riassunto cap. XXV

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riassunto cap. XXV
I promessi sposi – Capitolo XXV
Don Rodrigo in fuga
«Il giorno seguente, nel paesetto di Lucia e in tutto il territorio di Lecco , la vicenda della
conversione è al centro delle chiacchiere. Don Rodrigo, «fulminato» dalla notizia, se ne sta due
giorni «rintanato nel suo palazzotto solo co’ suoi bravi, a rodersi»; il terzo giorno, preoccupato per
la venuta del cardinale, e pensando alla meschina figura che avrebbe fatto col conte zio se non
avesse avuto in pubblico dal cardinale «le più distinte accoglienze», parte col Griso e con altri bravi
per Milano: «come un fuggitivo».
Il cardinale al paese di Lucia
Intanto il cardinale viene visitando, una per giorno, le parrocchie del territorio di Lecco. Il giorno
della visita pastorale il paese di Lucia è in festa; la gente va in folla incontro al cardinale. Don
Abbondio è fra gli ultimi a muoversi, ma poi, «uggioso» e sbalordito dal fracasso, si rifugia ad
aspettare il presule nella chiesa vuota, che ben presto si riempie di fedeli. Terminata la cerimonia in
chiesa, dopo una breve consultazione con don Abbondio, il cardinale ordina che si spedisca una
lettiga a prendere Agnese e Lucia perché possano almeno rivedere il loro paese, anche se è
sconsigliabile che vi risiedano permanentemente. Don Abbondio esce dal colloquio rassicurato:
«Dunque non sa niente, - diceva tra sé - Agnese e stata zitta: miracolo!».
In casa del sarto
Nella «casuccia ospitale» del sarto Lucia aveva chiesto subito da lavorare; la madre un po’ andava
fuori, un po’ lavorava in compagnia della figlia. I loro discorsi erano tristi: si profilava una
separazione, perché «la pecora non poteva tornare a star così vicino alla tana del lupo». Ciò
nonostante Agnese faceva progetti per il futuro: Renzo prima o poi avrebbe dato sue notizie e la
famigliola si sarebbe potuta finalmente ricongiungere! «Lucia baciava la madre e piangeva» senza
aver cuore di svelare il suo segreto.
Donna Prassede
In una dimora signorile vicino al paesetto «villeggiava una coppia d’alto affare»: don Ferrante e
donna Prassede. «Era donna Prassede una vecchia gentildonna molto inclinata a far del bene» e a
seguire i voleri del cielo; senonché spesso faceva lo sbaglio «di prender per cielo il suo cervello».
Incuriosita dal «gran caso» di Lucia, manda a prender madre e figlia con una carrozza (Lucia
accetta solo dopo molte insistenze del sarto); tratta le donne «con una certa superiorità quasi
innata», ma temperata da gentilezza; si offre poi di ospitare Lucia. Si era subito persuasa infatti di
dover «raddrizzare un cervello», ossia distogliere la ragazza dall’amore per un «sedizioso», uno
«scampaforca»: uno scopo da tener segreto, tanto più che il contegno schivo di Lucia denotava
«sicuramente molta caparbietà». Lucia e Agnese accettano l’offerta, col cuore stretto per l’ulteriore,
imminente separazione; don Ferrante, il letterato di casa, è incaricato di stendere una lettera per il
cardinale. Questo avveniva qualche giorno prima che il cardinale mandasse la lettiga per ricondurre
le donne al loro paese.
Ritorno al paese
Arrivate al paese, Lucia e Agnese smontano alla casa parrocchiale, e il cappellano, con molte
raccomandazioni sul cerimoniale da osservare, le introduce dal presule. Questi sta discorrendo con
don Abbondio che, nell’uscire, dà un’occhiata alle due donne per raccomandare il silenzio.
Federigo, ricavato dai molti «fiori» di bello stile il «sugo» della lettera di don Ferrante, dà il suo
assenso, seppure con scarso entusiasmo; esorta poi le donne ad accettare serenamente la separazione
e a confidare nel Signore, e le congeda benedicendole. Appena fuori, madre e figlia si trovano
addosso «uno sciame d’amici e d’amiche», che le accompagnano in una passeggiata trionfale, prima
a casa e poi in chiesa.
Don Abbondio e il cardinale
Dopo le funzioni, don Abbondio è occupato a dare gli ultimi ordini a Perpetua per il pranzo di gala
quando il cardinale lo manda a chiamare. Dalle prime battute capisce che la tempesta sta
addensandosi sul suo capo: «Hanno votato il sacco stamattina coloro», pensa tra sé. E
l’interrogatorio severo del «grand’ospite» comincia. Di fronte ai rimproveri solenni del cardinale,
don Abbondio mette avanti le sue ragioni : «quando si tratta della vita …». Ma il cardinale,
seguendo la logica del dovere, della giustizia e dell’amore, insiste nella sua requisitoria, cui don
Abbondio può opporre solo l’apodittica asserzione: «Il coraggio uno non se lo può dare». Dopo
ulteriori incalzanti domande («Cosa v’ha ispirato il timore, l’amore?»), il cardinale tace, «in atto di
chi aspetta».