FO_11

Transcript

FO_11
ANNO II Numero 1 gennaio-febbraio 2011
stampato in proprio copia gratuita
...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande...
Alberto Viel
empre più spesso mi capita di sentire da più
parti opinioni e commenti riguardanti l'attuale
società. Parole queste che provengono da
quelle persone che per comodità di comprensione
definisco "normali", quelle persone cioè che inserite
nella società moderna, ne seguono i ritmi ed i dettami,
non vivendo alcuna esperienza di militanza all'interno
di una comunità organica.
S
Dicevo, da sempre più parti sento opinioni riguardo
l'attuale degrado della società, tali critiche sono in
particolar modo rivolte al mondo dei giovani ed ai
giovani stessi, i quali sono smidollati, maleducati, privi
di qualsiasi responsabilità, interessati esclusivamente
ai propri interessi egoistici e alla necessità di avere
tutto, o almeno il più possibile, con il minimo sforzo; ai
giovani, queste persone, rinfacciano i loro tempi, quasi
oscuri e remoti, in cui le cose andavano diversamente,
in cui le responsabilità si acquisivano gi in tenera età e
tutto quello che si otteneva era frutto di forze e
sacrifici.
Ora, senza nulla togliere a questi adulti che sperano
con le loro parole di risvegliare un qualche sentimento
nei propri figli, ma trovo le loro parole alquanto sterili
e fine a se stesse; mi spiego, non si può rinfacciare ai
propri figli atteggiamenti, usi e costumi figli degli stessi
genitori che muovono le critiche.
Nel momento in cui hanno voluto creare una società
libera da ogni vincolo spirituale e gerarchico,
cancellando completamente ogni punto di riferimento
e di esempio, non puoi poi lamentarti se tuo figlio si
sfracella in macchina sulla fermata dello scuolabus,
gremita di bambini, perché è troppo fatto o se tua
figlia tira pompini su un divano dopo aver finito di
tirare cocaina.
La decadenza dell’mondo moderno, ma prima ancora
dell’uomo moderno, è principalmente di carattere
spirituale.
Quello che noi contrapponiamo a questa società, è
quello che viene chiamato lo Spirito Legionario. Per
Spirito Legionario noi intendiamo lo spirito guerriero,
ma badate, non lo spirito generatore di una forza
distruttrice e guerrafondaia, ma lo spirito costruttore e
generatore di forza, quello spirito che si basa ancora
su valori tangibili, reali come l’Onestà, la Lealtà, la
Giustizia, lo Spirito di Sacrificio, quei valori che
costituiscono la dignità di un Uomo.
Tali valori dovranno essere il solco, l’esempio da
seguire, il timone di una nuova categoria di uomini,
che al proprio interesse personale anteporranno il
bene della comunità, uomini che non cercheranno mai
onori e glorie da parte degli altri, che non
rinfacceranno un ora di lavoro in più o una spazzata in
più al pavimento, rispetto ad un altro, saranno uomini
che lavoreranno in silenzio, senza mai sentirsi
importanti, anonimi nel gesto ma orgogliosi della
funzione, della responsabilità e del fine perseguito.
Al giorno d’oggi, dovrebbe essere abbastanza semplice
sapere come comportarsi, infatti basta guardarsi
intorno, quasi ovunque, per sapere quello che noi
NON dobbiamo essere.
Come diceva un noto personaggio:
“Se tutto questo è il Bene… allora sì che siamo il Male”
E ora buona lettura!
2
Bollettino N° 1
GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita
...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande...
rimo Carnera nasce il 25 ottobre 1906 a
Sequals, un paesino in Provincia di Pordenone,
a 40 chilometri da Udine. Carnera alla nascita
pesava circa 8 kg. Evento eccezionale ancora oggi, ma
realmente straordinario in un periodo storico in cui la
povertà, la fame e la disoccupazione erano problemi
sociali molto più diffusi e drammatici di oggi. La sua
famiglia era molto povera e sopravviveva solo grazie al
lavoro del padre,
un
mosaicista
emigrato
in
Germania.
Nel
1914 il padre di
Carnera
fu
chiamato
a
combattere
la
Prima
guerra
mondiale e fu
quindi costretto
ad abbandonare
il lavoro, facendo
gravare il carico
familiare
sulle
spalle
della
moglie. La madre
cercò
allora
lavoro, ma fu
presto costretta
a vendere la fede nuziale per sopravvivere.
P
Carnera fu così costretto ad abbandonare la scuola ed
iniziò a mendicare insieme ai suoi fratelli. Nel
frattempo, la sua crescita poderosa continuava, al
punto che a dodici anni, aveva già la statura di un
adulto ed era sempre più difficile per lui avere vestiti e
scarpe della sua misura, tanto da essere costretto ad
usare le scarpe di un soldato austriaco morto in
battaglia.
La sua mole molto imponente lo costringeva ad un
consumo di viveri maggiore e questo causò ulteriori
disagi alla famiglia. Ancora adolescente, spinto dalla
fame e dalla povertà, emigra in Francia dagli zii.
Inizialmente lavora come carpentiere e tale attività gli
consentirà di avere un maggior corrispondente in
viveri.
Gli
zii
lo
introdussero
anche nel mondo
del
pugilato,
organizzandogli
un incontro con
un principiante
ma Carnera non
era
ancora
pronto al grande
passo. Il suo
fisico,
intanto,
diventava
sempre
più
quello di un vero
e
proprio
"carnera": alto e
nerboruto.
In un' epoca in
cui l'altezza media si aggirava sui 1.65 m, egli invece
arriva a sfiorare i due metri e 5 cm, per 129 kg. Di
piede invece calzava il 55.
Nel 1925, un circo fece tappa proprio dove lui
risiedeva, vicino Le Mans. Un giorno, durante uno
degli incontri di lotta di questo circo al quale stava
assistendo, il responsabile notò il suo fisico imponente
che destava sgomento e lo ingaggiò.
Con questo nuovo lavoro, Carnera sperava soprattutto
di migliorare il suo stile di vita. Così iniziò a girare, per
tre anni, in varie località. Alla sua vista le persone
3
Bollettino N° 1
GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita
...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande...
rimanevano sbigottite, ma alcune
presuntuosamente lo sfidavano. A
tal proposito si narra che in uno
dei suoi incontri un giovane gli
diede un pugno nella pancia;
Carnera si arrabbiò per la violenza
gratuita e lo afferrò per il collo
facendolo svenire; gli amici
decisero di vendicarsi sfidandolo in
quattro, ma la dinamicità e la
resistenza sviluppate da questo
lavoro gli permisero di aver
ragione su tutto il gruppo senza
particolari affanni. I giornalisti
pubblicarono l’accaduto rendendo
più popolare il circo e Carnera
stesso.
Il responsabile, soddisfatto di aver
incrementato i suoi guadagni
grazie a lui, gli aumentò il salario.
Sull'onda del successo del
lottatore friulano, venne messa in
palio una ricompensa per chi fosse riuscito a
sconfiggerlo, ma nessuno ci riuscì. Divenne un
fenomeno e gli vennero affibbiati dei soprannomi, tra i
quali il più curioso era Juan lo spagnolo.
Un giorno il circo fece tappa ad Arcachon. Qui, tra la
folla che assisteva alle lotte di Carnera, c’èra anche
Paul Journée. L’ex campione francese dei pesi massimi
seguì attentamente le abilità acquisite dell’eccezionale
lottatore e vide in lui le capacità di un pugile di
potenza, che solo allenandosi seriamente e con
metodo, avrebbe potuto valorizzare le sue doti.
Lasciare significava però per Carnera ritornare alla
povertà, quindi inizialmente rifiutò la proposta; poi
trovò una soluzione: si sarebbe sostenuto
riprendendo il suo primo mestiere. Attraverso la sua
caparbietà e gli insegnamenti dell'ex campione, presto
raggiunse buoni livelli. Journée insisté nel farlo vedere
al manager Léon See, che rimase allibito
dall’imponente stazza. See lo mise alla prova con il
campione Gene Tunney.
