratare; • se l’idratazione per via orale non è possibile, ricorrere alla somministrazione endovenosa di liquidi; • ricorrere all’ipodermoclisi (infusione sottocutanea) se la somministrazione endovenosa non è possibile. Riferimenti bibliografici American Medical Directors Association (AMDA). Dehydration and fluid maintenance. National Guideline Clearinghouse. 2001. 28 p. The Joanna Briggs Institute for Evidence Based Nursing and Midwifery. Maintaining oral hydration in older people. Best Practice. 2001; 5(1):1-6. Renzo Bagarolo. L’ipodermoclisi. I Luoghi della cura 2004; 2 (1): * AIOCC e Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia TAB 3. DISIDRATAZIONE NEGLI ANZIANI. LE RACCOMANDAZIONI PUBBLICATE DAL JOANNA BRIGGS INSTITUTE Raccomandazioni 1. Non c’è una chiara determinazione del fattori di rischio di disidratazione e per la riduzione dell’assunzione di liquidi, per questo sono necessari ulteriori studi. 2. Anche se gli anziani totalmente dipendenti sono maggiormente a rischio di disidratazione, anche i pazienti semidipendenti dovrebbero essere monitorati rispetto ad un’adeguata assunzione di liquidi (LivelloIII-2) 3. Non sono disponibili livelli standard di quantitativi di liquidi raccomandati da assumere quotidianamente, tuttavia questi non dovrebbero essere inferiori a 1600 ml/24 ore al fine di assicurare un’adeguata idratazione per l’anziano (Livello IV) 4. Una scheda per la valutazione dei liquidi introdotti è il metodo migliore per monitorare la assunzione quotidiana (Livello IV) 5. Il peso specifico delle urine può essere il metodo più semplice ed accurato per determinare lo stato di idratazione del paziente (Livello III.2) 6. La presenza di lingua e mucose orali secche con solchi, occhi infossati, confusione e debolezza dei muscoli della parte superiore del corpo possono indicare disidratazione (Livello III.3) 7. Sono necessarie maggiori ricerche per determinare il metodo migliore e non invasivo per mantenere un’adeguata idratazione delle persone anziane. Tuttavia, la regolare offerta di liquidi alle persone anziane allettate può garantire un adeguato livello di idratazione (Livello II) 8. L’assunzione della terapia orale è un’importante occasione di idratazione (Livello IV) LEGENDA LIVELLI DELLE PROVE DI EFFICACIA Livello I Evidenza ottenuta da una revisione sistematica di trias randomizzati controllati tutti rilevanti. Livello II Evidenza ottenuta da almeno un trial randomizzato controllato progettato con appropriatezza. Livello III Evidenza ottenuta da un trial ben progettato ma senza randomizzazione. Livello IV Evidenza ottenuta da studi di coorte o studi analitici caso-controllo ben disegnati preferibilmente ottenuti da centri diversi piuttosto che da un singolo centro o da un solo gruppo di ricerca. Livello V Evidenza ottenuta da serie multiple nel tempo con o senza intervento. Risultati eclatanti in sperimentazioni non controllate. Livello VI Opinioni di soggetti dalla riconosciuta autorevolezza, basate sull’esperienza clinica, studi descrittivi, o relazioni di commissioni di esperti LUG 06 ASSISTENZA ANZIANI 41 INDICE AIOCC < LESIONI DA DECUBITO La qualità degli interventi in Casa di Riposo > di ERMELLINA ZANETTI * LE LESIONI DA DECUBITO RAPPRESENTANO ANCORA UN PROBLEMA PER CHI ASSISTE PAZIENTI ANZIANI. L’ETÀ MEDIA DEI 240 PAZIENTI ARRUOLATI NEL PRIMO STUDIO MULTICENTRICO RANDOMIZZATO CONTROLLATO ITALIANO CONDOTTO DA INFERMIERI SULL’ARGOMENTO, SUPERA GLI 80 ANNI. LO STUDIO, PUBBLICATO SULLA RIVISTA ASSISTENZA INFERMIERISTICA E RICERCA N 4/2004 AVEVA COME OBIETTIVO LA VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DEL PRINCIPIO ATTIVO CONTENUTO IN UNA NOTA MEDICAZIONE RISPETTO ALLA VELOCITÀ DI RIEPITELIZZAZIONE DELLE LESIONI DA DECUBITO, RIDUCENDONE PERTANTO LA MORBIDITÀ ED I CARICHI ASSISTENZIALI CONSEGUENTI. LO STUDIO non dimostra alcuna differenza tra la velocità di guarigione delle lesioni medicate con il prodotto rispetto a quelle trattate con il placebo. Nelle conclusioni gli autori affermano che lo studio conferma in maniera esplicita un dato noto nel campo dell’evoluzione delle lesioni da decubito: ciò che fa la differenza è un’assistenza complessiva e che segue protocolli di buona pratica clinica. Nell’articolo che segue è proposta la traduzione di un lavoro che suggerisce > Ermellina Zanetti alcuni interventi per migliorare la pratica clinica rispetto a prevenzione e trattamento delle lesioni da decubito nelle Case di Riposo. * Presidente Associazione Italiana Operatori Cure Continuative SUGGERIMENTI DA UNO STUDIO AMERICANO PER MIGLIORARE LA PRATICA CLINICA > di ALBERTO APOSTOLI* - ERMELLINA ZANETTI ** Deidre D. Wipke-Tevis et al.: Nursing Home Quality and Pressure Ulcer Prevention and Management Practices. Journal of the American Geriatrics Society 2004; 52(4): 583-588 LE LESIONI da decubito rappresentano un problema frequente all’interno delle Case di Riposo americane tanto da essere considerate un indicatore di qualità dell’assistenza. Le lesioni da decubito sono associate a morbilità, mortalità e aumento dei costi; sono generalmente prevenibili e richiedono un coordinamento dell’assistenza. Inoltre le Case di Riposo che hanno un’elevata prevalenza di lesioni da decubito hanno generalmente maggiore difficoltà nel raggiungere altri indicatori di buona assistenza. Il Minimum Data Set (MDS) è uno strumento di valutazione standardizzato utilizzato per valutare e monitorare la qualità nelle Case di Riposo americane. E’ una notevole fonte di dati che consente di monitorare le caratteristiche dei residenti e la qualità dell’assistenza attraverso l’utilizzo di specifici indicatori di qualità per i quali vengono definite delle soglie (bassa, che corrisponde alla buona qualità e alta, che corrisponde alla bassa qualità) utilizzando la prevalenza cruda che corrisponde alla percentuale di soggetti affetti dal problema rispetto alla popolazione totale e la prevalenza corretta per il rischio. Nel caso delle lesioni da decubito sono definiti a rischio elevato tutti i soggetti che nel MDS risultano incapaci nei trasferimenti e nei movimenti autonomi nel letto, gli emiplegici, paraplegici o tetraplegici, i soggetti in coma o in fase terminale, i soggetti malnutriti. Un’ulteriore prevalenza corretta è ottenuta calcolando la prevalenza delle lesioni ottenuta sui soggetti a basso rischio, ovvero tutti coloro che non sono ad alto rischio. Lo scopo di questo AGO SET 06 ASSISTENZA ANZIANI 37 INDICE > AIOCC STUDIO SULLE MODALITÀ DI PREVENZIONE E TRATTAMENTO DELLE LESIONI DA DECUBITO Istruzioni: segnare cerchiando, la risposta/e che maggiormente riflette/ono le attività della tua LTCF 2) Ogni quanto tempo viene valutata l’integrità cutanea nella tua LCT? Quotidianamente Ogni sei mesi Ogni settimana Ogni anno Ogni mese Altro, specificare…… Ogni tre mesi 48 ore dopo la valutazione iniziale, poi ogni settimana per quattro settimane e poi ogni 4 mesi 3) come viene valutato il rischio di lesioni da decubito nella tua LTCF? (cerchia la modalità applicata) Scala di valutazione sviluppata dalla LCT Scala di Gosnell Scala di Braden Scala di Knoll Scala di Norton Giudizio clinico Scala di Norton Plus Nessuna valutazione del rischio Scala di Shannon Altro, specificare…… Scala di Briggs La tua LCT ha identificato un infermiere specialista nella gestione delle lesioni? (segnare una risposta si no La tua LCT ha come consulente uno dei seguenti specialisti nella gestione delle lesioni? Segna tutte le risposte) Infermiere enterostomista Dermatologo Infermiere clinico specializzato nella cura delle lesioni Chirurgo plastico Fisioterapista Chirurgo generale/vascolare Podologo Altro, specificare…… Infermiere clinico specializzato in assistenza geriatrica Tabella 1: Alcuni indicatori del questionario inviato studio è stato quello di valutare l’indicatore di qualità relativo alle lesioni da decubito in 352 Long Term Care Facilities (LTCFs) attraverso i dati forniti dal MDS e descrivere gli interventi adottati per valutare l’integrità della cute, la valutazione del rischio di contrarre lesioni da decubito, gli interventi preventivi e di cura. Lo studio ha riguardato 577 LTCFs (Long Term Care Facilities, strutture per lungo degenza, simili alle nostre Case di Riposo, n.drt.) a cui è stato inviata la richiesta di partecipazione allo studio. Il 62.7% delle strutture ha accettato di partecipare. Tra queste strutture, 321 hanno fornito i dati relativi al MDS sulle lesioni da decubito e i dati sugli indicatori di qualità delle lesioni da decubito richiesti dallo studio. I dati hanno riguardato 44.502 valutazioni e 23.833 pazienti nel periodo compreso 1 aprile - 30 settembre 1999. 