Dispense di Politica Economica

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Dispense di Politica Economica
Prof. Ferdinando Targetti
Lezioni di politica economica
Anno accademico 2002-2003
Capitolo 1 - Fallimenti del mercato e
politica economica
1.1 Stato e mercato
Politica economica: le analisi in base alle quali lo Stato è chiamato a
governare il sistema economico e l’insieme di istituzioni e strumenti attraverso i
quali lo Stato attua tale governo.
Quanto deve essere esteso il potere dello Stato? L’economia politica
moderna nasce con “La Ricchezza delle nazioni” di Adam Smith. La “mano
invisibile” rappresenta la capacità del mercato di raggiungere il bene pubblico
senza la necessità del demiurgo. Il mercato determina un ordine senza che ci sia
un potere esplicito che lo stabilisca.
Critica: il mercato è esso stesso un istituzione che richiede regole e governo.
La versione moderna della mano invisibile è data dai due teoremi del
benessere.
1.1.1
Il primo teorema fondamentale dell’economia del
benessere
In un sistema economico di mercati in concorrenza perfetta, sotto certe
condizioni, esiste un equilibrio generale che realizza un’allocazione delle risorse
che è ottima secondo il criterio di Pareto.
Osservazioni
1)
Equilibrio generale: si ha quando la domanda e l’offerta di ciascun bene
sono uguali simultaneamente per tutti i beni.
2)
Ottimo di Pareto: si ha quando:
a) l’allocazione è efficiente: tutti i fattori sono impiegati;
b) non esiste nessuna altra allocazione in cui il benessere di un individuo
aumenti senza che quello di un altro diminuisca.
3)
Le “condizioni” sono quelle della esistenza dell’equilibrio neoclassico:
esogeneità delle preferenze; rendimenti costanti di scala; non validità
della legge di Engel; assenza di incertezza, eccetera.
1.2 Primo caso di politica economica: equità
1.2.1
Ottimalità ed equità.
Ottimalità ed equità sono attributi diversi. Ottimalità infatti è un criterio di
efficienza nell’allocazione delle risorse che non ha nulla a che fare con l’equità
distributiva.
Lezioni di politica economica
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Ci sono tante allocazioni ottime quante sono le distribuzioni iniziali dei fattori
tra gli individui.
Ci possono essere degli equilibri di ottimo paretiano che comportano
distribuzioni del reddito “ingiuste” in termini di povertà o di eguaglianza.
Una delle misure dell’ineguaglianza della distribuzione del reddito è data
dall’indice di Gini: il valore massimo è uno (ineguaglianza assoluta: il reddito è
nelle mani di una persona sola) e il minimo è zero (eguaglianza assoluta:
ciascuno possiede la stessa quota del reddito di ciascun altro).
Il grado di eguaglianza è una scelta (storico-)sociale e può essere un
obiettivo di politica economica.
1.2.2
Secondo teorema del benessere
Qualunque allocazione paretiana può essere ottenuta come equilibrio
generale di un sistema in concorrenza perfetta, data un’appropriata
redistribuzione delle risorse tra gli individui.
Osservazioni
1)
Il secondo teorema ha un contenuto prescrittivo. Afferma che l’equità non
è ottenuta dal mercato, ma da una redistribuzione delle risorse frutto di
una scelta collettiva o di un accidente storco.
2)
Afferma che l’efficienza è ottenuta se si fa in modo che:
a) il sistema economico sia di mercato;
b) che il mercato sia di concorrenza perfetta.
3)
L’”appropriata distribuzione” è argomento complesso e rimanda alla
letteratura dell’economia del benessere e del dibattito sulla funzione di
benessere collettivo. Rimando a scienza delle finanze.
4)
Si noti che il teorema non dice nulla sui diritti di proprietà dei fattori, ma
parla solo di mercato ove questi e i loro servizi si scambiano. In linea
teorica un ottimo paretiano è ottenibile con un sistema di mercato
capitalistico (con diritti di proprietà privata dei fattori capitali riproducibili e
non) o con un sistema di socialismo di mercato alla Lange (con proprietà
pubblica di tali fattori). C’è un’altra parte dell’economia che tratta della
relazione tra efficienza e incentivi in cui entra il problema dei diritti di
proprietà.
1.3 Secondo caso di politica economica: efficienza e
fallimenti microeconomici del mercato
Un altro terreno sul quale è necessario l’intervento della politica economica è
quello relativo alla discrepanza tra laissez faire e ottima allocazione delle risorse.
Sono le situazioni nelle quali il mercato senza intervento correttivo non è
efficiente. In questo caso si parla di “fallimenti del mercato”.
Esistono casi di fallimenti microeconomici e fallimenti macroeconomici o
sistemici.
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Ferdinando Targetti
1.3.1
Uno schema dei fallimenti microeconomici
Si ha efficienza privata quando:
costo privato marginale (CPM) = prezzo = ricavo privato marginale (RPM) Si ha ottimo sociale quando:
Costo sociale marginale (CSM) = prezzo = ricavo sociale marginale (RSM) Si presentano fallimenti di mercato quando:
CPM < CSM : diseconomie esterne RP medio > CPM: monopolio RPM < RSM: economie esterne 1.3.2
Politica.
Lo Stato deve intervenire sul mercato nei casi seguenti.
1)
Potere di mercato. Un singolo agente è in condizioni di “fare” il mercato
(il prezzo), anziché subire il mercato (è un “price maker” anziché essere
un ”price taker”). Questo è il caso della concorrenza imperfetta;
dell’oligopolio; del monopolio sia esso legale, collusivo o naturale. Lo
Stato può intervenire in più modi: con l’istituzione di una Autorità
Antimonopolio (Antitrust) che faccia applicare delle leggi antimonopolio;
con la gestione diretta delle imprese monopoliste (i Monopoli di Stato); o
con l’istituzioni di Autorità indipendenti di settore (ad esempio in Italia
l’”Autorità per l’energia elettrica ed il gas”).
2)
Mercati incompleti. Beni pubblici e beni meritori: offerti dallo Stato.
Esternalità: positive o negative: sussidi o imposte. Mercati che mancano
(credito e assicurazioni nelle fasi di decollo).
3)
Informazione imperfetta o asimmetrica. Necessità di istituire un’Autorità
indipendente (il caso della CONSOB) per garantire trasparenza e
informazione di mercato anche ai contraenti meno informati.
1.4 Monopolio
1.4.1
1)
Tipi di monopoli
Legale o collusivo. Il produttore si trova di fronte non già una curva di
domanda piatta al prezzo dato dal mercato, ma una curva di domanda
decrescente di cui conosce l’elasticità. Egli vende una quantità che
massimizza il suo profitto. Ciò accade dove:
costo marginale = ricavo marginale A quella quantità:
Lezioni di politica economica
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prezzo > costo marginale La differenza tra prezzo e costo marginale costituisce il profitto del
monopolista. In condizioni di concorrenza il prezzo eguaglierebbe il costo
marginale, il profitto monopolistico sarebbe nullo, la quantità venduta
maggiore e crescerebbe la rendita del consumatore.
Naturale. I costi fissi cadono con l’aumento della produzione. Un’impresa
produce a costi minori di qualsiasi combinazione di più imprese. La
concorrenza è impossibile, il laissez faire porta naturalmente al
monopolio. Esempio: le imprese di pubblica utilità: gas, luce, trasporti
aerei. Al crescere della dimensione di un mercato un settore può perdere
la caratteristica di monopolio naturale: esempio trasporto aereo in USA.
2)
Monopolio (legale e collusivo)
c, p
Costo Marginale
pm
Profitto
pc
Monopolistico c
m
Domanda = Ricavo totale
qm
q
qc
Ricavo Marginale
P m = Profitto monopolistico = p (ricavo monopolistico) - c (costo)
m
m
pc , q c è l’equilibrio concorrenziale con : Profitto monopolistico = 0
M o n o p o lio n a tu r a le
p
p
m
CM e
Pm
CM a
p os
D om anda
RM a
q
p
4
os
, q
os
m
q
os
q
: s o n o l’ e q u ilib r io d i o ttim o s o c ia le
Ferdinando Targetti
1.4.2
Politica
Obiettivo. Nei casi descritti sopra lo Stato deve operare in modo da condurre
l’equilibrio di laissez faire ad un equilibrio concorrenziale.
Gli strumenti sono diversi a seconda dei casi.
1)
Nel caso di monopolio naturale deve in alternativa:
a) gestire direttamente l’impresa;
b) costituire delle Autorità indipendenti che impongano ai produttori
privati di raggiungere l’equilibrio concorrenziale.
2)
Nel caso di collusioni imporre attraverso una Antitrust delle leggi che
obblighino i produttori ad abbandonare la posizione dominante e a
formare dei prezzi quali quelli che si avrebbero in concorrenza. In alcuni
paesi la normativa ha degli aspetti penali. In Italia no. Si pone un
problema di dinamica, qualora lo sfruttamento della posizione dominante
di oggi possa condurre a minori costi e prezzi domani.
1.5 Esternalità
1.5.1
Definizione.
Attività di un’agente che provoca effetti su attività di altri agenti senza dar
luogo a costi pagati o ricevuti.
1.5.2
Fallimento del mercato
Si determina un fallimento del mercato perché i costi e i benefici individuali
sono diversi dai costi e dai benefici sociali.
1.5.3
Politica.
Mercati sui quali vengono scambiate le esternalità non nascono
spontaneamente. Possono essere creati dallo Stato attribuendo dei diritti (ad
esempio il diritto ad inquinare entro una certa soglia) che possono essere
oggetto di compra-vendita.
Altrimenti si utilizzano imposte e sussidi a seconda che le esternalità siano
negative o positive.
1.5.4
Diseconomia esterna o esternalità negativa
Esempio: emissione di fumi nocivi.
Il produttore determina un costo sociale che non si incorpora nel costo privato
e quindi nel prezzo.
Politica: un’imposta pari alla differenza tra costi sociali e costi privati; il
maggior costo riduce la quantità offerta fino al punto in cui
ricavo marginale privato = costo marginale sociale. Lezioni di politica economica
5
1.5.5
Economia esterna o esternalità positiva.
Esempio: il servizio offerto dal faro.
Il beneficio che produce non determina un ricavo privato monetario.
Il ricavo privato marginale è minore del ricavo sociale marginale.
Politica: un sussidio che aumenti la quantità offerta (il servizio del faro) fino al
punto in cui
costo marginale privato = ricavo marginale sociale. Esternalità negativa
c, p
E Costi Marginali Sociali
Costi Marginali Privati
O
p
os
E
tassa
pe
O
Domanda (Ricavo Privato)
0
q
os
q
q
e
Esternalità positiva
cp
sussidio
r os
pe
E
A
RMS
B
qe
CMp
q
RMP
os
q
r os = ricavo sociale
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Ferdinando Targetti
1.6 Beni pubblici
1.6.1
Definizione
Beni per i quali è impossibile escludere qualcuno dal consumo.
La quantità prodotta può essere consumata da tutti senza che qualcuno sia
obbligato a consumarne meno.
Pochi sono beni pubblici puri. La più parte sono beni pubblici misti.
Esempi: difesa, istruzione, giustizia, polizia, magistratura, parchi eccetera.
1.6.2
Beni meritori
Tutela degli individui prescindendo dalle preferenze che esprimono.
Esempio: attività artistico culturali.
1.6.3
Politica
Il costo di tali beni va finanziato con imposte che ricadono sulla collettività in
quanto il costo del bene pubblico non può essere ripartito in base alla utilità
marginale dei singoli consumatori per il fatto che:
a) non è definibile una curva di domanda aggregata, per il fatto che
b) non si rivelano le preferenze soggettive, per il fatto che
c) ciascuno sa che può godere del bene senza pagare (“free rider”).
1.7 Incompletezza e incertezza
1.7.1
Casi
Esistono casi nei quali i mercati sono assenti, incompleti o con incertezza.
Esempi. Deficienze di sistemi assicurativi e creditizi soprattutto in paesi a
iniziale livello di sviluppo dei mercati.
Cause: miopia; assenza di generazioni future al momento decisionale.
Effetti: risparmio/investimento privato < risparmio/investimento sociale ottimo.
1.7.2
Politica
L’intervento pubblico è giustificato.
Esempi: interessi agevolati e sussidi agli investimenti.
Lezioni di politica economica
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Capitolo 2 - Fallimenti macroeconomici
e obiettivi di politica economica
Richiami di conoscenze di base
Distinzione tra flussi e fondi.
Distinzioni tra grandezze nominali e grandezze reali.
Distinzioni tra variazione prezzi relativi e livello assoluto dei prezzi.
Costruzione di numeri indice.
2.1 Premessa di contabilità nazionale
2.1.1
I flussi macroeconomici.
a) I flussi della circolazione interna.
Acquisti
FAMIGLIE
Fattori
Redditi
Prodotto
IMPRESE
Vendite
circolazione materiale
circolazione monetaria
b) I flussi della circolazione internazionale.
Importazioni
FAMIGLIE ESTERE
Fattori
Redditi
Bilancia dei pagamenti
FAMIGLIE
Fattori
(partite correnti)
IMPRESE
Redditi
IMPRESE ESTERE
Esportazioni
8
Ferdinando Targetti
2.1.2
Reddito internazionale e prodotto interno lordo.
Reddito Nazionale = Redditi Interni + Redditi netti Estero RN = R + RX Prodotto Interno Lordo (PIL)= Domanda Aggregata PIL = Domanda Interna + Domanda Esterna PIL = (Consumo + Investimenti – Importazioni) + Esportazioni Y = (C + I – M) + X = C + I + (X ‐ M) = C + I + Saldo Commerciale (SC) 2.1.3
Bilancia dei pagamenti.
La bilancia dei pagamenti si divide in: bilancia delle partite correnti e bilancia
dei movimenti di capitale.
Bilancia delle Partite Correnti = Saldo Commerciale + Redditi netti Estero 2.1.4
PC = SC + RX Identità macroeconomica della contabilità nazionale.
Redditi interni (R) = Prodotto Interno Lordo (Y) = Domanda Aggregata RN – RX = Y = C + I + X – M RN = C + I + ( X – M + RX) RN = C + I + PC (RN – C) – I = PC S – I = PC 2.2 Fallimenti macroeconomici.
I fallimenti macroeconomici hanno luogo quando si determinano:
„
perdita di benessere sociale (reddito effettivo < reddito potenziale) e
„
inutilizzo di risorse (lavoro, capitale fisico, capitale umano)
Per il fatto che il mercato determina:
„
instabilità e fluttuazioni delle variabili economiche; o
„
insufficiente crescita economica.
La correzione di questi fallimenti macroeconomici è obiettivo della politica
economica.
Lezioni di politica economica
9
Altri obiettivi, o vincoli nel conseguimento dell’obiettivo precedente, della
politica economica sono il contenimento dell’inflazione e l’equilibrio dei conti con
l’estero.
2.3 Crescita e ciclo
2.3.1
Prodotto interno lordo.
Il PIL (Y) è una grandezza in valore, cioè la somma delle quantità prodotte
ciascuna moltiplicata per il suo prezzo monetario.
Y = Q·P La crescita del valore del PIL (Y) può essere causata dalla crescita delle
quantità prodotte (Q) (crescita reale) o dalla crescita dell’indice generale dei
prezzi, detto deflattore del PIL (P) (inflazione).
2.3.2
Crescita e ciclo (aspetti preliminari)
La serie storica del PIL reale (Y/P) sia:
Q(0), Q(1), …, Q(t‐1), Q(t), … Il tasso di crescita del PIL reale sarà:
G(t) = (Q(t) – Q(t‐1)) / Q(t‐1) 2.3.3
Il trend
Y=Q·P Q*(t) Trend
b
a Y=Q·P t Se il prodotto potenziale di ogni anno si colloca intorno ai valori di una retta
crescente, il trend sarà dato dal coefficiente angolare della retta.
Se: Q*(t) = a + bt , 10
sarà: g(t) = (Q(t) – Q(t‐1)) / Q(t‐1) = b Ferdinando Targetti
2.3.4
Deviazione dal trend
Y=Q·P Trend
Ciclo
t Q(0) – Q*(0), Q(1) – Q*(1), …, Q(t) ‐ Q*(t) Saggi di crescita annuale del PIL reale
Italia, 1970-2000
%
8
6
4
2
0
-2
-4
1970
1975
1980
1985
1990
1995
2000
2500
2000
1500
1000
500
0
160
110
60
10
-40
1970
1975
Nominale
Lezioni di politica economica
1980
1985
1990
1995
Indice a prezzi
costanti
Mld. Lit. 000
Dinamica del PIL nominale e a prezzi costanti (mld
lire*1000) Italia, 1970-2000
2000
Indice a prezzi costanti (1995=100)
11
Deviazioni dal trend normalizzato a zero del PIL
reale
(saggi di variazione annui) Italia, 1970-2000
%
6
4
2
0
-2
-4
-6
1970
1975
1980
1985
1990
1995
2000
2.4 Inflazione
2.4.1
Definizione: aumento del livello generale dei prezzi.
Misurazione.
Tasso di inflazione per unità di tempo (esempio annuo) è misurato da:
P*(t) = (P(t) – P(t ‐ 1)) / P(t ‐ 1) Si deduce che il livello di prezzi di oggi è dato dal livello di ieri moltiplicato da
uno più il tasso di inflazione:
P(t) = (1+ P*(t)) ∙ P (t ‐1) L’aumento del livello può avvenire:
a) in un anno e poi tornare a livello precedente o stabilizzarsi a quel
livello;
b) avere luogo anno dopo anno: inflazione permanente.
2.4.2
Tipologie di inflazione permanente.
a) Inflazione strisciante: circa 2-3% annuo; nei paesi OCSE prima del
’73 e negli ultimi 15/20 anni.
b) Moderata: entro il 10%; alcuni paesi OCSE dopo il ’73.
c) Galoppante: a due o tre cifre; in America Latina in molti periodi del
XX° secolo e nei paesi ex comunisti dopo la caduta del muro.
d) Iperinflazione: oltre 300%; tra le due guerre mondiali in Germania e in
Ungheria.
12
Ferdinando Targetti
2.4.3
Cause o shock:
a) da aumento della domanda, inflazione keynesiana: quando
l’economia è vicino alla piena occupazione e si incrementa il deficit
pubblico (sforzo bellico);
b) da riduzione dell’offerta: effetto di distruzioni per guerre o calamità;
c) da conflitto distributivo: per la rincorsa salari-profitti; o salari-salari;
d) da variazione del cambio per un deprezzamento della valuta
nazionale o per un aumento in valuta estera ($) di materie prime;
e) da crisi creditizie o finanziarie;
f) da monetizzazione del debito.
2.4.4
Cause permissive, di perpetuazione o di accelerazione
dell’inflazione.
„
Offerta di moneta e/o credito che finanzi le crescenti grandezze nominali.
„
Aspettative che l’inflaziona acceleri (deceleri) la fa accelerare
(decelerare).
„
Indicizzazione: se è > = < 100%, l’inflazione rispettivamente accelera, è
costante, decelera.
2.4.5
3)
Effetti dell’inflazione
Nel caso in cui l’inflazione non è prevista e se il titolo di debito non è
indicizzato l’inflazione agevola il debitore e penalizza il creditore. Sono
penalizzati i percettori di reddito fisso non indicizzato (“vedove e orfani”).
Redistribuzione casuale del reddito che non risponde ad esigenze di
equità.
a) Sullo Stato: aumenta il prelievo fiscale (drenaggio fiscale) è una
tassa non votata; diminuisce il valore reale del debito pubblico se i titoli
sono a lungo termine e non sono indicizzati.
b) Un’inflazione contenuta può stimolare la produzione.
c) Un’inflazione galoppante esacerba il conflitto distributivo.
d) Un’iperinflazione scardina i contratti, i mercati e la convivenza e fa
abbandonare la moneta nazionale a favore di un altro metro più
stabile.
Lezioni di politica economica
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Indice dei prezzi in Italia (1995 = 100)
120
100
80
60
40
20
0
1970
1975
1980
1985
PIL a prezzi costanti (1995=100)
1990
1995
2000
Indice dei prezzi (1995=100)
2.5 Inflazione / deflazione
Nel XIX° secolo le due espressioni inflazione e deflazione avevano significati
speculari: nelle situazioni di inflazione cresceva il livello dei prezzi e delle
quantità, nelle situazioni di deflazione cadeva il livello dei prezzi e delle quantità.
