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ANNO II Numero 1 gennaio-febbraio 2011 stampato in proprio copia gratuita ...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande... Alberto Viel empre più spesso mi capita di sentire da più parti opinioni e commenti riguardanti l'attuale società. Parole queste che provengono da quelle persone che per comodità di comprensione definisco "normali", quelle persone cioè che inserite nella società moderna, ne seguono i ritmi ed i dettami, non vivendo alcuna esperienza di militanza all'interno di una comunità organica. S Dicevo, da sempre più parti sento opinioni riguardo l'attuale degrado della società, tali critiche sono in particolar modo rivolte al mondo dei giovani ed ai giovani stessi, i quali sono smidollati, maleducati, privi di qualsiasi responsabilità, interessati esclusivamente ai propri interessi egoistici e alla necessità di avere tutto, o almeno il più possibile, con il minimo sforzo; ai giovani, queste persone, rinfacciano i loro tempi, quasi oscuri e remoti, in cui le cose andavano diversamente, in cui le responsabilità si acquisivano gi in tenera età e tutto quello che si otteneva era frutto di forze e sacrifici. Ora, senza nulla togliere a questi adulti che sperano con le loro parole di risvegliare un qualche sentimento nei propri figli, ma trovo le loro parole alquanto sterili e fine a se stesse; mi spiego, non si può rinfacciare ai propri figli atteggiamenti, usi e costumi figli degli stessi genitori che muovono le critiche. Nel momento in cui hanno voluto creare una società libera da ogni vincolo spirituale e gerarchico, cancellando completamente ogni punto di riferimento e di esempio, non puoi poi lamentarti se tuo figlio si sfracella in macchina sulla fermata dello scuolabus, gremita di bambini, perché è troppo fatto o se tua figlia tira pompini su un divano dopo aver finito di tirare cocaina. La decadenza dell’mondo moderno, ma prima ancora dell’uomo moderno, è principalmente di carattere spirituale. Quello che noi contrapponiamo a questa società, è quello che viene chiamato lo Spirito Legionario. Per Spirito Legionario noi intendiamo lo spirito guerriero, ma badate, non lo spirito generatore di una forza distruttrice e guerrafondaia, ma lo spirito costruttore e generatore di forza, quello spirito che si basa ancora su valori tangibili, reali come l’Onestà, la Lealtà, la Giustizia, lo Spirito di Sacrificio, quei valori che costituiscono la dignità di un Uomo. Tali valori dovranno essere il solco, l’esempio da seguire, il timone di una nuova categoria di uomini, che al proprio interesse personale anteporranno il bene della comunità, uomini che non cercheranno mai onori e glorie da parte degli altri, che non rinfacceranno un ora di lavoro in più o una spazzata in più al pavimento, rispetto ad un altro, saranno uomini che lavoreranno in silenzio, senza mai sentirsi importanti, anonimi nel gesto ma orgogliosi della funzione, della responsabilità e del fine perseguito. Al giorno d’oggi, dovrebbe essere abbastanza semplice sapere come comportarsi, infatti basta guardarsi intorno, quasi ovunque, per sapere quello che noi NON dobbiamo essere. Come diceva un noto personaggio: “Se tutto questo è il Bene… allora sì che siamo il Male” E ora buona lettura! 2 Bollettino N° 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita ...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande... rimo Carnera nasce il 25 ottobre 1906 a Sequals, un paesino in Provincia di Pordenone, a 40 chilometri da Udine. Carnera alla nascita pesava circa 8 kg. Evento eccezionale ancora oggi, ma realmente straordinario in un periodo storico in cui la povertà, la fame e la disoccupazione erano problemi sociali molto più diffusi e drammatici di oggi. La sua famiglia era molto povera e sopravviveva solo grazie al lavoro del padre, un mosaicista emigrato in Germania. Nel 1914 il padre di Carnera fu chiamato a combattere la Prima guerra mondiale e fu quindi costretto ad abbandonare il lavoro, facendo gravare il carico familiare sulle spalle della moglie. La madre cercò allora lavoro, ma fu presto costretta a vendere la fede nuziale per sopravvivere. P Carnera fu così costretto ad abbandonare la scuola ed iniziò a mendicare insieme ai suoi fratelli. Nel frattempo, la sua crescita poderosa continuava, al punto che a dodici anni, aveva già la statura di un adulto ed era sempre più difficile per lui avere vestiti e scarpe della sua misura, tanto da essere costretto ad usare le scarpe di un soldato austriaco morto in battaglia. La sua mole molto imponente lo costringeva ad un consumo di viveri maggiore e questo causò ulteriori disagi alla famiglia. Ancora adolescente, spinto dalla fame e dalla povertà, emigra in Francia dagli zii. Inizialmente lavora come carpentiere e tale attività gli consentirà di avere un maggior corrispondente in viveri. Gli zii lo introdussero anche nel mondo del pugilato, organizzandogli un incontro con un principiante ma Carnera non era ancora pronto al grande passo. Il suo fisico, intanto, diventava sempre più quello di un vero e proprio "carnera": alto e nerboruto. In un' epoca in cui l'altezza media si aggirava sui 1.65 m, egli invece arriva a sfiorare i due metri e 5 cm, per 129 kg. Di piede invece calzava il 55. Nel 1925, un circo fece tappa proprio dove lui risiedeva, vicino Le Mans. Un giorno, durante uno degli incontri di lotta di questo circo al quale stava assistendo, il responsabile notò il suo fisico imponente che destava sgomento e lo ingaggiò. Con questo nuovo lavoro, Carnera sperava soprattutto di migliorare il suo stile di vita. Così iniziò a girare, per tre anni, in varie località. Alla sua vista le persone 3 Bollettino N° 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita ...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande... rimanevano sbigottite, ma alcune presuntuosamente lo sfidavano. A tal proposito si narra che in uno dei suoi incontri un giovane gli diede un pugno nella pancia; Carnera si arrabbiò per la violenza gratuita e lo afferrò per il collo facendolo svenire; gli amici decisero di vendicarsi sfidandolo in quattro, ma la dinamicità e la resistenza sviluppate da questo lavoro gli permisero di aver ragione su tutto il gruppo senza particolari affanni. I giornalisti pubblicarono l’accaduto rendendo più popolare il circo e Carnera stesso. Il responsabile, soddisfatto di aver incrementato i suoi guadagni grazie a lui, gli aumentò il salario. Sull'onda del successo del lottatore friulano, venne messa in palio una ricompensa per chi fosse riuscito a sconfiggerlo, ma nessuno ci riuscì. Divenne un fenomeno e gli vennero affibbiati dei soprannomi, tra i quali il più curioso era Juan lo spagnolo. Un giorno il circo fece tappa ad Arcachon. Qui, tra la folla che assisteva alle lotte di Carnera, c’èra anche Paul Journée. L’ex campione francese dei pesi massimi seguì attentamente le abilità acquisite dell’eccezionale lottatore e vide in lui le capacità di un pugile di potenza, che solo allenandosi seriamente e con metodo, avrebbe potuto valorizzare le sue doti. Lasciare significava però per Carnera ritornare alla povertà, quindi inizialmente rifiutò la proposta; poi trovò una soluzione: si sarebbe sostenuto riprendendo il suo primo