Successivamente, per abituarlo, lo
fece combattere con un peso
massimo ma il maciste friulano
mise al tappeto anche lui.
Dispiaciuto di averlo fatto svenire,
però, si scusò. Carnera era così,
buono e ingenuo, al contrario del
suo manager, il quale si arrabbiò
con lui per il suo gesto.
L’affarista, dopo aver constatato i
miglioramenti del suo pugile, lo
sottopose all’organizzatore Jeff
Dickson. Carnera era abbastanza
preparato e in grado di cimentarsi
anche nel professionismo.
Debutta a Parigi, il 12 settembre
1928, dove vince al secondo round
per knockout contro Leon Sebilo.
Vince tutti i sei match successivi:
tra questi il tanto discusso
incontro con Epifanio Islas, a
Milano. I giornalisti dichiararono truccato il match e
definirono Carnera “torre di gorgonzola”, pensando
che non avesse tante possibilità di diventare un vero
pugile. In verità il suo manager, quando poteva, si
assicurava la vittoria.
E’ ancora oggi un mistero su quanti fossero gli incontri
truccati, ma una cosa è sicura: Carnera non era a
conoscenza di come il suo manager gestiva gli incontri.
Comunque fosse, furono molti i match vinti
regolarmente. Anche se mancava di tecnica Carnera
possedeva infatti un pugno eccezionale. Perse invece,
per squalifica, con Franz Diener a Lipsia. Dopo sette
incontri vinti consecutivamente, perse anche il match
di ritorno con Young Stribling per squalifica.
Deluso da come era stato accolto nella sua amata
patria, a seguito delle continue polemiche riguardanti
la regolarità dei suoi incontri, nel 1930 approda negli
Stati Uniti.
Sono gli anni del proibizionismo, della crisi economica
e della mafia italo-americana, che investirà su Carnera
4
Bollettino N° 1
GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita
...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande...
Il match successivo si
tenne a Londra, contro
Reggie Meen. Anche qui
Carnera vince per k.o.
tecnico. Intanto il 1930
volge alla fine con un
totale per lui di 25
vittorie e una sola
sconfitta.
insieme a Léon See,
preferendo la quantità,
alla qualità dei match.
Carnera
ottiene
15
vittorie, 14 per knockout
e 1 per squalifica contro
George Godfrey . A
queste se ne aggiungono
altre 5, ma perse ai punti
contro Jim Maloney.
Carnera diventò sempre
più popolare, tutto il
mondo parlava di lui,
specialmente
quando
affronta
Paulino
Uzcudum, ex campione
europeo. In Spagna era
in corso la guerra civile e c'era bisogno di qualcuno in
cui potersi identificare. L'unico su cui poter contare
era Uzcudum. Il manager di Carnera, pur scettico sulle
probabilità di vincita del suo pugile, accettò. La stampa
italiana screditò il proprio connazionale, lo diede per
perdente convinta che, se avesse vinto, sarebbe stato
solo per qualche combine.
Ma quel 30 novembre 1930 le cose andarono
diversamente. Non c’era nessun trucco, anzi gli
organizzatori, non si capisce se per avvantaggiare il
basco Uzcudum, costrinsero Carnera ad usare dei
guantoni più piccoli rispetto a quelli che portava
sempre. Inizialmente il pugile rifiutò questa ingiustizia
ma poi, pensando a quanti hanno pagato (circa
ottantamila) per vedere il match non se la sente di
deludere chi lo ama, quindi umilmente accetta e sale
sul ring. Non fu facile combattere in quelle condizioni.
Uzcudum era sempre in vantaggio, ma Carnera
resisteva. Il match durò più del previsto e alla fine
Carnera vinse ai punti.
Così le dichiarazioni dei giornalisti italiani cambiarono
e iniziarono ad esaltare ed omaggiare il grande
friulano, dato che era stato capace di vincere in quelle
condizioni, si chiedevano di cosa potesse essere
capace.
Nel 1931, Dopo sei
match, tutti vinti, tocca a
Jack Sharkey, che vince il
match dell’andata ai
punti. Dopo circa un
mese il gigante buono
dimostra anche di aver
acquisito una tecnica
abbastanza buona nel
match contro King Levinsky. Sempre a novembre è il
turno di Vittorio Campolo, che viene messo ko al
secondo round. Trascorre così un altro anno, con un
totale di 17 match, 9 vinti e uno perso ai punti.
Nel 1932 Carnera subisce due discutibili sconfitte
contro Larry Gains e Stanley Poreda e vince gli altri 23
incontri. Dopo la sconfitta subita da parte di Larry
Gains, viene a conoscenza del fatto che il suo manager
si appropriava della maggior parte del suo denaro e
che collaborava con la mafia. Parte così per l’Italia
dove entra a far parte del team di Luigi Soresi, meno
esperto del precedente manager ma anch'egli
abbastanza furbo, che inizia a “gestire” Carnera. Soresi
annuncia l'accordo alla stampa italiana e tutti vengono
a conoscenza anche della crisi economica che aveva
colpito il gigante di Sequals.
Soresi lo riporta negli USA organizzando dei match
valevoli per il titolo mondiale. Il 10 febbraio 1933 gli
tocca confrontarsi con Ernie Schaaf, il quale, dopo un
match faticoso, viene messo al tappeto.
Successivamente, Ernie Schaaf muore a causa di una
emorragia cerebrale, procuratagli dai grossi ed
energici pugni di Carnera.
5
Bollettino N° 1
GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita
...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande...
Afflitto dai rimorsi di
coscienza, il pugile si
ritira
dalla
boxe.
Attraverso l’aiuto degli
amici, della famiglia,
dalla madre di Ernie e
dalle proposte di girare
qualche film, esce da
questo brutto periodo.
Dopo due mesi riprende
gli allenamenti per
prepararsi a conquistare
il titolo mondiale di Jack
Sharkey. L’evento, che
tutti attendevano da
tanto, si tiene al
Madison Square Garden di New York, lo stesso in cui
aveva sconfitto Shaaf.
E’ il 29 giugno 1933 quando Primo Carnera sale sul ring
per affrontare nuovamente Jack Sharkey. L’arena è
gremita, il pubblico è caloroso ed ansioso di assistere
al match. Poiché i pugni di Carnera erano molto
devastanti, il team di Sharkey insiste nel controllare i
guantoni di Carnera, convinti che fossero pieni di
oggetti di metallo, ma si rendono ben presto conto
che non c'è trucco nella forza del gigante. Dopo sei
round Carnera mette ko con un montante destro Jack
Sharkey. Gli italiani presenti urlano, gridano il nome di
Carnera, sia perché è un loro connazionale sia perché
come lui hanno alle spalle storie difficili e umili.
Carnera diventa l’uomo più forte al mondo, il primo
campione mondiale dei pesi massimi italiano.
Tutti parlano di lui, del suo titolo, del fatto che ha
finalmente raggiunto la tecnica di cui necessitava
avendo dimostrato di non saper usare soltanto i jab
sinistri. Il pugile manda due telegrammi di
ringraziamento: il primo è indirizzato alla madre e il
secondo al Duce.
Il 22 ottobre 1933 Carnera deve difendere il titolo
mondiale, nel re-match contro Paolino Uzcudum,
Carnera vorrebbe combattere in Italia, nella sua terra,
davanti alla sua gente e davanti al suo Duce, ma ciò
non sarebbe possibile in
quanto egli è sotto
contratto
con
il
Madison Square Garden
di New York, la mafia
però, intuisce un buon
affare e fa in modo che
l’incontro abbia luogo a
Roma. Al match è
presente
anche
Mussolini.
Primo
Carnera
combatte rifiutando il
compenso e indossando
una camicia nera, al fine
di esprimere la propria vicinanza al Fascismo.