38 AGO SET 06 ASSISTENZA ANZIANI Quali erano gli indicatori di qualità dell’assistenza individuati? Dopo una revisione della letteratura sulla prevenzione e trattamento delle lesioni da pressione sono stati individuati 16 indicatori, tra cui: valutazione dell’integrità cutanea, le scale di valutazione del rischio, le attività di prevenzione e trattamento, ecc. Due domande erano dicotomiche; le altre 14 erano a scelta multipla. Un esempio del questionario inviato è nella tabella 1. Inizialmente i membri del MDS e del team dedicato alla ricerca della qualità nelle LTCFs, hanno revisionato e ridefinito lo studio. Due biostatistici hanno poi valutato il progetto di ricerca per eliminare i fattori di confondimento. Quattro consulenti esterni, infermieri ricercatori con esperienza nella ricerca sulle lesioni da decubito hanno esaminato la validità dello studio. Cinque responsabili del personale infermieristico delle LTCFs e di altre strutture assistenziali hanno valutato lo studio per chiarezza e fattibilità. I ricercatori avevano accesso ai dati del MDS attraverso un accordo di collaborazione con il Dipartimento di Salute e Servizi agli anziani del Missouri. Il MDS doveva esser compilato e inviato entro 14 giorni dall’ammissione del paziente alla struttura, rifatto annualmente e ad ogni significativo cambiamento delle condizioni della persona. RISULTATI Caratteristiche demografiche dei pazienti Tra le strutture che hanno risposto al questionario il numero medio di posti letto era di 109 (range 16-490). Il 68% erano costituite da strutture private e posizionate all’interno di città di una contea (47.8%) Il residente “tipo” è rappresentato da una vedova di 81 anni, di origini caucasiche proveniente da un ospedale per acuti, senza una precedente storia di lesioni da decubito e che era stata ammessa al programma di cure di Medicare (il programma di assistenza sanitaria statale creata nel 1965 per gli anziani e i disabili, che spesso non possono permettersi un’assicurazione sanitaria privata). Valutazione delle condizioni della cute Tutte le Case di Riposo eseguivano una valutazione della cute dalla testa ai piedi al momento dell’accettazione. La valutazione veniva poi rifatta settimanalmente (nel 54.3% dei casi), quotidianamente (19.5%) ogni tre mesi (7.5%) e con altra frequenza (13.4%). La scala di Braden era la più utilizzata (54.4%) per la valutazione del rischio di sviluppare una lesione da decubito. Altri indici di rischio includevano il Protocollo per la valutazione dei residenti a rischio proposto dal MDS (43.1%), il giudizio clinico (37.9%), altri strumenti sviluppati dalle singole strutture (22.9%) la scala di Briggs (11.3%), la scala di Norton (7.5%), altre scale (3.0%) e la Norton Plus (0.8%). L’1% delle strutture non utilizzava alcuno strumento, mentre il 50% utilizzava due o più strumenti. INDICE AIOCC < Interventi attuati per la prevenzione (in ordine di Interventi attuati per il trattamento (in ordine di frequenza) frequenza) utilizzo di superfici antidecubito medicazioni utilizzo di dispositivi per il posizionamento supplemento nutrizionale supplemento nutrizionale utilizzo di superfici antidecubito idratazione della cute consulenza dietetica schemi di mobilizzazione scritta utilizzo di dispositivi per il posizionamento consulenza dietetica idratazione della cute protocollo di cure igieniche schemi di mobilizzazione scritta materassi a cessione d’aria protocollo di cure igieniche elevazione della testata del letto inferiore ai 30° idroterapia posizionamento del catetere vescicale materassi a cessione d’aria controllo dell’incontinenza fecale elevazione della testata del letto inferiore ai 30° posizionamento del catetere vescicale altri interventi controllo dell’incontinenza fecale Tabella 2: interventi attuati per la prevenzione e il trattamento delle lesioni da decubito in 321 Long Term Care Facilities La maggior parte delle strutture (85.6%) utilizzava le scale fin dalle prime 24 ore dall’ammissione. Quando i pazienti non risultavano a rischio, il 49.6% delle strutture rivalutava ogni tre mesi il paziente, il 24.8% lo rivalutava settimanalmente. Nel caso i pazienti risultassero a rischio, il 57.1% delle strutture li rivalutava settimanalmente, mentre il 22.7% li rivalutava ogni tre mesi. Gli interventi di prevenzione e trattamento Gli strumenti con cui venivano attuati gli interventi di prevenzione erano protocolli specifici (66.8% delle strutture) piani di cura individuali (64.9%); nel 51.7% dei casi si ricorreva alle indicazioni dei medici o degli infermieri (43.4%). Solo il 12.7% delle strutture utilizzava le Linee Guida dell’AHCPR (ora A.H.R.Q.) Per la prevenzione e il trattamento erano attuati più interventi contemporaneamente (media 6.6 +/- 2.1) elencati in tabella 2 in ordine di importanza Quante lesioni da decubito? Nel complesso, la prevalenza media di lesioni da decubito ricavabile dalla compilazione del MDS, fu il 10.9 +/- 6.2%. Tra i pazienti a rischio la prevalenza media era il 15.7 +/- 8,9% e tra coloro che erano a basso rischio il 3.1 +/-3.6%. L’associazione tra i criteri dello studio e gli indicatori di qualità relativi alle lesioni da decubito Non c’era differenza significativa tra l’indicatore di qualità ottenuto nel complesso delle strutture che utilizzavano l’indice di Norton piuttosto che di Braden (11.0+/6.3%) e tra quelle strutture che non utilizzavano strumenti (10.5 +/- 6.0%). In maniera simile, non c’era differenza significativa tra le strutture che utilizzavano l’algoritmo dell’A.H.R.Q (11.0+/- 6.2%) e quelle strutture che utilizzavano altri protocolli (8.4+/- 5.9%). Non è stata trovata differenza statisticamente significativa tra quelle strutture che avevano a disposizione un infermiere esperto nella cura delle lesioni (11.2 +/- 6.2%) e un LPN (Licensed Practical Nurse) (11.4 +/- 6.5%) o un addetto generico all’assistenza (11.4 +/- 6.5%). Inoltre non c’era significatività statistica tra il numero di interventi di prevenzione e di trattamento e la frequenza delle lesioni da decubito. DISCUSSIONE Tre sono gli aspetti più importanti che si possono ricavare da questo studio. Le Case di Riposo in Missouri utilizzano poco o utilizzano in maniera inappropriata le scale di valutazione del rischio. Secondo, molte strutture utilizzano protocolli basati sull’esperienza. Terzo: la media complessiva delle lesioni da de- cubito e la media di lesioni tra i soggetti ad alto rischio eccedono il livello-soglia superiore definito da un gruppo di esperti della Joint Commission per questo tipo di strutture. Nell’insieme, i dati suggeriscono che le lesioni da decubito continuano a essere un grave problema per le LTCFs, che le prove di efficacia basate sulle linee guida non sono ancora implementate e, conseguentemente, che l’educazione dello staff, la ricerca infermieristica e i programmi di miglioramento della qualità sono necessari La valutazione del rischio La scala di Braden, benché ampiamente validata, riportata in letteratura e raccomandata dalle linee guida accreditate, risulta scarsamente utilizzata. Alcune strutture hanno utilizzato diversi indici di valutazione del rischio, ma questo non ha portato a nessun miglioramento degli esiti. Anche la frequenza della somministrazione delle scale di valutazione del rischio risulta poco chiara: un quarto dei pazienti a basso rischio vengono valutati con eccessiva frequenza, un quarto dei pazienti che risultano ad alto rischio non è valutato abbastanza frequentemente. Le attuali indicazioni sulla frequenza della valutazione nei setting per pazienti lungodegenti: suggeriscono di eseguire una valutazione all’ingresso e dopo 4872 ore e quindi rivalutazione settimanale per le prime quattro settimane, successivamente una valutazione da mensile a trimestrale o se cambiano le condizioni del paziente. I protocolli utilizzati e gli esiti che ne derivano Molte strutture utilizzavano dei protocolli basati sull’esperienza sia per la prevenzione sia per il trattamento Un protocollo sviluppato all’interno della struttura non può integrare degli standard di cura basati sulle evidenze, quindi si potrebbe sollevare la questione se i residenti delle LTCFs stanno o meno ricevendo cure di qualità. Un protocollo dovrebbe basarsi sulle linee guida dell’A.H.R.Q. per garantire che le decisioni prese sui pazienti siano efficaci. Anche se i dati ricavati dallo studio indicano che le strutture per la maggior parte, non hanno utilizzato le Linee Guida dell’A.H.R.Q., i protocolli creati all’interno AGO SET 06 ASSISTENZA ANZIANI 39 INDICE delle strutture non sono stati valutati in questa ricerca. È possibile quindi che i protocolli creati all’interno delle LTCFs siano basati