mestiere. Attraverso la sua caparbietà e gli insegnamenti dell'ex campione, presto raggiunse buoni livelli. Journée insisté nel farlo vedere al manager Léon See, che rimase allibito dall’imponente stazza. See lo mise alla prova con il campione Gene Tunney. Successivamente, per abituarlo, lo fece combattere con un peso massimo ma il maciste friulano mise al tappeto anche lui. Dispiaciuto di averlo fatto svenire, però, si scusò. Carnera era così, buono e ingenuo, al contrario del suo manager, il quale si arrabbiò con lui per il suo gesto. L’affarista, dopo aver constatato i miglioramenti del suo pugile, lo sottopose all’organizzatore Jeff Dickson. Carnera era abbastanza preparato e in grado di cimentarsi anche nel professionismo. Debutta a Parigi, il 12 settembre 1928, dove vince al secondo round per knockout contro Leon Sebilo. Vince tutti i sei match successivi: tra questi il tanto discusso incontro con Epifanio Islas, a Milano. I giornalisti dichiararono truccato il match e definirono Carnera “torre di gorgonzola”, pensando che non avesse tante possibilità di diventare un vero pugile. In verità il suo manager, quando poteva, si assicurava la vittoria. E’ ancora oggi un mistero su quanti fossero gli incontri truccati, ma una cosa è sicura: Carnera non era a conoscenza di come il suo manager gestiva gli incontri. Comunque fosse, furono molti i match vinti regolarmente. Anche se mancava di tecnica Carnera possedeva infatti un pugno eccezionale. Perse invece, per squalifica, con Franz Diener a Lipsia. Dopo sette incontri vinti consecutivamente, perse anche il match di ritorno con Young Stribling per squalifica. Deluso da come era stato accolto nella sua amata patria, a seguito delle continue polemiche riguardanti la regolarità dei suoi incontri, nel 1930 approda negli Stati Uniti. Sono gli anni del proibizionismo, della crisi economica e della mafia italo-americana, che investirà su Carnera 4 Bollettino N° 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita ...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande... Il match successivo si tenne a Londra, contro Reggie Meen. Anche qui Carnera vince per k.o. tecnico. Intanto il 1930 volge alla fine con un totale per lui di 25 vittorie e una sola sconfitta. insieme a Léon See, preferendo la quantità, alla qualità dei match. Carnera ottiene 15 vittorie, 14 per knockout e 1 per squalifica contro George Godfrey . A queste se ne aggiungono altre 5, ma perse ai punti contro Jim Maloney. Carnera diventò sempre più popolare, tutto il mondo parlava di lui, specialmente quando affronta Paulino Uzcudum, ex campione europeo. In Spagna era in corso la guerra civile e c'era bisogno di qualcuno in cui potersi identificare. L'unico su cui poter contare era Uzcudum. Il manager di Carnera, pur scettico sulle probabilità di vincita del suo pugile, accettò. La stampa italiana screditò il proprio connazionale, lo diede per perdente convinta che, se avesse vinto, sarebbe stato solo per qualche combine. Ma quel 30 novembre 1930 le cose andarono diversamente. Non c’era nessun trucco, anzi gli organizzatori, non si capisce se per avvantaggiare il basco Uzcudum, costrinsero Carnera ad usare dei guantoni più piccoli rispetto a quelli che portava sempre. Inizialmente il pugile rifiutò questa ingiustizia ma poi, pensando a quanti hanno pagato (circa ottantamila) per vedere il match non se la sente di deludere chi lo ama, quindi umilmente accetta e sale sul ring. Non fu facile combattere in quelle condizioni. Uzcudum era sempre in vantaggio, ma Carnera resisteva. Il match durò più del previsto e alla fine Carnera vinse ai punti. Così le dichiarazioni dei giornalisti italiani cambiarono e iniziarono ad esaltare ed omaggiare il grande friulano, dato che era stato capace di vincere in quelle condizioni, si chiedevano di cosa potesse essere capace. Nel 1931, Dopo sei match, tutti vinti, tocca a Jack Sharkey, che vince il match dell’andata ai punti. Dopo circa un mese il gigante buono dimostra anche di aver acquisito una tecnica abbastanza buona nel match contro King Levinsky. Sempre a novembre è il turno di Vittorio Campolo, che viene messo ko al secondo round. Trascorre così un altro anno, con un totale di 17 match, 9 vinti e uno perso ai punti. Nel 1932 Carnera subisce due discutibili sconfitte contro Larry Gains e Stanley Poreda e vince gli altri 23 incontri. Dopo la sconfitta subita da parte di Larry Gains, viene a conoscenza del fatto che il suo manager si appropriava della maggior parte del suo denaro e che collaborava con la mafia. Parte così per l’Italia dove entra a far parte del team di Luigi Soresi, meno esperto del precedente manager ma anch'egli abbastanza furbo, che inizia a “gestire” Carnera. Soresi annuncia l'accordo alla stampa italiana e tutti vengono a conoscenza anche della crisi economica che aveva colpito il gigante di Sequals. Soresi lo riporta negli USA organizzando dei match valevoli per il titolo mondiale. Il 10 febbraio 1933 gli tocca confrontarsi con Ernie Schaaf, il quale, dopo un match faticoso, viene messo al tappeto. Successivamente, Ernie Schaaf muore a causa di una emorragia cerebrale, procuratagli dai grossi ed energici pugni di Carnera. 5 Bollettino N° 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita ...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande... Afflitto dai rimorsi di coscienza, il pugile si ritira dalla boxe. Attraverso l’aiuto degli amici, della famiglia, dalla madre di Ernie e dalle proposte di girare qualche film, esce da questo brutto periodo. Dopo due mesi riprende gli allenamenti per prepararsi a conquistare il titolo mondiale di Jack Sharkey. L’evento, che tutti attendevano da tanto, si tiene al Madison Square Garden di New York, lo stesso in cui aveva sconfitto Shaaf. E’ il 29 giugno 1933 quando Primo Carnera sale sul ring per affrontare nuovamente Jack Sharkey. L’arena è gremita, il pubblico è caloroso ed ansioso di assistere al match. Poiché i pugni di Carnera erano molto devastanti, il team di Sharkey insiste nel controllare i guantoni di Carnera, convinti che fossero pieni di oggetti di metallo, ma si rendono ben presto conto che non c'è trucco nella forza del gigante. Dopo sei round Carnera mette ko con un montante destro Jack Sharkey. Gli italiani presenti urlano, gridano il nome di Carnera, sia perché è un loro connazionale sia perché come lui hanno alle spalle storie difficili e umili. Carnera diventa l’uomo più forte al mondo, il primo campione mondiale dei pesi massimi italiano. Tutti parlano di lui, del suo titolo, del fatto che ha finalmente raggiunto la tecnica di cui necessitava avendo dimostrato di non saper usare soltanto i jab sinistri. Il pugile manda due telegrammi di ringraziamento: il primo è indirizzato alla madre e il secondo al Duce. Il 22 ottobre 1933 Carnera deve difendere il titolo mondiale, nel re-match contro Paolino Uzcudum, Carnera vorrebbe combattere in Italia, nella sua terra, davanti alla sua gente e davanti al suo Duce, ma ciò non sarebbe possibile in quanto egli è sotto contratto con il Madison Square Garden di New York, la mafia però, intuisce un buon affare e fa in modo che l’incontro abbia luogo a Roma. Al match è presente anche Mussolini. Primo Carnera combatte rifiutando il compenso e indossando una