Il match ben combattuto da entrambi gli sportivi, vede
il friulano vincere ai punti. Il pubblico esprime il
proprio entusiasmo, ora più che mai. Le istituzioni,
allora, lo accolgono e lo omaggiano. Carnera
rappresenta un modello, del nuovo italiano che il
regime fascista vorrebbe creare . Benito Mussolini lo
fa affacciare dal balcone di Piazza Venezia. Il Duce fa di
Carnera un modello da imitare. Attraverso lui, si
invogliano i balilla, si rende più popolare l'ideologia
fascista e la forza del nuovo italiano non più solo pizza
mandolino.
Carnera, dunque diventa un eroe nazionale, un uomo
invincibile e ancor di più dopo, aver conquistato il
titolo mondiale, che incrementa la riproduzione di
fumetti, manifesti e articoli che lo omaggiavano come
fosse una divinità.
Non solo in Italia; in America, già a cominciare dallo
storico manager Léon per poi continuare con Luigi
Soresi e Bill Duffy, viene gestita l’immagine di Carnera.
Attraverso i giornalisti, i manager lo impongono come
The Ambling Alp (La Montagna che Cammina
Lentamente) anche se gli esperti di boxe gli
rimproverano l’animo buono. Deve essere cattivo,
dicono. E sì, in un certo modo hanno ragione. Carnera
non si rese mai conto di cosa combinavano i suoi
6
Bollettino N° 1
GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita
...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande...
manager, si fidava troppo
e non era per niente
malizioso.
Dopo aver difeso il titolo
contro Uzcudum, Carnera
ritorna negli USA e il 1
marzo 1934, sale sul ring
contro Tommy Loughran.
Dopo un sudatissimo
match, la vittoria finale
viene data a Carnera. Il
prescelto per il successivo
match è Max Baer, un
americano di 95 kg un po'
più basso di Carnera.
Molto esperto della nobile
arte, anche se con muscoli
meno saldi. Il 14 giugno
1934 viene arrestato il
manager
di
Carnera,
proprio quando doveva
combattere contro Max
Baer. Affronta la situazione e sale sul ring lo stesso.
L'opinione di tutti è che il match sia difficile, ma ben
alla portata di Carnera; tuttavia l'azione dell’Italiano
appare incerta, macchinosa e dopo circa un minuto
dall'inizio dell'incontro Baer lo colpisce ripetutamente
al viso mandandolo al tappeto per 2 volte. Ad
aggravare la situazione è un infortunio che Carnera si
era
procurato
scivolando
(probabilmente
indietreggiando per evitare un colpo di Baer) all'inizio
del match stesso e che coinvolge la caviglia,
lussandola. Tutti i presenti a bordo ring si accorgono
dell'accaduto, ciononostante Carnera prosegue il
match.
Nel 4° round Carnera cerca di reagire e portare
l'incontro a suo favore ma Baer si rivela un pugile
esperto e rapido tanto che riesce a schivare tutti i
pugni dell'italiano. Nel 5° round, a pochi secondi dal
suono della campana, Baer si fa sentire con un deciso
montante, un colpo che Carnera sembra soffrire in
modo particolare. Nel 6°, 7° e 8° round i due si
scambiano una serie di
pugni, nessuno dei quali
decisivi. Con il 9° round
sembra che l'incontro
debba proseguire in una
situazione di parità, Max
Baer appare infatti meno
potente e veloce.
Durante la metà del 10°
round
Baer
colpisce
Carnera sul volto con un
preciso destro, il pugile
italiano accusa il colpo e
abbassa la guardia, dando
la possibilità a Baer di
colpirlo nuovamente con
un destro violentissimo.
Carnera
si
allontana
dall'avversario, riesce a
rimanere
in
piedi
appoggiandosi alle corde.
L'arbitro ferma per un
attimo la sfida provocando le ire dei secondi di Baer.
L'incontro riprende e subito Baer colpisce nuovamente
al volto, questa volta il pugile italiano cade sulle
ginocchia, ma si rialza subito. L'incontro è ormai
segnato, Baer fa partire dei colpi in successione,
Carnera cade al tappeto ma si rialza di nuovo
immediatamente.
Il gigante buono sembra non voler arrendersi e viene
salvato dal suono della campana. Alla fine del 10°
round appare fortemente provato tanto da non
sentire il suono della campana, viene accompagnato
all'angolo da un suo secondo. All'inizio dell'11° round
Baer manda al tappeto il pugile italiano colpendolo
con un preciso diretto al volto: Carnera si rialza ma
subisce un altro violento colpo di Baer. A pochi
secondi dalla fine del round, colpito da un altro destro,
va a terra. Si rialza subito ma l'arbitro capisce che non
è in grado di proseguire e decide di sospendere
l'incontro.
7
Bollettino N° 1
GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita
...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande...
Max Baer è il nuovo
campione del mondo dei
pesi massimi. Carnera
avrebbe fortemente voluto
una rivincita contro Baer
ben sicuro di poterlo
battere nel pieno delle
forze ma il suo manager
americano Duffy non volle
accontentarlo.
Dopo
questo match, resta in
convalescenza per due
mesi, con una gamba
ingessata.
non è più quello di una
volta, forte e abile, quindi
perde ai punti.
In seguito gira anche
numerosi film, tra cui
“L’idolo delle donne”, in cui
Carnera e Max Baer
interpretano se stessi.
A Carnera, invece, viene
diagnosticato il diabete e
gli viene tolto un rene.
Successivamente,
si
riprende e il 13 marzo
1939 si sposa con Pina
Kovacic. Dal loro amore
nacquero
due
figli:
Umberto e Giovanna Maria.
Perde anche a Budapest, il
4 dicembre 1937, contro
Joseph Zupan. Il posto di
Carnera nel cuore degli
italiani, intanto, inizia a
essere preso dal calcio, che
diventa così lo sport più
seguito, favorito dalle
vittorie della Nazionale
allenata da Pozzo.
Come
sempre,
però,
ritorna a combattere. Gira
quasi tutto il Sudamerica, dove è molto amato. Nel
1935, dopo aver affrontato Ray Impellettieri e aver
vinto il match, decide di combattere con Joe Louis.
Otto anni meno di Carnera, abbastanza famoso e
abbastanza forte. Il Duce è con Carnera, mentre
Harlem è con Louis. È un match bollente, pieno di cori
razzisti, di tifosi di Louis, di agenti della sicurezza e di
tecnici. Alquanto vissuto anche dagli avversari. Alla
fine la vittoria se l'aggiudica Joe Louis.
Nel 1936 Carnera inizia a combattere con dei pugili
poco conosciuti, tra cui un altro pugile di colore, Leroy
Hayanes, molto discriminato e anche per questo poco
famoso. Perde anche stavolta, sia all’andata che al
ritorno. Successivamente, è costretto ancora una volta
a stare a letto, a causa di una trombosi. Subito pensa
che questo è il momento giusto per ritirarsi
definitivamente, ma dopo aver visto i progressi che
andava compiendo, decide di prolungare ancora la sua
carriera di pugile. Contro i consigli dei dottori, ritorna
sul ring a Parigi contro Albert Di Meglio. Il fisico, ormai,
Il 22 luglio 1945 combatte contro il francese Michel
Blevens, a Udine. Finalmente, ritorna a vincere, per ko
tecnico. A settembre mette ko, a Trieste, Sam
Gardner. Tutto questo non basta per riappropriarsi il
suo titolo, così incontra Luigi Musina. Il match ritarda,
a causa della folla che vuole entrare anche senza
biglietto. Carnera, quindi, s’intrattiene in un bar,
bevendo alcoolici con i suoi ammiratori. Forse anche a
causa di questo, viene battuto al 7° round, per ko. Nel
’46 combatte due match, di nuovo con l'ex-campione
europeo dei pesi mediomassimi Musina. Li perde tutti
e due.
Nel 1946, dopo aver collezionato nella sua carriera 70
vittorie per ko, decide di tornare a fare il lottatore.
Stavolta, non come fenomeno da baraccone, ma come
wrestler; intuisce infatti che questo era l’unico modo
per restare sul ring. Già nel 1941 Jack Curley gli aveva
proposto questa alternativa, ma allora aveva rifiutato.
8
Bollettino N° 1
GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita
...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande...