sulle Linee Guida dell’A.H.R.Q., ma non è stata fatta questa valutazione. Questo aspetto rimane da indagare per vedere quali protocolli incorporino le indicazioni delle Linee Guida e quali no. Poiché i residenti delle LTCFs hanno gravi deficit di mobilità, risulta importante utilizzare schede scritte per la variazione della postura, l’utilizzo di dispositivi per il posizionamento (telini, traverse, teli a basso attrito, sollevatori, ecc) e ridurre i tempi in cui la testata del letto rimane sollevata. Implementare un protocollo che enfatizza la prevenzione delle lesioni da decubito attraverso l’utilizzo di un singolo valido strumento di valutazione del rischio e interventi a bassa tecnologia come il riposizionamento e la mobilizzazione dei residenti, significa ridurre AIOCC < l’incidenza di lesioni e i costi. Ad esempio mantenere la testata del letto elevata a meno di 30 gradi è un intervento a bassa tecnologia che era utilizzato meno rispetto ad interventi più costosi quali le superfici antidecubito, i dispositivi per il posizionamento e gli interventi nutrizionali. Se il paziente scivola verso il fondo del letto si sottopone la cute all’attrito superficiale e a forze di trazione che provocano nei piani cutanei profondi danni vascolari che alcuni Autori ritengono molto più dannosi della semplice pressione. Questo semplice atteggiamento andrebbe considerato quando si attuano dei programmi per migliorare la qualità dell’assistenza Tale pratica era monitorata e messa in atto solamente dal 20% delle strutture residenziali considerate dallo studio. CONCLUSIONI I dati che sono stati ricavati dalla ricerca, dimostrano che le prove di efficacia sulle lesioni da decubito non sono ancora utilizzate nelle LTCFs. I risultati supportano la necessità di un intervento educativo rivolto gli amministratori delle LTCFs e allo staff assistenziale, in modo particolare per l’uso della scala di Braden, per definire degli intervelli appropriati di svalutazione, limitare l’elevazione della testata del letto e garantire intervelli di tempo più stretti nel variare la posizione del paziente quando questi ha sviluppato una lesione da decubito. Il trasferimento delle indicazioni e raccomandazioni contenute nelle Linee Guida sulle lesioni da decubito al letto del malato è un aspetto difficile ma indispensabile per garantire la qualità delle cure ai residenti delle LTCFs. * Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia ** Presidente Associazione Italiana Operatori Cure Continuative LUG 06 ASSISTENZA ANZIANI 41 INDICE AIOCC < LA CURA DEL DELIRIUM Collaborazione tra medico ed infermiere > di G. BELLELLI * - V. DE MARCO * - M. PAGANI * - M. TRABUCCHI ** IN OCCASIONE DELLA GIORNATA DEDICATA ALLA MALATTIA DI ALZHEIMER CELEBRATA IN TUTTO IL MONDO LO SCORSO 21 SETTEMBRE E DEL CENTENARIO DALLA PRIMA DESCRIZIONE DELLA MALATTIA DA PARTE DI ALOIS ALZHEIMER , AIOCC E GRUPPO DI RICERCA GERIATRICA INSIEME PROPONGONO AI LETTORI UNA REVIEW SU UNA DELLE COMPLICANZE PIÙ FREQUENTI E PIÙ DIFFICILI DA RICONOSCERE NEI SOGGETTI AFFETTI DA DEMENZA: IL DELIRIUM. LA COLLABORAZIONE TRA MEDICO E INFERMIERE (E TRA QUESTI E GLI OPERATORI DI SUPPORTO) POSSONO FARE LA DIFFERENZA! (ERMELLINA ZANETTI, PRESIDENTE AIOCC). Introduzione Lo stato confusionale acuto (delirium) è una sindrome psico-organica caratterizzata da una transitoria e fluttuante alterazione dello stato di coscienza, ad esordio acuto o subacuto, con ripercussioni sulla cognitività e sulle capacità percettive. Dal punto di vista clinico si caratterizza per la variabilità dei sintomi, sia in termini quantitativi che qualitativi, e per la compromissione dello stato di vigilanza, dell’attenzione, dell’orientamento, del pensiero astratto, della memoria, del comportamento e del ritmo sonno-veglia. Il delirium colpisce oltre un terzo di tutti gli anziani ospedalizzati ed è associato un maggior numero di complicanze biomediche, un prolungamento della durata della degenza, un minor recupero funzionale alla dimissione, ed aumentati costi e mortalità (Margiotta et al., 2005; Lipowski, 1989). In alcuni casi, i sintomi del delirium tendono a permanere anche dopo la dimissione dai reparti ospedalieri per acuti, impedendo il ritorno al domicilio e richiedendo il ricovero in strutture di riabilitazione o di lungodegenza (Marcantonio et TAB.1 CARATTERISTICHE PRINCIPALI DEL DELIRIUM Punti da rammentare Spiegazione Epidemiologia del delirium Il delirium ha un’elevata prevalenza nei reparti ospedalieri ed in molti casi si sovrappone, a differenza di quanto si pensava anni fa, ad una condizione di demenza. Delirium prevalente /incidente Il delirium è definito prevalente quando è riscontrato all’ammissione in reparto, mentre è definito incidente quando si sviluppa durante la degenza. Il delirium può durare anche dopo la dimissione dai reparti ospedalieri o di riabilitazione; in questo caso si associa ad outcome peggiori. Durata del delirium/ outcome Delirium ipercinetico/ipocinetico/misto Il delirium è definito ipercinetico quando si associa ad ansia, iperattività e/o agitazione; è ipocinetico quando si associa a sedazione, ipoattività fino alla letargia. È misto quando le due condizioni si alternano in poche ore. Multidisciplinarità Il delirium è una condizione clinica che, per definizione, richiede una stretta collaborazione tra familiare del paziente, medico, infermiere e tutti i componenti dell’équipe. al. 2005; Marcantonio et al. 2003). Ad esempio, uno studio recentemente pubblicato sul Journal of American Geriatric Society ha riscontrato, in una popolazione di soggetti trasferiti da reparti ospedalieri in reparti riabilitativi, una prevalenza di delirium all’ammissione del 15% (Marcantonio et al. 2003). Tale prevalenza si avvicinava addirittura al 70% laddove venivano considerati i casi di delirium subsindromico, cioè quelle condizioni nelle quali sono presenti solo alcuni e non tutti i sintomi che consentono di porre diagnosi di delirium (Marcantonio et al. 2003). Il delirium può persistere anche molto tempo dopo (1 anno) la dimissione dai reparti di riabilitazione (Levkoff SE, Evans DA, Lipztin B et al. 1992; Kiely et al., 2004). Per tutti questi motivi il delirium deve essere considerato una priorità clinica nei reparti ospedalieri, riabilitativi e di lungodegenza. Poiché la patogenesi del delirium è quasi sempre sostenuta da una causa somatica, la persistenza del delirium può anche essere intesa come un marcatore d’inefficacia delle cure fornite e nel contempo rappresenta un possibile target di intervento per migliorare la qualità del servizio. In quest’ottica, tutti i componenti dell’equipe sono chiamati a fornire il proprio contributo, ed in particolare l’infermiere ed il medico, che dell’equipe sono gli attori principali. Tipologie cliniche e cause Il delirium può essere distinto sulla base delle modalità con cui si manifesta in: • ipercinetico quando è caratterizzato dal riscontro, all’esame obiettivo, di ansia, iperattività o aggressività, • ipocinetico, quando invece prevale letargia, ipoattività, rallentamento ideomotorio, • misto, quando il corteo sintomatologico è caratterizzato dall’alternanza di queste due condizioni (Lipowski, 1983). Il delirium è definito prevalente quando è OTT 06 ASSISTENZA ANZIANI 45 INDICE presente all’ammissione in reparto, mentre è incidente quando si sviluppa nel corso della degenza. Dal punto di vista eziopatogenetico il delirium può avere molteplici cause, quasi sempre di natura organica. Il modello concettuale di riferimento per comprendere la complessa natura del delirium è quello teorizzato dalla Inouye e colleghi, nel quale entrano in gioco fattori predisponenti e fattori scatenanti. Il lavoro originale identificò 4 fattori predisponenti (deficit visivo e uditivo, deterioramento cognitivo, gravità della malattia acuta e disidratazione) e 5 scatenanti (uso di mezzi di contenzione fisica, malnutrizione, aggiunta di 3 o più farmaci durante la degenza, uso di catetere vescicale, qualunque evento iatrogeno occorso durante la degenza ospedaliera) (Inouye et al., 1993; Inouye e Charpentier, 1996). Fattori predisponenti e fattori scatenanti possono interagire tra di loro e determinare lo sviluppo del delirium con un rapporto dose-effetto. In un paziente fragile, infatti, le cui condizioni cliniche e funzionali premorbose sono già compromesse sarà sufficiente un fattore scatenante anche di lieve entità (ad esempio l’aggiunta di un blando ipnoinducente) per alterare il delicato equilibrio omeostatico cerebrale. In un paziente “robusto”, viceversa, sarà necessario un fattore precipitante di intensità molto elevata (ad esempio un intervento chirurgico in anestesia