Il dato di trend era considerato prossimo a zero per i prezzi e prossimo al 2% per
le quantità.
Nel XX° secolo, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, il trend dei
prezzi è positivo e quello delle quantità anche è maggiore che nel secolo
precedente ed i quattro fenomeni vanno distinti.
a) Inflazione: aumento della crescita dei prezzi.
b) Disinflazione: diminuzione della crescita dei prezzi.
c) Reflazione o espansione: fase ciclica con scostamento positivo dal
trend.
d) Deflazione o recessione: fase ciclica con scostamento negativo dal
trend.
Si possono avere queste situazioni, verificabili nei grafici seguenti:
a) espansione senza inflazione: OCSE e Italia anni ’50 e USA anni ‘90;
b) espansione con inflazione leggera: OCSE e Italia anni ‘60;
c) recessione con forte inflazione (stagflazione): OCSE e Italia anni ’70;
d) recessione senza inflazione: Europa e Italia 2° metà anni ’90.
14
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Variazione annua del PIL e tasso di
inflazione annua Italia 1970-2000
%
25
20
15
10
5
0
-5
1970
1975
1980
1985
1990
1995
2000
Variazione annua del PIL e tasso di inflazione annua
stati uniti 1970-2000
16
14
12
10
8
6
4
2
0
-2
-4
1970
1980
PIL
1990
Tasso d'inflazione
2000
2.6 Disoccupazione
Il costo principale del fallimento macroeconomico dovuto a instabilità o a
crescita è il sottoutilizzo delle risorse. La disoccupazione del lavoro è il fenomeno
più importante e quello che ha originato la macroeconomia keynesiana.
2.6.1
Definizioni
Ciascun insieme è contenuto in quello precedente:
1)
Popolazione Totale (Pop. Tot.).
2)
Popolazione Attiva (Pop. Att.): individui residenti abili al lavoro. Essa è
data dalla somma di non forza di lavoro (NFL) e di forza lavoro (FL).
3)
Forza Lavoro: individui della popolazione attiva disponibili ad offrire
lavoro alle condizioni contrattuali vigenti. Offerta di lavoro.
Lezioni di politica economica
15
4)
Occupati (N) e Disoccupati (U) sono le due componenti in cui si divide
la forza lavoro:
FL = N + U 5)
Disoccupati si distinguono in:
a) disoccupati in senso stretto: individui non occupati in precedenza e
che dichiarano di essere attivamente alla ricerca di occupazione;
b) in cerca di prima occupazione;
c) altri: individui disposti ad occuparsi a determinate condizioni.
Popolazione totale (56ml)
Popolazione Attiva = in età da lavoro (40ml)
Forza Lavoro (23ml)
Non-Forza
Occupati (21ml) Disoccupati:
Lavoro
-dipendenti (15ml) -in cerca di 1° impiego
-autonomi (6ml)
2.6.2
Popolazione
non-attiva
-disoccupati in senso stretto
Tipologia:
a) involontaria: lavoratori potenziali disposti ad occuparsi al salario
vigente, ma la domanda di lavoro è insufficiente ad occuparli;
b) frizionale o temporanea: creata da occupati che lasciano il lavoro in
cerca di migliore occupazione e ci mettono del tempo per raccogliere
le informazioni e per ricercare le nuove opportunità;
c) volontaria (questi lavoratori entrano nella NFL): creata da lavoratori
che: preferiscono vivere di sussidi di disoccupazione; che hanno un
elevato “salario di riserva”.
2.6.3
2.6.4
Indicatori
a) Tasso di attività:
FL / POP.TOT.
b) Tasso di occupazione:
N / POP. TOT. oppure N / POP.ATT.
c) Tasso di disoccupazione:
U / FL
Variazione della disoccupazione
La disoccupazione varia (s’accresce) se:
a) Fattori socio-demografici variano (accrescono) la popolazione attiva.
Aumento di natalità, immigrazioni o allungamento della vita lavorativa
accrescono la popolazione attiva.
b) Fattori socio-economici variano (diminuiscono) la non forza di lavoro.
L’aumento di scolarizzazione accresce, mentre l’aumento della
partecipazione femminile al mondo del lavoro diminuisce la non forza
di lavoro.
16
Ferdinando Targetti
c) Fattori economici variano (aumentano) l’occupazione.
2.6.5
Costi della disoccupazione
a) Produttivi: mancata produzione. Legge di Okun: la % di prodotto perso
per un aumento dell’1% del tasso di disoccupazione (la costante di
Okun è circa 3).
b) Equitativi: la piena occupazione è lo strumento principale per ridurre le
disuguaglianze sia della distribuzione funzionale (salari-profitti), sia
personale (individui o famiglie ricche-povere).
c) Sociali: frustrazione, emarginazione, criminalità.
2.6.6
Strumenti per affrontare il problema.
Siccome le cause della disoccupazione sono di varia natura i rimedi non
possono essere solo di natura economica. Di questi però qui si tratta.
I rimedi economici sono di due tipi:
a) afferenti al mercato del lavoro; salari maggiori della produttività
marginale del lavoro; rigidità normative; competitività prezzo sui
mercati internazionali ecc.;
b) afferenti ai mercati dei prodotti; a loro volta sono di due tipi a secondo
che la causa della disoccupazione sia da ricercarsi in:
i) problemi di crescita economica: una dinamica tendenziale del
prodotto (e quindi della domanda di lavoro) che è minore della
dinamica della forza lavoro;
ii) problemi di ciclo economico: uno scarto negativo dal trend del
prodotto (e quindi della domanda di lavoro) di piena occupazione.
%
14
Tasso di disoccupazione (valori percentuali) Italia,
1970-2000
12
10
8
6
4
2
0
1970
Lezioni di politica economica
1975
1980
1985
1990
1995
2000
17
%
14
Tasso di disoccupazione (valori percentuali)
Stati Uniti, 1970-2000
12
10
8
6
4
2
0
1970
18
1980
1990
2000
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Capitolo 3 - Il ciclo economico e la
politica economica
3.1 Premessa
La politica economica come si intende oggi nasce con la rivoluzione
keynesiana. La politica economica (keynesiana) si pone l’obiettivo del pieno
utilizzo delle risorse, soprattutto del lavoro, che il mercato non consegue
spontaneamente, attraverso strumenti che operano sulla domanda effettiva. È
una tesi non da tutti condivisa che richiede di essere articolata.
Il sottoutilizzo dei fattori trova la sua causa nella mancanza di domanda
effettiva di merci e servizi: per alcuni è vero e l’equilibrio di sotto-occupazione è
un fatto intrinseco del capitalismo (Keynes); per altri ciò è vero solo nel breve
periodo (keynesiani); per altri (monetaristi) non è mai vero, poiché il mercato
delle merci, se concorrenziale, è automaticamente in equilibrio (nel lungo periodo
per Friedman o in ogni momento per Lucas).
3.1.1
Cause
Le cause delle fluttuazioni nel breve periodo. Esistono due grandi filoni
interpretativi. Il primo attribuisce la causa dell’andamento ciclico in shock
esogeni, i secondi in cause endogene, cioè intrinseche al funzionamento del
sistema capitalistico. All’interno di questo secondo filone le cause per alcuni
(Keynes e i keynesiani) vanno cercate negli investimenti privati che vengono
compiuti sulla base di previsioni aleatorie su un futuro incerto; per altri
(monetaristi) nel comportamento scorretto del sistema bancario (Von Hayek) o
della Banca Centrale (Friedman); per altri (Shumpeter) nelle modalità con cui
sono introdotte le innovazioni in un sistema capitalistico.
3.1.2
Correlazioni
Le grandezze economiche hanno correlazioni con il ciclo che possono essere
forti o deboli o nulle. Le correlazioni possono essere positive (dinamiche procicliche) o negative (anticicliche). In un modello di ciclo keynesiano le correlazioni
del reddito reale sono positive e forti con gli investimenti, con il consumo e con le
importazioni. In un modello monetarista le correlazioni del reddito e dei salari
monetari sono forti con la dinamica dell’offerta di moneta. La quota di profitti è
prociclica sia per i keynesiani, sia per Shumpeter.
Lezioni di politica economica
19
Correlazioni cicliche e componenti del PIL
Italia, UE 12 e USA.
1
0.8
0.6
ITA
0.4
UE12
USA
0.2
0
CONS
INV
GOV
EXP
IMP
Correlazioni cicliche e mercato del lavoro
in Italia, UE 12 e USA
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
-0.2
-0.4
-0.6
ITA
UE12
USA
SAL.N
SAL.R
OCC.
PROD
3.2 Effetti delle fluttuazioni
3.2.1
Keynesiani
Per i keynesiani le fluttuazioni economiche sono dannose e vanno corrette
con politiche monetarie o fiscali discrezionali che abbiano come obbiettivo di
correggere (in aumento o in diminuzione) la domanda effettiva di merci e servizi
in modo da tenerla ad un livello che non crea né disoccupazione, né inflazione;
3.2.2
Monetaristi
Per i monetaristi le fluttuazioni riguardano in primis il mercato monetario. Gli
effetti vengono indotti sul mercato dei beni attraverso la composizione capitalelavoro degli investimenti per Von Hayek, o per spostamento temporaneo della
curva di Phillips per Friedman, o senza effetti sul mercato dei beni per Lucas. Le
fluttuazioni vanno corrette sottoponendo la Banca Centrale ad una norma
20
Ferdinando Targetti
vincolante e rigida: crescita dell’offerta di moneta ad un tasso uguale alla crescita
del prodotto potenziale.
3.2.3
Shumpeter
Per Shumpeter il mercato delle merci è in equilibrio solo in uno stato
stazionario. La caratteristica del sistema capitalistico è la crescita e questa è
frutto delle innovazioni. Ma le innovazioni avvengono in modo discontinuo e
danno effetto ad imitazioni, avvengono a grappolo. L’imitazione prima
dell’innovazione di successo e la sovracapacità conseguente in una fase
successiva imprimono un andamento ciclico all’economia. Queste fluttuazioni
sono quindi connaturate ad un sistema in sviluppo e sono necessarie perché la
distruzione di imprese nella fase di crisi libera risorse utilizzabili in nuove
avventure innovative (“distruzione creatrice”) e non necessitano di politiche
economiche che operino sulla domanda effettiva.
3.2.4
Considerazioni
In realtà la natura dei cicli economici (e la loro frequenza, intensità e durata)
non è sempre la stessa nel tempo e nello spazio. Le varie teorie e le politiche
che esse implicano possono cogliere aspetti illuminanti in un caso e non in un
altro: le spiegazioni mono-causali o astoriche in economia sono destinate al
fallimento. In Italia e in Europa nel dopoguerra i cicli sono, rispetto al periodo
storico precedente, meno frequenti, meno ampi e di minor durata e questo anche
grazie alle politiche keynesiane.
3.3 Propagazione internazionale dei cicli
Il maggior esempio di propagazione internazionale di un ciclo è quello della
grande crisi del ’29 (in realtà quella fase ciclica recessiva assunse le
caratteristiche di un crollo). Cause reali originate negli Stati Uniti ebbero
conseguenze sulla struttura finanziaria interna (crolli azionari e fallimenti
bancari); queste si propagarono in tutto il mondo; tanto più un paese era aperto e
tanto più ne risentì (l’Italia autarchica ne risentì di meno di economie più
sviluppate).
Fra le due guerre fino agli anni ’70 i cicli delle economie OCSE erano indotti
da fattori interni; gli stati gestendo le economie con tecniche keynesiane avevano
imparato a smussare i cicli e ad evitare che si trasformassero in crolli. La
propagazione avveniva soprattutto attraverso la bilancia commerciale: un paese
espandeva (contraeva) il reddito, questo determinava un aumento (contrazione)
delle esportazioni degli altri paesi e quindi del loro reddito.
La guerra del Vietnam, l’inflazione mondiale conseguente e l’abbandono di un
sistema di cambi fissi è un esempio di propagazione di shock monetari. Lo shock
petrolifero del ’73 e del ’79 un esempio di ciclo causato (se si prende l’ottica di un
paese, non se si prende l’ottica del mondo intero) da un fattore esogeno.
Dalla fine degli anni ’80 ad oggi il mondo conosce un processo di
globalizzazione spinto. Uno degli effetti è la rapidità della propagazione degli
shock finanziari: si pensi alle crisi del Sud est asiatico o del Messico.
Lezioni di politica economica
21
Anche i mercati europei sono sempre più integrati: si pensi che ancora negli
anni ’70 i movimenti di capitali tra paesi europei erano soggetti a molti vincoli.
Tanto più un mercato è integrato in uno più grande e tanto più oscilla in sintonia.
Da un lato gli shock esterni su un mercato grande sono meno dannosi ai singoli
paesi: si pensi al deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro (1999-2001) ha
avuto effetti inflazionistici sull’Italia molto minori rispetto a quando si deprezzava
la lira rispetto al dollaro. Per converso un singolo paese è meno isolato rispetto al
resto del mondo e quindi ha meno autonomia nel perseguire delle politiche
anticicliche proprie. Se un paese è integrato, ma mantiene la propria moneta, se
attua una politica espansiva quando gli altri adottano una politica restrittiva
assisterà a: crescita delle importazioni, peggioramento della bilancia
commerciale, fuoriuscita di capitali, svalutazione della moneta e inflazione. Se fa
parte di un sistema monetario unificato, non avrà gli strumenti monetari sotto la
sua potestà, potrà attuare solo politiche di bilancio. Nel caso dell’UE questa
politica tuttavia è limitata dal “Patto di stabilità e sviluppo”.
3.4 Ciclo e crescita nel modello keynesiano di HarrodDomar
3.4.1
Il modello
Il modello che verrà esposto è quello di Harrod-Domar. È un modello di
crescita instabile. Da quel modello discendono i modelli ciclici keynesiani di
Hicks, Samuelson, Goodwin, Kaldor, Marrama.
Nocciolo del modello è l’investimento. L’investimento è nel contempo:
a) componente della domanda aggregata (Y = C + I);
b) aumento della capacità produttiva.
Il modello si basa su due equazioni.
L’investimento ha come effetto la variazione del reddito (moltiplicatore):
Y = f(I) in particolare: Y = 1/s I L’investimento ha come causa la variazione del reddito (acceleratore):
I = f (Y) in particolare: I = v* y Dove: s è la propensione al risparmio, v* il rapporto capitale/prodotto
desiderato dagli imprenditori, la minuscola di y rappresenta la variazione del PIL.
Chiamiamo il saggio di crescita g:
g = y/Y Se chiamiamo g* il saggio di crescita che garantisce che sia:
v = v* avremo la formula di equilibrio dinamico di Harrod-Domar:
g* = s/v 22
Ferdinando Targetti
3.4.2
Instabilità
Immaginiamo che l’economia abbia una propensione al risparmio s = 20% e
gli imprenditori vogliano un rapporto capitale-prodotto di v* = 4 e che per caso
l’economia cresca al saggio g = 5%. Ci troviamo nella fortunata condizione che il
saggio di crescita g è uguale al saggio di crescita garantito: g=g*. Il sistema è in
equilibrio dinamico.
Immaginiamo ora che qualcosa cambi, ammettiamo che la propensione al
risparmio delle famiglie cresca (cada) dal 20 al 24% (16%). Se per un caso
anche la quota di investimenti cresce (cade) dal 20 al 24% (16%) avremo che
l’economia crescerà ad un tasso più alto (basso) e cioè al 6% (4%) stabilmente
perché continuerà ad essere v = v* = 4. Se invece la quota di investimenti resta
costante (perché nulla induce nel modello a modificarla) l’economia si avvita in
una spirale deflazionistica (reflazionistica) endogena perché il rapporto capitale
prodotto effettivo sarà maggiore (minore) di quello desiderato e questo farà
diminuire (aumentare) gli investimenti. L’economia si muove quindi nella
direzione opposta a quella che porterebbe il sistema in equilibrio.
La lama di rasoio
L’economia corre lungo una lama di rasoio (vedi grafico seguente), uno shock
in una direzione o in un’altra sposta l’economia sempre più lontano dall’equilibrio.
È una rappresentazione semplificata (solo due equazioni) ed estrema (nessuna
funzione di reazione e di correzione degli errori) però getta luce su una
importante causa di instabilità (keynesiana).
Lama di rasoio
Y
g<g*
g>g*
g* t 3.4.3
Crescita con disoccupazione
Questo principio può servire come spiegazione di stabile crescita in
disoccupazione. Se chiamiamo gn il saggio di crescita della forza lavoro e della
produttività del lavoro potremo avere che gn = g = g* e viene chiamata età
dell’oro in cui l’economia cresce stabilmente in piena occupazione. Se però gn >
g = g* e l’economia crescerà stabilmente (g = g*) in sottooccupazione (g < gn).
Questo risultato dipende dall’ipotesi che la domanda di lavoro dipenda solo dalla
domanda di merci e non dal prezzo della forza lavoro.
Lezioni di politica economica
23
3.4.4
Il ciclo
Il principio della lama di rasoio serve anche come spiegazione keynesiana dei
cicli. Ammettiamo che esista un corridoio dato da un soffitto rappresentato da gn
e un pavimento rappresentato dal rimpiazzo dei macchinari al termine della loro
vita fisica. Se partiamo da uno shock che porta g>g*, il principio della lama del
rasoio ci dice che il sistema si allontana sempre più finché g cozza contro gn.
L’economia è obbligata a frenare e il principio funziona alla rovescia g<g* finché
non cozza contro il pavimento e rimbalza a valori g>g* e così via con andamento
ciclico (vedi grafico seguente).
Ciclo nel corridoio
Y gn=g* t 24
Ferdinando Targetti
Capitolo 4 - La IS-LM e la politica
economica
4.1 La IS-LM e l’equilibrio generale macroeconomico
Ipotesi sottostanti: prezzi fissi; equilibrio generale istantaneo (assenza di
tempo storico e uguale velocità di aggiustamento in tutti i mercati); assenza di
incertezza; assenza di shock esterni; indipendenza reciproca delle due curve.
4.1.1
La curva IS, l’equilibrio reale reddito-spesa
Definizione di “IS”; è il luogo dei punti, nel piano cartesiano (Y,i), in cui I=S
(investimento uguale a risparmio, cioè equilibrio sul mercato dei beni e servizi).
I = I(i) S = S(Y) S=Y‐C(Y)
S I=S S
B A Y0 Y1 Y
I A” i i
i0
i0 B”
B’ i1 Curva IS
Y0 4.1.2
A’
Y1 i1
Y
I=I(i)
I La curva LM, l’equilibrio monetario
Definizione di “LM”: è il luogo dei punti, sul piano cartesiano (Y,i), in cui
Md=Ms (uguaglianza tra domanda e offerta reale di moneta, cioè equilibrio sul
mercato della moneta-titoli)
Lezioni di politica economica
25
Domanda di moneta:
Md=M1+M2
M1: domanda transattiva di moneta; M1=kY
M2: domanda speculativa di moneta; M2= L(i)
Offerta di moneta:
Ms = M/P: offerta nominale di moneta diviso il livello generale dei prezzi
Sia M, sia P sono esogeni
Equilibrio:
Ms = M/P = M1+M2 M1
M1=kY
B M1
M1+M2=M A Y0 Curva LM
i I i
B’
i1 B”
i1
A’ i0 i0
A” Y0 4.1.3
Y
Y1 Y1 Y
M2=L(i) M2 Equilibrio generale macroeconomico
L’equilibrio IS/LM è l’equilibrio generale macroeconomico perché definisce
contemporaneamente l’equilibrio sul mercato delle merci (reddito-spesa) e
l’equilibrio sul mercato della moneta.
26
Ferdinando Targetti
i
LM
IS
Y Spostamento delle curve.
1)
Incrementi (decrementi) di C’, I autonomo, G, X, determinano uno
spostamento a destra (sinistra) di IS; incrementi (decrementi) di T o di M
determinano uno spostamento a sinistra (destra) di IS.
2)
Incrementi (decrementi) di Ms, o decrementi (incrementi) di P spostano a
destra (sinistra) la LM.