Il manager Joe Toots Mondt lo fa debuttare contro
Cheif Saunooke, il quale viene messo a tappeto. Dopo
una settimana, sempre per la Georgia Championship
Wrestling, promotion della NWA (National Wrestling
Alliance), lotta contro Jules Strongbow, prevalendo
ancora una volta Carnera. Il 24 marzo 1947 lotta
contro George Macricostas, poi contro Babe Sharkey.
Vincendo tutti e due gli incontri.
Nel maggio del 1967 torna a Sequals, a godersi i suoi
affetti. Il gigante buono morirà nel 34° anniversario
dalla conquista del titolo mondiale dei pesi massimi,
cioè il 29 giugno 1967. Le sue qualità, la sua forza, la
sua vita, rimarranno per sempre impresse nel mondo
della boxe, della storia e anche nelle menti del popolo
e ne faranno di lui un mito internazionale. Attraverso i
suoi sacrifici, fece studiare i suoi figli.
Carnera riacquista la sua popolarità, soprattutto dopo
aver vinto l’incontro con uno dei maggiori esperti di
wrestling in quel periodo, Ed "Strangler" Lewis. Il ’48
inizia con il ritorno alla GCW, sconfiggendo Roland
Kirchmeyer e successivamente anche Pete Managoff.
Ebbene sì, anche nel wrestling diventa uno dei più
imbattibili. Neanche Kola Kwariani, riesce ad
abbatterlo. Solo l’italiano Antonino Rocca, il 20 aprile
del 1948, ferma il suo record di 321 vittorie. Ad
ottobre sconfigge Vic Christy. Nel ’51, Max Baer,
arbitra il match contro Jim London, che finisce a
pareggio. Questo incontro fu molto seguito per la
presenza, appunto, di Baer, che gli aveva tolto il titolo;
erano in molti a pensare che Carnera non avrebbe
resistito alla tentazione di sfidarlo nuovamente.
Fu un grande uomo Primo Carnera, e davvero in tutti i
sensi, e incarnò perfettamente quel soprannome di
gigante buono che gli era sto messo addosso durante
gli anni della boxe. Un gigante fortissimo e cristallino
nel cui cuore non vi era spazio per la malizia e l’
inganno al punto di portarlo a combattere anche in
condizioni drammaticamente avverse pur di
accontentare il suo pubblico.
A dicembre, prevale su Red Menace, invece nel marzo
del 1952 finisce con un No Contest. A luglio tocca a
Fred Von Schacht e Clyde Steeves, sopprimere la forza
del nerboruto italiano, il quale vince. il 18 febbraio
1957, conquista il titolo di Claims Heavyweight
Wrestling Championship, sconfiggendo King Kong, un
bestione di 228 kg.
Successivamente, inizia a dedicarsi di più al cinema,
anche perché le sue condizioni di salute non sono
proprio buone. In tutto, girerà 15 film, tra cui “Ercole e
la regina di Lidi”, “Il tallone di Achille” ed altri ancora,
in più una tournée con Renato Rascel (il comico
conosciuto con il soprannome di il piccoletto).
9
Bollettino N° 1
GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita
...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande...
rinvenimento dei gemelli,
nei pressi della porta
Romanula.
ia Acca Larentia si
trova nel quartiere
Tuscolano, a, Roma
ed è una via anonima,
immersa tra palazzoni di
dieci piani, grigi e tutti
uguali. Insomma è una di
quelle vie che se non ci
abiti o non ti ci perdi,
probabilmente
neanche
noteresti
e
neanche
cercheresti. Una di quelle
tante via delle grandi città
italiane che si perdono
nell’anonimato.
V
Secondo Plinio e Gellio
invece, Acca, nutrice dei
gemelli, ebbe anche dodici
figli
maschi
che
diventeranno poi i fratelli
Arvali,
costituendo
il
celebre
collegio
sacerdotale, adoratore di
Dia, antichissima Dea.
Anche il suo stesso nome
ne
contribuisce
all’anonimato,
infatti
dubito che molti sappiano chi sia Acca Larentia e
anche sentendola nominare, non so quanti
andrebbero ad informarsi.
Acca Larentia era, presso gli Etruschi, una Dea
pennuta, passata poi al culto romano come Dea
prostituta e protettrice di Roma ma soprattutto della
plebe.
Ancora oggi non si conosce esattamente a chi fosse
intitolata la via, e i miti sono vari, in alcuni, Acca
Larenzia, fu all'inizio una semplice donna che
guadagnò il favore degli Dei stando per una notte
intera in adorazione nel tempio di Eracle. Appena
uscita dal tempio infatti incontrò tal Caruzio, Taruzio o
Taurilio, uomo ricchissimo, che se ne innamorò e la
sposò, lasciandola poi erede della sua immensa
fortuna. Alla sua morte Acca lasciò tutto il patrimonio
al popolo romano. Tutto questo sarebbe accaduto al
tempo di Anco Marzio. Il re, in segno di
ringraziamento, le avrebbe fatto costruire una
magnifica tomba sul Velabro, il mitico luogo del
Secondo un altro mito essa
era una donna un po'
dissoluta,
moglie
del
pastore Faustolo (il nome
probabilmente deriva dal
Dio Faunus), che si fece
però carico dei fatali gemelli fondatori di Roma, per
altri una prostituta vera e propria che fece loro da
balia. In un altro mito fu la lupa che li allattò sulle rive
del Tevere.
Il filo conduttore di tutto ciò è un mito più antico
camuffato. Larentia era la Grande madre, la Natura
Grande prostituta che si accoppia con chiunque e
produce di tutto, dalle piante agli animali e agli
uomini. Questo mito faceva si che in nome della Dea si
effettuasse la prostituzione sacra, la ierodulia, e le
stesse sacerdotesse, in onore della Dea selvaggia, la
Dea lupa, indossavano pelli di lupo e ululavano ai
viandanti. Non a caso gli antichi postriboli erano detti
"lupanare".
Sembra che Acca Larentia fosse denominata anche
Mater Larum o "Madre dei Lari", del resto in sanscrito
Akka significa Madre, ma fu anche un nome di
Demetra, Acca Demetra, in qualità di nutrice.
10
Bollettino N° 1
GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita
...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande...
Romolo e Remo infatti furono celebrati come Lari di
Roma, gli antenati protettivi.
Ciò spiegherebbe perché durante la festività dei
Larentalia i sacrifici venissero celebrati dal Flaminis
Quirinalis, il sacerdote di Quirino, ovvero Romolo, suo
figlio. L'identificazione di Mater Larum spiega perché
durante i Laurentalia si offrissero sacrifici ai Lares, gli
spiriti benevoli degli antenati, anch'essi di origine
etrusca, il cui compito era di proteggere e benedire i
nuclei familiari e le loro
abitazioni dalle minacce
esterne. Acca Larenzia
viene identificata con una
divinità ctonia, custode del
mondo dei morti, Larenta,
o Larunda, come era
chiamata
dai
Sabini.
Larenta, o "Dea Muta" era
una divinità femminile del
sottosuolo
e
dell'oltretomba, quindi il
lato oscuro della Madre
Natura, quello relativo alla
morte.
Altri nomi della dea erano:
Larentina, Mania, Lara,
Larunda, Muta, Tacita.
Essendo identificata con
Tacita o Muta, la Dea che
pone il dito sulle labbra
chiedendo il silenzio, è
evidente, e l'ordine dei
Fratelli Arvali lo conferma,
che era Dea dei Sacri Misteri, che non potevano essere
rivelati. Come Mania, moglie di Mantus, divinità di
origine etrusca adottate dai Romani, era Dea
dell'oltretomba e madre di fantasmi, non-morti e
spiriti della notte.