generale) per indurre il delirium. In letteratura sono stati proposti alcuni acronimi per ricordare schematicamente le possibili cause di delirium. Le linee guida della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria suggeriscono l’utilizzo dell’acronimo (Mussi e Salvioli, 2000) VINDICATE (Vascular, Infections, Nutrition, Drugs, Injury, Cardiac, Autoimmune, Tumors, Endocrine). Flaherty (Flaherty e Morley, 2004) ha proposto l’acronimo DELIRIUMS (Drugs, Emotional, Low oxigen, Infection, Retention of urine or stool/Restraints, Ictal, Undernutrition/Underhydration, Metabolic, Subdural/Sleep deprivation). Tali acronimi sono utili non soltanto per districarsi nella complessità della pratica clinica, ma anche perché enfatizzano l’importanza di evitare di trattare con farmaci sintomatici AIOCC < TAB.2 MINIMUM DATA SET DI SCREENING DEL DELIRIUM (MODIFICATO DA MARCANTONIO ET AL, J AM GERIATR SOC IN PRESS) SI NO Facile distraibilità (es. difficoltà nel mantenere l’attenzione; divagare) Chiedere al paziente: Mi può ripetere i giorni della settimana al contrario, partendo dal sabato? (E’ possibile suggerire “Quale giorno precede il sabato?”; se il paziente si ferma in qualunque momento si può dire “Qual è il giorno precedente all’ultimo che ha menzionato?” Si possono fornire 2 suggerimenti per giorno) Se il paziente non è in grado di eseguire correttamente l’esercizio o si rifiuta, cerchiare “Si” SI NO Periodi di percezione alterata o mancata consapevolezza dell’ambiente circostante (es. parlare con qualcuno che non è presente; udire, sentire o percepire qualcosa che può non esser presente in quel luogo; credere di essere in un altro luogo; confondere il giorno con la notte) Chiedere al paziente: Vede, sente o percepisce delle cose strane? Se il paziente risponde si o se si osservano tali comportamenti, cerchiare “Si” SI NO Episodi di eloquio disorganizzato (es. l’eloquio è incoerente o sconnesso, privo di significato, irrilevante; fuga del pensiero; affermazioni fra loro contraddittorie) Chiedere al paziente: Cosa l’ha condotta in ospedale? Perché è qui ora? Se il paziente risponde in modo inappropriato o illogico, cerchiare “Si” SI NO Periodi di irrequietezza (es agitarsi, vestirsi e rivestirsi, giocare con il fazzoletto; cambiare frequentemente posizione; urlare) Osservare il paziente: se uno qualsiasi di tali comportamenti è presente, cerchiare “Si” SI NO Periodi di apatia (sonnolenza o indolenza; sguardo fisso nello spazio; difficoltà a risvegliarsi; limitato movimento del corpo) Osservare il paziente: se uno qualsiasi di tali comportamenti è presente, cerchiare “Si” SI NO Fluttuazione delle performances cognitive nel corso della giornata (es. a volte meglio, a volte peggio; i comportamenti compaiono e scompaiono) Considera le differenze a livello comportamentale o cognitivo fra i diversi resoconti o fra il giorno e la notte Se uno qualsiasi di tali cambiamenti è presente, cerchiare “Si” Il modulo deve essere completato per ogni paziente entro 2 giorni dall’ammissione. Può essere ripetuto entro 5 giorni se è notato un cambiamento dello stato mentale. La compilazione accurata di questo strumento richiede conversazioni con lo staff assistenziale ed i familiari. Per ogni item cerchiare la voce Si laddove presente e NO se assente. (sedativi), senza prima aver cercato di individuare la causa. Uno degli argomenti nuovi nel complesso “capitolo” del delirium è quello del delirium superimposto a demenza (DSD). Mentre in passato si riteneva che il delirium fosse una condizione clinica nettamente distinta dalla demenza, studi recenti hanno dimostrato che i due fenomeni (delirium e demenza) possono sovrapporsi. Il DSD ha una prevalenza del 20-25% in soggetti residenti al proprio domicilio e del 5089% in soggetti ricoverati in ospedale (Fick et al., 2005). Questi soggetti hanno di solito una prognosi peggiore rispetto a coloro nei quali è riscontrabile soltanto il delirium o sol- tanto la demenza. Tenuto conto dell’elevata prevalenza ed incidenza delle persone affette da demenza e dell’elevata comorbilità dei pazienti anziani che vengono ricoverati in ospedale (che è un fattore di rischio per l’insorgenza di complicazioni cliniche in grado di scatenare il delirium), è intuitivo che il DSD rappresenterà un argomento prioritario nel prossimo futuro nell’ambito dei reparti ospedalieri per acuti e nelle riabilitazioni. Nella tabella 1 sono riassunti gli aspetti principali del delirium. Le difficoltà della diagnosi Nonostante l’elevata prevalenza di delirium e di DSD, queste condizioni cliniche OTT 06 ASSISTENZA ANZIANI 47 INDICE > AIOCC TAB.3 > ASSESSMENT E TRATTAMENTO DELLE POTENZIALI CAUSE DI DELIRIUM Cause possibili di delirium È presente una delle seguenti condizioni? Si/No Farmaci - Nuovi farmaci, modificazioni del dosaggio o discontinuità nella SI somministrazione - Farmaci con effetti neurologici (es. sedativi, narcotici, anticolinergici) Se si, contattare il medico per eventuale correzione della terapia NO Infezioni - Segno/segni di infezione: febbre, congestione, lesione arrossata, SI secrezioni purulente - Infezione delle vie urinarie, polmonite, ferita infetta, altro Se si, contattare il medico per esami del sangue, culture, terapia antibiotica NO Liquidi - Disidratazione: mucose disidradate, scarsa assunzione di liquidi, SI febbre, diarrea, terapia diuretica - Scompenso cardiaco: dispnea, difficoltà nel cammino, edema agli arti inferiori Se si, contattare il medico per eventuale terapia intravenosa/diuretica NO Dolore non - dolore non controllato: dolore riferito, smorfie, agitazione SI controllato - La dose dei farmaci per il controllo del dolore è adeguata, sono stati prescritti farmaci non narcotici, sono stati utilizzati farmaci per il controllo del dolore solo al bisogno e non regolarmente Se si, contattare il medico per eventuale correzione della terapia e per accorgimenti non farmacologici: posizionamento, impacchi freddi o caldi NO Ritenzione urinaria - Revisione schede minzionali: vi sono perdite rilevanti di urina o SI vi è oligoanuria - Gonfiore addominale all’esame obiettivo dell’addome Se si, contattare il medico per eventuale cateterizzazione, correzione terapia farmacologica e consulenza urologia NO Occlusione fecale - Revisione schede intestinali: vi sono anormalità del transito SI intestinale - Esame addome per gonfiore addominale; esplorazione rettale per individuare fecalomi o feci liquide Se si, contattare il medico per svuotamento, altri interventi NO Altro Nuovi problemi medici, valori di laboratorio anomali, condizioni SI mediche croniche che si sono destabilizzate, altro (descrivere) Se si, contattare il medico per rivalutazione della gestione NO sono sovente misconosciute da clinici e caregiver. Una delle principali motivazioni è che il corteo sintomatologico è talvolta erroneamente attribuito alla demenza. Ad esempio, repentini cambiamenti del comportamento o nello stato mentale possono essere ritenuti variazioni circadiane di sintomi già presenti (“sundowning syndrome”) oppure la progressione della malattia stessa. In altri casi, l’”ateismo” purtroppo ancora molto diffuso in molte divisioni ospedaliere induce a ritenere che il delirium sia parte di un normale processo di invecchiamento e che, per esempio, l’agitazione al risve48 OTT 06 ASSISTENZA ANZIANI glio dopo un intervento chirurgico sia del tutto normale. La difficoltà diagnostica è un problema che riguarda tutta l’equipe sanitaria e non soltanto alcune figure. I medici spesso omettono la diagnosi ed i sintomi e i segni di delirium sono riportati nelle cartelle mediche solo nel 30-50% dei casi. Il personale infermieristico, generalmente più a contatto con i pazienti e quindi in grado di cogliere meglio le alterazioni tipiche del delirium, documenta il 60-90% dei sintomi del delirium, ma soltanto quando questo è di tipo ipercinetico. La tendenza a non rilevare il delirium ipo- cinetico probabilmente è da correlarsi al fatto che il paziente affetto da questa forma non attira su di sé l’attenzione. Ad esempio Fick e collaboratori, in uno studio nel quale erano stati inclusi pazienti con e senza decadimento cognitivo, hanno dimostrato che mentre tutti i familiari intervistati erano stati in grado di riconoscere un cambiamento dello stato mentale nel proprio congiunto, nella stragrande maggioranza dei casi (88%) il delirium non era stato riconosciuto. In tutti i casi si trattava di delirium ipocinetico. Questi dati richiamano l’importanza dell’educazione alla diagnosi nei setting di cura, al fine di migliorare la sensibilità diagnostica e, indirettamente, la prognosi dei soggetti affetti da delirium. Recentemente il