camicia nera, al fine di esprimere la propria vicinanza al Fascismo. Il match ben combattuto da entrambi gli sportivi, vede il friulano vincere ai punti. Il pubblico esprime il proprio entusiasmo, ora più che mai. Le istituzioni, allora, lo accolgono e lo omaggiano. Carnera rappresenta un modello, del nuovo italiano che il regime fascista vorrebbe creare . Benito Mussolini lo fa affacciare dal balcone di Piazza Venezia. Il Duce fa di Carnera un modello da imitare. Attraverso lui, si invogliano i balilla, si rende più popolare l'ideologia fascista e la forza del nuovo italiano non più solo pizza mandolino. Carnera, dunque diventa un eroe nazionale, un uomo invincibile e ancor di più dopo, aver conquistato il titolo mondiale, che incrementa la riproduzione di fumetti, manifesti e articoli che lo omaggiavano come fosse una divinità. Non solo in Italia; in America, già a cominciare dallo storico manager Léon per poi continuare con Luigi Soresi e Bill Duffy, viene gestita l’immagine di Carnera. Attraverso i giornalisti, i manager lo impongono come The Ambling Alp (La Montagna che Cammina Lentamente) anche se gli esperti di boxe gli rimproverano l’animo buono. Deve essere cattivo, dicono. E sì, in un certo modo hanno ragione. Carnera non si rese mai conto di cosa combinavano i suoi 6 Bollettino N° 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita ...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande... manager, si fidava troppo e non era per niente malizioso. Dopo aver difeso il titolo contro Uzcudum, Carnera ritorna negli USA e il 1 marzo 1934, sale sul ring contro Tommy Loughran. Dopo un sudatissimo match, la vittoria finale viene data a Carnera. Il prescelto per il successivo match è Max Baer, un americano di 95 kg un po' più basso di Carnera. Molto esperto della nobile arte, anche se con muscoli meno saldi. Il 14 giugno 1934 viene arrestato il manager di Carnera, proprio quando doveva combattere contro Max Baer. Affronta la situazione e sale sul ring lo stesso. L'opinione di tutti è che il match sia difficile, ma ben alla portata di Carnera; tuttavia l'azione dell’Italiano appare incerta, macchinosa e dopo circa un minuto dall'inizio dell'incontro Baer lo colpisce ripetutamente al viso mandandolo al tappeto per 2 volte. Ad aggravare la situazione è un infortunio che Carnera si era procurato scivolando (probabilmente indietreggiando per evitare un colpo di Baer) all'inizio del match stesso e che coinvolge la caviglia, lussandola. Tutti i presenti a bordo ring si accorgono dell'accaduto, ciononostante Carnera prosegue il match. Nel 4° round Carnera cerca di reagire e portare l'incontro a suo favore ma Baer si rivela un pugile esperto e rapido tanto che riesce a schivare tutti i pugni dell'italiano. Nel 5° round, a pochi secondi dal suono della campana, Baer si fa sentire con un deciso montante, un colpo che Carnera sembra soffrire in modo particolare. Nel 6°, 7° e 8° round i due si scambiano una serie di pugni, nessuno dei quali decisivi. Con il 9° round sembra che l'incontro debba proseguire in una situazione di parità, Max Baer appare infatti meno potente e veloce. Durante la metà del 10° round Baer colpisce Carnera sul volto con un preciso destro, il pugile italiano accusa il colpo e abbassa la guardia, dando la possibilità a Baer di colpirlo nuovamente con un destro violentissimo. Carnera si allontana dall'avversario, riesce a rimanere in piedi appoggiandosi alle corde. L'arbitro ferma per un attimo la sfida provocando le ire dei secondi di Baer. L'incontro riprende e subito Baer colpisce nuovamente al volto, questa volta il pugile italiano cade sulle ginocchia, ma si rialza subito. L'incontro è ormai segnato, Baer fa partire dei colpi in successione, Carnera cade al tappeto ma si rialza di nuovo immediatamente. Il gigante buono sembra non voler arrendersi e viene salvato dal suono della campana. Alla fine del 10° round appare fortemente provato tanto da non sentire il suono della campana, viene accompagnato all'angolo da un suo secondo. All'inizio dell'11° round Baer manda al tappeto il pugile italiano colpendolo con un preciso diretto al volto: Carnera si rialza ma subisce un altro violento colpo di Baer. A pochi secondi dalla fine del round, colpito da un altro destro, va a terra. Si rialza subito ma l'arbitro capisce che non è in grado di proseguire e decide di sospendere l'incontro. 7 Bollettino N° 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita ...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande... Max Baer è il nuovo campione del mondo dei pesi massimi. Carnera avrebbe fortemente voluto una rivincita contro Baer ben sicuro di poterlo battere nel pieno delle forze ma il suo manager americano Duffy non volle accontentarlo. Dopo questo match, resta in convalescenza per due mesi, con una gamba ingessata. non è più quello di una volta, forte e abile, quindi perde ai punti. In seguito gira anche numerosi film, tra cui “L’idolo delle donne”, in cui Carnera e Max Baer interpretano se stessi. A Carnera, invece, viene diagnosticato il diabete e gli viene tolto un rene. Successivamente, si riprende e il 13 marzo 1939 si sposa con Pina Kovacic. Dal loro amore nacquero due figli: Umberto e Giovanna Maria. Perde anche a Budapest, il 4 dicembre 1937, contro Joseph Zupan. Il posto di Carnera nel cuore degli italiani, intanto, inizia a essere preso dal calcio, che diventa così lo sport più seguito, favorito dalle vittorie della Nazionale allenata da Pozzo. Come sempre, però, ritorna a combattere. Gira quasi tutto il Sudamerica, dove è molto amato. Nel 1935, dopo aver affrontato Ray Impellettieri e aver vinto il match, decide di combattere con Joe Louis. Otto anni meno di Carnera, abbastanza famoso e abbastanza forte. Il Duce è con Carnera, mentre Harlem è con Louis. È un match bollente, pieno di cori razzisti, di tifosi di Louis, di agenti della sicurezza e di tecnici. Alquanto vissuto anche dagli avversari. Alla fine la vittoria se l'aggiudica Joe Louis. Nel 1936 Carnera inizia a combattere con dei pugili poco conosciuti, tra cui un altro pugile di colore, Leroy Hayanes, molto discriminato e anche per questo poco famoso. Perde anche stavolta, sia all’andata che al ritorno. Successivamente, è costretto ancora una volta a stare a letto, a causa di una trombosi. Subito pensa che questo è il momento giusto per ritirarsi definitivamente, ma dopo aver visto i progressi che andava compiendo, decide di prolungare ancora la sua carriera di pugile. Contro i consigli dei dottori, ritorna sul ring a Parigi contro Albert Di Meglio. Il fisico, ormai, Il 22 luglio 1945 combatte contro il francese Michel Blevens, a Udine. Finalmente, ritorna a vincere, per ko tecnico. A settembre mette ko, a Trieste, Sam Gardner. Tutto questo non basta per riappropriarsi il suo titolo, così incontra Luigi Musina. Il match ritarda, a causa della folla che vuole entrare anche senza biglietto. Carnera, quindi, s’intrattiene in un bar, bevendo alcoolici con i suoi ammiratori. Forse anche a causa di questo, viene battuto al 7° round, per ko. Nel ’46 combatte due match, di nuovo con l'ex-campione europeo dei pesi mediomassimi Musina. Li perde tutti e due. Nel 1946, dopo aver collezionato nella sua carriera 70 vittorie per ko, decide di tornare a fare il lottatore. Stavolta, non come fenomeno da baraccone, ma come wrestler; intuisce infatti che questo era l’unico modo per restare sul ring. Già nel 1941 Jack Curley gli aveva proposto questa alternativa, ma allora aveva rifiutato. 