I casi particolari
a) IS rigida: investimenti poco sensibili ad i, dipendono dall’ acceleratore
o dalle aspettative di lungo periodo.
b) LM rigida: assenza della componente speculativa nella domanda di
moneta.
c) LM infinitamente elastica: “trappola della liquidità”: aspettative auto
realizzantisi che il saggio di interesse non possa scendere in futuro a
valori inferiori a quelli della “trappola”.
i
LM
IS
Y Lezioni di politica economica
27
4.2 Le politiche economiche keynesiane
4.2.1
La politica economica keynesiana degli anni ’50
„
IS rigida : I poco sensibile ad i;
„
LM elastica: trappola o “endogeneità” dell’offerta di moneta (cap VIII);
„
Politica di bilancio: lo strumento per conseguire la piena occupazione.
i LM
E’
∆i
IS’
E
IS
∆Y
Y Risultato della politica di bilancio:
∆Y elevato e quindi moltiplicatore elevato;
∆i molto contenuto e quindi contenuto effetto spiazzamento (cap. VI).
4.2.2
L’ “effetto Keynes” e il caso “classico” di Pigou
Diminuzione dei salari monetari Î diminuzione del livello dei prezzi Î
aumento dell’offerta reale di moneta (M/P) Î diminuzione dei saggi di interesse i
Î aumento degli investimenti I Î aumento del reddito Y.
Il nuovo equilibrio è ottenuto con un movimento della curva LM e un
movimento lungo la curva IS.
i LM (P0)
LM (P1)
E
E’
IS
Y 28
Ferdinando Targetti
4.2.3
Il keynesianesimo della sintesi neoclassica
I salari rigidi sono responsabili della disoccupazione.
I salari flessibili portano alla piena occupazione (vedi punto 4.2.2), ma il
processo è lento e socialmente costoso da raggiungere.
L’ espansione keynesiana è la politica più rapida ed efficace.
Per i keynesiani della “sintesi neoclassica” a questo “caso particolare” (anche
se molto importante) di raggiungimento dell’equilibrio macroeconomico si limita il
contributo di Keynes.
Se si vuole aumentare reddito e occupazione partendo dall’equilbrio 1, sia La
politica monetaria, sia quella di bilancio sono entrambe efficaci. Le due politiche
di espansione keynesiana sono diverse per gli effetti che producono sui saggi di
interesse
Equilibrio 2: politica monetaria espansiva pura (IS ferma).
Equilibrio 3: politica di bilancio espansiva pura (LM ferma).
Equilibrio 4: combinazione di politica fiscale e monetaria espansiva.
i
LM
3
LM’
4
1 IS’
2
IS
Y 4.2.4
Confronto fra politica monetaria e fiscale per i
keynesiani della sintesi neoclassica
Politica monetaria
„
La politica monetaria è relativamente più efficace se c’è da attuare una
politica economica restrittiva rispetto ad una politica espansiva (“borsa di
tabacco”).
„
Se l’ obiettivo è la stabilizzazione, la politica monetaria è efficace nel
lungo periodo (i Î I Î g (tasso di crescita del PIL) Î ∆K/K).
Politica di bilancio
La politica della stabilizzazione si deve probabilmente attuare aumentando o
diminuendo la tassazione (T) anziché la spesa pubblica (G), essendo
quest’ultima:
Lezioni di politica economica
29
„
tendenzialmente crescente,
„
poco manovrabile,
„
poco reversibile.
Politica monetaria Î ↑ K, favorisce le generazioni future.
Politica di bilancio Î ↑ (G – T), favorisce la generazione presente.
Assegnazione
breve periodo (stabilizzazione):
a) espansivo: politica di bilancio: attraverso ↓ T.
b) restrittivo: politica monetaria attraverso ↓ Ms ↑ i
lungo periodo (accumulazione):
„
4.3
politica monetaria (g = ∆K/K = I/K = I(i)/K = f(Ms)
“Fine tuning”
„
La politica economica si pone l’ obiettivo della “stabilizzazione” del reddito
(diversità dall’idea di politiche economiche anti-stagnazione come la
socializzazione degli investimenti in Keynes).
„
L’ obiettivo è quello di minimizzare la varianza del reddito effettivo rispetto
al reddito potenziale (legge di Okun).
„
Obiettivo di ridurre le fluttuazioni del reddito (basate su shock che hanno
l’ effetto di spostare la IS) intorno alla piena occupazione.
„
Strumenti: politica fiscale e monetaria oltre a stabilizzatori automatici (cap.
V).
4.4 Conclusioni.
Quello illustrato è un approccio alla politica economica precedente alla
grande inflazione degli anni ’70.
Le ipotesi del modello sono le seguenti.
30
1)
Il livello dei prezzi dipende dal livello dei salari monetari.
2)
Il livello dei prezzi non viene influenzato, né nel breve né nel lungo
periodo, dalla politica monetaria (i prezzi).
3)
Il saggio di interesse è sotto il totale controllo della Banca Centrale.
4)
Non c’è distinzione tra saggi monetari a breve (governati dalla Banca
Centrale) e saggi a lungo termine che sono determinati sul mercato dei
capitali.
5)
I saggi a lungo termine sono una media ponderata dei saggi a breve
termine futuri che si prevede saranno adottati dalla Banca Centrale.
6)
Non ha valenza teorica il concetto di saggio di interesse reale che per la
successiva impostazione monetarista è il prezzo di equilibrio atteso del
Ferdinando Targetti
mercato dei capitali, dove gli agenti economici, che scambiano risparmio
e investimento, scontano le previsioni di inflazione futura che sono
influenzate dal comportamento della Banca Centrale.
Lezioni di politica economica
31
Capitolo 5 - Il settore pubblico e la
politica di bilancio
5.1 Equilibrio macroeconomico con il settore pubblico
Y = C (Y) + I + (G –T (Y)) 5.2 Il bilancio pubblico
Le entrate (T) sono divise in:
1)
Entrate tributarie:
a) dirette, esse gravano: sul reddito dei fattori: lavoro (IRPEF), impresa
(IRPEG e DIT), risparmio; e sul valore aggiunto (IRAP);
b) indirette: imposta sul valore aggiunto (IVA); imposte sui consumi;
c) accise (ad esempio sugli olii minerali –benzina–).
2)
Contributi sociali: contributi a favore di INPS e altri istituti pensionistici.
Le uscite (G) sono divise in:
1)
Spesa corrente (GC):
a) beni e servizi;
b) salari e stipendi per il personale;
c) trasferimenti (assistenza e previdenza).
d) Investimenti (GI).
2)
Interessi (ad un tasso i) sul debito pubblico (D).
Il saldo di bilancio è dato da:
B = T – G B può essere in avanzo (> 0), in disavanzo (< 0), in pareggio (= 0).
Il saldo primario, saldo di bilancio al netto della spesa per interessi è dato
da:
BPr = T – G – i D Il risparmio pubblico, saldo di bilancio al netto degli investimenti è dato da:
GS = T – G – GI 32
Ferdinando Targetti
Composizione delle uscite in Italia e nella UE 1998
Italia
UE
Trasferimenti
Redditi
Consumi
Investimenti
Interessi
Altre
Composizione delle entrate in Italia e nella UE 1998
8%
Italia
33%
33%
26%
7%
26%
UE
38%
29%
Imp. dirette
Imp. indirette
Contributi sociali
Altre
5.3 Il finanziamento del bilancio pubblico
Se il bilancio pubblico è in disavanzo ha bisogno di essere finanziato.
Le possibilità di finanziamento sono le seguenti (cap. VI):
a) Indebitamento con la Banca Centrale. Questo comporta emissione di
moneta.
b) Indebitamento con il settore privato. Questo aumenta il debito
pubblico. I titoli del debito possono essere detenuti da residenti o da
non-residenti.
Lezioni di politica economica
33
5.4 Approfondimenti sulla politica di bilancio
5.4.1
Politica di bilancio: definizioni e premesse
In inglese si chiama “fiscal policy”, che in italiano si traduce politica di bilancio.
Infatti riguarda gli effetti sul reddito sia della politica di spesa pubblica G sia della
politica di tassazione T.
La spesa pubblica ha effetti espansivi sul reddito perché aumenta la
domanda aggregata; la tassazione ha effetti restrittivi, perché le imposte
riducono il reddito disponibile, che forma la base delle decisioni di spesa delle
famiglie.
Il bilancio ha effetto restrittivo quando è in avanzo, espansivo quando è in
disavanzo. Può avere effetti espansivi anche quando è in pareggio. In tal caso di
due bilanci in pareggio è più espansivo quello con poste attive e passive
maggiori in valore assoluto.
L’efficacia della politica fiscale dipende da una serie di fattori. Condizioni
relative all’elasticità di offerta dei fattori produttivi, alla elasticità della domanda di
moneta, alle modalità di finanziamento del deficit di bilancio e infine alle
condizioni esterne (regime di cambi). Dei primi tre aspetti tratteremo nel capitolo
successivo, dell’ultimo aspetto più avanti.
Qui faremo l’ipotesi del ceteris paribus, tratteremo della politica fiscale “pura”,
prescinderemo cioè da questi fattori.
5.4.2
Il modello di una politica fiscale pura
L’equilibrio reddito-spesa afferma che:
C + I + G = C + S + T Il consumo in parte è autonomo C’ e in parte indotto. Chiamiamo c la
propensione marginale al consumo rispetto al reddito disponibile:
C = C’ + c (Y – T) Le imposte siano date da una parte autonoma T’ e una parte indotta dal
reddito. Immaginiamo che sia un sistema di prelievo proporzionale t al reddito (se
volessimo rappresentare un sistemo progressivo dovremmo avere una funzione
non lineare e il modello sarebbe più complesso):
T = T’ + t Y La spesa pubblica è per ipotesi totalmente autonoma
G = G’ + g Y con g = 0 (In realtà c’è una consistente parte di G che è indotta: si pensi agli
ammortizzatori sociali e in qualche misura anche ai salari e stipendi pubblici).
L’equazione del reddito con imposte e spesa pubblica sarà data da:
Y = ((C’ – c T’) + I + G’) ∙ 1/ 1 – c (1 – t) 34
Ferdinando Targetti
Considerazioni
1)
Il reddito varia al variare delle componenti autonome: in funzione diretta di
C’ e G’ e in funzione inversa di T’.
2)
Il reddito cresce al crescere del valore del moltiplicatore che è
rappresentato da 1/ 1 – c (1 – t), che chiameremo Mt.
3)
Mt è in funzione diretta della propensione al consumo c e inversa
dell’aliquota di tassazione t.
4)
Se aumenta G (dG) avremo che il reddito aumenta per un valore
maggiore perché opera il moltiplicatore, però il moltiplicatore è ridotto
dall’operare della tassazione indotta che riduce reddito disponibile e
quindi consumi:
dY = dG ∙ Mt 5)
Se aumenta T’ il reddito diminuirà (segno meno) solo della quota c della
variazione delle imposte moltiplicata per il moltiplicatore:
dY = – c dT’ ∙ Mt 5.4.3
Il teorema del bilancio in pareggio
Illustreremo il teorema di Haavelmo sugli effetti espansivi del bilancio in
pareggio. Per definizione il bilancio è in pareggio quando:
dG = dT dove T è la somma di tutta la tassazione, autonoma e indotta.
La variazione del reddito dovuta ad una variazione dG = dT si ottiene
sommando le espressioni dei precedenti punti 4 e 5:
dY = (dG – c dT’) ∙ Mt tenuto conto che:
dT = dT’ + t dY e che quindi dT’ = dT – t dY avremo:
dY = (dG – c (dT – t dY)) ∙ Mt e poiché:
dG = dT avremo:
dY = (dG –c (dG – t dY)) ∙ Mt = dG ∙ 1/Mt ∙ Mt perciò:
dY = dG Questo significa che dY/dG = 1 e cioè il valore del moltiplicatore del bilancio
in pareggio è uno e non zero. Questo significa che, sotto tutte le ipotesi viste, un
euro di spesa pubblica finanziato da un euro di prelievo fiscale aumenta il reddito
di un euro e non di zero euro. La ragione risiede nel fatto che mentre un euro di
Lezioni di politica economica
35
spesa pubblica ha un effetto espansivo di tutto quell’euro per il moltiplicatore, un
euro di prelievo fiscale non ha un effetto riduttivo dei consumi di tutto quell’euro
per il moltiplicatore, ma meno, perché una parte della tassazione (più
precisamente la parte (1 – c)) grava sul risparmio che è una sottrazione di
reddito dal consumo.
5.4.4
Altre considerazioni sulla politica di bilancio
1)
Il moltiplicatore della spesa pubblica sul reddito è diverso a seconda del
tipo di spesa: è basso per i trasferimenti, medio per i consumi pubblici,
alto per gli investimenti pubblici.
2)
Gli investimenti pubblici, oltre ad avere un effetto sul reddito attraverso la
variazione della domanda aggregata, hanno anche effetto dal lato
dell’offerta, perché aumentano lo stock di capitale e quindi la capacità
produttiva del paese.
3)
L’efficacia della manovra è ancora maggiore se la variazione del reddito,
indotta dal moltiplicatore di cui si è detto, induce a sua volta un ulteriore
aumento del reddito attraverso l’operare dell’acceleratore.
5.4.5
Il bilancio pubblico come stabilizzatore automatico
Ammettiamo di essere in un’economia che si espande lungo un trend del 5%
all’anno in termini nominali. Immaginiamo che questo sia dovuto ad una crescita
del 3% delle grandezze reali e al 2% di inflazione. Su questo trend l’economia
oscilla: nelle fasi espansive passa dal 5 al 7%, perché l’inflazione passa dal 2 al
4% e nelle fasi recessive la crescita del reddito reale si riduce dal 3 all’1%.
Immaginiamo infine che le tensioni inflazionistiche siano dovute ad eccesso di
domanda (vedasi capitolo IX).
Ammettiamo ora che in questa economia il settore pubblico venga modificato
in modo da passare da un sistema di tassazione proporzionale ad un sistema a
tassazione progressiva e che vengano introdotti dei sussidi di disoccupazione.
In tal caso si dice che il sistema economico ha endogeneizzato uno
stabilizzatore automatico dato dall’operare del settore pubblico. Infatti nelle fasi
recessive del ciclo aumenterà la disoccupazione involontaria, aumenteranno i
sussidi di disoccupazione (spesa pubblica) che fungeranno da iniezione di
reddito e quindi domanda e quindi stimolo alla produzione. Nelle fasi espansive
aumenterà il reddito nominale a causa dell’inflazione, i contribuenti avranno una
quota maggiore del loro reddito in scaglioni di reddito tassati con aliquote
marginali più elevate. Questo farà aumentare l’aliquota media di prelievo sulle
famiglie e il prelievo fiscale e farà diminuire il reddito disponibile e il consumo, la
domanda aggregata e quindi la pressione inflazionistica.
36
Ferdinando Targetti
Capitolo 6 - Il finanziamento della
spesa pubblica: modalità, effetti sul
reddito e spiazzamento
6.1 Effetto di una variazione della spesa pubblica
sull’economia
Una variazione della domanda aggregata, ammettiamo una variazione della
spesa pubblica, può avere effetti diversi sull’economia a seconda:
a) della elasticità dell’offerta di produzione; e
b) del modo in cui la spesa è finanziata.
L’economia si trova in una situazione di offerta aggregata rigida ad esempio
quando è in piena occupazione del lavoro oppure nel pieno utilizzo dei
macchinari e impianti di una gran parte dei settori produttivi o quando esistono
settori che agiscono come colli di bottiglia. Tanto più l’offerta aggregata è elastica
e tanto più una variazione della domanda aggregata ha effetto sulle quantità
prodotte e quindi sul PIL reale, tanto più è rigida e tanto più ha effetto sul livello
dei prezzi (vedi grafico 7.1). Di ciò tratteremo quando parleremo di inflazione.
Qui trattiamo dell’altra condizione e cioè dell’efficacia di una variazione della
spesa pubblica sul reddito a secondo dei modi in cui essa è finanziata.
Valuteremo quindi l’efficacia di una variazione della spesa pubblica considerando
gli effetti complessivi sul reddito che essa comporta tenendo conto dei modi in
cui essa è finanziata. Chiameremo moltiplicatore ex post il rapporto tra le
variazioni positive e negative del reddito e la variazione della spesa che le ha
provocate.
6.2 Finanziamento della spesa pubblica
6.2.1
Modalità
Il finanziamento di un incremento della spesa pubblica ∆G avviene attraverso
tre canali:
a) incremento di imposte ∆T;
b) creazione di base monetaria ∆BM;
c) emissione di titoli del debito pubblico ∆D.
∆G = ∆T + ∆BM + ∆D 6.2.2
Lo spiazzamento: premessa
Dal capitolo IV sappiamo che una variazione della spesa pubblica (una
componente della domanda aggregata) si configura in termini di equilibrio
Lezioni di politica economica
37
generale macroeconomico come uno spostamento della IS. L’effetto sul PIL di
tale spostamento dipende dalla elasticità della curva LM. Se essa è infinitamente
elastica, come nel caso di endogeneità assoluta dell’offerta di moneta (capitolo
V) o di trappola della liquidità (grafico 7.2) oppure nel caso in cui la LM si sposti
anch’essa insieme allo spostamento della IS in modo da tenere costante il
saggio di interesse, la spesa pubblica si aggiunge alla spesa privata e non si ha
“spiazzamento”. Tanto più la LM è rigida e tanto più la maggior spesa pubblica
aumenta i saggi di interesse e tanto più ridurrà la spesa per investimenti nella
misura in cui quest’ultima dipende dal saggio dell’interesse. In tal caso la spesa
pubblica si dice che “spiazza” la spesa privata. Se lo spiazzamento è totale il
moltiplicatore ex post che si desume dall’equilibrio generale è nullo:
α = 0 P AS
i
A
LM IS
Y
6.2.3
Y Finanziamento con moneta e senza imposte
Ipotizziamo che la spesa pubblica sia finanziata da emissione di moneta da
parte della Banca Centrale. In tal caso la finanza pubblica presenta un deficit
annuo, ma non un incremento di debito pubblico.
Nell’ipotesi di essere in un sistema chiuso, quindi senza movimenti di
capitale, in assenza di aspettative inflazionistiche indotte dalla politica di
maggiore offerta di moneta della Banca Centrale, in un sistema in cui per ipotesi
non ci sia tassazione sul reddito, il finanziamento della spesa pubblica con
moneta offerta dalla Banca Centrale determina il massimo effetto della
variazione della spesa sul reddito. Infatti lo spostamento a destra della IS è
accompagnato da uno spostamento a destra della LM che mantiene costante il
saggio dell’interesse e la spesa pubblica non si sostituisce, ma si aggiunge alla
spesa privata (equilibrio 4 grafico del paragrafo 4.2.3). La spesa pubblica non
“spiazza” nessuna spesa privata. Il moltiplicatore α assume il suo valore
massimo ed è dato dall’inverso della propensione al risparmio (che è data da
(1 – c), dove c è la propensione al consumo):
α = 1 / 1 ‐ c ad esempio se la propensione al consumo è 80% il moltiplicatore è 5.
38
Ferdinando Targetti
6.2.4
Finanziamento con moneta in un sistema con imposte
È un caso in tutto e per tutto analogo a quello precedente, solo che la
tassazione assume il reddito come base imponibile. In tal caso viene finanziata
con moneta solo la differenza tra la spesa pubblica e la maggior tassazione
indotta dalla variazione di reddito prodotta dalla variazione della spesa
medesima (t·∆Y(∆G)). Il moltiplicatore, sarà dato da:
α’ = 1 / 1 – c (1 ‐ t) Esso è minore di quello precedente, a motivo di un certo spiazzamento di
spesa per consumi provocato dall’aumento del prelievo fiscale indotto.
6.2.5
Finanziamento totalmente con imposte
Nel caso di una spesa interamente finanziata con imposte (e una LM elastica)
avremo il caso del moltiplicatore del bilancio in pareggio che, come è noto
(capitolo IV), sotto certe ipotesi, è uguale a 1 (teorema di Haavelmo):
α” = 1 Esso è inferiore al caso precedente. Infatti la spesa pubblica spiazza la
spesa privata per consumi (che dipende dal reddito al netto delle imposte), ma lo
piazzamento non è totale, perché parte delle imposte riduce il consumo, ma
parte riduce il risparmio.