nostro gruppo ha dimostrato che l’uso quotidiano di strumenti di monitoraggio specifici dello stato di vigilanza, quali il Confusion Assessment Method e la Richmond Agitation and Sedation Scale, in associazione alla formazione dello staff assistenziale può elevare la sensibilità diagnostica nei confronti del delirium. Nel volgere di un solo anno, infatti, grazie all’implementazione di questi strumenti e dopo un intervento formativo sul personale di assistenza, la prevalenza di delirium riscontrato all’ammissione è aumentata dal 15.4% al 20.0%, mentre la prevalenza di delirium incidente si è praticamente azzerata (Speciale et al., 2005). Il Delirium Abatement Program (DAP) Negli Stati Uniti, il gruppo di Marcantonio, studioso che da sempre si occupa di delirium, ha recentemente proposto un programma di prevenzione e management del delirium, definito Delirium Abatement Program (DAP), che potrebbe diventare un modus operandi nei reparti di riabilitazione post-acuta e che di seguito vogliamo presentare (Bergmann et al., in press). Il DAP è stato sviluppato nel 2000 nell’ambito di un progetto di ricerca del National Institute on Aging. Il principale obiettivo è ridurre la durata del delirium nei soggetti trasferiti da reparti ospedalieri per acuti in strutture di riabilitazione nei quali sia stato riscontrato delirium all’ammissione. Il programma fu implementato in 8 skilled INDICE nursing facilities (Residenze Sanitarie Assistenziali) dell’area di Boston, Massachusetts e constava di 4 moduli, a loro volta desunti da una precedente esperienza nella prevenzione del delirium in pazienti con frattura di femore (Marcantonio et al., 2001). Screening del delirium Il primo modulo è stato predisposto per lo screening del delirium e richiama i segni necessari per porre la diagnosi: a) facile distraibilità, b) alterata percezione della realtà o mancata consapevolezza dell’ambiente circostante che può determinare periodi di irrequietezza o al contrario di apatia, c) eloquio disorganizzato, d) fluttuazione delle performances cognitive nell’arco della giornata. All’infermiere viene chiesto di compilare un modulo predisposto (tabella 2) il più rapidamente possibile dopo l’ammissione in reparto, e di ripetere la compilazione dopo 5 giorni o se viene notato un cambiamento dello stato mentale. Per completare il modulo è necessario intrattenere colloqui con gli altri componenti dello staff ed i familiari del paziente. È sufficiente che sia presente anche uno soltanto dei segni considerati per accedere ai moduli successivi. Assessment e trattamento delle cause del delirium Il secondo modulo ricorda le potenziali cause di delirium (tabella 3). Come abbiamo già visto possono essere utilizzati alcuni acronimi, ma il DAP propone un’altra modalità. Si tratta di completare una checklist che prende in considerazione, a differenza degli altri acronimi, anche il dolore come una delle possibili cause. Anche in questo caso è l’infermiere il principale attore della strategia di cura e discute con il medico i possibili interventi per rimuovere la/le cause. Prevenzione e gestione delle complicanze del delirium Il terzo modulo richiama le possibili complicanze del delirium e offre consigli per la prevenzione (tabella 4). Poiché il delirium, infatti, condiziona la capacità di giudizio del paziente e lo pone AIOCC < TAB.4 > MNEMONIC PER LA PREVENZIONE E LA GESTIONE DELLE COMPLICANZE DEL DELIRIUM 1. Incontinenza urinaria/Catetere permanente Rimozione del catetere, a meno che vi sia incontinenza urinaria Impostazione di programma di igiene regolare Se il paziente è in grado di recarsi in bagno in modo autonomo, impostazione di programma di rapida minzione 2. Incontinenza urinaria/Catetere permanente Mobilizzazione del paziente al di fuori del letto, tenendo conto della necessità di sicurezza Se il paziente non può essere mobilizzato, impostazione di programma intensivo di prevenzione delle ulcere da pressione 3. Cadute/ferite Modificazione dell’ambiente circostante per garantire la sicurezza Rimozione, quando possibile, delle contenzioni fisiche Interruzione o riduzione graduale dell’uso di farmaci sedativi 4. Problemi sonno Abolizione dell’uso di sonniferi, anche se prescritti, a meno che fallisca il protocollo sottoriportato Realizzazione di programma non farmacologico di igiene del sonno che includa: Adesione al normale ciclo sonno-veglia del paziente Riduzione dei “riposi” quotidiani Esposizione quotidiana alla luce del sole Riduzione caffeina e non somministrazione di diuretici nel pomeriggio Esercizio fisico serotino Riduzione dei rumori, dell’illuminazione e di altre fonti di disturbo notturno Realizzazione di protocollo del sonno notturno che includa: possibilità di coricarsi alle 21 o dopo (anche se abitualmente il paziente si corica prima) utilizzo di luce soffuse durante il riposo notturno musica rilassante utilizzando cuffie/stereo programmato bevanda calda decaffeinata massaggio rilassante alla schiena 5. Malnutrizione/aspirazione Controllo del cibo assunto, focalizzandosi su ciò che è calorico Osservazione del paziente durante l’alimentazione Assistenza per l’alimentazione, quando necessario (incluso alimentarsi con le mani) Abolizione delle restrizioni dietetiche Se vi sono difficoltà con la masticazione o deglutizione, assicurarsi che la posizione del paziente sia adeguata, accertandosi dell’uso della protesi dentaria e dell’umidità delle mucose. Se i problemi persistono, considerare una valutazione formale a rischio di ulteriori complicanze, quali ad esempio le cadute, spesso l’equipe ricorre a misure di contenimento farmacologico e/o non farmacologico (mezzi di contenzione), che, invece, è necessario evitare. Gli interventi preventivi proposti includono invece la stretta sorveglianza del paziente, il suo coinvolgimento in attività relazionali, misure di igiene del sonno, etc; sono invece esclusi farmaci sedativi e i mezzi di contenzione fisica. Strategie di riabilitazione del delirium Il razionale del quarto modulo è che un OTT 06 ASSISTENZA ANZIANI 49 INDICE > AIOCC ambiente idoneo aiuta a migliorare le performances cognitive e funzionali del soggetto con delirium. Nella tabella 5 sono riassunti alcuni interventi che l’equipe può effettuare sull’ambiente, sul paziente e sui caregiver. Tra gli interventi riabilitativi è previsto un “Delirium Care Package”, che include un calendario (1 giorno per ogni pagina scrit- to a grandi caratteri) ed un orologio da posizionare sopra la testata del letto del paziente. Per i familiari è prevista una brochure che sintetizza le caratteristiche cliniche del delirium, le sue cause e le strategie di prevenzione e management. Il modulo contiene anche suggerimenti per la riabilitazione delle funzioni cognitive. Conclusioni Da un punto di vista clinico il delirium rappresenta oggi una delle sfide più difficili della geriatria, una sfida che richiederà un enorme impegno negli anni a venire. Il delirium continuerà a rappresentare ancora per alcuni anni un pesante fardello economico per la società, un temibile fattore di rischio di mortalità a breve e TAB.5 > PIANO INTERDISCIPLINARE DI CARE DEL DELIRIUM Data Data Data 50 Problema Il paziente ha sintomi e segni di delirium Obiettivo: il paziente dovrà ….. Data fissata Identificare la/e causa/e di delirium e trattarle in modo appropriato Il paziente non dovrà sviluppare complicanze dovute all’alterazione dello stato mentale Il paziente non avrà ulteriori sintomi/segni di delirium a far data dal ____________________________ Interventi Valuta le possibili cause di delirium Disciplina Farmaci in atto Possibilità di infezioni Bilancio idrico (disidratazione, scomp. cardiaco) Medico Infermiere/medico Infermiere/medico Dolore non controllato Ritenzione urinaria e/o fecale Sintomo o segno suggestivo (comunicazione) Prevenzione e management delle complicanze Infermiere/medico Infermiere/medico Infermiere Rimozione del catetere Foley, se possibile Scheda minzionale per prevenire incontinenza Infermiere/medico Infermiere Minzioni programmate per prevenire incontinenza Infermiere Protocolli prevenzione lesioni da decubito Verifica sicurezza ambiente per prevenire cadute Infermiere Tutta equipe Programma sorveglianza stretta Tutta equipe Implementa protocolli per riposo notturno Verifica introito nutrizionale Verifica disturbi della deglutizione Recupero della funzione Usa, se caso, supporti protesici (occhiali, protesi) Infermiere Infermiere/dietista Infermiere/logopedista Apporta modifiche ambientali (luci, segnaletica, radio/musiche rilassanti) Infermiere Delirium care package (calendari, orologi) Infermiere Educa familiari sul delirium e sull’importanza