8 Bollettino N° 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita ...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande... Il manager Joe Toots Mondt lo fa debuttare contro Cheif Saunooke, il quale viene messo a tappeto. Dopo una settimana, sempre per la Georgia Championship Wrestling, promotion della NWA (National Wrestling Alliance), lotta contro Jules Strongbow, prevalendo ancora una volta Carnera. Il 24 marzo 1947 lotta contro George Macricostas, poi contro Babe Sharkey. Vincendo tutti e due gli incontri. Nel maggio del 1967 torna a Sequals, a godersi i suoi affetti. Il gigante buono morirà nel 34° anniversario dalla conquista del titolo mondiale dei pesi massimi, cioè il 29 giugno 1967. Le sue qualità, la sua forza, la sua vita, rimarranno per sempre impresse nel mondo della boxe, della storia e anche nelle menti del popolo e ne faranno di lui un mito internazionale. Attraverso i suoi sacrifici, fece studiare i suoi figli. Carnera riacquista la sua popolarità, soprattutto dopo aver vinto l’incontro con uno dei maggiori esperti di wrestling in quel periodo, Ed "Strangler" Lewis. Il ’48 inizia con il ritorno alla GCW, sconfiggendo Roland Kirchmeyer e successivamente anche Pete Managoff. Ebbene sì, anche nel wrestling diventa uno dei più imbattibili. Neanche Kola Kwariani, riesce ad abbatterlo. Solo l’italiano Antonino Rocca, il 20 aprile del 1948, ferma il suo record di 321 vittorie. Ad ottobre sconfigge Vic Christy. Nel ’51, Max Baer, arbitra il match contro Jim London, che finisce a pareggio. Questo incontro fu molto seguito per la presenza, appunto, di Baer, che gli aveva tolto il titolo; erano in molti a pensare che Carnera non avrebbe resistito alla tentazione di sfidarlo nuovamente. Fu un grande uomo Primo Carnera, e davvero in tutti i sensi, e incarnò perfettamente quel soprannome di gigante buono che gli era sto messo addosso durante gli anni della boxe. Un gigante fortissimo e cristallino nel cui cuore non vi era spazio per la malizia e l’ inganno al punto di portarlo a combattere anche in condizioni drammaticamente avverse pur di accontentare il suo pubblico. A dicembre, prevale su Red Menace, invece nel marzo del 1952 finisce con un No Contest. A luglio tocca a Fred Von Schacht e Clyde Steeves, sopprimere la forza del nerboruto italiano, il quale vince. il 18 febbraio 1957, conquista il titolo di Claims Heavyweight Wrestling Championship, sconfiggendo King Kong, un bestione di 228 kg. Successivamente, inizia a dedicarsi di più al cinema, anche perché le sue condizioni di salute non sono proprio buone. In tutto, girerà 15 film, tra cui “Ercole e la regina di Lidi”, “Il tallone di Achille” ed altri ancora, in più una tournée con Renato Rascel (il comico conosciuto con il soprannome di il piccoletto). 9 Bollettino N° 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita ...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande... rinvenimento dei gemelli, nei pressi della porta Romanula. ia Acca Larentia si trova nel quartiere Tuscolano, a, Roma ed è una via anonima, immersa tra palazzoni di dieci piani, grigi e tutti uguali. Insomma è una di quelle vie che se non ci abiti o non ti ci perdi, probabilmente neanche noteresti e neanche cercheresti. Una di quelle tante via delle grandi città italiane che si perdono nell’anonimato. V Secondo Plinio e Gellio invece, Acca, nutrice dei gemelli, ebbe anche dodici figli maschi che diventeranno poi i fratelli Arvali, costituendo il celebre collegio sacerdotale, adoratore di Dia, antichissima Dea. Anche il suo stesso nome ne contribuisce all’anonimato, infatti dubito che molti sappiano chi sia Acca Larentia e anche sentendola nominare, non so quanti andrebbero ad informarsi. Acca Larentia era, presso gli Etruschi, una Dea pennuta, passata poi al culto romano come Dea prostituta e protettrice di Roma ma soprattutto della plebe. Ancora oggi non si conosce esattamente a chi fosse intitolata la via, e i miti sono vari, in alcuni, Acca Larenzia, fu all'inizio una semplice donna che guadagnò il favore degli Dei stando per una notte intera in adorazione nel tempio di Eracle. Appena uscita dal tempio infatti incontrò tal Caruzio, Taruzio o Taurilio, uomo ricchissimo, che se ne innamorò e la sposò, lasciandola poi erede della sua immensa fortuna. Alla sua morte Acca lasciò tutto il patrimonio al popolo romano. Tutto questo sarebbe accaduto al tempo di Anco Marzio. Il re, in segno di ringraziamento, le avrebbe fatto costruire una magnifica tomba sul Velabro, il mitico luogo del Secondo un altro mito essa era una donna un po' dissoluta, moglie del pastore Faustolo (il nome probabilmente deriva dal Dio Faunus), che si fece però carico dei fatali gemelli fondatori di Roma, per altri una prostituta vera e propria che fece loro da balia. In un altro mito fu la lupa che li allattò sulle rive del Tevere. Il filo conduttore di tutto ciò è un mito più antico camuffato. Larentia era la Grande madre, la Natura Grande prostituta che si accoppia con chiunque e produce di tutto, dalle piante agli animali e agli uomini. Questo mito faceva si che in nome della Dea si effettuasse la prostituzione sacra, la ierodulia, e le stesse sacerdotesse, in onore della Dea selvaggia, la Dea lupa, indossavano pelli di lupo e ululavano ai viandanti. Non a caso gli antichi postriboli erano detti "lupanare". Sembra che Acca Larentia fosse denominata anche Mater Larum o "Madre dei Lari", del resto in sanscrito Akka significa Madre, ma fu anche un nome di Demetra, Acca Demetra, in qualità di nutrice. 10 Bollettino N° 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita ...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande... Romolo e Remo infatti furono celebrati come Lari di Roma, gli antenati protettivi. Ciò spiegherebbe perché durante la festività dei Larentalia i sacrifici venissero celebrati dal Flaminis Quirinalis, il sacerdote di Quirino, ovvero Romolo, suo figlio. L'identificazione di Mater Larum spiega perché durante i Laurentalia si offrissero sacrifici ai Lares, gli spiriti benevoli degli antenati, anch'essi di origine etrusca, il cui compito era di proteggere e benedire i nuclei familiari e le loro abitazioni dalle minacce esterne. Acca Larenzia viene identificata con una divinità ctonia, custode del mondo dei morti, Larenta, o Larunda, come era chiamata dai Sabini. Larenta, o "Dea Muta" era una divinità femminile del sottosuolo e dell'oltretomba, quindi il lato oscuro della Madre Natura, quello relativo alla morte. Altri nomi della dea erano: Larentina, Mania, Lara, Larunda, Muta, Tacita. Essendo identificata con Tacita o Muta, la Dea che pone il dito sulle labbra chiedendo il silenzio, è evidente, e l'ordine dei Fratelli Arvali lo conferma, che era Dea dei Sacri Misteri, che non potevano essere rivelati. Come Mania, moglie di Mantus, divinità di origine etrusca adottate dai Romani, era Dea dell'oltretomba e madre di fantasmi, non-morti e spiriti della notte. Come Larunda fu privata della lingua da Giove per aver riferito a Giunone dei suoi