6.2.6
Finanziamento con debito
È il caso in cui la spesa è finanziata con emissione di titoli pubblici. In tal caso
la finanza pubblica presenta un disavanzo annuale e un debito pubblico
crescente nel tempo (non necessariamente in relazione al PIL). È il caso del
cosiddetto “divorzio”: il Tesoro finanzia la sua spesa con imposte o con titoli di
debito, la Banca Centrale aumenta l’offerta di moneta con criteri che prescindono
dal finanziamento del Tesoro. Nell’ipotesi che, a fronte di un aumento della
spesa pubblica la Banca Centrale non aumenti l’offerta di moneta,
aumenteranno i saggi di interesse. Se questo aumento è limitato perché esso
stesso provoca una accelerazione della velocità di circolazione della moneta
attivando risorse monetarie oziose, l’effetto spiazzamento della politica del
Tesoro è contenuto, se invece questo non avviene l’effetto spiazzamento è
rilevante. In sintesi il moltiplicatore ex post è tanto maggiore quanto più la LM è
elastica.
In questo caso di finanziamento della spesa tuttavia il discorso si fa più
complesso perché, a differenza degli altri casi, bisogna introdurre la variabile
tempo, perché il debito che lo Stato contrae oggi si ripercuote sugli anni a venire.
Gli effetti di questa manovra di bilancio sul reddito sono infatti diversi a seconda
se si considera il breve o il lungo periodo. Nel breve periodo si deve considerare
che il finanziamento con debito comporta che lo stock di ricchezza finanziaria del
paese viene aumentato dalla emissione dei titoli di debito pubblico. Questa
ricchezza è detenuta dalle famiglie, se la funzione del consumo di queste stesse
è parametrata non solo sul reddito, ma anche alla ricchezza, avremo che la
manovra comporterà un aumento del reddito non solo a causa dell’aumento
della spesa pubblica, ma anche dell’aumento dei consumi, indotto dalla
Lezioni di politica economica
39
emissione di titoli. Avremo un “effetto ricchezza” contrario allo spiazzamento. Se
questo effetto è maggiore rispetto allo spiazzamento indotto da maggiori saggi di
interesse, potremo avere effetti espansivi addirittura superiori al caso del
finanziamento con moneta (che finora era il caso con il maggior moltiplicatore).
Se si introduce il lungo periodo bisogna considerare che la crescita del debito
può indurre nei contribuenti delle aspettative che le imposte non pagate oggi
dovranno essere pagate domani; per far fronte all’evenienza essi aumentano
oggi il risparmio annullando l’effetto espansivo della spesa (“effetto Ricardo”).
Inoltre se il debito pubblico si cumula ad un tasso più alto del reddito si verrà a
determinare una situazione instabile che, come vedremo, potrà causare o
inflazione o crisi finanziaria.
6.3 Lo spiazzamento: conclusione
Il grado di efficacia della politica della spesa pubblica sul reddito reale è tanto
maggiore quanto minore è l’effetto spiazzamento che la spesa pubblica produce
su altre componenti private della domanda aggregata.
Lo spiazzamento è tanto più rilevante quanto più:
40
1)
il sistema economico si trovi vicino a condizione di pieno utilizzo dei fattori
(la spesa pubblica determina inflazione);
2)
l’offerta di moneta è rigida e gli investimenti privati sono sensibili ai saggi
di interesse (la spesa determina spiazzamento di spesa per investimenti
privati);
3)
la tassazione finanzia in modo autonomo e/o indotto la maggior spesa
pubblica (la spesa pubblica determina spiazzamento di spesa privata per
consumi);
4)
l’effetto ricchezza è modesto e l’effetto Ricardo è elevato (la spesa
pubblica determina spiazzamento di spesa privata per consumi);
5)
l’offerta di moneta è rigida, i cambi sono flessibili, i movimenti di capitali
sono sensibili ai differenziali di saggi di interesse (la spesa pubblica
determinando un aumento dei saggi di interesse, determina un
apprezzamento del cambio e una diminuzione delle esportazioni e quindi
spiazza la spesa estera che si rivolge al sistema produttivo nazionale).
Ferdinando Targetti
Capitolo 7 - Sostenibilità del debito
pubblico
7.1 Il rapporto debito/PIL in Italia
Il debito pubblico crea problemi ad un’economia non tanto se cresce in valore
assoluto, ma se cresce ad un ritmo che è superiore alla crescita del reddito.
Questo è ciò che è successo in Italia a cominciare dagli anni ’70, ma alla fine di
quel decennio il rapporto debito/PIL era ancora a livelli europei. Il divario tra la
crescita dei due valori si è ampliato molto negli anni ’80. Alla fine del decennio il
valore del debito aveva superato quello del reddito nazionale, il rapporto
debito/PIL aveva superato il 100%. Quel rapporto ha continuato a crescere fino
al 1995 (fino al 125%) a valori mai raggiunti in tempi di pace. Da allora ha
cominciato a diminuire.
7.2 La formula della sostenibilità dinamica
Chiamiamo d = D/Y il rapporto debito pubblico/PIL. Chiamiamo δ la
variazione nel tempo di d. Sarà δ = dd/d · 1/dt (si ricorda che d è il segno che
indica il differenziale). L’”aritmetica del debito pubblico” ci consegna una formula
che dice che:
δ = d (i – p – g) – a dove:
d = il rapporto tra il debito e il PIL;
i
= il saggio di rendimento medio dei titoli sullo stock del debito pubblico;
p = il saggio di crescita nel tempo del livello generale dei prezzi;
g = il saggio di crescita nel tempo del reddito reale;
a = il rapporto tra l’avanzo primario e il PIL; l’avanzo primario è dato dalle
imposte meno la spesa pubblica al netto della spesa per interessi.
Ne deriva che il rapporto debito/PIL, crescerà sarà stabile o diminuirà nel
tempo a seconda che δ sia maggiore, uguale o minore di zero e quindi a
seconda che sia:
(d (i – p – g) – a) > = < 0 Ne consegue che, partendo da una situazione con debito pubblico uguale al
100% del PIL (e cioè d=1), se vogliamo far diminuire nel tempo il rapporto
debito/PIL dovrà essere:
a > (i – p) – g che significa che il rapporto tra l’avanzo primario e il PIL deve essere
maggiore della differenza tra il saggio di interesse reale e il saggio di crescita
reale dell’economia.
Lezioni di politica economica
41
7.2.1
Effetti della crescita del rapporto debito/PIL
La crescita di d produce gli effetti seguenti:
1)
aumenta il rischio del ripudio del debito da parte dello Stato; questo
2)
aumenta il differenziale di rischio di insolvenza e quindi il differenziale dei
saggi di interesse dei titoli del debito del paese (e quindi tutti i saggi di
interesse del paese) rispetto a quelli dei mercati mondiali;
3)
può indurre aspettative inflazionistiche se il comportamento del Tesoro o
della Banca Centrale possono far pensare che lo Stato cercherà di
risolvere il problema del debito attraverso la monetizzazione dello stesso;
4)
può indurre aspettative deflazionistiche se i contribuenti, scontando che in
futuro il governo risolverà il problema del debito aumentando l’avanzo
primario attraverso un aumento dell’imposizione fiscale, aumentano il
risparmio.
La formula precedente mette in evidenza gli ingredienti del processo
cumulativo che, una volta avviato, è difficile e costoso interrompere e far
marciare in senso inverso. Il primo ingrediente sono i saggi di interesse sui titoli
del debito pubblico. Quando il divario tra la crescita del debito e quella del PIL
s’accresce i mercati dei capitali ripongono sempre meno fiducia nelle capacità di
ripagamento del debito, quindi acquistano titoli solo se sono emessi a saggi di
interesse crescenti: il differenziale serve per compensare il rischio di insolvenza.
A parità di crescita del reddito questo peggiora δ. Il secondo ingrediente è dato
dal fatto che la differenza tra saggio di crescita reale e saggio di interesse reale è
moltiplicato per d. Se δ è maggiore di zero significa che d cresce e quindi, a
parità di i, di g, e di a, δ tende ad essere a valori maggiori (processo cumulativo).
7.2.2
Modalità di risoluzione del problema della crescita del
rapporto debito/PIL
La formula del debito ci aiuta anche a individuare le possibili politiche di
riduzione del rapporto debito/PIL operando sugli addendi che determinano δ.
42
1)
Nel passato, i governi che avevano prodotto un elevato debito pubblico (a
motivo in genere di una guerra) hanno svilito il valore reale del debito
creando inflazione (aumento di p nella formula). Questa politica è però
inefficace se i titoli sono indicizzati, perché in tal caso (i-p) resta costante e
δ non si riduce.
2)
Diminuzione dei saggi di interesse. L’operazione keynesiana di
diminuzione dei saggi di interesse attraverso un’operazione di mercato
aperto della Banca Centrale non è fattibile perché è una operazione che
riduce i saggi a breve termine, ma non i saggi a lungo termine che sono
determinati dai saggi internazionali più il premio per il rischio
dell’emittente. Diverso è il discorso nel caso di una riforma monetaria
come quella dell’adesione alla UME, come è avvenuto in Italia durante il
governo Prodi. In tal caso i saggi di interesse italiani, che erano in termini
reali molto più alti di quelli europei (tedeschi), perché incorporavano il
rischio di cambio, si sono fortemente abbassati in seguito alla scomparsa
di tale rischio a motivo dell’ingresso nell’UME.
Ferdinando Targetti
Aumento dell’avanzo primario rispetto al PIL e cioè aumento di (a).
Questo lo si ottiene o riducendo le spese altre rispetto a quelle per
interesse o aumentando le imposte o una combinazione delle due
politiche.
3)
7.3 La politica che fu adottata dal governo italiano
I principali ingredienti della politica che ha consentito all’Italia di invertire la
tendenza alla crescita di d sono i seguenti:
a) Stabilizzazione della quota della spesa pubblica sul reddito.
b) Aumento del prelievo sul reddito. Da ciò è derivato il punto seguente.
c) Riduzione del deficit annuale e aumento dell’avanzo primario. Questo
ha consentito al nostro paese di essere ammesso all’UME.
d) Riduzione conseguente del rischio di cambio e quindi dei saggi di
interesse e del costo a cui i titoli del debito erano emessi o rinnovati.
e) L’effetto congiunto di minore “i” e di maggiore “a” ha portato il valore di
δ a valori negativi e quindi ha portato il rapporto debito PIL a diminuire.
14
12
10
8
6
4
2
0
Debito/PIL
140
120
100
80
60
40
20
0
1970
1985
Deficit/PIL
Deficit e Debito pubblico (rapporto del PIL) Italia
2000
Debito/PIL
Deficit/PIL
Bilancio pubblico e tasso d'interesse in Italia
15
Deficit/PIL
10
5
Tasso d'interesse reale
0
-5
-10
-15
1970
Lezioni di politica economica
1975
1980
1985
1990
1995
43
Composizione del disavanzo Italia
%
7
3.5
0
-3.5
-7
-10.5
-14
1970
1975
1980
Deficit/PIL
1985
Int/PIL
1990
1995
2000
Saldo Prim./PIL
7.4 La regola aurea della finanza pubblica e la tesi del
bilancio ciclico in pareggio
Si è soliti sentir dire che i disavanzi di bilancio, determinando una crescita del
debito pubblico (∆D maggiore di zero), trasferiscono l’onere del finanziamento di
bilancio alle generazioni future. In questi termini la proposizione non è vera.
Infatti, se il debito ha finanziato una spesa per investimenti pubblici oppure se ha
finanziato una spesa corrente che ha incrementato il PIL che a sua volta ha
indotto gli investitori privati a compiere investimenti e se questi aumenti di
investimenti (vedi capitolo III) hanno aumentato il saggio di crescita del reddito in
maggior misura rispetto alla crescita del debito, la proposizione su citata è falsa
perché alle generazioni future si è trasferito il debito, ma anche i mezzi per farvi
fronte (le maggiori imposte che derivano dal maggior reddito).
Se invece si discute di crescita del rapporto debito/PIL (δ maggiore di zero) la
proposizione è vera perché si trasferisce alle generazioni future un debito che
cresce di più dei mezzi che servono a fargli fronte e quindi le generazioni future
dovranno pagare quelle imposte, aumento di (a), che le generazioni precedenti
non avevano pagato a fronte della spesa pubblica di cui avevano goduto.
Da questo deriva la “regola aurea della finanza pubblica” secondo la quale
la spesa pubblica corrente deve essere finanziata dalle imposte e la spesa per
investimenti deve essere finanziata dal debito pubblico.
Questa proposizione è però troppo stringente e dovrebbe essere
accompagnata dalla considerazione keynesiana che nelle fasi di ciclo
discendente (vedi capitolo III) anche una parte della spesa pubblica corrente
potrebbe dar luogo a disavanzo purché il bilancio vada in avanzo nella fase
ascendente del ciclo. Si parla in tal caso di “bilancio in pareggio corretto per il
ciclo”. In tal caso non cresce il rapporto debito/PIL e non si trasferisce l’onere del
finanziamento del disavanzo alle generazioni future.
44
Ferdinando Targetti
Capitolo 8 - Approfondimenti di politica
monetaria
8.1 Definizione di moneta e di base monetaria
8.1.1
Moneta
Ogni strumento liberatorio da un debito è in linea teorica considerabile
moneta. Questa concezione di moneta è l’accezione più ampia immaginabile.
Per i nostri scopi è opportuno soffermarci su componenti più limitate di moneta:
la moneta in senso stretto che è data dal circolante più i depositi del pubblico
presso le banche e la moneta ad alto potenziale o base monetaria che è la
moneta creata dalla Banca Centrale. Tra le due grandezze esiste un rapporto
detto il moltiplicatore bancario.
8.1.2
Base monetaria (BM)
Definizione:
Circolante + Depositi delle banche ordinarie presso la Banca Centrale Creazione:
a) Stato: disavanzo pubblico non finanziato con l’emissione di titoli:
Δ(G‐T) Î ∆BM b) Estero: avanzo nella bilancia dei pagamenti: ∆(X-M) Î ∆BM.
c) Pubblico: operazioni di mercato aperto Î ∆BM.
d) Banche: diminuzione del tasso ufficiale di sconto (TUS) Î aumento
ricorso ad anticipazioni e/o risconti Î ∆BM.
Come si nota la base monetaria è creata dal rapporto tra la Banca Centrale e
gli altri agenti economici: Stato, estero, pubblico e banche.
8.1.3
Sterilizzazione di base monetaria
I canali di creazione di base monetaria sono:
pubblico (operazioni di mercato aperto)
a) sotto il controllo della banca centrale
banche (anticipazioni, risconti)
Stato (disavanzo pubblico)
b) fuori dal controllo della banca centrale
estero (avanzo bilancia dei pagamenti)
Lezioni di politica economica
45
La banca centrale “sterilizza” quando compensa una variazione di BM
avvenuta tramite un canale fuori dal suo controllo (es. un attivo di bilancia dei
pagamenti) attraverso un’ operazione su un canale sotto il suo controllo (es. una
vendita di titoli sul mercato aperto).
8.2 Offerta di moneta, moltiplicatore bancario e
piramide del credito
8.2.1
La piramide del credito e il moltiplicatore bancario
C + D = Ms (offerta di moneta)
C = circolante D = depositi C + R = BM (base monetaria) R = riserve
moltiplicatore bancario o monetario:
Ms/BM = mm r è il coefficiente di riserva
BM = C+R = bD+rD = D(b+r) D = BM∙[1/(b+r)] con r = ro +r1 ro: coefficiente di riserva obbligatoria
r1: coefficiente di riserva libera
Ms = C+D = bD+D= D(b+1) (Ms/BM) = (1+b)/(b+r); BM = f(TUS) TUS: tasso ufficiale di sconto
8.2.2
Il moltiplicatore bancario e il saggio dell’interesse
I parametri b ed r, da cui dipende il moltiplicatore, a loro volta dipendono dal
saggio di interesse (i).
b↓ (il pubblico mette più circolante nei depositi)
Se i↑
r↓ (le banche riducono r1, convenendo aumentare gli impieghi)
Quindi: mm = f(i, TUS, ro), quindi Ms = f(i,…) Î LM è doppiamente in
funzione di i.
46
Ferdinando Targetti
8.3 Equilibrio sul mercato monetario
L’equilibrio sul mercato monetario finora era dato dall’eguaglianza tra Ms
esogeno e Md che dipendeva dal saggio dell’interesse.
Ora invece siamo in grado di ampliare l’analisi e considerare un equilibrio di
domanda e offerta di moneta ove entrambe dipendono dal saggio dell’interesse,
perché l’offerta di moneta è data dalla base monetaria per il moltiplicatore
bancario che, a sua volta dipende dal saggio dell’interesse.
L’equazione d’equilibrio
Ms=Md potrà essere riscritta, evidenziando le variabili indipendenti, come:
(BM/P)* mm (i, r0, TUS) = L (i ,Y) ↑BM
↓r0
↑Ms
↓TUS
i
Ms
Ms’
E
E’
LL
Ms/P 8.4 Strumenti di controllo monetario da parte della
Banca Centrale
8.4.1
Gli strumenti di controllo
1)
Variazione del TUS (Î ∆BM Î ∆Ms) con il quale la Banca Centrale
accetta il risconto delle banche ordinarie: effetto diretto su i, quindi su Ms.
Questo era lo strumento principale usato dalla Banca d’Inghilterra fino alla
seconda guerra mondiale.
2)
Creazione o distruzione di BM (Î ∆Ms, dato mm). Attraverso operazioni
di mercato aperto la Banca Centrale vendendo titoli al pubblico distrugge
BM, acquistando titoli dal pubblico crea BM. Questo è lo strumento
moderno di controllo monetario delle banche centrali.
Lezioni di politica economica
47
3)
Variazione coefficiente di riserva obbligatoria delle banche (ro): ∆ro Î
∆mm Î ∆Ms. È uno strumento delicato perché influenza i bilanci bancari
e viene oggi poco usato.
4)
Controllo diretto del credito (“corsetto”): massimali sul credito e vincolo di
portafoglio delle banche ordinarie. Uno strumento adottato in Italia negli
anni ’70, ma siccome altera il mercato del credito è giustamente
considerato grossolano e costoso in termini di efficienza del mercato del
credito e non viene più usato.
5)
La BCE adotta una combinazione dei primi due metodi. Definisce un
corridoio dato da un tasso di risconto massimo (limite superiore) e un
tasso di tesoreria minimo (limite inferiore). All’interno si viene a collocare
l’interbancario governato da operazioni di mercato aperto.
8.4.2
Endogeneità dell’ offerta di moneta
Sotto questa espressione si intende che Ms (l’ offerta di moneta) non è una
variabile totalmente in mano alle autorità di politica monetaria; non è quindi
esogena rispetto ai valori delle variabili macroeconomiche. In particolare Ms è
dipendente da i, e l’ elasticità è elevata.
Le cause di endogeneità sono almeno tre.
1)
∆i Î ∆mm Î ∆Ms (il moltiplicatore cresce al crescere di i).
2)
Una corretta politica monetaria si pone l’obiettivo del saggio di interesse e
lascia variare corrispondentemente Ms, perché:
a) la stabilità dei mercati finanziari dipende da i;
b) gli effetti diretti sul reddito e indiretti sui prezzi dipendono da i;
c) il costo del finanziamento del debito dipende da i.
3)
8.4.3
Con una crescita stabile di i (e di V(i): velocità di circolazione della
moneta) si produce, nel lungo periodo, una creazione di intermediari
finanziari e/o nuovi mezzi di pagamento che disintermediano il sistema
bancario, il che induce la banca centrale ad intervenire rifinanziando
l’economia con BM.
Gli obiettivi della Banca Centrale
La Banca Centrale può perseguire:
a) l’ obiettivo di controllare MS (e lasciar fluttuare i).
b) l’ obiettivo di controllare i (e lasciar fluttuare Ms).
La prima strada è quella suggerita dai monetaristi, la seconda dai keynesiani.
I monetaristi suggeriscono una crescita stabile dell’offerta di moneta,
secondo il principio: m = g + p (m indica il tasso di crescita della moneta, g quello
del reddito di piena occupazione, p il tasso di inflazione).
La conoscenza di g (crescita esogena del reddito di piena occupazione),
consente di definire m, in modo da avere un p programmato (che può anche
48
Ferdinando Targetti
essere nullo) che non induce aspettative inflazionistiche, le quali accelererebbero
la crescita dei prezzi.
Il controllo di i, invece, nasconderebbe una politica accomodante
inflazionistica.
Si pone il problema di quale aggregato monetario porre sotto controllo se la
base monetaria (che nelle statistiche monetarie è spesso chiamato m1),
ipotizzando un moltiplicatore del credito costante, o qualche aggregato più ampio
che contenga i depositi bancari (m2), o un fondo di valore che contenga altri titoli
come titoli del debito pubblico a breve termine (m3).