Come Larunda fu privata della lingua da Giove per aver
riferito a Giunone dei suoi tradimenti, anzi il Dio
ordinò a Mercurio di portarla nell'Ade per torgliersela
di torno, ma questi se ne innamorò. Dall'unione
nacquero due figli invisibili, e pure Larunda, per non
farsi scorgere da Giove, se ne stette rintanata nei
boschi, insomma una divinità delle Selve, come Rhea
Silvia, o come Fauna, Dea sposa di Fauno.
detta Larentalia, secondo le zone, cadeva il 23
dicembre, come racconta Macrobio, subito al termine
dei Saturnali, poi Augusto la fece ripetere due volte
l'anno. Come divinità del solstizio d'inverno aveva il
lato buio delle brevi giornate quando il sole è al punto
più basso dell'orizzonte e
illumina meno la terra. Per
l'occasione si offrivano
sacrifici ai Lari e ai Mani, gli
spiriti degli antenati e gli
spiriti dell'oltretomba. I
festeggiamenti si tenevano
al Velabro dove era la
tomba di Acca.
Si usava anche un curioso
rituale da parte delle
donne, per scampare ai
pettegolezzi
e
alle
diffamazioni
altrui.
Invocavano la Dea e
recitavano
un'orazione
sopra un pesce morto dalla
bocca serrata mediante un
filo di lana. Con questo
rituale magico si chiudeva
la bocca ai detrattori.
Ma via Acca Larentia, non è
solo questo. 32 anni fa
entrò, suo malgrado, a far
parte della storia d’Italia; non di tutta l’Italia, solo di
una piccola parte che ancora oggi non vuole e non può
dimenticare in alcun modo, i tragici fatti che li si
svolsero.
E non è un caso se ogni anno centinaia di persone si
ritrovano in Via Acca Larentia: come attirate da un
invisibile richiamo, che proviene dalle coscienze di
ciascuno, sentono il dovere di esserci di essere li in
quella via anonima del quartiere Tuscolano, per far
11
Bollettino N° 1
GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita
...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande...
tremare Roma con quel tuono che proviene da petti
gonfi di orgoglio e scandisce :”PRESENTE!”
Forse Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano
Recchioni, non avrebbero mai immaginato che una
giorno, sarebbero diventati Eroi, che i loro nomi
sarebbero riecheggiati negli anni, dalle bocche di
migliaia di giovani come loro, loro che erano semplici
adolescenti, semplici militanti dell’ MSI.
Chissà se lo avevano mai pensato… eppure in quella
notte di 32 anni fa, anche senza volerlo diventarono
Eroi.
Il 7 gennaio del 1978, alle 18 circa nella sede c’è una
riunione del Fronte
della
Gioventù.
Quella giornata è
trascorsa come del
resto quasi tutte le
giornate,
tra
attacchinaggi nelle
vie del quartiere,
qualche rissa con i
“rossi”, del Liceo
Augusto, a poche
centinaia di metri
dalla sezione missina. Si programmano altri
attacchinaggi in zone diverse di Roma, così alcuni
giovani decidono di andare, nella sede restano Franco
Bigonzetti, Francesco Ciavatta e altri tre, decidono di
chiudere la sede e anche loro andranno a raggiungere i
camerati a piazza Risorgimento.
Il primo ad uscire è Bigonzetti, apre la porta blindata
della sezione ed è in strada, è buio, non si vede quasi
nulla, dall’angolo con via Evandro sbuca un gruppetto
di cinque o sei persone,Bigonzetti non fa neanche in
tempo a vederli che esplodono due colpi di pistola,
viene colpito in testa, si accascia davanti la porta della
sede missina, dietro di lui Ciavatta capisce che gli
stanno sparando addosso, tenta di fuggire, verso la
fine della via dove c’è una scalinata, corre, tenta di
sfuggire ma una serie di colpi lo investe in pieno
torace, cade anche lui, un altro “camerata” viene
ferito di striscio ad un braccio, ma riesce a barricarsi
nella sede insieme ad altri due giovani. Il commando
assassino si ritira, alcuni testimoni li vedono salire su
un auto rossa, forse una Renault, posare le armi nel
bagagliaio e sparire nel buio. La polizia e le
autoambulanze arrivano dopo pochi minuti,per
Bigonzetti non c’è niente da fare, oltre che in testa è
stato colpito all’addome e al torace, Ciavatta invece è
ancora vivo, ma ha perso conoscenza, lo portano
all’ospedale più vicino,il San Giovanni,ma il ragazzo
muore appena entra in sala operatoria.
Franco Bigonzetti aveva 19 anni frequentava
l’Università, primo anno di medicina e chirurgia,
Francesco Ciavatta aveva 18 anni andava ancora la
liceo, frequentava il
quarto anno ed era
figlio di operai.
La tragedia di via
Acca Larentia non è
ancora finita, che in
poco tempo si
radunano sul luogo
dell’agguato
centinaia
di
militanti romani, tra
un
nugolo
di
giornalisti, cineoperatori e poliziotti, in borghese e
non. C’è grande tensione, qualche tafferuglio, spintoni
con le forze dell’ordine, i giovani missini sono
sgomenti.
L’irreparabile avviene quando una telecamera del Tg1
riprende l’entrata della sede missina e inquadra i volti
dei giovani, questi si arrabbiano, aggrediscono un
giornalista, cominciano gli scontri con i carabinieri. Si
spara, da una parte e dall’altra.
Un ufficiale dei carabinieri Edoardo Sivori, spara, ma
gli si inceppa la pistola, quindi si rivolge verso un
collega e gli chiede l’arma, poi si gira, mira e spara: un
colpo centra in pieno la fronte di Stefano Recchioni, 19
anni, militante del Fronte della Gioventù, viene
immediatamente portato in ospedale, agonizzerà per
due giorni, il 9 gennaio muore,
12
Bollettino N° 1
GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita
...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande...
Stefano aveva un fratello più
piccolo di un anno, Massimo,
simpatizzante di Lotta Continua,
che commenterà così la sua morte
: “Chi vuole questo fa pagare agli
altri, i giovani, ma lui non paga
mai di persona. No, non mi sento
di perdonare questa gente. E
questa società… Le idee di mio
fratello non le approvavo prima e
non le approvo ora. Ma
l’importanza delle idee è diversa
dal valore delle persone. Se
Stefano fosse qui proverei a
parlare, ad ascoltare, a capire.. E
soprattutto vorrei ringraziarlo per
tutte le cose che ha fatto per Me”.
Quella strage fu un vero
spartiacque nella storia tragica
degli anni di piombo che va
ricordato
bene
agli
storici
“ufficiali”, troppo inclini a fare
confusione su quell’ epoca. E’ vero che negli anni ’70 e
’80 ci fu una guerra civile strisciante, che non fu
soltanto terrorismo ma violenza diffusa, tale da
coinvolgere decine di migliaia di giovani di destra e di
sinistra in una vera e propria guerra civile strisciante,
che lasciò sul campo tante vittime da una parte e
dall’altra. Però questa è una verità incompleta:
bisogna anche aggiungere che fino al 7 gennaio 1978
l’aggressione fu quasi esclusivamente da una parte
sola. Dopo le contestazioni sessantottine, dopo i
successi dell’Msi nei primi anni ’70 e a seguito
dell’inizio della strategia della tensione stragista, per
un lungo periodo si ammazzava a senso unico. Tanti
episodi orribili, a cominciare dal rogo dei fratelli
Mattei, servirono a dare concretezza all’orribile slogan
“uccidere un fascista non è reato” e a fare da
battesimo del fuoco per chi voleva essere ammesso
nelle file delle organizzazioni terroristiche vere e
proprie.