delle visite (fornisci brochure su delirium) Tutta equipe Verifica la capacità del paziente di partecipare alla care quotidiana garantendone la sicurezza Infermiere/fisioterapista Implementa monitoraggio delirium nel programma di dimissione e garantisci supporto fino dimissione Medico/infermiere/caregiver/as sistente sociale Approccia il paziente con calma e a voce bassa Tutta equipe Interoloquisci a voce bassa col paziente e mostragli attenzione Tutta equipe Tenta di shiftare l’attenzione del paziente quando ha deliri Incoraggia le attività preferite del paziente Tutta equipe Tutta equipe Supporta il paziente nel mostrargli la realtà Tutta equipe Segnala al medico se i segni di delirium persistono Infermiere OTT 06 ASSISTENZA ANZIANI Tutta equipe INDICE lungo termine ed un intricato rebus dal punto di vista dei meccanismi etiopatogenetici per clinici e ricercatori. Da un punto di vista pratico, però, il delirium offre un’opportunità unica. Può infatti essere l’occasione per ridisegnare nei reparti geriatrici un modello operativo “interdisciplinare” che attiva tutti i componenti dell’equipe su obiettivi comuni. Il delirium è un tipico esempio di competenza mista: il medico ricerca le cause sulle quali è stato attivato dall’infermiere e insieme a tutte le altre figure dell’equipe si concertano gli atti opportuni e necessari. L’intervento non ha senso se non è condiviso ed in qualche modo ciò ha ricadute anche sulla qualità complessiva del servizio. Si pensi, ad esempio al delirium ipocinetico, che rischia di essere misconosciuto da un’equipe disattenta mentre è prontamente riconosciuto e curato da un’equipe competente, con tutto ciò che ne consegue in termini di salute per i pazienti. Il delirium inoltre può anche essere utilizzato come un marker dell’evoluzione clinica del paziente. Il medico, e con lui l’equipe, modificano i propri atteggiamenti terapeutici alla stessa stregua di quanto si verifica in un paziente con la febbre. Se il delirium persiste, indirettamente ciò significa che l’equipe non è stata in grado di individuarne le cause sottostanti, né di mettere in atto gli interventi di management necessari. Al contrario la rimozione del delirium è il risultato di una serie di interventi appropriati e dell’efficacia dell’equipe. Si potrebbe azzardare che il numero di “delirium risolti” in un reparto di riabilitazione geriatrica e di long-term care potrebbe costituire una nuova “outcome measure”. È chiaro tuttavia che tutto ciò non è ottenibile se non viene intrapresa un’attività formativa che coinvolga i membri dell’equipe e successivamente i familiari e gli stessi direttori amministrativi degli ospedali. La formazione è infatti una condizione necessaria ed imprescindibile per imparare a riconoscere le stigmate del delirium e per attivare le risposte terapeutiche. Il DAP (Delirium Abatement Program), che in questo articolo è stato presentato, ha già richiesto negli Stati Uniti uno sforzo notevole in termini di formazione. Parallelamente, iniziative di questo tipo dovrebbero essere AIOCC < promosse non soltanto nei singoli setting, state in elderly hip fracture patients. J Am ma anche tramite mezzi di stampa e teleGeriatr Soc 1991; 39:760-765. visivi. In una logica di sensibilizzazione e Inouye SK, Charpentier PA. Precipitating di formazione continua non occorrerebfactors for delirium in hospitalized elderly bero “delirium rooms”, cioè spazi dedicati patients: predictive model and per trattare pazienti con delirium, ma luointerrelationship with baseline ghi normali dove si impara a discutere in vulnerability. JAMA 1996;275:852-857. un’ottica di condivisione sulle condizioni Inouye SK, Viscoli CM, Horwitz RI, Hurst cliniche del paziente. LD, Tinetti ME. A predictive model for L’implementazione di scale e protocolli di delirium in hospitalized elderly medical valutazione dedicati e la discussione patients based on admission insieme all’equipe medica dei casi clinici characteristics. Ann Intern Med potrebbe, ad esempio, costituire un buon 1993;119:474-481. punto di partenza per intraprendere Kiely DK, Bergmann MA, Jones RN, l’attività formativa ed approfondire le noMurphy KM, Orav EJ, Marcantonio ER. zioni teoriche. Si potrebbe arrivare in un Characteristics associated with delirium secondo tempo ad individuare figure di persistence among newly admitted postriferimento all’interno dell’equipe (una acute facility patients. J Gerontol 2004; sorta di “tutor” del delirium), che rical59A: 344-349. cherebbe in qualche modo la felice intuiLevkoff SE, Evans DA, Lipztin B et al. zione dei Nuclei Alzheimer in cui compo- Delirium: The occurrence and persistence nenti dell’equipe si facevano carico di of symptoms among elderly hospitalized verificare l’adesione di tutti i componenti patients. Arch Intern Med 1992; 152: 334ai programmi di formazione) di mana340. gement che erano stati pianificati. Lipowski ZJ. Delirium in the elderly patient. N Engl J Med 1989; 320: 578582. * Ospedale Ancelle della Carità, Cremona, Lipowski ZJ. Transient cognitive disorders ** Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia (delirium, acute confusional states) in the elderly. Am J Psychiatry 1983;140:14261436. Bibliografia Marcantonio ER, Flacker JM, Wright RJ, Bergmann MA, Purphy K, Kiely DK, Resnick NM. Reducing delirium after hip Jones RN, Marcantonio ER. A model for fracture: a randomized trial. J Am Geriatr management of delirious postacute care Soc 2001;49:516-522. patients. J Am Geriatr Soc, in press. Marcantonio ER, Kiely DK, Bergman MA Fick D, Foreman. Consequences of not et al. Outcomes of older people admitted recognizing delirium superimposed on to postacute facilities with delirium. J Am dementia in hospitalized elderly Geriatr Soc 2005; 53:963-969. individuals. J Gerontol. Nurs 2000; Marcantonio ERE, Simon SE, Bergmann 26:30-40. MA et al. Delirium symptoms in postacute Fick DM, Kolanowski AM, Waller JL, care. Prevalent, persistent, and Inouye SK. Delirium superimposed on associated with poor functional recovery. dementia in a community-dwelling J Am Geriatr Soc 2003; 51:4-9. managed care population: a 3-years Mussi C, Salvioli G. Linee guida per la retrospective study of occurrence, cost diagnosi e la terapia del delirium and utilisation. Journal of Gerontology nell’anziano. Gior Gerontol 2000;48:434Medical Sciences 2005; 60A,6: 748440. Flayerty JH, Morley JE. Delirium: a call Speciale S, Bellelli G, Trabucchi M. Staff to improve current standards of care. J training and use of specific protocols for Gerontol A Biol Sci Med Sci delirium management. J Am Geriatr Soc 2004;59:341-343. 2005;53(8),1445-1446. Gustafson Y, Brannsrom B, Norberg A. Margiotta A, Marrè A, Bianchetti A. Il Underdiagnosis and poor delirium.In Le demenze di Trabucchi M. documentation of acute confusional Ed UTET 4° edizione 2005. OTT 06 ASSISTENZA ANZIANI 51 INDICE > AIOCC OPERATORI E FORMAZIONE AIOCC e l’appuntamento a PTE Expo 2007 > di ERMELLINA ZANETTI * DAL 28 AL 30 SETTEMBRE SCORSO SI È SVOLTO A BRESCIA IL XVII CORSO NAZIONALE PER INFERMIERI ORGANIZZATO DAL GRUPPO DI RICERCA GERIATRICA: AIOCC ERA PRESENTE CON DUE CORSI RIVOLTI AGLI OPERATORI: “LA MALNUTRIZIONE NEI SOGGETTI AFFETTI DA DEMENZA” E “LA VALUTAZIONE DEL DOLORE NEI SOGGETTI AFFETTI DA DEMENZA”, CIASCUNO ATTENTAMENTE SEGUITO DA OLTRE 100 OPERATORI. CONFESSO CHE SONO RIMASTA POSITIVAMENTE STUPITA SIA DAL NUMERO DI PARTECIPANTI SIA DALL’ATTENZIONE E DALLE DOMANDE POSTE AI RELATORI A TESTIMONIANZA DI UN VIVO INTERESSE PER GLI ARGOMENTI AFFRONTATI E DI UN DESIDERIO DI APPRENDERE NUOVE CONOSCENZE UTILI ALLA PROPRIA ATTIVITÀ ASSISTENZIALE. CIÒ CONFERMA la linea sino ad oggi seguita dalla nostra associazione che ha come priorità la formazione di tutti i professionisti e di tutti gli operatori che lavorano nell’ambito delle cure continuative. Lo scorso 11 novembre la nostra associazione ha celebrato il suo primo anno di attività: attraverso le attività di formazione abbiamo avuto l’opportunità di incontrare oltre duemila professionisti e operatori con i quali abbiamo condiviso le preoccupazioni e l’entusiasmo del compito di cura, in particolare la cura e l’assistenza 46 NOV DIC 06 ASSISTENZA ANZIANI agli anziani fragili. Molti di più sono gli operatori che incontriamo attraverso questa rivista: abbiamo affrontato i temi più rilevanti dell’assistenza, cercando per ciascun argomento di fornire, oltre alle conoscenze, strumenti operativi utili alla valutazione o all’intervento assistenziale. Per il futuro è nostra intenzione proseguire sulla strada già intrapresa, confermati dai risultati di recenti ricerche che affermano che l’assistenza erogata a pazienti cronici e