I keynesiani invece sostengono le tesi seguenti.
a) Il controllo di Ms è destinato al fallimento per la instabilità del
moltiplicatore monetario.
b) Il controllo di Ms rende instabile il saggio di interesse con effetti
negativi sulla instabilità del reddito e dei mercati finanziari (Borsa).
c) Lo strumento di controllo monetario è il saggio di interesse, tramite il
TUS.
Lezioni di politica economica
49
Capitolo 9 - Teorie dell’inflazione e
politiche antinflazionistiche
9.1 Inflazione da domanda keynesiana
9.1.1
Shock da domanda
Sull’asse delle ascisse poniamo il reddito reale X. In ordinate il livello dei
prezzi P. La curva di offerta aggregata è elastica fino a X* di piena occupazione,
poi diventa rigida. Se Y = XP e se Y è determinato dall’incrocio della curva di
domanda aggregata con la curva di offerta aggregata avremo che fino a X* lo
spostamento della curva di domanda aggregata farà aumentare Y per l’aumento
di X, poi farà aumentare Y per l’aumento di P.
Immaginiamo di essere in una situazione di piena occupazione rappresentato
dal tratto verticale della curva OA In Y = Y* e che lo stato aumenti la spesa
pubblica G di ∆G.
Va considerato l’effetto di impatto e l’effetto cumulato. L’effetto di impatto è
rappresentato dallo spostamento della curva di domanda aggregata verso l’alto
sul tratto verticale della OA a causa di ∆G, e il passaggio dell’equilibrio da Y0 a
Y1 ove il reddito reale è costante e il livello dei prezzi è invece maggiore.
P Y2 AD Y1 AS Y0 X* 9.1.2
X Effetto cumulato
Per l’effetto cumulato vanno studiati i comportamenti dello Stato e della
Banca Centrale.
Stato
Se lo Stato soffre di illusione monetaria e si accontenta di aver ottenuto un
reddito maggiore solo in termini nominali, il processo finisce a reddito Y1, in cui i
prezzi hanno subito un solo salto all’insù. Se invece lo Stato non è soddisfatto
dalla non crescita del reddito reale e aumenta di conseguenza la spesa una
50
Ferdinando Targetti
seconda volta, il nuovo equilibrio sarà dato da Y2 e si sarà innescato un
processo di continua crescita dei prezzi.
Banca Centrale
L’equazione quantitativa dice che:
MS · V = P · X Dove V è la velocità di circolazione della moneta.
Derivando rispetto al tempo e nell’ipotesi di V costante, avremo :
m = p + g dove m è il saggio di crescita dell’offerte di moneta, p il saggio di inflazione e
g il saggio di crescita del reddito (su questo punto torneremo trattando della
nuova teoria quantitativa dei monetaristi).
Nell’ipotesi che X = X* sarà:
g = 0 E quindi:
m = p Questa relazione può essere letta con un ordine di causalità da destra a
sinistra (keynesiani) o da sinistra a destra (monetaristi). Circa questi ultimi
vedremo le loro tesi più oltre. Qui ci soffermiamo sulla tesi keynesiana della
politica monetaria accomodante.
In presenza di p > 0 la Banca Centrale aumenta la base monetaria oppure le
banche aumentano il credito (aumento del moltiplicatore bancario) per finanziare
il reddito che è ad un livello nominale maggiore.
Quindi: determinante dell’inflazione è l’eccesso di domanda aggregata
sull’offerta di piena occupazione; condizione permissiva è data:
a) dall’assenza di illusione monetaria da parte di chi ha aumentato la
domanda effettiva (nel caso in questione lo Stato);
b) dall’adozione da parte della Banca Centrale di una politica monetaria
“accomodante”.
9.1.3
La politica economica antinflazionistica
In questo caso consiste:
a) nella riduzione del disavanzo di bilancio (la causa dell’eccesso di
domanda aggregata);
b) in una politica monetaria non accomodante: restrizione monetaria.
Lezioni di politica economica
51
9.2 Inflazione da costi, il conflitto distributivo e la
politica dei redditi
9.2.1
Il livello dei prezzi ottenuto da un mark-up sui costi:
l’equazione del costo pieno
Le moderne economie presentano un grado medio di concorrenzialità
variabile tra paesi e nel tempo. Con il processo di globalizzazione degli anni ‘90 il
grado di concorrenzialità è cresciuto e la forza contrattuale delle organizzazione
dei lavoratori è diminuita. Fino agli anni ’80 invece il livello generale dei prezzi era
più facilmente rappresentabile (Micael Kalecki, Nicholas Kaldor, Sylos Labini)
come il risultato della media dei prezzi formati da imprese oligopolistiche che
applicano un margine costante (mark-up) ai costi variabili rappresentati dal costo
del lavoro per unità di prodotto. Se il mark-up è k, il costo unitario del lavoro è W
e il prodotto per lavoratore è pl (dove pl = PIL/L, e L è il numero complessivo dei
lavoratori), avremo che il livello generale dei prezzi P sarà dato dall’equazione
del costo pieno:
P = (1+ k) W/pl Il rapporto W/pl si chiama costo del lavoro per unità di prodotto.
Il rapporto W/P si chiama salario reale.
Un’equazione non può che determinare un’unica incognita. Se il grado di
monopolio k è dato e se le tecnologie pl sono date, un solo salario reale W/P è
compatibile con questa equazione.
Se in una certa situazione (tempo 0) questo salario reale W0/P0 non è quello
desiderato dai lavoratori e questi sono in grado di modificare con la
contrattazione il salario nominale W (aumentandolo a W1), possiamo avere che
l’equilibrio può essere ristabilito:
a) o attraverso una variazione del grado di monopolio k,
b) oppure attraverso un aumento del livello dei prezzi a P1, tale per cui
sia: W0/P0 = W1/P1.
9.2.2
Il processo cumulativo
Dopo lo shock iniziale:
a) se i lavoratori sono soggetti all’illusione monetaria e perseguono solo
l’obiettivo di un aumento dei salari monetari l’inflazione si arresta;
b) se invece perseguono l’obiettivo del salario reale W1/P0 e si rendono
conto che l’inflazione ha eroso il maggior potere d’acquisto che
credevano d’aver conseguito con il maggior salario monetario,
sposteranno il salario monetario a W2 per ottenere un maggior salario
reale W2/P1, ma questo non è compatibile con l’equazione e i prezzi
saranno spinti a P2 eccetera. In questo caso avremo un’inflazione
costante.
52
Ferdinando Targetti
9.2.3
La scala mobile
Il meccanismo descritto può essere il risultato di un processo di
contrattazione nella quale i salariati riescono ad ottenere il loro obiettivi di
adeguamento del salario monetario all’aumento dei prezzi o il risultato di un
meccanismo istituzionale di indicizzazione che si chiama scala mobile.
Nella scala mobile i parametri da considerare sono il grado di adeguamento e
il periodo entro il quale l’adeguamento avviene. Tanto più l’adeguamento è:
„
lontano dal 100%
„
lento
e tanto più l’inflazione tende a smorzarsi. Se:
p(t) = α∙p(t – 1) avremo che l’inflazione resterà costante, crescerà o diminuirà a seconda che
α = > < 1.
9.2.4
Inserimento delle aspettative e inflazione accelerata
Se i lavoratori scontano che le loro richieste saranno frustrate da un aumento
futuro di prezzi è possibile che, una vota che sono a W2/P2, contrattino non per
W3, ma per W4, in modo che in presenza di un aumento di prezzi a P3 avranno
un salario reale W4/P3 che è uguale a quello inizialmente desiderato W1/P0, ma
questo farà saltare il livello dei prezzi da P2 a P4. In tal caso avremo
un’inflazione accelerata. Un risultato analogo si ha se la scala mobile comporta
una indicizzazione superiore al 100% e cioè α è maggiore di uno.
9.2.5
Inflazione da shock esterno
Se tra i costi primi oltre al costo del lavoro per unità di prodotto è inserito
anche il costo di un altro input - per esempio il costo dell’energia (ammettiamo
che sia rappresentato dal costo in euro del petrolio) per unità di PIL nazionale - il
processo inflazionistico può essere originato da uno shock esterno: sia da un
aumento del prezzo in dollari di un barile di petrolio, sia da un apprezzamento del
dollaro rispetto all’euro. Sia O il prezzo in dollari del petrolio, po la quantità di
prodotto per unità di petrolio, e sia e il tasso di cambio, avremo:
P = (1 + k) ∙ ( W/pl + e · O/po) Uno shock esterno può consistere:
a) in un aumento del tasso di cambio e (si pensi alle svalutazioni della
lira);
b) oppure in un aumento del prezzo in dollari di O (si pensi agli shock
petroliferi degli anni ‘70).
Un aumento del x% spingerà in alto il livello dei prezzi di una percentuale che
dipende da po. Se la diminuzione dei salari reali è accettata dai lavoratori e/o se
k si riduce in proporzione in modo da tenere costante il livello dei prezzi o se si
determina una combinazione di questi eventi non ci sarà inflazione. Se invece k
resta costante e i salari sono indicizzati al 100%, dopo un certo tempo, la cui
lunghezza dipende da po, il livello generali dei prezzi sarà aumentato
Lezioni di politica economica
53
esattamente di x%. A quel punto l’inflazione si arresta, il tasso di cambio reale tra
lira e dollaro e/o le ragioni di scambio (tra il deflettore implicito del PIL italiano e il
prezzo in dollari di un barile di petrolio) ritornano quelle precedenti allo shock.
Se questo ritorno alle precedenti ragioni di scambio induce i petrolieri a
spingere di nuovo in alto i prezzi in dollari del petrolio perché il loro potere
d’acquisto delle nostre merci è ritornato quello precedente al primo rialzo del
prezzo del petrolio, oppure se gli esportatori italiani premono per ottenere un'altra
svalutazione della lira (aumento di e) per recuperare la competitività perduta in
seguito alla rivalutazione reale della lira ottenuta con l’inflazione, il processo
inflazionistico riprenderà ossigeno e si ripresenteranno le stesse condizioni della
situazione iniziale.
9.2.6
L’inflazione strutturale o la rincorsa salari-salari
Il processo inflazionistico che descriviamo ora, che in genere è di intensità
contenuta, si presenta in genere in economie aperte all’estero, di non
grandissime dimensioni, con contrattazioni salariali accentrate, con
comportamento oligopolistico delle imprese e con politica monetaria
accomodante.
Ammettiamo di considerare un paese:
a) che presenti due settori produttivi: 1 e 2; si può pensare a un settore
esposto alla concorrenza internazionale e l’altro no, un settore
industriale e l’altro dei servizi eccetera;
b) nel quale i settori hanno peso σ1 e σ2 nel PIL (σ1 + σ2 = 1);
c) nel quale i settori hanno due dinamiche della produttività diverse (π1 e
π2) e quella del primo settore maggiore di quella del secondo: π1 = γ·
π2, dove γ è maggiore di uno;
d) nel quale la crescita dei salari monetari dei due settori, w1 e w2, è la
medesima, perché prevale una contrattazione nazionale, nella quale
le determinanti salariali sono rappresentate dalle mansioni,
dall’anzianità, eccetera: w1 = w2;
e) nel quale nel primo settore i salari crescono come la produttività del
settore e quindi non cresce il costo del lavoro per unità di prodotto: w1
= π1;
f) nel quale nel secondo settore i salari crescono di più della produttività
del settore e quindi cresce il costo del lavoro per unità di prodotto e
quindi valendo l’equazione del costo pieno cresce il livello dei prezzi
del settore.
In tali circostanze, se la variazione del prezzo relativo P1/P2 non modifica la
composizione della domanda e quindi la composizione del prodotto e quindi non
modifica i due pesi σ1 e σ2, avremo che l’inflazione media del sistema sarà data
da:
p = (1‐ σ) ∙ (γ – 1) / γ ∙ π1 L’inflazione sarà tanto maggiore quanto minore è il settore più produttivo,
quanto maggiore è lo scarto di produttività tra i settori quanto maggiore il
54
Ferdinando Targetti
comportamento egualitaristico.
L’inflazione si
meccanismo di base si applica la scala mobile.
9.2.7
accelererà
se
a
questo
Inflazione e distribuzione salari/profitti
Se differenziamo rispetto al tempo l’equazione del costo pieno, nell’ipotesi
che il grado di monopolio resti costante, avremo:
p = w – π dove il saggio di crescita nell’unità di tempo dei prezzi (l’inflazione) è p, dei
salari è w e della produttività del lavoro è π. L’espressione (w – π) misura il
saggio di crescita del costo del lavoro per unità di prodotto.
L’inflazione p è maggiore o uguale a zero se la dinamica del costo del lavoro
per unità di prodotto è maggiore o uguale a zero e cioè se:
w – π ≥ 0 e questo accade se la dinamica dei salari monetari è superiore alla dinamica
della produttività e cioè se:
w ≥ π Si ricordi che tutto questo ragionamento, secondo il quale l’inflazione è
determinata dalla dinamica salariale, è sottoposto all’ipotesi di costanza del
mark-up k. Questo significa costanza delle quote distributive del PIL tra salari e
profitti.
Infatti ricordando che: pl = PIL/L e che Y = P · PIL, avremo:
Y = WL + k WL e cioè (Y – WL) / Y = k WL/Y Tenuto conto che WL/Y è la quota dei salari sul reddito nazionale e che nel
modello il reddito nazionale (Y) è totalmente diviso tra salari (WL) e profitti (Y –
WL), avremo che:
k = quota dei profitti / quota dei salari 9.2.8
La politica dei redditi
Obiettivo della politica dei redditi è quello della stabilità del livello dei prezzi
senza dover adottare delle misure monetarie o di bilancio che, dovendo essere
di natura restrittiva, contraggono il reddito.
Lo strumento è il controllo dei redditi e dei prezzi. In realtà si limita ad inserire
una norma di comportamento salariale.
Regola della politica dei redditi è l’accordo tra le parti sociali affinché i salari
monetari non crescano più della produttività: w ≤ π.
Problemi nascono:
a) dalla individuazione di quali salari: medi, settoriali, definiti dalla
contrattazione nazionale o aziendale, eccetera
b) dalla individuazione, se esistono shock esterni, di come la riduzione
del reddito reale venga scaricata sulle parti sociali;
Lezioni di politica economica
55
c) dall’accettazione dell’idea che il controllo sia solo sui salari e non sui
prezzi, perché quest’ultimo è di difficile realizzazione,
amministrativamente costoso, distorsivo della concorrenza,
inflazionistico quando viene rimosso;
d) dalla fiducia tra le parti sociali che ciascuna faccia la sua parte: i
lavoratori accettano una dinamica salariale contenuta con
l’assunzione che la conseguente costanza della distribuzione del
reddito significhi anche costanza di quote di investimento e quindi
occupazione;
e) dal fatto che lo Stato di solito partecipa al tavolo della trattativa tra le
parti sociali e ci mette del suo affinché l’accordo abbia buon esito:
compensazione per il drenaggio fiscale, lavori pubblici, legislazione a
favore dei lavoratori, spesa per assistenza (salario e/o pensioni
minime, sussidi di disoccupazione eccetera); se lo Stato è in difficoltà
di bilancio può mettere poco sul tavolo contrattuale.
L’abolizione della scala mobile prima e la politica dei redditi durante il governo
Ciampi sono state le politiche attraverso le quali nel corso degli anni ’90 si è
ricondotto l’inflazione italiana a livelli contenuti. Questo è avvenuto malgrado la
svalutazione della lira del 1992 che, come si è visto nel paragrafo sugli shock
esterni, poteva essere (come lo era stato nei due decenni precedenti) causa di
forte inflazione.
9.3 L’inflazione e il monetarismo
9.3.1
Introduzione
La scuola di pensiero monetarista ha il suo centro culturale a Chicago e ha
come capostipite Milton Friedman. La prima opera a fondamento della scuola è
la storia monetaria degli Stati Uniti scritta da Milton Friedman e Anna Schwartz
negli anni ’50.
Le tappe dello sviluppo di questo pensiero sono tre: la revisione della teoria
quantitativa di Milton Friedman; la critica del trade-off inflazione-disoccupazione
(di cui parleremo nel prossimo capitolo) e della politica economica del “fine
tuning”; l’introduzione delle aspettative razionali da parte di Lucas e Sargent e la
conseguente eliminazione della distinzione tra equilibrio di breve e di lungo
periodo. Qui ci interesseremo solo della prima tappa, nel prossimo capitolo delle
altre due.
La visione preanalitica. L’esistenza, l’unicità e la stabilità dell’equilibrio
walrasiano è il dogma di Chicago. Gli shock da domanda possono squilibrare
temporaneamente l’economia, ma i meccanismi automatici del mercato
ricondurranno l’economia alla piena occupazione. Ne consegue che il settore
privato è stabile, mentre è il settore pubblico a generare instabilità. Sia la Banca
Centrale, con la sua volontà di intervenire a controllare il ciclo attraverso gli
strumenti monetari, sia il Tesoro, con la politica anticiclica di bilancio, generano
instabilità e ciclo.
La politica economica. L’instabilità è eliminata adottando regole
automatiche. Gli stabilizzatori automatici dovrebbero essere gli unici strumenti
56
Ferdinando Targetti
anticiclici del Tesoro. Il Tesoro deve tendere ad avere il bilancio in pareggio e ad
offrire solo beni pubblici. La Banca Centrale dovrebbe sostanzialmente non
esistere. Infatti non dovrebbe avere tra i suoi obiettivi la stabilizzazione
dell’occupazione, né la stabilizzazione del mercato finanziario privato, né di
quello bancario che dovrebbe essere conseguito con strumenti automatici
(assicurazione sui depositi): non dovrebbe quindi svolgere il compito di
prestatrice di ultima istanza. L’unico obiettivo che deve porsi è quello del
controllo dell’inflazione. Lo strumento che deve usare non è il saggio
dell’interesse, ma l’offerta di base monetaria che equivale all’offerta di moneta
per l’ipotesi di costanza del moltiplicatore bancario. La regola che deve seguire è
quella di offrire la moneta ad un tasso costante e uguale a quello della crescita
del reddito reale.
9.3.2
La teoria quantitativa
La moneta è un sostituto nei portafogli individuali di una serie di attività
finanziarie più o meno liquide (moneta, depositi, titoli a breve, a lunga, azioni…) e
di attività reali (beni durevoli, abitazioni, educazione…). I tassi di sostituzione tra
le attività sono diversi tra gli individui e dipendono dalla propensione al rischio,
ma per la collettività si possono dare per costanti e non dipendono dai saggi di
interesse. Quindi la domanda di moneta dipende in modo stabile solo dal livello
del reddito monetario (PX). Il parametro di dipendenza (k) è dato dall’inverso
della velocità di circolazione della moneta (V). Se k è stabile significa che anche
V, la velocità di circolazione, è stabile e la sua derivata rispetto al tempo è nulla.
Per cui partendo dalla equazione di offerta di moneta Ms uguale alla domanda di
moneta Md
Ms = Md se
Md = k PQ avremo
Ms = k PQ Derivando rispetto al tempo e ricordando che k è stabile e che i simboli
minuscoli stanno per tassi di crescita dell’offerta di moneta, dei prezzi e del
reddito reale, avremo:
m = p + g Questa formula rappresenta la versione moderna della teoria quantitativa
nella quale l’ordine di causalità va da sinistra a destra. Ciò significa che un
aumento dell’offerta di moneta m superiore all’aumento esogeno del reddito (g*),
che dipende da fattori non monetari come l’aumento degli input fattoriali o della
loro produttività, determina un aumento del livello dei prezzi in misura di tale
differenza. L’inflazione quindi è data da:
p = m – g* Lezioni di politica economica
57
9.3.3
Il meccanismo di trasmissione
Per i monetaristi
La trasmissione dalla moneta ai prezzi è quindi per i monetarista un
meccanismo diretto. Un elicottero fa cadere la moneta dal cielo e tutti gli agenti
economici si trovano con x% in più nei loro portafogli di saldi liquidi.
Ristabiliscono le proporzioni desiderate con le altre attività e questo comporta
aumento della domanda degli altri titoli e beni e, in condizioni di piena
occupazione, quest’aumento di domanda aumenta i prezzi.