In un clima di assoluta sterilità politica, dove i giovani
sono completamente disinteressati alle idee e ai
sacrifici, vale la pena di citare le
parole del sindaco di Roma, Gianni
Alemanno:
“Ancora oggi e forse più di ieri
diamo valore alla militanza, alla
Politica come atto di amore nei
confronti di un popolo e di
dedizione in valori da incarnare
nella realtà sociale. Nella crisi della
politica che stiamo vivendo in
questi mesi molte sono le ricette
che vengono proposte dai diversi
commentatori. In genere sono
ricette che portano ad un
“ridimensionamento”
della
politica, intesa semplicemente
come buona amministrazione,
come procedura tecnica per
prendere decisioni. Noi, invece,
crediamo che la strada sia
esattamente opposta: la politica si
salva se va verso l’alto, se torna ad
essere passione, spiritualità applicata al sociale, milizia
e spirito di servizio. Di tutto questo i nostri giovani
degli anni ’70 sono stati esempio fino al più alto
sacrificio. Non sono vittime, sono persone che sono
state uccise perché facevano politica, sapendo di
rischiare e accettando consapevolmente questo
rischio. Per tutti gli anni ’70 e ’80 chi alzava la serranda
di una sezione dell’Msi, chi distribuiva un volantino,
chi attaccava un manifesto, sapeva perfettamente i
rischi che correva e ne era fiero. Ecco perché, per noi,
questi ragazzi sono degli eroi e non delle vittime.”
“…Io non cerco la vendetta, non mi aspetto
trasparenza, questa Terra benedetta, non conoscerà
giustizia. Voglio solo ricordare senza scomodare i
morti, ma che almeno i nostri figli non conoscano
quei torti…”
“Non scorso” 270-bis
13
Bollettino N° 1
GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita
...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande...
Molte volte la memoria di alcune persone, viene
ingoiata dall’oblio dei tempie mentre ci perdiamo
dietro ad artisti che dureranno il tempo di una
stagione o finatntochè la loro canzone non uscira dalla
hit parade, ci si dimentica di grandi artisti, che al
mondo de3lla muscia hanno dato tanto, alle volte fin
troppo. Uno di questi casi, anzi forse il più
emblematico,
è
rappresentato da Luigi
Tenco, artista eclettico e
profondo che avrebbe
avuto tanto da dire, schivo
e riservato anteponeva la
sostanza alle parole, pur
non essendo inquadrabiel
in nessun schieramento.
Luigi Tenco alla musica
aveva donato tanto ed
infine vi consacrò la vita
stessa suicidandosi nella
camera di albergo di San
Remo dove alloghgiava per
il festival omonimo.
F&O, crede sia giusto
ricordare questo grande
artista che sembra essere
stato
completamente
dimenticato dalla grande
industria musicale che tutto ingurgita. A lui quindi
tributiamo questo articolo.
Luigi Tenco Nacque da una relazione extraconiugale
della madre, Teresa, cameriera presso una famiglia
molto benestante di Torino, con il figlio sedicenne
della famiglia. La madre venne poi allontanata e
ritornò a Cassine, e Luigi prese il cognome del marito
della ragazza, Giuseppe Tenco, che morì in circostanze
mai del tutto chiarite prima che lui nascesse. I due
avevano già un figlio, Valentino.
Trascorse la prima infanzia tra Cassine e Ricaldone
fino a che, nel 1948, la famiglia si trasferì in Liguria,
dapprima a Nervi e poi a Genova, dove la madre aprì
un negozio di vini. Frequentò, con discreto profitto,
dapprima il liceo classico al Liceo Ginnasio Andrea
Doria per poi trasferirsi al liceo scientifico.
Nel 1953 fondò un gruppo
musicale, la Jerry Roll Boys
Jazz band (composta da
Danilo Dègipo alla batteria,
Bruno Lauzi al banjo,
Alfred Gerard alla chitarra
ed egli stesso al clarinetto.
Iniziò a suonare il sax nel
1957,
quando
venne
chiamato da Marcello
Minerbi
(in
seguito
fondatore
dei
Los
Marcellos
Ferial
ed
arrangiatore per Claudio
Lolli in Aspettando Godot)
nel Trio Garibaldi, con
Ruggero Coppola alla
batteria e Minerbi al
pianoforte; proprio per il
trio Tenco scrive la sua
prima canzone, la sigla di
apertura dell'orchestra.
Seguì nel 1958 la costituzione del gruppo i Diavoli del
Rock con Nicola Grassi, soprannominato Roy, alla
batteria e Gino Paoli alla chitarra. Iscrittosi alla facoltà
di Ingegneria, passò poi a quella di Scienze Politiche. In
questo periodo entrò a far parte del Modern Jazz
Group di Mario De Sanctis.
Nel 1959 si trasferì a Milano, ospite con l'amico Piero
Ciampi di Gianfranco Reverberi che, lavorando come
arrangiatore alla Dischi Ricordi, lo fece partecipare
14
Bollettino N° 1
GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita
...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande...
come session man alle registrazioni di La tua mano di
Gino Paoli e Se qualcuno ti dirà di Ornella Vanoni; si
trasferì poi con Ciampi alla Pensione del Corso, in
Galleria del Corso 1, dove alloggiavano anche Paoli,
Sergio Endrigo, Franco Franchi, Bruno Lauzi ed altri
artisti.
Il primo 33 giri di Tenco uscì proprio quell'anno;
conteneva successi quali Mi sono innamorato di te e
Angela, ma anche Cara maestra che non fu ammessa
all'ascolto dalla Commissione per la censura (per
quest'ultimo brano fu allontanato dalle trasmissioni
RAI per due anni).
Ottenne poi un contratto discografico con la Dischi
Ricordi come cantante; il suo esordio col gruppo I
Cavalieri risale al 1959. Il gruppo - che gravitava
intorno alla casa discografica Tavola Rotonda,
sottoetichetta della Ricordi, da cui il nome, e del quale
facevano parte Gianfranco
Reverberi, Paolo Tomelleri,
Enzo Jannacci e Nando De
Luca - incise un EP con
quattro brani, Mai/Giurami
tu/Mi
chiedi
solo
amore/Senza parole (che
vennero anche pubblicati
suddivisi in due 45 giri),
pubblicato a nome Tenco.
Dopo questa incisione,
Tenco
adottò
gli
pseudonimi di Gigi Mai,
Dick Ventuno e Gordon
Cliff, chiedendo a Nanni
Ricordi di non apparire con
il suo vero nome per non
subire danni d'immagine
essendo studente di Scienze
Politiche ed iscritto ad un
partito politico[9].
Nel 1963 si ruppe l'amicizia con Gino Paoli, a causa
della relazione di questi con la giovane attrice Stefania
Sandrelli, che Tenco non approvava.
Nel 1961 uscì il suo primo 45 giri inciso come solista e
con il suo vero nome, intitolato I miei giorni perduti.
Nel 1962, cominciò una breve esperienza
cinematografica, con il film La cuccagna di Luciano
Salce (con Donatella Turri tra gli interpreti), pellicola
nella quale cantò il brano "La ballata dell'eroe",
composta dall'amico Fabrizio De André.
Sempre negli anni sessanta strinse un'amicizia
importante con il poeta anarchico genovese Riccardo
Mannerini.
Nel settembre dello stesso anno le sue canzoni Io sì e
Una brava ragazza furono
nuovamente bloccate dalla
censura. Poco prima aveva
abbandonato
la
casa
discografica Dischi Ricordi
per la Jolly.
Agli inizi del 1965 fa la sua
prima
apparizione
cinematografica, di due sole
nella sua vita, nel film
musicale '008 Operazione
Ritmo', di Tullio Piacentini,
distribuito con successo in
tutta Italia. Nel 1965, dopo
vari rinvii che aveva
ottenuto, partì per il
servizio
militare,
che
completò tuttavia in gran
parte
con
ricoveri
ospedalieri.
L'anno successivo stipula un contratto con la RCA
Italiana ed incide Un giorno dopo l'altro, che diventa
sigla dello sceneggiato televisivo Il commissario
Maigret. Altri successi dell'epoca sono: Lontano
lontano, Uno di questi giorni ti sposerò, E se ci diranno,
Ognuno è libero. A Roma, conobbe la cantante italofrancese Dalida, con la quale ebbe una relazione.
E sempre in questo periodo collabora con il gruppo
beat The Primitives, guidato da Mal, per i quali scrive,
in collaborazione con Sergio Bardotti, il testo italiano
di due canzoni: I ain't gonna eat my heart anymore,
15
Bollettino N° 1
GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita
...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande...
che diventa il grande
successo Yeeeeeeh!, e
Thunder'n
lightnin,
tradotta in Johnny no!
e
contenuta
nell'album del gruppo
Blow Up.
Nel 1967 si presentò
(qualcuno sostenne
suo malgrado) al
Festival di Sanremo
con la canzone Ciao
amore ciao, cantata,
come si usava a quel
tempo, da due artisti
separatamente (in questo caso si trattava dello stesso
Tenco e di Dalida).
Secondo alcune testimonianze pare che inizialmente
Tenco, a causa della scarsa fiducia in se stesso, non
apprezzasse Ciao amore ciao, ma Dalida riuscì con la
sua dolcezza a convincere il cantautore a portare
quella canzone al Festival. Questo particolare lascia un
velo di ironia della sorte tra il cinico e il macabro per
tutto quanto avvenne dopo. Il brano di Tenco non
venne apprezzato dal pubblico e non fu ammesso alla
serata finale del Festival, classificandosi al dodicesimo
posto nel voto popolare. Fallito anche il ripescaggio,
dove fu favorita la canzone La rivoluzione di Gianni
Pettenati, pare che Tenco sia stato preso dallo
sconforto.
Rinchiusosi nella sua camera in una dependance
dell'Hotel Savoy, venne successivamente trovato
morto proprio dalla stessa Dalida. L'ultimo a
immortalare vivo il cantante fu il fotografo e
giornalista Renato Casari: questa foto è attualmente
conservata nella casa del fotografo (scomparso il 17
novembre 2010 in una casa di riposo a Lecco), a
Mandello del Lario. Il corpo riportava un foro di
proiettile alla testa. Venne trovato un biglietto vergato
a mano - che più perizie calligrafiche hanno poi
consentito di attribuire allo stesso Tenco - contenente
il seguente testo:
«Io ho voluto bene al
pubblico italiano e gli
ho
dedicato
inutilmente
cinque
anni della mia vita.
Faccio questo non
perché sono stanco
della vita (tutt'altro)
ma come atto di
protesta contro un
pubblico che manda
"Io tu e le rose" in
finale e ad una
commissione
che
seleziona
"La
rivoluzione".
Spero
che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi. »
Questo, sul momento, fece pensare al suicidio come
spiegazione della morte. Tanto più che Tenco aveva
acquistato una pistola l'anno precedente per difesa
personale. Tuttavia, per molti decenni, sono sussistiti
molti dubbi sulle cause reali della sua morte: ad
esempio è molto strano il fatto che non fu mai
ritrovato il proiettile che ne causò la morte.[senza
fonte]
Per questo e per altri motivi, dopo anni di pressioni
esercitate da una parte della stampa, il 12 dicembre
2005, dopo ben trentotto anni, la procura generale di
Sanremo ha disposto la riesumazione della salma per
tentare di stabilire la verità una volta per tutte, e cioè
se Tenco si era realmente suicidato o, come molti
hanno ritenuto per anni, era stato assassinato per
motivi da approfondire ulteriormente.
Il 15 febbraio 2006 il Caso Tenco è stato, in via
ufficiale, definitivamente chiuso. Una nuova analisi
sulla salma di Tenco, infatti, ha suffragato la tesi che il
cantante è morto per suicidio, non potendo formulare
alcuna altra ipotesi anche perché, contrariamente alle
aspettative, non è stato ritrovato il proiettile nel
cranio. Nonostante ciò, ancora molti sostengono tesi
alternative al suicidio.
16
Bollettino N° 1
GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita
...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande...
Tra l'11 giugno 2009 e il 28 settembre 2009, il
Segretario Politico Nazionale del Partito dell'Alleanza,
Dott. Sante Pisani ed il responsabile Nazionale del
dipartimento delle politiche abitative dell' UDEUR
Dott. Domenico Scampuddu, hanno inviato due
esposti al Consiglio Superiore della Magistratura, al
Ministro della Giustizia On. Alfano, al Consiglio dei
ministri e al Cancelliere della Corte europea dei Diritti
dell'Uomo di Strasburgo (Francia), con in allegato
cinque prove dell'omicidio di Luigi Tenco.
Il 10 maggio 2010 su Odeon Tv, la trasmissione Rebus,
questioni di conoscenza, condotta da Maurizio
Decollanz, ha trattato il Caso Tenco e tra le altre cose
si è parlato delle "5 prove" dell'omicidio di Luigi Tenco
sostenute su facebook da quasi 20.000 Italiani. In
studio Aldo Fegatelli Colonna (biografo di Tenco),
Francesco Bruno (criminologo), Giuseppe Bità
(Responsabile Luigi Tenco 60's - La verde isola).
L'intera puntata è disponibile alla pubblica visione. Nel
1967, Ornella Benedetti, pochi mesi dopo la morte del
cantautore, costituisce il Club Luigi Tenco di Venezia,
un vero e proprio fan club con l'obiettivo di
raccogliere, ricordare e diffondere il messaggio
dell'artista.
Nel 1972 Amilcare Rambaldi a Sanremo costituisce il
Club Tenco con lo scopo di riunire tutti coloro che si
propongono di valorizzare la canzone d'autore. Dal
1974, in suo onore, al Teatro Ariston di San Remo è
stato istituito dal Club Tenco il Premio Tenco,
manifestazione a cui hanno partecipato i più grandi
cantautori degli ultimi decenni. Nel novembre 2007, il
Club gli dedica l'intera edizione della Rassegna e il
volume "Il mio posto nel mondo. Luigi Tenco,
cantautore. Ricordi, appunti, frammenti" (BUR) curato
da Enrico de Angelis, Enrico Deregibus e Sergio
Secondiano Sacchi.
Nel febbraio 1992 la Biennale di Poesia di Alessandria
promuove, in collaborazione con il Club "Tenco", il
comune di Ricaldone e il quotidiano "Il Secolo XIX" di
Genova, un convegno dedicato a Luigi Tenco a
venticinque anni dalla scomparsa. La manifestazione si
tiene presso il Teatro Umberto I di Ricaldone e la
serata di spettacolo si svolge presso il Teatro
Comunale di Alessandria. Per la Biennale di Poesia
intervengono Giancarlo Bertolino e Aldino Leoni. Fra i
giornalisti, Mariella Venegoni, Mario Luzzatto Fegiz e
altri; al concerto serale partecipano Gino Paoli, David
Riondino, Cristiano De André. E' la prima
manifestazione dedicata a Tenco nel suo paese di
nascita dove, dall'estate successiva, prenderà il via la
rassegna "L'Isola in Collina".
A Cusano Milanino, il 19 gennaio 2006, presso il
"Centro Sociale Cooperativo Ghezzi", da un'idea di
Renzo Zannardi, si è tenuta la conferenza "Il sax ribelle
che anticipò il 68", centrata sull'impegno sociale di
Tenco e sul clima culturale da lui vissuto. L'evento è
stato caratterizzato dalla partecipazione, tra gli altri,
del biografo Aldo Fegatelli Colonna e del giornalista
Daniele Biacchessi. A Ricaldone, il 20 luglio 2006 è
stato inaugurato il Centro di Documentazione
Permanente Luigi Tenco, prima struttura museale in
Italia dedicata a un cantautore.
A Milano, nel dicembre 2007, presso il Teatro Litta, la
pittrice sassarese Maria Vittoria Conconi ha realizzato
una mostra dal titolo "Tenco, le donne e la musica. Un
immaginario visivo ispirato da Luigi Tenco", con dodici
acquerelli di immagini femminili, ispirati alla musica di
Tenco. Nell'ambito della mostra è stato presentato
anche un calendario con le dodici opere, dedicato al
70º anniversario della nascita di Tenco.
La mostra è stata replicata nel febbraio 2008, presso la
Biblioteca Comunale di Rescaldina, e il 21 marzo 2008
a Sassari con la mostra "I fiori di ieri. Un omaggio a
Luigi Tenco", presso il Centro d'Arte e Cultura
"Giuseppe Biasi".