fragili ha una maggiore efficacia rispetto ai costi, alla soddisfazione del > Ermellina Zanetti paziente, alla riduzione della durata della degenza, alla prevenzione delle complicanze se erogata da professionisti formati e aggiornati per quel tipo particolare di assistenza. Con rinnovato impegno continua dunque il cammino della nostra associazione: il primo appuntamento è a Verona dal 17 al 19 aprile dove nell’ambito del PTE Expo 2007 celebreremo il II Congresso Nazionale. * Associazione Italiana Operatori Cure Continuative INDICE AIOCC < MUSICOTERAPIA E DEMENZA La collaborazione tra medico ed infermiere > di DANIELE VILLANI * IN OCCASIONE DELL’VIII CONGRESSO MONDIALE DI MUSICOTERAPIA DELLA WORLD FEDERATION OF MUSIC THERAPY, È STATA DATA LA SEGUENTE DEFINIZIONE: “ LA MUSICOTERAPIA É L’USO DELLA MUSICA E/O DEI SUOI ELEMENTI (SUONO, RITMO, MELODIA, ARMONIA) PER OPERA DI UN MUSICOTERAPISTA QUALIFICATO, IN UN RAPPORTO INDIVIDUALE O DI GRUPPO, ALL’INTERNO DI UN PROCESSO DEFINITO PER FACILITARE E PROMUOVERE LA COMUNICAZIONE, LA RELAZIONE, L’APPRENDIMENTO, L’ESPRESSIONE, L’ORGANIZZAZIONE E ALTRI OBIETTIVI TERAPEUTICI DEGNI DI RILIEVO NELLA PROSPETTIVA DI ASSOLVERE I BISOGNI FISICI, EMOTIVI, MENTALI, SOCIALI E COGNITIVI. LA MUSICOTERAPIA si pone come scopo di sviluppare potenziali e/o riabilitare funzioni dell’individuo in modo che egli possa ottenere una migliore integrazione sul piano intrapersonale e/o interpersonale e, conseguentemente, una migliore qualità della vita attraverso la prevenzione, la riabilitazione o la terapia” (Raglio et al., 2000). Così definita, la musicoterapia si caratterizza per l’esistenza: 1) di un setting strutturato; 2) di un modello metodologico di riferimento; 3) di un operatore qualificato. Ci è sembrato utile, prima di entrare nel merito del ruolo della musicoterapia nella malattia di Alzheimer, identificarne bene le caratteristiche, riportando una definizione condivisa dalla comunità scientifica internazionale. Accade spesso, infatti, che vengano definiti come musicoterapia interventi che, pur utilizzando la musica e gli strumenti musicali, non sono compatibili con la definizione di cui sopra. L’ascolto di brani musicali noti, la caratterizzazione di fasi della giornata sulla base di certe melodie, l’utilizzo di particolari musiche volte ad ottenere un effetto rilassante, possono avere una precisa finalità e magari una buona efficacia, ma non rientrano nella sfera di ciò che oggi definiamo musicoterapia. Due aspetti della musica sono noti a tutti. Il primo è la grande influenza che la musica può avere sul tono dell’umore: l’effetto rasserenante della musica, che è stato sperimentato da ciascuno di noi, è così forte e prevedibile che molti lo utilizzano (in casa, in automobile) per ritrovare un po’ di tranquillità, magari dopo una giornata convulsa (è interessante a questo proposito il ruolo che giocano i fattori culturali e anagrafici sulle preferenze musicali, per cui la stessa musica “techno” che ha effetto rilassante su un adolescente può esasperare un anziano, e viceversa un corale di Bach…). Il secondo aspetto noto della musica è il suo forte potere mnestico. Il riascolto di un brano musicale può evocare con molta precisione un episodio della nostra vita, ricostruendo nella nostra mente non soltanto le caratteristiche temporali e spaziali dell’episodio, ma anche lo stato d’animo che caratterizzava quella circostanza (“la nostra canzone” è forse l’esemplificazione più immediata, anche se non quella culturalmente più raffinata, di questo fenomeno). Il ruolo che la musica ha sugli aspetti non-cognitivi (effetto rilassante) e su quelli cognitivi (effetto evocativo) è forse, in alcune circostanze, interdipendente, nel senso che l’evocazione di un momento positivo può indurre rilassamento e serenità. Queste semplici osservazioni sull’influenza che la musica può avere sull’affettività e sulla memoria delle persone ci portano all’ipotesi che la musica possa agire in maniera positiva anche sulla persona malata assumendo un profilo “terapeutico”, particolarmente quando la malattia colpisce la mente , le sue funzioni cognitive e non cognitive. Musica e medicina sono fra loro collegate nelle culture più antiche, come la cinese e l’indiana, ma anche nella cultura europea troviamo esempi dell’utilizzo curativo: della musica (il canto gregoriano privo di componenti ritmiche e molto sviluppato sul piano melodico collegato all’andamento del respiro umano-veniva utilizzato dai monaci francesi di Cluny nell’undicesimo secolo per alleviare le sofferenze dei morenti (la cosiddetta“infirmary music”). La musicoterapia nasce e si sviluppa prevalentemente in ambiente psichiatrico, costruendo nel campo delle psicosi la maggior parte del suo corpus teorico e della sua esperienza pratica (Raglio et al., 2001). L’estensione dell’utilizzo della musicoterapia al campo delle demenze e quindi la sua diffusione in ambito geriatrico, è legata sostanzialmente a due motivi: il ruolo che i disturbi della memoria e del comportamento hanno nella malattia di Alzheimer, che ne fanno un ideale banco di prova per la musicoterapia; le scarse risorse terapeutiche a nostra disposizione nei confronti delle demenze, che hanno portato alla ricerca e allo sviluppo di trattamenti non-convenzionali, tra i quali appunto si colloca l’utilizzo della musica. Come si diceva all’inizio, un requisito della musicoterapia è il riferimento a una metodologia specifica. I modelli musicoterapici accreditati dalla World Federation of Musictherapy sono cinque: l’approccio Nordoff-Robbins basato sull’improvvisazione creativa, quello comportamentale di Madsen, quello psicoterapico ricettivo di Bonny, l’approccio junghiano di Priestley, l’approccio attivo relazionale, psicodinamico di Benenzon (1998). A quest’ultimo, utilizzato nel nostro istituto per molti anni in ambito psichiatrico e da tre anni nelle persone affette da malattia di Alzheimer, faremo riferimento nel corso NOV DIC 06 ASSISTENZA ANZIANI 47 INDICE dell’articolo (Raglio, 2002). In geriatria numerose sono le esperienze di “animazione musicale”. La loro finalità comune è la ricerca di una situazione di benessere in un contesto di socializzazione; nell’animazione musicale l’operatore formula proposte, generalmente pensate a priori, che costituiscono il contenuto dell’intervento. Frequenti sono anche le esperienze di “ascolto musicale”, che possono avere varie finalità: evocative, in cui si cerca di sollecitare ricordi o stati d’animo con lo scopo di attivare momenti di verbalizzazione; induttive di nessi, con lo scopo di facilitare il riconoscimento di ambienti o di momenti strutturati della giornata; contenitive, nell’ipotesi che l’ascolto musicale genericamente definito (musica classica, musica preferita) possa agire con qualche efficacia riducendo, soprattutto nelle demenze, i disturbi comportamentali, migliorando il tono dell’umore o la socializzazione. Indicazione applicative Perché, dunque, la musicoterapia nella malattia di Alzheimer? Nella teoria psicologica di Stern (1985), cui fanno riferimento le tecniche musicoterapiche da noi utilizzate, si fa riferimento ad un «universo affettivo primario» che si colloca nel periodo pre-verbale dello sviluppo, che permane in tutta la vita dell’individuo, ed è caratterizzato da aspecificità percettiva (amodalità) e contemporanea attivazione di più canali sensoriali (sinestesia). Il suono e la musica si collocano nell’ambito di queste esperienze arcaiche, che la musicoterapia tende a recuperare in un malato che, come il malato di Alzheimer, ha perduto molte capacità relazionali, in particolare quella verbale. Con queste premesse teoriche è possibile ipotizzare che il suono e la musica attivino modalità espressive arcaiche probabilmente ancora presenti nella persona con malattia di Alzheimer, recuperate attraverso una regressione terapeutica condivisa e guidata dal musicoterapeuta. Ciò significa by-passare le funzioni cognitive, la capacità elaborativa e di simbolizzazione, per attingere a quel mondo di emozioni e sensazioni non ancora ben strutturate e consapevoli, benché colte ed espresse attraverso i primitivi canali prima men- AIOCC < zionati. L’utilizzo della musicoterapia nella malattia di Alzheimer può migliorare dunque gli aspetti relazionali e ridurre i disturbi del comportamento. Vediamo ora qualche aspetto operativo, derivato dalla nostra esperienza con i malati di Alzheimer. 