Per i keynesiani
Non così per i keynesiani secondo i quali l’aumento di MS determina una
diminuzione di i (spostamento della LM) questo determina un aumento di I
(spostamento lungo la IS) che determina una variazione del reddito (in misura
dell’operare del moltiplicatore) e quindi dell’occupazione (a seconda della
elasticità dell’offerta dei fattori), una diminuzione della disoccupazione, a
seconda della elasticità della curva di Phillips, determina una variazione dei salari
monetari che (nella misura della costanza del grado di monopolio) determinano
un aumento dei prezzi. Come si può ben capire, dato l’operare di questi
numerosissimi parametri, è impossibile sostenere per un keynesiano che un
aumento di x% dell’offerta di moneta, oltre il tasso di crescita reale, determini
proprio x% di inflazione.
Posizione intermedia
Una posizione intermedia tra queste due tesi sostiene che nel breve periodo
vale il meccanismo di trasmissione keynesiano, ma nel lungo periodo vale la
teoria quantitativa. È un compromesso insoddisfacente perché non tiene conto
che la crescita e quindi il reddito di domani (e quindi il lungo periodo) dipende
dalle decisioni di investimento di oggi (secondo Keynes, ma anche secondo la
moderna teoria della crescita endogena) e quindi g non è esogeno rispetto alla
politica economica.
9.3.4
I saggi di interesse a breve e a lungo termine
Secondo Irving Fisher il saggio di interesse monetario è dato dal saggio di
interesse reale r (il prezzo che equilibra domanda e offerta di risparmio reale) più
il saggio di inflazione. Milton Friedman modifica questa equazione sostituendo al
saggio di inflazione il saggio di inflazione attesa p’. Avremo:
i = r + p’ Quindi se m aumenta, aumenterà p, aumenterà p’ (se prevalgono aspettative
adattive) e, a parità di condizioni reali sul mercato dei capitali, aumenterà i.
Questo è un risultato opposto a quello del caso keynesiano secondo il quale un
aumento di m porta ad una diminuzione di i.
58
Ferdinando Targetti
9.4 La politica economica dopo il dibattito
Keynesiani-monetaristi
Il monetarismo, nato negli anni ’50 in pieno keynesianesimo americano, è
andata acquisendo consenso con il tempo. La vulgata keynesiana non lasciava
molto spazio teorico all’inflazione a differenza dell’impostazione monetarista. La
grande inflazione degli anni ’70 ha contribuito al successo della scuola di
Chicago, che ha avuto il suo apogeo negli anni ’80. Nel pensiero dominante della
politica economica europea degli anni ’90 alcuni principi e insegnamenti della
scuola monetarista sono diventate moneta corrente.
9.4.1
L’odierna sintesi pragmatica tra le scuole
4)
Innanzitutto è prevalso nei paesi europei e ora nell’Unione Europea il
concetto monetarista che la Banca Centrale non è tenuta a finanziare il
Tesoro. Si è quindi affermato il “divorzio” tra Banca Centrale e Tesoro e
l’autonomia della Banca.
5)
L’attribuzione alla Banca Centrale esclusivamente di obiettivi monetari,
altro dettame monetarista, è dominante in Europa, anche se meno negli
stati Uniti: la piena occupazione è tra gli obiettivi della Fed, non tra quelli
della BCE.
6)
Ha preso piede l’idea, possibile solo se i precedenti due punti sono
accettati, che la credibilità della politica della Banca Centrale è di per se
stessa un efficace strumento antinflazionistico.
7)
Si è affermata l’idea che la politica monetaria ha effetto sui saggi di
interesse a breve termine (analisi keynesiana), ma se una politica
monetaria espansiva genera aspettative di inflazione essa avrà
contemporaneamente l’effetto di diminuire i saggi a breve e di aumentare
quelli a lungo termine (analisi monetarista), che sono quelli da cui
dipendono le decisioni di investimento.
8)
Ha avuto minor successo l’idea monetarista secondo la quale lo
strumento monetario sotto il controllo della Banca Centrale deve essere
la quantità di moneta anziché i saggi di interesse: e infatti la stessa BCE
usa come obiettivo di politica monetaria un corridoio di tassi rappresentato
dal tasso di interesse overnight (minimo) e dal tasso di rifinanziamento
marginale (massimo) entro cui si collochi il tasso minimo di offerta (prime
rate).
9.4.2
1)
Le politiche anticicliche negli anni ’80 e ‘90
Sulla politica anticiclica negli Stati Uniti. Negli anni ’80 la politica di
bilancio di Reagan fu espansiva (riduzione delle impste). La motivazione
fu in termini di “supply side economics” (la riduzione delle imposte stimola
l’offerta di fattori, spostamento a destra della curva di offerta). Negli anni
’90 la politica monetaria Di Greenspan alla guida della Federal riserve
System (la Banca Centrale americana) fu costantemente espansiva per
sostenere la Borsa, i consumi e la crescita del reddito. E’ difficile
catalogare queste due politiche come monetariste.
Lezioni di politica economica
59
60
2)
Sulla politica anticiclica in Europa. La politica anticiclica keynesiana a
livello di Paese perde di peso e importanza per la forte integrazione tra le
economie. In Francia il primo governo Mitterand attua una politica di
espansione basata sui consumi interni e il forte disavanzo commerciale
che ne deriva impone al governo di fare marcia indietro. I principali paesi
(Germania e Francia) adottano politiche di “export led growth”. In
Germania con un mix di integrazione banca-industria, politica dei redditi e
investimenti in tecnologia, in Italia con ripetute svalutazioni. Non sono
modelli monetaristi.
3)
Sulla politica di flessibilità. Prevale in Europa negli anni ‘90 una tesi
sostanzialmente monetarista secondo la quale la politica economica deve
consistere solo in azioni volte a rendere flessibili i mercati e nel condurre
in pareggio i bilanci pubblici. Tuttavia, soprattutto in questo inizio secolo in
cui assistiamo ad una prolungata stagnazione dell’economia OCSE ed
europea in particolare, sono sempre più ascoltati economisti, come il
premio Nobel Joseph Stiglitz, il francese Jean Paul Fitoussi, l’americano
Paul Krugman eccetera, che invocano nuove politiche keynesiane che,
sebbene non possano essere attuate a livello di singolo paese, possono
però avere una notevole rilevanza a livello di Unione Europea (vedasi
capitolo 13).
Ferdinando Targetti
Capitolo 10 - Il trade-off inflazionedisoccupazione
10.1 La curva di Phillips e il dibattito
10.1.1 La curva di Phillips
La curva di Phillips nasce come rilevazione statistica tra la variazione dei
salari monetari w e il tasso di disoccupazione U per il periodo 1861-1957 nel
Regno Unito. La curva che interpola i punti osservati:
w = f(U) è decrescente (derivata prima negativa), concava (derivata seconda positiva),
con asintoto verticale a U = 1% e taglia l’asse orizzontale al valore di U = 5,5%.
w
1% 5,5%
U% 10.1.2 Interpretazioni
Le prime interpretazioni sono state date in termini neoclassici di equilibrio di
domanda e offerta di lavoro (Lipsey), ma siccome l’equilibrio è solo in E, mentre
si osserva che tutti gli altri punti perdurano nel tempo non era facile giustificare
che un paese si trovasse costantemente fuori dall’equilibrio.
Un’altra interpretazione conciliava invece inflazione da domanda ed inflazione
da conflitto distributivo: un aumento della domanda effettiva sul mercato delle
merci, comporta diminuzione della disoccupazione, aumento della forza
contrattuale dei lavoratori e quindi una maggior dinamica dei salari monetari.
10.1.3 Il trade-off inflazione-disoccupazione e il menu di
politica economica
Se si accetta l’ipotesi di formazione dei prezzi del tipo costo pieno si potrà
sostituire sull’asse delle ordinate alla variazione dei salari w, la variazione dei
Lezioni di politica economica
61
prezzi p. In tal caso si può parlare, come fece Robert Solow, della curva di
Phillips come di un menu di politica economica.
Sembrava che non esistesse più un equilibrio unico di sotto-occupazione, ma
un insieme di punti di equilibrio ognuno abbinato ad un tasso di inflazione
(Modigliani).
Dal punto di vista della politica economica la curva evidenzia un trade-off tra
obiettivi : tanto più diminuisce la disoccupazione e tanto più cresce l’inflazione,
tanto più si riduce l’inflazione e tanto più si crea disoccupazione. Il politico
economico è chiamato ad interpretare la funzione di benessere sociale (funzione
di Bergson) e scegliere il punto di ottimo sul trade-off di Phillips.
10.2 La politica neo-corporativa
Negli anni ’70 emergono le prime critiche. I salariati hanno una “real wage
resistence” (John Hicks) perché, a prescindere dal tasso di disoccupazione, essi
cercano di mantenere costante il salario reale. Si presentano quindi situazioni
(ad esempio quello della stagflazione successiva ad uno shock come quello
petrolifero) nelle quali il saggio di crescita dei salari e dei prezzi permangono ad
un certo tasso ŵ a molteplici valori del tasso di disoccupazione. Quindi il tasso di
disoccupazione che porta p = 0 non esiste. In questo caso la curva di Phillips è
infinitamente elastica.
Dal punto di vista della politica economica in ogni caso è un errore perseguire
due obiettivi (riduzione della disoccupazione e stabilizzazione dei prezzi) con un
unico strumento (l’abbinamento della politica monetaria e di bilancio). Questo
contraddice la teoria della politica economica che dice che, dati n obiettivi di
politica economica, bisogna disporre di n strumenti indipendenti (Tinbergen).
Quindi la politica più efficiente è quella di disporre della politica monetaria e di
bilancio per l’obiettivo della piena occupazione e la politica dei redditi per
l’obiettivo della stabilità dei prezzi (Nicholas Kaldor). Questo è il fondamento della
politica cosiddetta neo-corporativa attuata nei paesi europei scandinavi e di
lingua tedesca (Austria e Germania) tra gli anni ’60 e gli anni ’80.
10.3 La curva di Phillips aumentata dalle aspettative
Il punto in cui la curva di Phillips taglia l’asse delle ascisse (U abbinato a p =
0) viene definito come tasso naturale di disoccupazione (NRU) quello in cui il
numero dei posti vacanti eguaglia il numero di coloro che cercano lavoro. Il
sistema economico può non raggiungere mai questo tasso se il valore di ŵ>0.
Viene quindi introdotto un nuovo concetto il saggio di disoccupazione che non
accelera l’inflazione U* (NAIRU).
La curva di Phillips viene arricchita introducendo le aspettative della
variazione dei prezzi. Viene posto sull’asse delle ordinate il tasso di
accelerazione dei salari dw/dt, e la funzione di Phillips viene espressa dalle due
seguenti equazioni:
dw/dt = f ﴾U(t)﴿ + p’(t) p’(t) = p (t – 1) 62
Ferdinando Targetti
dove p’ indica il saggio di crescita atteso dei prezzi e t il tempo.
Il NAIRU è definito come il valore di U che rende dw/dt = 0, cioè che non
accelera l’inflazione.
Sarà:
NAIRU › NRU dw/dt NRU
NAIRU
U% 10.4 La critica monetarista alla curva di Phillips
10.4.1 La critica di Friedman
I monetaristi sostengono che la curva di Phillips non ha rilevanza teorica
perché non determina una situazione di equilibrio. La critica di base di Friedman
è che il trade-off di Phillips presuppone illusione monetaria da parte dei
lavoratori, cosa che nel lungo periodo contrasta con il principio di razionalità.
Per questo motivo la curva di Phillips riflette per Friedman un fenomeno di
breve periodo. Nel lungo periodo la curva di Phillips sarà verticale e taglierà
l’asse delle ascisse in U = NRU.
Per spiegare la ratio di questa proposizione si consideri il susseguirsi degli
eventi seguenti:
a) l’economia si trova in U = NRU con tasso di crescita di salari e prezzi
nulli;
b) siccome NRU > 0 i policy makers attuano una politica espansiva che
riduce U a U’ < NRU;
c) il nuovo equilibrio sul mercato del lavoro è conseguibile a salari reali
maggiori; siccome i salari sono contrattati in termini monetari, U’
comporta un aumento dei salari monetari a w’;
d) ma questo comporta anche un’inflazione p’, che riconduce i salari reali
al livello precedente;
e) i lavoratori, che nel breve periodo sono soggetti all’illusione monetaria,
nel lungo periodo adottano una funzione dei salari in funzione della
Lezioni di politica economica
63
disoccupazione e delle aspettative (curva di Phillips aumentata dalle
aspettative); le aspettative sono del tipo adattivo, si basano sul
passato e correggono nel tempo la discrepanza tra il passato e il
presente;
f) quindi i lavoratori rivedono le loro aspettative e, dato che il salario
reale discende con l’inflazione, ridurranno la loro offerta di lavoro;
g) il tasso di disoccupazione tenderà quindi nel lungo periodo a ritornare
al valore U = NRU; seppure ci si trovi al valore di U che inizialmente
comportava inflazione zero, ora avremo un’inflazione (di salari
monetari e prezzi) positiva per l’azione delle aspettative, ma costante
perché prevista; in U = NRU la curva di Phillips è verticale e non esiste
trade-off tra inflazione e disoccupazione;
h) l’inflazione accelererà solo se i policy makers attueranno una nuova
manovra espansiva.
w,p
Curva di Pillips di lungo periodo
Curva di Pillips di breve trasposta U’ U=NRU
U% La curva di Phillips passa da fenomeno di disequilibrio di breve, causata da
un errore di previsione sui prezzi, a fenomeno di equilibrio di lungo. Il “costo” di
tale esercizio è una irrealistica inversione della relazione di causalità:
un’inflazione esogena superiore a quella attesa dai lavoratori provoca in questi
l’azione di una riduzione volontaria della propria offerta di lavoro. Un assurdo che
non merita grandi commenti.
10.4.2 Le aspettative razionali
Un’ altra difficoltà della critica di Friedman consiste nel non essere in grado di
spiegare che cosa succede tra il breve e il lungo periodo, in altre parole che cosa
succede lungo la freccia del grafico. Questo problema è risolto dalla successiva
elaborazione della scuola monetarista. I teorici delle “aspettative razionali”
sostituiscono alle aspettative adattive (per il cui funzionamento è richiesto un
processo di apprendimento lento tra l’aspettative che si basa sulle osservazioni
del passato e l’esito che il sistema presenta oggi) le aspettative razionali, che
consistono nell’ipotizzare in tutti gli agenti economici la conoscenza del
meccanismo stesso di funzionamento del sistema. In tal modo di fatto l’errore di
previsione è escluso e il lungo periodo collassa nell’immediato.
La curva di Phillips risulta quindi verticale in ogni momento.
64
Ferdinando Targetti
10.5 Il ciclo elettorale e il ciclo politico
10.5.1 Il ciclo elettorale
Per Nordhaus la scelta lungo la curva di Phillips non è fatta in base all’ottimo
sociale, desumibile da una curva alla Bergson, ma dipende dalla funzione di
utilità dei “policy makers” (PM). I quali fanno le scelte che massimizzano la
probabilità di rielezione .
I sondaggi dicono che l’elettorato teme sia il livello e la dinamica
dell’inflazione, sia la dinamica della disoccupazione. Da ciò derivano le scelte dei
PM che sono diverse a secondo delle diverse fasi elettorali. Nella fase preelettorale prevale una politica espansiva (a sinistra lungo la curva di Phillips).
Nella fase post elezione prevale una politica di rigore per riportare U a valori
inferiori al NAIRU e per ridurre l’inflazione e poter attuare una nuova politica
espansiva quando saranno alla vigilia delle elezioni successive.
È un modello che non spiega l’alternanza di politiche fatte da partiti diversi,
ma solo di diverse politiche fatte da partiti analoghi.
10.5.2 Il ciclo politico
A differenza del ciclo elettorale che riguarda cicli della durata dei mandati
elettorali La teoria del ciclo politico (Micael Kalecki, 1944) riguarda (secondo
Phelps Brown) un ciclo di lungo periodo che interessa fasi storiche diverse e un
mutamento di generazione. Secondo Kalecki le misure tecniche di politica
economica per raggiungere la piena occupazione esistono e sono date dalla
politica economica keynesiana, ma nel lungo periodo la piena occupazione non
si potrà mantenere per motivi politici. Illustriamo la proposizione stilizzando le fasi
cicliche.
Fase 1. In un regime democratico un periodo prolungato di alta
disoccupazione implica che venga eletto un governo “pro-labour” che attuerà
politiche keynesiane che ridurranno la disoccupazione.
Fase 2. La maggior forza contrattuale dei lavoratori che ne consegue
determinerà però:
a) un’inflazione da salari che incontrerà l’ostilità di rentiers, pensionati e
detentori di titoli a reddito fisso (si suppone che non ci siano
indicizzazioni);
b) la riduzione della disciplina in fabbrica.
Inoltre le politiche di bilancio keynesiane ridurranno:
a) la dipendenza dello Stato dalle decisioni di investimento dei capitalisti;
b) il rigore del principio “morali” secondo cui il pane si ottiene con il
sudore del lavoro.
Fase 3. Tutto questo comporterà un mutamento degli equilibri politici
all’interno della società e porterà all’elezione di un partito “anti-labour”, a politiche
di rigore di bilancio e ad un aumento della disoccupazione.
Lezioni di politica economica
65
Capitolo 11 - Cambi e bilancia dei
pagamenti
11.1 I cambi
11.1.1 I cambi effettivi
Il tasso di cambio nominale bilaterale è il prezzo di una moneta in cambio di
un’altra moneta.
Il tasso di cambio nominale effettivo è la media ponderata con il volume degli
scambi internazionali degli (n – 1) tassi di cambio nominali bilaterali con
riferimento al paese considerato.
Il tasso di cambio può essere espresso incerto per certo (2.000 lire per
dollaro) o certo per incerto (0,05 cents di dollaro per una lira). In tutto il mondo si
usa la prima definizione, in Gran Bretagna la seconda.
Chiameremo il tasso di cambio e. Se e cresce significa che la moneta si
deprezza (si svaluta), se e cade significa che la moneta si apprezza (si rivaluta).
11.1.2 I cambi reali
Si chiama tasso di cambio reale (bilaterale effettivo), e lo chiameremo re, il
tasso di cambio nominale moltiplicato per il rapporto tra il livello dei prezzi interno
(P) e il livello dei prezzi esterno (P*).
re = e ∙ P*/P Da ciò consegue che se P* = P, e cioè se nei due paesi esiste parità dei
poteri di acquisto, il tasso di cambio nominale e reale coincidono. Se invece i due
livelli di prezzi divergono il cambio nominale non riflette il rapporto dei poteri
d’acquisto delle due monete. In tal caso si dirà ad esempio che la lira è
sottovalutata se re > e, viceversa è sopravalutata se re < e. Nei paesi in via di
sviluppo, ove molta parte della produzione è per autoconsumo e passa fuori dal
mercato monetario, il tasso di cambio nominale diverge spesso e in modo
perdurante dal tasso di cambio reale. Per questo motivo i confronti tra le
grandezze in valore tra paesi vanno corrette per la parità dei poteri d’acquisto.
11.1.3 Le variazioni dei cambi
Dalla formula del tasso di cambio reale deriva che il tasso di cambio reale
cresce (cade) e cioè si deprezza (apprezza) al crescere (diminuire) del tasso di
cambio nominale e se è negativa (positiva) l’inflazione differenziale tra il paese
considerato e quella del resto del mondo:
re˙ = e˙ + (p* – p) dove il punto indica la variazione percentuale per unità di tempo dei cambi e
le lettere p minuscole le variazioni percentuali per unità di tempo del livello dei
prezzi internazionale e interno.
66
Ferdinando Targetti
11.2 La bilancia dei pagamenti
11.2.1 Definizioni
La bilancia dei pagamenti (BP) è composta dalla bilancia delle partite correnti
(PC) e dalla bilancia dei movimenti di capitale (MK). La bilancia delle partite
correnti è data dal saldo commerciale (SC) più i redditi netti dall’estero (RX).
BP = PC + MK = SC + RX + MK Il saldo commerciale è dato dalla somma algebrica di esportazioni (X) e
importazioni (M).