tradimenti, anzi il Dio ordinò a Mercurio di portarla nell'Ade per torgliersela di torno, ma questi se ne innamorò. Dall'unione nacquero due figli invisibili, e pure Larunda, per non farsi scorgere da Giove, se ne stette rintanata nei boschi, insomma una divinità delle Selve, come Rhea Silvia, o come Fauna, Dea sposa di Fauno. detta Larentalia, secondo le zone, cadeva il 23 dicembre, come racconta Macrobio, subito al termine dei Saturnali, poi Augusto la fece ripetere due volte l'anno. Come divinità del solstizio d'inverno aveva il lato buio delle brevi giornate quando il sole è al punto più basso dell'orizzonte e illumina meno la terra. Per l'occasione si offrivano sacrifici ai Lari e ai Mani, gli spiriti degli antenati e gli spiriti dell'oltretomba. I festeggiamenti si tenevano al Velabro dove era la tomba di Acca. Si usava anche un curioso rituale da parte delle donne, per scampare ai pettegolezzi e alle diffamazioni altrui. Invocavano la Dea e recitavano un'orazione sopra un pesce morto dalla bocca serrata mediante un filo di lana. Con questo rituale magico si chiudeva la bocca ai detrattori. Ma via Acca Larentia, non è solo questo. 32 anni fa entrò, suo malgrado, a far parte della storia d’Italia; non di tutta l’Italia, solo di una piccola parte che ancora oggi non vuole e non può dimenticare in alcun modo, i tragici fatti che li si svolsero. E non è un caso se ogni anno centinaia di persone si ritrovano in Via Acca Larentia: come attirate da un invisibile richiamo, che proviene dalle coscienze di ciascuno, sentono il dovere di esserci di essere li in quella via anonima del quartiere Tuscolano, per far 11 Bollettino N° 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita ...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande... tremare Roma con quel tuono che proviene da petti gonfi di orgoglio e scandisce :”PRESENTE!” Forse Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni, non avrebbero mai immaginato che una giorno, sarebbero diventati Eroi, che i loro nomi sarebbero riecheggiati negli anni, dalle bocche di migliaia di giovani come loro, loro che erano semplici adolescenti, semplici militanti dell’ MSI. Chissà se lo avevano mai pensato… eppure in quella notte di 32 anni fa, anche senza volerlo diventarono Eroi. Il 7 gennaio del 1978, alle 18 circa nella sede c’è una riunione del Fronte della Gioventù. Quella giornata è trascorsa come del resto quasi tutte le giornate, tra attacchinaggi nelle vie del quartiere, qualche rissa con i “rossi”, del Liceo Augusto, a poche centinaia di metri dalla sezione missina. Si programmano altri attacchinaggi in zone diverse di Roma, così alcuni giovani decidono di andare, nella sede restano Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e altri tre, decidono di chiudere la sede e anche loro andranno a raggiungere i camerati a piazza Risorgimento. Il primo ad uscire è Bigonzetti, apre la porta blindata della sezione ed è in strada, è buio, non si vede quasi nulla, dall’angolo con via Evandro sbuca un gruppetto di cinque o sei persone,Bigonzetti non fa neanche in tempo a vederli che esplodono due colpi di pistola, viene colpito in testa, si accascia davanti la porta della sede missina, dietro di lui Ciavatta capisce che gli stanno sparando addosso, tenta di fuggire, verso la fine della via dove c’è una scalinata, corre, tenta di sfuggire ma una serie di colpi lo investe in pieno torace, cade anche lui, un altro “camerata” viene ferito di striscio ad un braccio, ma riesce a barricarsi nella sede insieme ad altri due giovani. Il commando assassino si ritira, alcuni testimoni li vedono salire su un auto rossa, forse una Renault, posare le armi nel bagagliaio e sparire nel buio. La polizia e le autoambulanze arrivano dopo pochi minuti,per Bigonzetti non c’è niente da fare, oltre che in testa è stato colpito all’addome e al torace, Ciavatta invece è ancora vivo, ma ha perso conoscenza, lo portano all’ospedale più vicino,il San Giovanni,ma il ragazzo muore appena entra in sala operatoria. Franco Bigonzetti aveva 19 anni frequentava l’Università, primo anno di medicina e chirurgia, Francesco Ciavatta aveva 18 anni andava ancora la liceo, frequentava il quarto anno ed era figlio di operai. La tragedia di via Acca Larentia non è ancora finita, che in poco tempo si radunano sul luogo dell’agguato centinaia di militanti romani, tra un nugolo di giornalisti, cineoperatori e poliziotti, in borghese e non. C’è grande tensione, qualche tafferuglio, spintoni con le forze dell’ordine, i giovani missini sono sgomenti. L’irreparabile avviene quando una telecamera del Tg1 riprende l’entrata della sede missina e inquadra i volti dei giovani, questi si arrabbiano, aggrediscono un giornalista, cominciano gli scontri con i carabinieri. Si spara, da una parte e dall’altra. Un ufficiale dei carabinieri Edoardo Sivori, spara, ma gli si inceppa la pistola, quindi si rivolge verso un collega e gli chiede l’arma, poi si gira, mira e spara: un colpo centra in pieno la fronte di Stefano Recchioni, 19 anni, militante del Fronte della Gioventù, viene immediatamente portato in ospedale, agonizzerà per due giorni, il 9 gennaio muore, 12 Bollettino N° 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita ...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande... Stefano aveva un fratello più piccolo di un anno, Massimo, simpatizzante di Lotta Continua, che commenterà così la sua morte : “Chi vuole questo fa pagare agli altri, i giovani, ma lui non paga mai di persona. No, non mi sento di perdonare questa gente. E questa società… Le idee di mio fratello non le approvavo prima e non le approvo ora. Ma l’importanza delle idee è diversa dal valore delle persone. Se Stefano fosse qui proverei a parlare, ad ascoltare, a capire.. E soprattutto vorrei ringraziarlo per tutte le cose che ha fatto per Me”. Quella strage fu un vero spartiacque nella storia tragica degli anni di piombo che va ricordato bene agli storici “ufficiali”, troppo inclini a fare confusione su quell’ epoca. E’ vero che negli anni ’70 e ’80 ci fu una guerra civile strisciante, che non fu soltanto terrorismo ma violenza diffusa, tale da coinvolgere decine di migliaia di giovani di destra e di sinistra in una vera e propria guerra civile strisciante, che lasciò sul campo tante vittime da una parte e dall’altra. Però questa è una verità incompleta: bisogna anche aggiungere che fino al 7 gennaio 1978 l’aggressione fu quasi esclusivamente da una parte sola. Dopo le contestazioni sessantottine, dopo i successi dell’Msi nei primi anni ’70 e a seguito dell’inizio della strategia della tensione stragista, per un lungo periodo si ammazzava a senso unico. Tanti episodi orribili, a cominciare dal rogo dei fratelli Mattei, servirono a dare concretezza all’orribile slogan “uccidere un fascista non è reato” e a fare da battesimo del fuoco per chi voleva essere ammesso nelle file delle organizzazioni terroristiche vere e proprie. In un clima di assoluta sterilità politica, dove i giovani sono completamente disinteressati alle idee e ai sacrifici, vale la pena di citare le parole del sindaco di Roma, Gianni Alemanno: “Ancora oggi e forse più di ieri diamo valore alla militanza, alla Politica come atto di amore nei confronti di un popolo e di dedizione in