1) Indicazioni di trattamento. L’intervento musicoterapico si rivolge principalmente a persone con scarse capacità relazionali. Nel caso specifico della malattia di Alzhei- zione ci si avvale della stesura e dell’elaborazione di Protocolli di Osservazione e di una Scheda Musicoterapica, che verranno utilizzate anche durante il trattamento. Se le condizioni cognitive del malato lo consentono, é utile spiegargli le caratteristiche del trattamento: modalità, obiettivi, durata, enfatizzando il ruolo curativo del trattamento stesso. 3) Le sedute. Le sedute si svolgono in un mer le prescrizioni di trattamento sembrano supporre una indicazione particolare per persone con CDR (Clinical Dementia Rating Scale) da 1 a 3, anche con gravi disturbi psichici e/o comportamentali. In relazione alla gravità è possibile proporre un intervento individuale o di gruppo. I malati ammessi al trattamento possono essere affetti anche da altre forme di demenza (vascolari ad es.): preferiamo comunque, in caso di trattamenti di gruppo, costituire gruppi omogenei. 2) Disponibilità e idoneità al trattamento. Dopo la segnalazione da parte del medico curante, il musicoterapista deve preliminarmente valutare la disponibilità del malato al trattamento e l’indicazione al trattamento stesso. Ciò avviene attraverso un numero limitato di sedute (da 2 a 5) precedute da un breve colloquio in cui la persona viene informata circa gli obiettivi dell’intervento. In queste sedute viene anche valutata l’idoneità del paziente al trattamento attraverso la rilevazione dei presunti segnali “comunicativi” sonoromusicali. In queste prime sedute di valuta- locale che, preferibilmente, dovrebbe avere i seguenti requisiti di base: dimensioni equilibrate, isolamento acustico, assenza di eventuali stimolazioni potenzialmente interferenti. La stanza in cui si effettuano le sedute è separata da un vetro unidirezionale da quella in cui si effettua l’osservazione. E’ preferibile che la stanza di musicoterapia sia nelle immediate vicinanze o all’interno del luogo di degenza. La presenza di stimoli estranei al setting musicoterapico (colori, oggetti superflui, finestre sprovviste di tende, etc.…) risulta essere disturbante e talvolta interferente nel trattamento. Bisogna anche prestare attenzione ad alcuni aspetti organizzativi, come l’accompagnamento delle persone da parte di operatori dell’equipe di cura. E’ necessaria una equilibrata distribuzione degli interventi musicoterapici che, nella nostra esperienza è dell’ordine di 2-3/settimana. La durata delle sedute, siano esse singole o di gruppo, è di 30 minuti. Il setting strumentale deve essere essenziale e facilmente accessibile: può prevedere la preNOV DIC 06 ASSISTENZA ANZIANI 49 INDICE > AIOCC senza di tutte le famiglie strumentali (membranofoni, idiofoni, aerofoni, cordofoni ed elettrofoni) disposti in modo ordinato e in numero ridotto, tenendo conto di supporti che facilitino la presa degli strumenti nonché la mobilità dei pazienti. Nelle prime sedute il paziente viene messo nelle condizioni di poter esplorare e interagire con una vasta gamma di stimoli sonoro-musicali. Nei successivi incontri si arriva alla graduale definizione di un setting calibrato, adeguato al paziente, che riflette maggiormente l’identità sonoromusicale dello stesso e in cui emerge la funzione di “oggetto intermediario” assolta da alcuni strumenti. Le consegne che il musicoterapista dà al paziente, possono essere verbali o non verbali e assumere una connotazione di direttività, semi-direttività e non direttività. Le consegne verbali e in generale le verbalizzazioni, solitamente assenti nel trattamento musicoterapico secondo questo orientamento teorico-metodologico, sembrano avere in alcuni casi, nei trattamenti di persone con malattia di Alzheimer, un ruolo contenitivo e tranquillizzante, oltre che contribuire a orientare i pazienti nel setting musicoterapico. Nella fase operativa, quanto evocato e suscitato dal paziente viene evidenziato, elaborato e restituito dal musicoterapista dal punto di vista emotivo e sonoro-musicale con il fine di instaurare una relazione. Il musicoterapista potrà: a) stimolare il paziente nel caso in cui questo non interagisca attraverso l’impiego di materiale sonoro-musicale; b) riprendere, elaborare e rimandare le produzioni sonoro-musicali spontanee emergenti dal contesto musicoterapico, nel caso in cui il paziente sia propositivo. 4) La verifica. La verifica del lavoro svolto costituisce, come sempre nel trattamento di questi malati, un momento problematico. Il momento di verifica é costituito dalla condivisione dei contenuti dei Protocolli di Osservazione stesi al termine di ogni seduta. I Protocolli rilevano la quantità, la durata e le caratteristiche delle produzioni del paziente e del musicoterapista, oltre che gli elementi e/o parametri sonoro-musicali ricorrenti o che compaiono per la prima volta nelle sedute; vengono inoltre rilevati la quantità di stimoli 50 NOV DIC 06 ASSISTENZA ANZIANI proposti dal musicoterapista e le produzioni spontanee del paziente. Il Protocollo, inoltre, rileva eventi manifesti direttamente estrapolabili dalla visione delle immagini relative alle sedute. Questo Protocollo di Osservazione, elaborato dalla nostra équipe di musicoterapia, ha lo scopo di rilevare quantitativamente e qualitativamente la “relazione intersoggettiva” nell’ambito di una seduta di musicoterapia. Altre importanti verifiche sono quelle che si effettuano all’esterno del setting musicoterapico utilizzando strumenti valutativi già esistenti (ad esempio la Cohen Mansfield Agitation Inventory e il Neuropsychiatric Inventory) e altri che possono essere creati appositamente per effettuare osservazioni mirate su comportamenti specifici (sorriso, pianto, allontanamento/avvicinamento fisico ecc.) o per acquisire altri elementi di valutazione (interviste a familiari, interviste a operatori coinvolti nella cura della persona, ecc.). Considerazioni conclusive L’utilizzo della musicoterapia nella demenza offre interessanti prospettive di efficacia. Alcuni aspetti devono essere ancora chiariti, altri devono con fermezza essere tutelati. • Assuma in modo sempre più netto i caratteri di una disciplina scientifica, che si muove entro regole precise, abbandonando fumosità ed esoterismi che non giovano a nessuno, tanto meno ai malati; altre forme di utilizzo della musica (l’animazione musicale, l’ascolto) hanno sicuramente diritto di cittadinanza nella complessità della care dei dementi, ma è bene chiarire che esulano dalla sfera della musicoterapia. • Il metodo utilizzato da noi, non ha il suo baricentro nella evocazione di un ricordo musicale, ma nel recupero di un sistema di comunicazione arcaico, preverbale. • La nostra esperienza ci consente di delineare delle procedure (pazienti da trattare, tempi, modalità ecc.); le prime osservazioni ci fanno ritenere che la musicoterapia possa agire positivamente sulle capacità relazionali dei dementi, riducendo, forse in modo conseguente, i disturbi del comportamento (Puerari et al., 2000). • E’ sempre necessaria una valutazione parallela dei risultati: quella tecnica, condotta dai musicoterapisti nel laboratorio di musicoterapia; quella ecologica, condotta dall’equipe di reparto; è inoltre necessario affinare gli strumenti valutativi, poiché le usuali scale comportamentali, cognitive, funzionali non sembrano in grado di cogliere i cambiamenti indotti dalla musicoterapia. • Rimane ancora aperto il problema della durata dell’efficacia del trattamento, aspetto critico in una logica di buon utilizzo delle risorse. • La musica, arte suprema, linguaggio universale di ogni popolo e di ogni razza, fonte delle emozioni più profonde e appassionate di ogni essere umano, deve essere guardata e “trattata” con grande rispetto: o la si lascia liberamente fluire, ascoltare, godere, o la si inserisce in una cornice di regole e scientificità. L’utilizzo maldestro della musica in medicina è, in ultima analisi, grave mancanza di rispetto per la musica e per il malato, per l’arte e per l’uomo. * Istituto Ospedaliero di Sospiro (CR) Bibliografia - Benenzon R.O. La nuova musicoterapia. Ed. Phoenix, Roma,1998 - Puerari F., Raglio A., Ubezio M.C., Villani D. Musicoterapia e malattia di Alzheimer: un’esperienza di ricerca. VL Congresso Nazionale Società Italiana Gerontologia e Geriatria, Firenze, 22-26 novembre 2000. - Raglio A., Manarolo G., Villani D. Musicoterapia e malattia di Alzheimer. Proposte applicative e ipotesi di ricerca. Ed. Cosmopolis, Torino, 2000 - Raglio A., Puerari F., Ubezio M.C., Villani D. Musicoterapia e malattia di Alzheimer: una revisione della letteratura. Demenze, 2:10-16, 2001 - Raglio A. Musicoterapia e malattia di Alzheimer, Ed Cosmopolis, Torino 2002. - Stern D.N. The interpersonal world of the infant. Basic Books, New York,1985 Il presente articolo è tratto dalla rivista I luoghi della cura (1/2004)