SC = X – M 11.2.2 La bilancia commerciale: le determinanti
Le importazioni dipendono direttamente
inversamente dalla competitività relativa. Quindi:
dalla
domanda
interna
e
M = m Y dove m è la propensione ad importare che a sua volta dipende da fattori
strutturali, come la dimensione del paese, e:
M = f (P+, P*– , e–) dove P è il livello di prezzi interno, P* il livello dei prezzi del resto del mondo
ed e il tasso di cambio. I segni + e – indicano relazione funzionale
rispettivamente diretta e inversa. Quindi sarà:
M = m ( +, P*– , e– ) Y Le esportazioni dipendono direttamente dal reddito del resto del mondo Y* e
direttamente dalla competitività del paese. Quindi sarà:
X = x (P–, P*+, e+ ) Y* Siccome SC = X – M, sarà:
SC = f(P– , P*+, e+, Y– , Y*+) 11.2.3 I movimenti di capitali: determinanti
I movimenti di capitale sono a breve e a lungo termine. I primi (investimenti
diretti e in parte di portafoglio) sono in funzione dei differenziale dei tassi a lungo
termine, i secondi dei differenziali dei saggi a breve termine e dalle attese di
variazione futura dei cambi (movimenti speculativi). Se i saggi a lungo sono
funzione dei saggi a breve e se chiamiamo e˙ exp la variazione del cambio
atteso avremo che:
MK = f(i+, i*–, e˙ exp–) Va ricordato che se MK > 0 il debito estero del paese cresce.
Lezioni di politica economica
67
11.2.4 L’equilibrio della bilancia dei pagamenti
Dalla funzione di SC e di MK avremo che la bilancia dei pagamenti dipende
da una serie di fattori:
BP = f (P–, P*+, e+, Y–, Y*+, i+, i*–, e˙exp–) Avremo un equilibrio pieno quando:
BP = PC = MK = 0 Si può però avere un equilibrio complessivo della bilancia dei pagamenti,
come risultato della somma algebrica di due squilibri: per esempio del passivo
delle partite correnti e dell’attivo del movimento dei capitali o viceversa.
Nel caso in cui SC > 0 e MK < 0 si ha reflazione sul livello del reddito (perché
X è componente della domanda aggregata e M è sottrazione dal circuito del
reddito) e diminuzione dell’indebitamento estero. Per queste ragioni per molti
decenni (anni ’50-‘70) le economie occidentali perseguivano una politica per
conseguire tutte SC > 0, cosa che non era possibile. Questa politica si chiamava
“neo-mercantilista”.
Nel caso in cui sia SC < 0 e MK > 0 si hanno questi fenomeni a rovescio. Il
paese accumula debito estero, ma la sostenibilità del debito estero è soggetta
(mutatis mutandis) alla stessa legge della sostenibilità del debito interno. Questo
equilibrio parziale non può quindi essere mantenuto nel lungo periodo; il periodo
è tanto più lungo quanto più il paese e la sua valuta sono credibili (quindi può
essere molto più lungo per gli USA che per qualsiasi altro paese). Però SC < 0
comporta che S < I; ciò significa che il resto del mondo finanzia con il suo
risparmio il paese considerato. Se l’economia ha un boom di investimenti privati
(come l’economia americana degli anni ‘90) questo equilibrio può accompagnarsi
ad un elevato tasso di crescita del reddito.
L’equilibrio della Bilancia può essere automatico o richiedere delle politiche di
riequilibrio. Le politiche di riequilibrio passano attraverso le variazioni di cambi,
redditi e tassi di cambio.
11.3 Riequilibrio automatico
11.3.1 Riequilibrio automatico attraverso le variazioni indotte
del reddito
Qualora la curva di offerta aggregata non sia rigida, lo squilibrio del SC in
parte si autocorregge da solo, attraverso la variazione del reddito indotto.
Ipotizziamo uno shock delle esportazioni ∆X per aumento del reddito del
resto del mondo; ne seguirà che il reddito interno e il PIL cresceranno di ∆Y (che
sarà dato da ∆X per il moltiplicatore in mercato aperto, che è dato da 1/ s + m); di
questo maggior reddito la parte m verrà importata. Quindi avremo che in seguito
ad un aumento di ∆X non avremo un aumento di PC dello stesso importo, ma di
un importo minore, che sarà dato da:
∆PC = ∆X – m (∆X · 1/s+m) = ∆X · s/s+m 68
Ferdinando Targetti
Analogamente nel caso di una variazione esogena delle importazioni, non
avremo un peggioramento di PC dello stesso importo, ma di importo minore:
∆PC = – ∆ M · s/s+m In tutti e due i casi il riequilibrio ha luogo perché (s/s+m) < 1, ma è solo
parziale perché non è uguale a zero.
11.3.2 Riequilibrio attraverso la variazione del cambio
Ricordiamo che SC dipende, oltre che dal reddito interno ed estero, anche
dal differenziale di prezzi interni ed esteri e dal tasso di cambio. Se il
meccanismo precedente non opera – possiamo immaginare di essere in una
situazione di curva di offerta rigida – il riequilibrio può essere operato attraverso
una variazione dei prezzi interni rispetto a quelli esterni (che per ipotesi restano
costanti) o da una variazione del cambio.
A fronte di uno shock esogeno delle importazioni, che porta ad un
peggioramento di SC, si può analizzare un processo di riequilibrio che si articola
in modo diverso a seconda dei regimi di cambio considerati.
1)
Se siamo in regime di gold standard, il cambio è fisso rispetto all’oro,
però il peggioramento di SC porta ad un deflusso di oro e ad una
spontanea deflazione dei prezzi interni.
2)
Se siamo in regime di dollar standard, i prezzi sono rigidi verso il basso,
il cambio è fisso rispetto al dollaro, ma modificabile in relazione alla
detenzione di valuta di riserva. Un aumento delle importazioni porta le
autorità di politica economica a dover svalutare la moneta nazionale.
3)
Se siamo in regime di cambi flessibili, un aumento delle importazioni
significa maggior offerta di valuta nazionale e maggior domanda di valuta
straniera e questo porta ad uno spontaneo deprezzamento del cambio,
che è il prezzo in valuta estera della valuta nazionale.
In tutti e tre questi casi, sia che il riequilibrio sia spontaneo attraverso la
variazione del rapporto tra i livelli dei prezzi o attraverso la variazione del cambio
flessibile, sia che il riequilibrio avvenga in modo discrezionale attraverso la
variazione del cambio fisso, si pone la domanda “se c’è squilibrio della bilancia
delle PC una variazione del cambio o una variazione del rapporto tra livello dei
prezzi interni rispetto a quelli esterni tenderà a riequilibrare o a squilibrare
ulteriormente la bilancia?”. La risposta è che la variazione del cambio o dei
prezzi relativi avranno effetti riequilibratori solo se sono soddisfatte le condizioni
di Marshall-Lerner, dette anche delle “elasticità critiche”.
Prendiamo il caso di SC che peggiora per un aumento delle importazioni.
Immaginiamo che questo conduca ad un deprezzamento del cambio, cioè ad e
che aumenta. In seguito alla svalutazione si avranno maggiori quantità esportate
e minori quantità importate, ma non è detto che questo riduca il ricavo in dollari
del paese considerato. Infatti esso esporta volumi maggiori di beni nazionali, ma
ad un prezzo unitario in dollari più basso (della percentuale della svalutazione);
importa un volume di merci minore di prima a prezzi unitari in dollari uguali a
prima. Quindi abbiamo un esborso in dollari minore e un ricavo che può essere
maggiore, uguale o minore di prima. Se è molto minore la somma algebrica può
dare un minor ricavo netto in dollari. In tal caso SC peggiora.
Lezioni di politica economica
69
La svalutazione è efficace ad aumentare SC se la somma dell’elasticità delle
importazioni ηm più l’elasticità delle esportazioni ηx (moltiplicata per il rapporto
delle esportazioni – P · X – e delle importazioni in valuta nazionale – e · P* · M –
) è maggiore di uno. Se si parte dal pareggio di SC (e quindi se il rapporto è uno)
la formulazione delle elasticità critiche si riduce alla condizione di avere la
somma delle elasticità di importazioni e esportazioni maggiore di uno. La formula
generale è la seguente:
(P · X / e · P* · M) · η x + η m > 1 11.3.3 Elasticità variabile (curva a J) ed efficacia limitata
dall’inflazione
Da quanto esposto prima si può dire che la svalutazione è tanto più efficace
quanto più le elasticità sono elevate. Le elasticità tuttavia hanno valori diversi nel
tempo. In particolare nel breve periodo la curva di domanda di valuta estera
(importazioni) è rigida (i contratti sono stipulati spesso per forniture e per
prestazioni pluriennali) e anche la curva di offerta (esportazioni) è rigida, perché
gli acquirenti esteri impiegano tempo a rilevare l’abbassamento di prezzo nella
loro valuta delle merci del paese che ha svalutato. Quindi la svalutazione nel
breve periodo ha poca efficacia. Nel lungo periodo invece, quando la variazione
dei prezzi inducono variazione nelle quantità domandate e offerte, le curve
diventano più elastiche e la svalutazione produce effetti più rilevanti. Questo
effetto si chiama della curva a J.
Un esito opposto al precedente si ha quando al passare del tempo l’effetto
della svalutazione si affievolisce per il fenomeno cosiddetto del “pass-through”,
che si potrebbe chiamare dello “scaricamento”. Come si era detto parlando di
inflazione da costi (capitolo IX) è possibile che il deprezzamento di una moneta
conduca (se i salari sono indicizzati) ad una inflazione interna (tanto più rapida
quanto più elevato è il contenuto di importazioni per unità di prodotto) che nel
tempo fa svanire l’effetto della svalutazione. Si sta descrivendo una situazione
nella quale la svalutazione della moneta nazionale di x% conduce ad una
inflazione interna di x%; la combinazione dei due fenomeni lascia il cambio reale
uguale a quello vigente prima della svalutazione: non essendoci nessun
mutamento delle condizioni di competitività, esportazioni e importazioni restano
costanti.
70
Ferdinando Targetti
Capitolo 12 - Politica economica in
mercato aperto
12.1 Il modello di Mundell-Fleming in regime di cambi
fissi e di cambi flessibili
Il modello Mundell-Fleming è il primo, o quantomeno il più importante,
modello macroeconomico in economia aperta entro cui collocare le azioni di
politica monetaria e fiscale. Ne esistono due: a cambi fissi e a cambi flessibili.
Iniziamo con il primo.
12.1.1 Il modello con cambi fissi
Enucleiamo quattro mercati e quattro equazioni di equilibrio
macroeconomico: equilibrio reddito-spesa: ID; equilibrio monetario (uguaglianza
domanda e offerta di moneta esogena, L*): LL; equilibrio della bilancia dei
pagamenti (saldo zero della somma algebrica della bilancia delle partite correnti
più bilancia dei movimenti di capitale) dove le esportazioni, a cambi fissi, sono un
dato esogeno (X*) che dipende dal reddito del resto del mondo, le importazioni M
dipendono dal reddito interno e i movimenti di capitale K dal differenziale tra il
saggio di interesse interno e quello esogeno (e per ipotesi fisso) del resto del
mondo: BP; equilibrio sul mercato del lavoro, offerta esogena N* uguale alla
domanda che è funzione lineare e diretta del livello di reddito: NN. I quattro
equilibri sono rappresentati dalle seguenti equazioni.
ID: Y = d (Y, i) + X* LL: L*= l (Y, i) + K (i) BP: 0 = X* – M (Y) + K (i) NN: N = n Y La curva BP divide il piano in due aree: a sinistra BP>0, a destra BP<0. Si
noti che se l’offerta di moneta è data a livello L* significa che la Banca Centrale
sterilizza l’offerta di moneta creata dall’estero (BP>0 crea offerta di moneta;
BP<0 la distrugge).
Le quattro equazioni sono rappresentabili come quattro curve sul piano (i/Y).
L’equilibrio su tutti e quattro i mercati contemporaneamente e contestualmente è
un fatto casuale. Ci possono essere equilibri a due a due. L’equilibrio ID-LL nel
punto A e tre equilibri di BP con LL, ID e NN, rispettivamente in B, C, E.
La politica economica deve operare quando gli equilibri non sono
casualmente tutti raggiunti spontaneamente dal mercato. Essa quindi si può dire
che si ponga due obiettivi (qualora il mercato non li raggiunga spontaneamente):
piena occupazione (a sinistra della NN c’è sottoccupazione) e equilibrio di
bilancia dei pagamenti (a destra della BP c’è disavanzo).
Lezioni di politica economica
71
Se A è a sinistra di BP e a sinistra di NN, i due obiettivi sono facilmente
perseguiti sia con lo strumento monetario, sia di bilancio (o una loro
combinazione) che operino entrambi in direzione espansiva. Con tale politica si
passa dall’equilibrio A ad E.
i NN BP A E LL LL’ ID’
C
ID
Y Se invece A si trova a destra di BP gli obiettivi sono conflittuali. In tal caso ci
vuole un abbinamento “ottimo” per passare da A ad E. L’ottimo abbinamento
prevede una politica fiscale espansiva che sposti a destra ID (ad ID’) e una
politica monetaria restrittiva che sposti a sinistra LL (a LL’). In tal caso il nuovo
equilibrio si trova come risultato dello spostamento di queste due curve nel
senso indicato e dello spostamento lungo la curva BP. Se l’abbinamento fosse
l’opposto ci si allontanerebbe dall’equilibrio anziché avvicinarvisi (come si
potrebbe vedere sul grafico se ID’ fosse a sinistra di ID e LL’ fosse a destra di
LL).
i NN BP
E
ID’
LL’ A LL ID Y La ragione del risultato (e il motivo per cui questo abbinamento si definisce
ottimo) è che si attribuisce ad ogni strumento l’obiettivo per il quale è più efficace.
La politica monetaria è più efficace per l’equilibrio esterno perché i movimenti di
capitale hanno un’elasticità (in positivo) al saggio dell’interesse maggiore di
quanto non ce l’abbiano gli investimenti (in negativo).
Il limite del modello è che esso è statico. Infatti nel breve periodo il disavanzo
della bilancia commerciale può essere compensato dall’avanzo dei movimenti di
capitale e avere un equilibrio esterno complessivo. Ma non nel lungo periodo per
72
Ferdinando Targetti
il fatto che il ripetersi nel tempo di tale situazione porta ad un crescente
indebitamento del paese. Se questo porta ad una insostenibilità del debito
esterno rispetto al PIL, secondo la stessa matematica del debito interno (vedasi
capitolo VII) crescerà il differenziale degli interessi per compensare il rischio di
insolvenza o di deprezzamento della moneta (i cambi sono fissi finché le autorità
di politica economica riescono a mantenerli tali) e questo peggiorerà la
situazione debitoria secondo la stessa logica descritta per l’insostenibilità del
debito interno (in questo caso l’avanzo primario è dato dall’avanzo delle partite
correnti comprensive degli interessi).
12.1.2 Il modello nel caso di cambi flessibili
Consideriamo ora il caso di cambi flessibili e valutiamo l’efficacia relativa delle
politiche monetarie e di bilancio in questo contesto. Nel caso di cambi flessibili la
politica monetaria è sempre efficace. La politica fiscale può invece avere una
certa rilevanza solo se i movimenti di capitali non sono perfetti. Nel caso di
movimenti di capitali non perfetti la curva BP è molto elastica, nel caso di
movimenti di capitale perfetti la curva è infinitamente elastica (piatta), perché il
saggio dell’interesse interno ed esterno è unico e la politica monetaria non può
alterarlo.
Caso 1
Cambi flessibili, movimenti di capitale non perfetti e politica di bilancio.
L’equilibrio di partenza è in A alla sinistra di NN, la politica di bilancio espansiva
sposta ID a destra a ID’, il nuovo equilibrio si trova in B; questo aumenta i saggi
di interesse interni che fanno affluire capitali e rivalutare il cambio, ma la
rivalutazione riduce le esportazioni e quindi la domanda aggregata e quindi la ID’
si sposta a sinistra a ID’’; il nuovo punto di equilibrio si trova in E dove anche la
curva BP si è spostata a sinistra a causa della riduzione delle esportazioni. In
questo caso si può dire che, anche se l’occupazione e il reddito crescono, la
spesa pubblica ha spiazzato le esportazioni attraverso la rivalutazione del
cambio. Questa è stata la politica economica seguita dagli Stati Uniti negli anni
1980-85. Negli anni ’90 la situazione è analoga, ma lo spostamento della ID fu
causato non dalla politica di bilancio, ma dal boom degli investimenti privati nella
“new economy”.
i
NN ID’
LL ID’’
ID B
E BP’ BP A Y Lezioni di politica economica
73
Caso 2
Idem come sopra solo che anziché una politica di bilancio si considera una
politica monetaria. Essa comporta uno spostamento a destra della LL a LL’,
una riduzione dei saggi di interesse, una svalutazione del cambio, un aumento
delle esportazioni e quindi uno spostamento a destra della BP a BP’ e a destra
della ID a ID’ (in entrambi i casi per effetto di un aumento di X). Nel nuovo punto
di equilibrio E il reddito è maggiore che in A, ma il cambio si è svalutato.
L’esempio di questa politica è offerto dal caso italiano negli anni ’70 (nel modello
i prezzi sono dati, nella realtà italiana invece si produsse una spirale svalutazione
inflazione della quale abbiamo già parlato nel capitolo IX).
i ID’
LL LL’ ID BP BP’ A E Y Caso 3
Politiche monetarie e fiscali con perfetti movimenti di capitale. In queste
circostanze solo la politica monetaria ha effetto. La politica fiscale non ha effetto
a motivo di un totale piazzamento operato ai danni delle esportazioni. Infatti se
dall’equilibrio in A si attua una politica di bilancio espansiva l’economia tende a
spostarsi in B, ma come i saggi di interesse tendono a crescere rispetto a quelli
del resto del mondo si verifica un tale apprezzamento del cambio e una tale
caduta delle esportazioni che ID si sposta nuovamente a sinistra finché ID’’ = ID.
La politica monetaria invece è efficace nello spostare l’equilibrio da A ad E.
i ID’
LL LL’ ID=ID’’ B
A E BP Y 74
Ferdinando Targetti
12.1.3 I limiti del modello
1)
Il modello ipotizza prezzi fissi. Sappiamo invece (capitolo IX) che,
soprattutto in presenza di svalutazioni del cambio, questa è un’ipotesi
eroica e sappiamo anche (capitolo XI) che l’inflazione può rendere nullo
l’effetto positivo della svalutazione sull’equilibrio della bilancia dei
pagamenti. Tanto più una politica monetaria espansiva in cambi flessibili e
una politica di bilancio espansiva in cambi fissi determina shock
inflazionistici che si trasformano in inflazione e tanto più le conclusioni del
modello sono deboli.
2)
Il modello è statico ed è per questo che l’equilibrio complessivo della BP
non implica l’equilibrio pieno delle due bilance: di parte corrente e di
movimenti di capitali. Nel tempo il cumularsi di deficit di parte corrente
finanziato con afflusso di capitali (flussi) può determinare una crescita di
debito estero (stock) che se è superiore alla crescita del reddito può
determinare problemi di instabilità che si ripercuotono sull’equilibrio di
flusso medesimo. Quindi nel lungo periodo i movimenti di capitale non
possono compensare stabilmente il disavanzo di parte corrente. Tuttavia
quando un’economia è grande come quella americana questo squilibrio
può durare molti anni.
3)
I movimenti di capitale sono determinati oltre che dal differenziale di
interessi anche dalle aspettative sulla variazione dei cambi. Queste non
sono considerate (modello statico).
12.2 L’approccio monetario alla bilancia dei pagamenti
La politica monetaria in mercato aperto è anche analizzata dalla scuola
monetarista. Nel modello la dinamica dei prezzi che era assente dai modelli
Mundell-Fleming gioca un ruolo importante, ma a scapito di molte altre condizioni
che diventano irrealistiche.
La prima ipotesi è che le economie si trovino sempre in piena occupazione
(Y*). Abbiamo già detto di questa ipotesi pre-analitica della scuola monetarista
nel capitolo IX. Da questo deriva la prima equazione.
La seconda ipotesi è che valga la teoria quantitativa della moneta, che quindi
la domanda di moneta non dipenda dal saggio dell’interesse e che quindi la
velocità di circolazione (e il parametro k che è il suo inverso) sia costante. Da
questo derivano la seconda e la terza equazione. La seconda afferma che
l’eccesso di offerta di moneta (Le) è dato dalla differenza tra l’offerta di moneta
(Ls) e la domanda di moneta a solo scopo di transazioni. La terza che l’eccesso
di offerta di moneta determina una variazione delle riserve valutarie R in senso
opposto.
La terza ipotesi è che non esistono titoli. Tutti sappiamo che il valore degli
scambi internazionali è di molte volte maggiore di quello delle merci e quindi
ipotizzare che l’equilibrio della bilancia dei pagamenti sia conseguito a
prescindere da ciò che succede sul mercato dei titoli è oltremodo riduttivo della
realtà. La quarta ipotesi è che, a motivo dell’arbitraggio sui prezzi, deve valere la
teoria della parità dei poteri d’acquisto (detta la teoria della ppp) e che quindi il
Lezioni di politica economica
75
tasso di cambio nominale (e) sia determinato dal rapporto tra il livello dei prezzi
interni (P) ed esterni (P*). Da queste due ipotesi deriva la quarta equazione.
Sotto tali ipotesi il modello è dato dal sistema seguente.
Y = Y* ∆ Le = Ls – k · P ·Y ∆ R = – ∆ Le P = e · P* Il sistema ci consente di valutare la politica monetaria in mercato aperto a
seconda del regime di cambio vigente.
Se la politica monetaria è esageratamente espansiva, inserendo la prima
equazione nella seconda, osserviamo che se l’offerta di moneta cresce più di k ·
P · Y* le conseguenze sono che ∆Le diventa positivo. Gli effetti saranno diversi a
seconda del regime di cambio.
In regime di cambi fissi la terza equazione ci dice che le riserve del paese
verranno ridotte dello stesso ammontare dell’eccesso di offerta di moneta (e
quindi dopo un po’ di tempo il cambio non potrà restare fisso). In regime di cambi
flessibili (e quindi senza riserve) quella politica agisce sul livello dei prezzi interni
P; poiché P* è dato e fisso quella politica determinerà un aumento di e nella
quarta equazione (quella della ppp). La politica monetaria espansiva ha condotto
ad un deprezzamento del cambio.
Una versione “debole” della ppp afferma che nel lungo periodo le variazioni
dei cambi riflettono i differenziali di inflazione.
12.2.1 Limiti di validità della teoria della parità dei poteri di
acquisto
Siccome si è visto quale ruolo importante gioca l’accettazione della teoria
della ppp nell’approccio monetario della bilancia dei pagamenti ricordiamo quali
sono i limiti di questa teoria.
76
1)
Essa ha valore tanto minore quanto più la si vuole come fattore
esplicativo dei cambi di paesi nei quali gran parte del PIL è prodotto per
autoconsumo ed è scambiato fuori dal mercato.
2)
Essa ha valore tanto minore quanto maggiore è la proporzione del PIL
composta da beni “not tradeable”.
3)
Essa ha valore tanto minore quanto più è possibile che il cambio non
aggiusti la bilancia commerciale (non validità delle condizioni di MarshallLerner).
4)
Essa ha valore tanto minore quanto più il cambio è determinato da
domanda e offerta di valuta estera per motivi finanziari e tanto meno
determinata dalla bilancia delle partite correnti. Infatti i movimenti di
capitale a breve termine possono essere determinati da motivi speculativi,
come la previsione dell’apprezzamento o deprezzamento del cambio, che
non si basano sui fondamentali (bilancia commerciale). E questo
“squilibrio” può durare anni.
Ferdinando Targetti
Capitolo 13 - Un nuovo decennio
13.1 Gli anni ’90 uno sguardo di insieme
Le quattro aree del mondo ad alto reddito o ad alta crescita sono: Nord
America, Unione Europea, Nic asiatici tra cui la Cina, Giappone. L’economia di
quest’ultimo è in recessione di lunga durata. L’economia dei Nic segue un
modello di crescita tirata dalle esportazioni e bassi salari. L’Unione Europea ha il
suo motore nell’economia della Germania; la Germania cresce negli anni ‘90
(meno di prima) continuando a basarsi sul suo modello tradizionale di
esportazioni di beni ad alto costo del lavoro ed elevata tecnologia, ma è
appesantita dalla riunificazione delle aree dell’Est. Inoltre l’Unione Europea
adotta una politica di rigore delle finanze pubbliche, una strada politicamente
necessaria per l’unificazione monetaria, necessaria premessa ad una
unificazione politica. Gli Stati Uniti svolgono il ruolo di locomotiva dell’area
OCSE.
13.2 Il modello americano degli anni ’90
Il modello dominante negli anni ’90 è stato quello prevalente nel Nord
America, che è stata l’area OCSE che è cresciuta più rapidamente e senza
inflazione. Il modello che si è sviluppato negli Stati Uniti è stato caratterizzato dai
seguenti fatti stilizzati.
a) Crescita e ciclo. La crescita economica negli Stati Uniti, crescita del
reddito complessivo e del reddito per addetto, si manifesta per un
decennio a tassi mai sperimentati nel secondo dopoguerra e senza
fasi cicliche di recessione (l’ultima si era registrata nel 1992-93).
b) Investimenti. Questa crescita è stata tirata dagli investimenti. Poiché
la propensione al risparmio delle famiglie è prossima a zero e i profitti
trattenuti non sono stati macroeconomicamente sufficienti si è
determinato uno stabile disavanzo della bilancia commerciale (e un
crescente indebitamento estero). Il risparmio del resto del mondo
finanziava gli investimenti americani. I capitali fluivano negli Stati Uniti
in previsione di guadagni di Borsa e di guadagni di cambio offerti da
un dollaro in ascesa stabile in termini delle altre principali valute.
c) New economy. La crescita senza ciclo non è frutto di innovazione
nelle politiche di stabilizzazione macroeconomiche, ma è frutto della
crescita elevata e stabile della produttività che derivava dall’affermarsi
della “new economy”.
d) Produttività. Le modalità del progresso tecnico hanno significato un
declino della produzione manifatturiera dei settori fordisti e un declino
del contributo alla dinamica della produttività offerto dal
conseguimento di economie di scala in grandi imprese.
e) Sindacalizzazione. La new economy determina rapide innovazioni e
rapide obsolescenze dei fattori e si sviluppa in contesti nei quali è
Lezioni di politica economica
77
presente una grande flessibilità dei fattori, in particolare del lavoro.
Questo comporta un declino della forza lavoro sindacalizzata.
f) Lavori qualificati e non. La tipologia del progresso tecnico, oltre
all’affermarsi sulla scena internazionale di nuovi paesi industrializzati
che basano la loro crescita su modelli tirati dalle esportazioni e su
bassi salari ha ampliato il divario negli Stati Uniti e in Europa tra il
reddito dei lavoratori qualificati e non qualificati.
g) Modello di impresa. La public company con autoregolamentazione
del mercato per la soluzione dei problemi di agenzia (società di
revisione e di rating controllano il management) emerge come il
modello di impresa dominante. Si amplia il divario all’interno dei redditi
da lavoro (tra manager e altri dipendenti).
h) Distribuzione del reddito. I precedenti punti e. f. g. determinano un
duplice squilibrio distributivo: nella redistribuzione del reddito dai salari
ai profitti (distribuzione funzionale), e a favore dei decili più alti della
popolazione (distribuzione personale) con un aumento dell’indice di
Gini.
i) La Borsa. La Borsa assume un ruolo crescente nella logica del
modello. Da un lato come strumento di finanziamento degli
investimenti (in Europa il declino dei modelli tedesco e giapponese di
economie bancarizzate è limitato dal fatto che le banche sono gli
intermediari per collocare le aziende in Borsa). Dall’altro i consumi
delle famiglie dipendono meno dal reddito da lavoro e di più dai
guadagni in conto capitale ottenuti in Borsa.
j) La politica monetaria. La politica monetaria americana è disegnata
per sorreggere questo modello al cui cuore sta il conseguimento
stabile di guadagni di Borsa (soprattutto nel nuovo mercato) che
determinano sia elevati consumi oggi, sia aspettative di capital gain
domani.
k) Il ruolo dello Stato. Si impone la teoria che la crescita richieda uno
stato leggero:
i) sul terreno delle regole (vedi punto g);
ii) sul terreno delle politiche redistributive pubbliche – minori diritti
offerti dallo stato sociale;
iii) sul terreno fiscale. La politica fiscale è orientata nella direzione
della “supply side economics”, cioè poche tasse e poco stato
sociale, il benessere è garantito dalla crescita economica.
L’imitazione di questo modello in Europa implica grandi difficoltà al modello
socialdemocratico europeo e una necessità di ridisegnarlo (Blairismo, terza via,
eccetera).
78
Ferdinando Targetti
13.3 La lunga fase congiunturale di stagnazione e gli
squilibri ereditati
Dal 2000 però il modello americano prima descritto si incrina. La causa
principale di crisi risiede nell’esplosione della “bolla speculativa” del nuovo
mercato al cui fondamento stava un eccesso di investimenti e di aumento della
capacità produttiva. Passata questa fase ciclica sorgono dei dubbi sulla
possibilità che il modello di crescita possa essere ancora quello precedente. I
tratti salienti di questa fase ciclica e dei nodi irrisolti sono i seguenti.
a) Il riemergere del ciclo. La crisi attuale che oggi (giugno 2003) ha
superato i due anni è più lunga di quella precedente (1992-93) che
durò un anno e mezzo. Rispetto ad allora emerge un mutamento
sistematico nello “stato di fiducia” che influenza le economie mondo.
b) L’economia americana si presenta con deficit e debito esterno di
dimensioni mai prima conosciute.
c) Al deficit esterno si accompagna ora anche un deficit interno. Negli
anni ’90 l’Amministrazione Clinton portò il budget federale in attivo.
L’amministrazione Bush ha varato una politica di taglio delle imposte
che, oltre ad un aumento della spesa di difesa, ha portato in
consistente disavanzo il deficit federale.
d) Se (S-I)<0 e anche (T-G)<0, non potrà che essere (X-M)<0.
e) Questo produce due effetti su saggi di interesse e sul cambio che
rendono instabile il quadro. È possibile che i saggi di interesse di lungo
periodo debbano crescere per far affluire capitali che compensino i
due gap tra risparmio e investimento e tra imposte e spesa. Ma nello
stesso tempo la politica monetaria della Fed è espansiva (i saggi a
breve sono al livello più basso dagli anni ‘30) per tenere alti i valori di
Borsa, il mercato immobiliare e le vendite a rate e quindi i consumi,
necessari al modello di crescita americano.
f) Circa la politica monetaria va detto che i segni di deflazione dei prezzi
sono i più severi dal dopoguerra. Con saggi di crescita dei prezzi
tendenziali (al netto di energia e cibo) poco sopra all’1% e vicini a zero
mese su mese (questo vale gli Usa e anche per l’UE e per il Giappone
i cui prezzi cadono dal 1995) i segnali di una vera e propria deflazione
(come non si registrava dagli anni ‘30) ci sono tutti. E si sa che con
prezzi decrescenti e saggi nominali di interesse anche prossimi a zero
(in USA sono a 1,25% e in EU a 2,5%) i saggi di interesse reali sono
positivi e tendono ceteris paribus a frenare la ripresa.
g) Il secondo “effetto incertezza” si manifesta sui cambi. Il dollaro si è
recentemente deprezzato rispetto all’Euro. Le aspettative in tal senso,
alimentate dal doppio deficit esterno, determineranno un possibile
stabile deprezzamento del dollaro. Negli ultimi 20 anni (non prima)
c’era un sostanziale assenso che una forte crescita (esogena)
conduceva a forte cambio (indotto) per l’afflusso di capitali che la
prima generava. Oggi si rischia di tornare a situazioni di svalutazioni
competitive e l’Europa ha la valuta forte (esogena) che induce una
Lezioni di politica economica
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bassa crescita dell’economia (indotta). Un dollaro debole esporta
deflazione in Europa.
h) Oltre all’incertezza dovuta alla posizione debitoria degli Stati Uniti ne
va considerata una ulteriore. Malgrado la discesa da tre anni dei corsi
azionari di tutte le Borse i price-earnings sono ancora alti (perché la
speculazione li aveva portati a livelli altissimi) e questo inibisce una
ripresa tirata dalla Borsa.
i) Inoltre il crollo di Borsa ha incrinato la fiducia nel sistema retributivo dei
manager basato sulle stock option e la fiducia nel sistema di controllori
(società di revisione) pagati dai controllati (i manager) oltre ad aver
messo in crisi il sistema privatistico dei fondi pensione aziendali. La
legittimità del sistema che si basava sulla moralità di impresa è
scossa.
j) I redditi delle famiglie americane tornano ad essere prevalentemente
quelli da lavoro, essendo venuto meno il contributo dei guadagni di
Borsa. Un aumento della propensione al consumo per far fronte a una
situazione ciclica di quasi stagnazione si scontra con un’esigenza
opposta di crescita equilibrata che richiede un innalzamento della
propensione al risparmio che è vicina allo zero. Dal punto di vista
sociale emerge il problema dei lavoratori che a causa di redditi da
lavoro molto bassi si trovano sotto la soglia della povertà (una volta i
poveri erano solo i disoccupati).
k) Lo Stato, come si è detto, torna ad essere meno leggero dal punto di
vista del bilancio pubblico, ma l’effetto redistributivo di una riforma che
riduce le imposte ai maggiori percettori di reddito è sensibile
(Krugman).
13.4 La situazione dell’Europa
L’ Europa ha problemi di bassa crescita potenziale e di ciclo. I primi si
affrontano con politiche strutturali e agenda di Lisbona i secondi con una politica
della domanda che langue e che richiede nuovi istituti e la riforma del Patto di
stabilità.
a) L’apprezzamento subito del cambio mette in crisi il motore europeo
che è la Germania che ha un’economia tirata dalle esportazioni.
b) La politica monetaria della BCE è bloccata dai timori inflazionistici
anche quando si è in deflazione (Fitoussi). Da uno studio del FMI si
deduce che il target anti-inflazionistico delle Banche Centrali dovrebbe
essere sopra il 2%; il target della BCE è del 2% come limite massimo
quando forse dovrebbe essere il doppio. Questo avrà un effetto ancor
più deflazionistico quando entreranno i nuovi paesi che dovendo
correre e fare catching up dei i più ricchi e avranno un po’ più di
inflazione. A quel punto l’inflazione media sarà un po’ più alta di ora e
la BCE ancora più restrittiva di ora. Però la politica monetaria da sola
non basta soprattutto in situazione di recessione.
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Ferdinando Targetti
c) La politica fiscale non dà segni di vitalità. Da un lato c’è il problema dei
diffusi disavanzi pensionistici a fronte di un debole saldo demografico
che induce a cautela. Tuttavia credo che questo non debba impedire
un’azione più decisa sul fronte della politica di bilancio europea. Va
riformato il “Patto di stabilità”, ma va mantenuto.
d) Va mantenuto. Elevati sono i rischi che venga smantellato poco a
poco: deroghe, rifiuto di applicazione delle regole, arbitrio nelle voci da
scorporare eccetera. Tutto questo porta alla fine della credibilità del
Patto che non ha solo effetti economici (aumento dei saggi di
interesse soprattutto sui titoli dei paesi più indebitati), ma anche crisi
del patto di costruzione europea (i paesi cominciano a non fidarsi l’uno
dell’altro).
e) Va riformato. Innanzitutto il pareggio di bilancio deve essere corretto
dal ciclo.
f) Poi investimenti in infrastrutture e reti e ricerca dovrebbero essere
tenuti fuori dai parametri di cui il Patto impone il rispetto.
g) Il tutto può essere finanziato da titoli emessi dalla UE. Questo richiede
modifiche del bilancio della UE che abbia finalità sia di offerta di beni
pubblici sia del bene pubblico “politica anticiclica”.
h) Questo richiede una maggior coordinamento delle politiche di prelievo
(soprattutto sulle basi imponibili).
i) A questo va aggiunto il mantenimento di percorsi di rientro pei paesi
più indebitati e forse anche dei tetti di incremento di spese.
Lezioni di politica economica
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Indice
Capitolo 1 - Fallimenti del mercato e politica economica............................................1
1.1
Stato e mercato .................................................................................................. 1
1.2
Primo caso di politica economica: equità .......................................................... 1
1.3
Secondo caso di politica economica: efficienza e fallimenti microeconomici
del mercato......................................................................................................... 2
1.4
Monopolio ........................................................................................................... 3
1.5
Esternalità........................................................................................................... 5
1.6
Beni pubblici ....................................................................................................... 7
1.7
Incompletezza e incertezza ............................................................................... 7
Capitolo 2 - Fallimenti macroeconomici e obiettivi di politica economica ...................8
2.1
Premessa di contabilità nazionale ..................................................................... 8
2.2
Fallimenti macroeconomici. ............................................................................... 9
2.3
Crescita e ciclo ................................................................................................. 10
2.4
Inflazione .......................................................................................................... 12
2.5
Inflazione / deflazione....................................................................................... 14
2.6
Disoccupazione................................................................................................ 15
Capitolo 3 - Il ciclo economico e la politica economica.............................................19
3.1
Premessa ......................................................................................................... 19
3.2
Effetti delle fluttuazioni...................................................................................... 20
3.3
Propagazione internazionale dei cicli .............................................................. 21
3.4
Ciclo e crescita nel modello keynesiano di Harrod- Domar............................ 22
Capitolo 4 - La IS-LM e la politica economica ..........................................................25
4.1
La IS-LM e l’equilibrio generale macroeconomico.......................................... 25
4.2
Le politiche economiche keynesiane............................................................... 28
4.3
“Fine tuning” ..................................................................................................... 30
4.4
Conclusioni. ...................................................................................................... 30
Capitolo 5 - Il settore pubblico e la politica di bilancio ..............................................32
5.1
Equilibrio macroeconomico con il settore pubblico......................................... 32
5.2
Il bilancio pubblico ............................................................................................ 32
5.3
Il finanziamento del bilancio pubblico .............................................................. 33
5.4
Approfondimenti sulla politica di bilancio......................................................... 34
Capitolo 6 - Il finanziamento della spesa pubblica: modalità, effetti sul reddito e
spiazzamento ........................................................................................37
6.1
82
Effetto di una variazione della spesa pubblica sull’economia......................... 37
Ferdinando Targetti
6.2
Finanziamento della spesa pubblica ............................................................... 37
6.3
Lo spiazzamento: conclusione ........................................................................ 40
Capitolo 7 - Sostenibilità del debito pubblico ........................................................... 41
7.1
Il rapporto debito/PIL in Italia ........................................................................... 41
7.2
La formula della sostenibilità dinamica............................................................ 41
7.3
La politica che fu adottata dal governo italiano ............................................... 43
7.4
La regola aurea della finanza pubblica e la tesi del bilancio ciclico in pareggio
.......................................................................................................................... 44
Capitolo 8 - Approfondimenti di politica monetaria................................................... 45
8.1
Definizione di moneta e di base monetaria..................................................... 45
8.2
Offerta di moneta, moltiplicatore bancario e piramide del credito .................. 46
8.3
Equilibrio sul mercato monetario ..................................................................... 47
8.4
Strumenti di controllo monetario da parte della Banca Centrale.................... 47
Capitolo 9 - Teorie dell’inflazione e politiche antinflazionistiche .............................. 50
9.1
Inflazione da domanda keynesiana................................................................. 50
9.2
Inflazione da costi, il conflitto distributivo e la politica dei redditi..................... 52
9.3
L’inflazione e il monetarismo............................................................................ 56
9.4
La politica economica dopo il dibattito Keynesiani-monetaristi ...................... 59
Capitolo 10 - Il trade-off inflazione-disoccupazione ................................................. 61
10.1 La curva di Phillips e il dibattito........................................................................ 61
10.2 La politica neo-corporativa............................................................................... 62
10.3 La curva di Phillips aumentata dalle aspettative ............................................. 62
10.4 La critica monetarista alla curva di Phillips...................................................... 63
10.5 Il ciclo elettorale e il ciclo politico...................................................................... 65
Capitolo 11 - Cambi e bilancia dei pagamenti.......................................................... 66
11.1 I cambi .............................................................................................................. 66
11.2 La bilancia dei pagamenti ................................................................................ 67
11.3 Riequilibrio automatico..................................................................................... 68
Capitolo 12 - Politica economica in mercato aperto................................................. 71
12.1 Il modello di Mundell-Fleming in regime di cambi fissi e di cambi flessibili .... 71
12.2 L’approccio monetario alla bilancia dei pagamenti ......................................... 75
Capitolo 13 - Un nuovo decennio............................................................................. 77
13.1 Gli anni ’90 uno sguardo di insieme ................................................................ 77
13.2 Il modello americano degli anni ’90 ................................................................. 77
13.3 La lunga fase congiunturale di stagnazione e gli squilibri ereditati................. 79
13.4 La situazione dell’Europa................................................................................. 80
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