A Busto Garolfo, il 15 febbraio 2008, presso la
Biblioteca Comunale, il gruppo di studiosi ed
estimatori di Luigi Tenco "Binario21" ha dato luogo
alla conferenza "Gli anni di Luigi Tenco e quelli di
Internet", con analisi e approfondimenti su vita,
musica e testi del cantautore piemontese.A Sassari,
dal 29 gennaio 2010, presso il Teatro Il ferroviario,
l'associazione Materia Grigia organizza la rassegna "La
forza delle parole", un laboratorio di animazione
17
Bollettino N° 1
GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita
...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande...
teatrale con gli studenti dell'Università degli Studi di
Sassari, incentrato sulla figura e sull'arte di Luigi
Tenco. Una serie di incontri, inaugurata da Maria
Vittoria Conconi e Paolo Zicconi, con la partecipazione
di scrittori, musicisti, poeti e intellettuali, tra i quali
Mario Dentone, Erri De Luca, Gianni Mura e Ada
Montellanico.
"Un’icona di stile non ha paura del tempo!"
E
sistono
degli
indumenti
nella
storia
dell’abbigliamento che più di altri hanno saputo
e sanno rappresentare lo stile delle persone
che li indossano. L’Harrington è uno di questi.
Nel 1937 nel nord dell’Inghilterra, a Manchester, John
e Isaac Miller crearono questa giacca corta dalle
maniche “raglan”, il colletto chiuso da bottoni, i polsini
elasticizzati e le tasche dalla patelle tipicamente
abbottonate; ci volle meno di un anno perché questi
due fratelli, presso il Castello di Beaufort, al cospetto
del XXIV° Lord Lovat capo del clan Fraser, ottenessero
il permesso di utilizzare quell’inconfondibile tartan
rosso per foderare il mitico modello G9.
Decennio dopo decennio il Baracuta ha saputo
“interpretare” la personalità di coloro che l’hanno reso
celebre, divenendone esso stesso l’icona: Elvis Presley
prima, in “King Creole” (La via del Male), Steve Mc
Queen poi, sulla copertina di Life e infine Frank Sinatra
in “Assault on a Queen” (U 112 Assalto Al Queen
Mary) sono solo alcuni dei personaggi che più hanno
contribuito alla notorietà di questa giacca.
Indumento che non poteva mancare nel guardaroba
dei Mods, giovani seguaci del “Modernismo” che alla
fine degli anni ‘50 esaltarono in maniera esasperata la
ricercatezza dello stile individuale, in senso estetico e
comportamentale, e scelsero la cura del proprio look
come maniera di distinguersi, perseguendo coerenza
ed eleganza.
John Simons, proprietario del mitico Ivy Shop di
Richmond, che negli anni Sessanta seppe vestire gran
parte di loro a Londra, è stato sicuramente una delle
figure che più hanno contribuito alla diffusione del
Baracuta.
18
Bollettino N° 1
GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita
...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande...
Oltre ad aver
eletto questo
capo ad icona
di “American
Cool”
egli
cominciò
a
chiamarlo
affettuosament
e “Harrington”,
in onore di
Rodney
Harrington,
celebre
personaggio
della
serie
televisiva
Payton Place
che era solito
indossarlo: un appellativo valido ancora oggi per tutte
le giacche ispirate a questo stile.
E solo qualche anno più tardi, dopo essersi fatto
conoscere oltre Manica ed oltre Oceano, il Baracuta
tornerà nuovamente sulle spalle dei membri di gruppi
giovanili londinesi come i Punk e i revivalisti dello Ska:
da quel momento, uno dopo l’altro, saranno svariati i
marchi di abbigliamento di gusto britannico o ispirati
all’Ivy
League
americana
che
proporranno
un’interpretazione dell’Harrington o che manterranno
nella confezione dei loro modelli molte delle
caratteristiche originali.
Nel 1981 i Clash a Times Square hanno indossato per il
loro concerto una versione personalizzata di questa
giacca e da allora non è trascorso giorno senza che
qualcuno non abbia riconosciuto nel Baracuta l’icona
del proprio look e di un indiscutibile stile.
Per comprendere fino in fondo quali siano gli elementi
che compongono dal punto di vista tecnico il Baracuta
e da che cosa derivi la sua capacità di contaminare
svariati modelli di giacca corta proposti sul mercato
contemporaneo dell’abbigliamento maschile, bisogna
analizzare da vicino i dettagli che contraddistinguono
lo storico G9: particolari che grazie alla loro perfetta
combinazione sono stati in grado di determinare
quello
che
possiamo
definire
uno
stile unico e
ineguagliabile.
Le
maniche
sono
storicamente
“raglan” ovvero
vengono cucite
radialmente
rispetto
alla
base del collo:
il taglio della
manica
si
estende infatti
in
maniera
radiale da sotto l’ascella fino alla base del colletto,
garantendo un’ottima mobilità delle braccia e del
corpo oltre ad una vestibilità molto comoda.
Questa giacca corta presenta una banda elasticizzata
all’altezza del giro-vita, a chiudere l’estremità inferiore
che come i polsini, anch’essi elasticizzati, è sempre
rigorosamente dello stesso colore del capo.
All’altezza delle scapole presenta una curiosa cucitura
chiamata ad “umbrella” che assicurando le due parti di
tessuto che compongono la schiena solo in prossimità
delle punte, permette una maggiore areazione.
Il tessuto esterno è un popeline “compatissimo” 100%
cotone da sempre proposto in un gran numero di
varianti colore mentre la fodera interna, non presente
nelle maniche, è costituita da un particolare tipo di
tartan di dominante rossa.
Le due tasche anteriori, simmetriche una rispetto
all’altra, sono contraddistinte dalla chiusura verso
l’interno delle loro patelle, entrambe abbottonabili
grazie ad un bottone del medesimo tipo di quelli posti
sul colletto.
19
Bollettino N° 1
GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita
...il mio spirito cresce quando il mio corpo si espande...
fedele asinello è arrivato
puntualmente con un carro
carico di doni e dolciumi.
La neve che inaspettatamente
ha cominciato a scendere
copiosamente, ha regalato a
questo pomeriggio un’atmosfera
magica, che ha reso felici i
bambini presenti di tutte le età.
Mi raccomando, se farete i bravi,
l’appuntamento si rinnoverà
puntualmente anche il prossimo
anno.
San Nicolo’ a LIMANA
02 GENNAIO 2011
Eleonora Tormen (A.S.D. Amici di Roccia)
NICOLE SAVI (A.S.D. Amici di Roccia)
S
an Nicolò anche quest’anno è stato il
protagonista di varie manifestazioni nei paesi
del bellunese.
L’associazione Amici di Roccia di Limana ha
organizzato per domenica 5 dicembre il tradizionale
incontro con la consegna dei regali, che si è tenuto
nella grande piazza centrale.
Adulti e bambini, riscaldati da brulè e thè caldi offerti
dagli organizzatori, hanno atteso nonostante la fredda
giornata, l’arrivo di San Nicolò, che accompagnato dal
I
l 2011 si apre all'insegna dello sport e del
divertimento. L'associazione Amici di Roccia ha
infatti organizzato, il 2 gennaio, la classica
ciaspolata, coinvolgendo una ventina di partecipanti
fra soci e simpatizzanti.
La comitiva è partita dal piazzale Faverghera in cima
alla pista "Ghiro" in Nevegal.
Dopo un paio d'ore di camminata fra boschi innevati
suggestivi paesaggi e risate, il gruppo è arrivato al
rifugio"Bristot",
ove
hanno
consumato un lauto pranzo che
ha saziato gli affamati ragazzi.
Riposati e rifocillati, gli amici
hanno preso poi la via del
ritorno ripercorrendo i propri
passi. Resisi poi conto di essere
giunti al traguardo, felici per la
divertente giornata trascorsa,
ma anche un po' rattristati dal
fatto che fosse già terminata, gli
Amici di Roccia si sono salutati
con il vivo desiderio di rivivere
una giornata di questo genere:
sportiva,
divertente
ma
soprattutto, in compagnia.
20
Bollettino N° 1
GENNAIO - FEBBRAIO 2011 STAMPATO in proprio - copia gratuita