valori da incarnare nella realtà sociale. Nella crisi della politica che stiamo vivendo in questi mesi molte sono le ricette che vengono proposte dai diversi commentatori. In genere sono ricette che portano ad un “ridimensionamento” della politica, intesa semplicemente come buona amministrazione, come procedura tecnica per prendere decisioni. Noi, invece, crediamo che la strada sia esattamente opposta: la politica si salva se va verso l’alto, se torna ad essere passione, spiritualità applicata al sociale, milizia e spirito di servizio. Di tutto questo i nostri giovani degli anni ’70 sono stati esempio fino al più alto sacrificio. Non sono vittime, sono persone che sono state uccise perché facevano politica, sapendo di rischiare e accettando consapevolmente questo rischio. Per tutti gli anni ’70 e ’80 chi alzava la serranda di una sezione dell’Msi, chi distribuiva un volantino, chi attaccava un manifesto, sapeva perfettamente i rischi che correva e ne era fiero. Ecco perché, per noi, questi ragazzi sono degli eroi e non delle vittime.” “…Io non cerco la vendetta, non mi aspetto trasparenza, questa Terra benedetta, non conoscerà giustizia. Voglio solo ricordare senza scomodare i morti, ma che almeno i nostri figli non conoscano quei torti…” “Non scorso” 270-bis 13 Bollettino N° 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita ...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande... Molte volte la memoria di alcune persone, viene ingoiata dall’oblio dei tempie mentre ci perdiamo dietro ad artisti che dureranno il tempo di una stagione o finatntochè la loro canzone non uscira dalla hit parade, ci si dimentica di grandi artisti, che al mondo de3lla muscia hanno dato tanto, alle volte fin troppo. Uno di questi casi, anzi forse il più emblematico, è rappresentato da Luigi Tenco, artista eclettico e profondo che avrebbe avuto tanto da dire, schivo e riservato anteponeva la sostanza alle parole, pur non essendo inquadrabiel in nessun schieramento. Luigi Tenco alla musica aveva donato tanto ed infine vi consacrò la vita stessa suicidandosi nella camera di albergo di San Remo dove alloghgiava per il festival omonimo. F&O, crede sia giusto ricordare questo grande artista che sembra essere stato completamente dimenticato dalla grande industria musicale che tutto ingurgita. A lui quindi tributiamo questo articolo. Luigi Tenco Nacque da una relazione extraconiugale della madre, Teresa, cameriera presso una famiglia molto benestante di Torino, con il figlio sedicenne della famiglia. La madre venne poi allontanata e ritornò a Cassine, e Luigi prese il cognome del marito della ragazza, Giuseppe Tenco, che morì in circostanze mai del tutto chiarite prima che lui nascesse. I due avevano già un figlio, Valentino. Trascorse la prima infanzia tra Cassine e Ricaldone fino a che, nel 1948, la famiglia si trasferì in Liguria, dapprima a Nervi e poi a Genova, dove la madre aprì un negozio di vini. Frequentò, con discreto profitto, dapprima il liceo classico al Liceo Ginnasio Andrea Doria per poi trasferirsi al liceo scientifico. Nel 1953 fondò un gruppo musicale, la Jerry Roll Boys Jazz band (composta da Danilo Dègipo alla batteria, Bruno Lauzi al banjo, Alfred Gerard alla chitarra ed egli stesso al clarinetto. Iniziò a suonare il sax nel 1957, quando venne chiamato da Marcello Minerbi (in seguito fondatore dei Los Marcellos Ferial ed arrangiatore per Claudio Lolli in Aspettando Godot) nel Trio Garibaldi, con Ruggero Coppola alla batteria e Minerbi al pianoforte; proprio per il trio Tenco scrive la sua prima canzone, la sigla di apertura dell'orchestra. Seguì nel 1958 la costituzione del gruppo i Diavoli del Rock con Nicola Grassi, soprannominato Roy, alla batteria e Gino Paoli alla chitarra. Iscrittosi alla facoltà di Ingegneria, passò poi a quella di Scienze Politiche. In questo periodo entrò a far parte del Modern Jazz Group di Mario De Sanctis. Nel 1959 si trasferì a Milano, ospite con l'amico Piero Ciampi di Gianfranco Reverberi che, lavorando come arrangiatore alla Dischi Ricordi, lo fece partecipare 14 Bollettino N° 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita ...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande... come session man alle registrazioni di La tua mano di Gino Paoli e Se qualcuno ti dirà di Ornella Vanoni; si trasferì poi con Ciampi alla Pensione del Corso, in Galleria del Corso 1, dove alloggiavano anche Paoli, Sergio Endrigo, Franco Franchi, Bruno Lauzi ed altri artisti. Il primo 33 giri di Tenco uscì proprio quell'anno; conteneva successi quali Mi sono innamorato di te e Angela, ma anche Cara maestra che non fu ammessa all'ascolto dalla Commissione per la censura (per quest'ultimo brano fu allontanato dalle trasmissioni RAI per due anni). Ottenne poi un contratto discografico con la Dischi Ricordi come cantante; il suo esordio col gruppo I Cavalieri risale al 1959. Il gruppo - che gravitava intorno alla casa discografica Tavola Rotonda, sottoetichetta della Ricordi, da cui il nome, e del quale facevano parte Gianfranco Reverberi, Paolo Tomelleri, Enzo Jannacci e Nando De Luca - incise un EP con quattro brani, Mai/Giurami tu/Mi chiedi solo amore/Senza parole (che vennero anche pubblicati suddivisi in due 45 giri), pubblicato a nome Tenco. Dopo questa incisione, Tenco adottò gli pseudonimi di Gigi Mai, Dick Ventuno e Gordon Cliff, chiedendo a Nanni Ricordi di non apparire con il suo vero nome per non subire danni d'immagine essendo studente di Scienze Politiche ed iscritto ad un partito politico[9]. Nel 1963 si ruppe l'amicizia con Gino Paoli, a causa della relazione di questi con la giovane attrice Stefania Sandrelli, che Tenco non approvava. Nel 1961 uscì il suo primo 45 giri inciso come solista e con il suo vero nome, intitolato I miei giorni perduti. Nel 1962, cominciò una breve esperienza cinematografica, con il film La cuccagna di Luciano Salce (con Donatella Turri tra gli interpreti), pellicola nella quale cantò il brano "La ballata dell'eroe", composta dall'amico Fabrizio De André. Sempre negli anni sessanta strinse un'amicizia importante con il poeta anarchico genovese Riccardo Mannerini. Nel settembre dello stesso anno le sue canzoni Io sì e Una brava ragazza furono nuovamente bloccate dalla censura. Poco prima aveva abbandonato la casa discografica Dischi Ricordi per la Jolly. Agli inizi del 1965 fa la sua prima apparizione cinematografica, di due sole nella sua vita, nel film musicale '008 Operazione Ritmo', di Tullio Piacentini, distribuito con successo in tutta Italia. Nel 1965, dopo vari rinvii che aveva ottenuto, partì per il servizio militare, che completò tuttavia in gran parte con ricoveri ospedalieri. L'anno successivo stipula un contratto con la RCA Italiana ed incide Un giorno dopo l'altro, che diventa sigla dello sceneggiato televisivo Il commissario Maigret. Altri successi dell'epoca sono: Lontano lontano, Uno di questi giorni ti sposerò, E se ci diranno, Ognuno è libero. A Roma, conobbe la cantante italofrancese Dalida, con la quale ebbe una relazione. E sempre in questo periodo collabora con il gruppo beat The Primitives, guidato da Mal, per i quali scrive, in collaborazione con Sergio Bardotti, il testo italiano di due canzoni: I ain't gonna eat my heart anymore, 15 Bollettino N° 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita ...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande... che diventa il grande successo Yeeeeeeh!, e Thunder'n lightnin, tradotta in Johnny no! e contenuta nell'album del gruppo Blow Up. Nel 1967 si presentò (qualcuno sostenne suo malgrado) al Festival di Sanremo con la canzone Ciao amore ciao, cantata, come si usava a quel tempo, da due artisti separatamente (in questo caso si trattava dello stesso Tenco e di Dalida). Secondo alcune testimonianze pare che inizialmente Tenco, a causa della scarsa fiducia in se stesso, non apprezzasse Ciao amore ciao, ma Dalida riuscì con la sua dolcezza a convincere il cantautore a portare quella canzone al Festival. Questo particolare lascia un velo di ironia della sorte tra il cinico e il macabro per tutto quanto avvenne dopo. Il brano di Tenco non venne apprezzato dal pubblico e non fu ammesso alla serata finale del Festival, classificandosi al dodicesimo posto nel voto popolare. Fallito anche il ripescaggio, dove fu favorita la canzone La rivoluzione di Gianni Pettenati, pare che Tenco sia stato preso dallo sconforto. Rinchiusosi nella sua camera in una dependance dell'Hotel Savoy, venne successivamente trovato morto proprio dalla stessa Dalida. L'ultimo a immortalare vivo il cantante fu il fotografo e giornalista Renato Casari: questa foto è attualmente conservata nella casa del fotografo (scomparso il 17 novembre 2010 in una casa di riposo a Lecco), a Mandello del Lario. Il corpo riportava un foro di proiettile alla testa. Venne trovato un biglietto vergato a mano - che più perizie calligrafiche hanno poi consentito di attribuire allo stesso Tenco - contenente il seguente testo: «Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda "Io tu e le rose" in finale e ad una commissione che seleziona "La rivoluzione". Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi. » Questo, sul momento, fece pensare al suicidio come spiegazione della morte. Tanto più che Tenco aveva acquistato una pistola l'anno precedente per difesa personale. Tuttavia, per molti decenni, sono sussistiti molti dubbi sulle cause reali della sua morte: ad esempio è molto strano il fatto che non fu mai ritrovato il proiettile che ne causò la morte.[senza fonte] Per questo e per altri motivi, dopo anni di pressioni esercitate da una parte della stampa, il 12 dicembre 2005, dopo ben trentotto anni, la procura generale di Sanremo ha disposto la riesumazione della salma per tentare di stabilire la verità una volta per tutte, e cioè se Tenco si era realmente suicidato o, come molti hanno ritenuto per anni, era stato assassinato per motivi da approfondire ulteriormente. Il 15 febbraio 2006 il Caso Tenco è stato, in via ufficiale, definitivamente chiuso. Una nuova analisi sulla salma di Tenco, infatti, ha suffragato la tesi che il cantante è morto per suicidio, non potendo formulare alcuna altra ipotesi anche perché, contrariamente alle aspettative, non è stato ritrovato il proiettile nel cranio. Nonostante ciò, ancora molti sostengono tesi alternative al suicidio. 16 Bollettino N° 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita ...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande... Tra l'11 giugno 2009 e il 28 settembre 2009, il Segretario Politico Nazionale del Partito dell'Alleanza, Dott. Sante Pisani ed il responsabile Nazionale del dipartimento delle politiche abitative dell' UDEUR Dott. Domenico Scampuddu, hanno inviato due esposti al Consiglio Superiore della Magistratura, al Ministro della Giustizia On. Alfano, al Consiglio dei ministri e al Cancelliere della Corte europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo (Francia), con in allegato cinque prove dell'omicidio di Luigi Tenco. Il 10 maggio 2010 su Odeon Tv, la trasmissione Rebus, questioni di conoscenza, condotta da Maurizio Decollanz, ha trattato il Caso Tenco e tra le altre cose si è parlato delle "5 prove" dell'omicidio di Luigi Tenco sostenute su facebook da quasi 20.000 Italiani. In studio Aldo Fegatelli Colonna (biografo di Tenco), Francesco Bruno (criminologo), Giuseppe Bità (Responsabile Luigi Tenco 60's - La verde isola). L'intera puntata è disponibile alla pubblica visione. Nel 1967, Ornella Benedetti, pochi mesi dopo la morte del cantautore, costituisce il Club Luigi Tenco di Venezia, un vero e proprio fan club con l'obiettivo di raccogliere, ricordare e diffondere il messaggio dell'artista. Nel 1972 Amilcare Rambaldi a Sanremo costituisce il Club Tenco con lo scopo di riunire tutti coloro che si propongono di valorizzare la canzone d'autore. Dal 1974, in suo onore, al Teatro Ariston di San Remo è stato istituito dal Club Tenco il Premio Tenco, manifestazione a cui hanno partecipato i più grandi cantautori degli ultimi decenni. Nel novembre 2007, il Club gli dedica l'intera edizione della Rassegna e il volume "Il mio posto nel mondo. Luigi Tenco, cantautore. Ricordi, appunti, frammenti" (BUR) curato da Enrico de Angelis, Enrico Deregibus e Sergio Secondiano Sacchi. Nel febbraio 1992 la Biennale di Poesia di Alessandria promuove, in collaborazione con il Club "Tenco", il comune di Ricaldone e il quotidiano "Il Secolo XIX" di Genova, un convegno dedicato a Luigi Tenco a venticinque anni dalla scomparsa. La manifestazione si tiene presso il Teatro Umberto I di Ricaldone e la serata di spettacolo si svolge presso il Teatro Comunale di Alessandria. Per la Biennale di Poesia intervengono Giancarlo Bertolino e Aldino Leoni. Fra i giornalisti, Mariella Venegoni, Mario Luzzatto Fegiz e altri; al concerto serale partecipano Gino Paoli, David Riondino, Cristiano De André. E' la prima manifestazione dedicata a Tenco nel suo paese di nascita dove, dall'estate successiva, prenderà il via la rassegna "L'Isola in Collina". A Cusano Milanino, il 19 gennaio 2006, presso il "Centro Sociale Cooperativo Ghezzi", da un'idea di Renzo Zannardi, si è tenuta la conferenza "Il sax ribelle che anticipò il 68", centrata sull'impegno sociale di Tenco e sul clima culturale da lui vissuto. L'evento è stato caratterizzato dalla partecipazione, tra gli altri, del biografo Aldo Fegatelli Colonna e del giornalista Daniele Biacchessi. A Ricaldone, il 20 luglio 2006 è stato inaugurato il Centro di Documentazione Permanente Luigi Tenco, prima struttura museale in Italia dedicata a un cantautore. A Milano, nel dicembre 2007, presso il Teatro Litta, la pittrice sassarese Maria Vittoria Conconi ha realizzato una mostra dal titolo "Tenco, le donne e la musica. Un immaginario visivo ispirato da Luigi Tenco", con dodici acquerelli di immagini femminili, ispirati alla musica di Tenco. Nell'ambito della mostra è stato presentato anche un calendario con le dodici opere, dedicato al 70º anniversario della nascita di Tenco. La mostra è stata replicata nel febbraio 2008, presso la Biblioteca Comunale di Rescaldina, e il 21 marzo 2008 a Sassari con la mostra "I fiori di ieri. Un omaggio a Luigi Tenco", presso il Centro d'Arte e Cultura "Giuseppe Biasi". A Busto Garolfo, il 15 febbraio 2008, presso la Biblioteca Comunale, il gruppo di studiosi ed estimatori di Luigi Tenco "Binario21" ha dato luogo alla conferenza "Gli anni di Luigi Tenco e quelli di Internet", con analisi e approfondimenti su vita, musica e testi del cantautore piemontese.A Sassari, dal 29 gennaio 2010, presso il Teatro Il ferroviario, l'associazione Materia Grigia organizza la rassegna "La forza delle parole", un laboratorio di animazione 17 Bollettino N° 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita ...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande... teatrale con gli studenti dell'Università degli Studi di Sassari, incentrato sulla figura e sull'arte di Luigi Tenco. Una serie di incontri, inaugurata da Maria Vittoria Conconi e Paolo Zicconi, con la partecipazione di scrittori, musicisti, poeti e intellettuali, tra i quali Mario Dentone, Erri De Luca, Gianni Mura e Ada Montellanico. "Un’icona di stile non ha paura del tempo!" E sistono degli indumenti nella storia dell’abbigliamento che più di altri hanno saputo e sanno rappresentare lo stile delle persone che li indossano. L’Harrington è uno di questi. Nel 1937 nel nord dell’Inghilterra, a Manchester, John e Isaac Miller crearono questa giacca corta dalle maniche “raglan”, il colletto chiuso da bottoni, i polsini elasticizzati e le tasche dalla patelle tipicamente abbottonate; ci volle meno di un anno perché questi due fratelli, presso il Castello di Beaufort, al cospetto del XXIV° Lord Lovat capo del clan Fraser, ottenessero il permesso di utilizzare quell’inconfondibile tartan rosso per foderare il mitico modello G9. Decennio dopo decennio il Baracuta ha saputo “interpretare” la personalità di coloro che l’hanno reso celebre, divenendone esso stesso l’icona: Elvis Presley prima, in “King Creole” (La via del Male), Steve Mc Queen poi, sulla copertina di Life e infine Frank Sinatra in “Assault on a Queen” (U 112 Assalto Al Queen Mary) sono solo alcuni dei personaggi che più hanno contribuito alla notorietà di questa giacca. Indumento che non poteva mancare nel guardaroba dei Mods, giovani seguaci del “Modernismo” che alla fine degli anni ‘50 esaltarono in maniera esasperata la ricercatezza dello stile individuale, in senso estetico e comportamentale, e scelsero la cura del proprio look come maniera di distinguersi, perseguendo coerenza ed eleganza. John Simons, proprietario del mitico Ivy Shop di Richmond, che negli anni Sessanta seppe vestire gran parte di loro a Londra, è stato sicuramente una delle figure che più hanno contribuito alla diffusione del Baracuta. 18 Bollettino N° 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita ...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande... Oltre ad aver eletto questo capo ad icona di “American Cool” egli cominciò a chiamarlo affettuosament e “Harrington”, in onore di Rodney Harrington, celebre personaggio della serie televisiva Payton Place che era solito indossarlo: un appellativo valido ancora oggi per tutte le giacche ispirate a questo stile. E solo qualche anno più tardi, dopo essersi fatto conoscere oltre Manica ed oltre Oceano, il Baracuta tornerà nuovamente sulle spalle dei membri di gruppi giovanili londinesi come i Punk e i revivalisti dello Ska: da quel momento, uno dopo l’altro, saranno svariati i marchi di abbigliamento di gusto britannico o ispirati all’Ivy League americana che proporranno un’interpretazione dell’Harrington o che manterranno nella confezione dei loro modelli molte delle caratteristiche originali. Nel 1981 i Clash a Times Square hanno indossato per il loro concerto una versione personalizzata di questa giacca e da allora non è trascorso giorno senza che qualcuno non abbia riconosciuto nel Baracuta l’icona del proprio look e di un indiscutibile stile. Per comprendere fino in fondo quali siano gli elementi che compongono dal punto di vista tecnico il Baracuta e da che cosa derivi la sua capacità di contaminare svariati modelli di giacca corta proposti sul mercato contemporaneo dell’abbigliamento maschile, bisogna analizzare da vicino i dettagli che contraddistinguono lo storico G9: particolari che grazie alla loro perfetta combinazione sono stati in grado di determinare quello che possiamo definire uno stile unico e ineguagliabile. Le maniche sono storicamente “raglan” ovvero vengono cucite radialmente rispetto alla base del collo: il taglio della manica si estende infatti in maniera radiale da sotto l’ascella fino alla base del colletto, garantendo un’ottima mobilità delle braccia e del corpo oltre ad una vestibilità molto comoda. Questa giacca corta presenta una banda elasticizzata all’altezza del giro-vita, a chiudere l’estremità inferiore che come i polsini, anch’essi elasticizzati, è sempre rigorosamente dello stesso colore del capo. All’altezza delle scapole presenta una curiosa cucitura chiamata ad “umbrella” che assicurando le due parti di tessuto che compongono la schiena solo in prossimità delle punte, permette una maggiore areazione. Il tessuto esterno è un popeline “compatissimo” 100% cotone da sempre proposto in un gran numero di varianti colore mentre la fodera interna, non presente nelle maniche, è costituita da un particolare tipo di tartan di dominante rossa. Le due tasche anteriori, simmetriche una rispetto all’altra, sono contraddistinte dalla chiusura verso l’interno delle loro patelle, entrambe abbottonabili grazie ad un bottone del medesimo tipo di quelli posti sul colletto. 19 Bollettino N° 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita ...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande... fedele asinello è arrivato puntualmente con un carro carico di doni e dolciumi. La neve che inaspettatamente ha cominciato a scendere copiosamente, ha regalato a questo pomeriggio un’atmosfera magica, che ha reso felici i bambini presenti di tutte le età. Mi raccomando, se farete i bravi, l’appuntamento si rinnoverà puntualmente anche il prossimo anno. San Nicolo’ a LIMANA 02 GENNAIO 2011 Eleonora Tormen (A.S.D. Amici di Roccia) NICOLE SAVI (A.S.D. Amici di Roccia) S an Nicolò anche quest’anno è stato il protagonista di varie manifestazioni nei paesi del bellunese. L’associazione Amici di Roccia di Limana ha organizzato per domenica 5 dicembre il tradizionale incontro con la consegna dei regali, che si è tenuto nella grande piazza centrale. Adulti e bambini, riscaldati da brulè e thè caldi offerti dagli organizzatori, hanno atteso nonostante la fredda giornata, l’arrivo di San Nicolò, che accompagnato dal I l 2011 si apre all'insegna dello sport e del divertimento. L'associazione Amici di Roccia ha infatti organizzato, il 2 gennaio, la classica ciaspolata, coinvolgendo una ventina di partecipanti fra soci e simpatizzanti. La comitiva è partita dal piazzale Faverghera in cima alla pista "Ghiro" in Nevegal. Dopo un paio d'ore di camminata fra boschi innevati suggestivi paesaggi e risate, il gruppo è arrivato al rifugio"Bristot", ove hanno consumato un lauto pranzo che ha saziato gli affamati ragazzi. Riposati e rifocillati, gli amici hanno preso poi la via del ritorno ripercorrendo i propri passi. Resisi poi conto di essere giunti al traguardo, felici per la divertente giornata trascorsa, ma anche un po' rattristati dal fatto che fosse già terminata, gli Amici di Roccia si sono salutati con il vivo desiderio di rivivere una giornata di questo genere: sportiva, divertente ma soprattutto, in compagnia. 20 Bollettino N° 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita