Autostop rosso sangue

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Autostop rosso sangue
Recensioni cinema e film | Persinsala.it
Gianni
Barchiesi
3 maggio 2011
Si chiude la programmazione della Cineteca Nazionale presso il
cinema dei Piccoli di Roma con la proiezione del film di Pasquale
Festa Campanile Autostop rosso sangue, datato 1977,
nell’ambito della sezione Generi(camente) Cult, sezione
dedicata al cinema italiano di genere.
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Autostop rosso sangue è la storia dei due giovani – e costantemente in
litigio – coniugi Mancini (Walter e Eve, interpretati da Franco Nero e
Corinne Cléry) che, in viaggio per la California, decidono di dare un
passaggio a un uomo incontrato a bordo della strada (David Hess).
Quest’ultimo, di nome Adam, si rivelerà essere un ladro pericoloso,
psicopatico e assassino, che dirotterà la coppia in un infernale viaggio
verso il confine messicano, lasciando dietro di sé morte, dolore e violenza,
verso un terribile quanto inaspettato epilogo.
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Campanile, nel girare questo lungometraggio, si spostò dalla sua
produzione abituale – riconducibile, con discreta certezza, alla cosiddetta
commedia all’italiana e alla satira sociale e di costume – al thriller, con una
marcata tendenza all’indagine psicologica dei personaggi e con qualche
venatura orrorifica. Un mix che suona, non erroneamente, come cinema di
genere e che, in quanto tale, è oggetto costante di riletture e di
rivalutazioni, spesso e volentieri di marca positiva: e infatti la fortuna di
questo film – a lungo trascurato – è in rapida ascesa grazie alla coda lunga
di internet e anche alla distribuzione estera (caso curioso, ma non troppo,
per certe sezioni del nostro cinema). Sul carro del vincitore – che riesuma
tutta una serie di film degli anni ’70 e ’80 caduti nel dimenticatoio – c’è
spazio anche per questa sorta di pecora nera della produzione
campaniliana.
Ma fuori da ogni logica temporale, di allora e di ora, che film è Autostop
rosso sangue? È un film ben fatto? In sostanza sì, lo è. Lo è perché ha
una sceneggiatura semplice, lineare: senza virtuosismi ma senza neanche
troppe sbavature (ma con forse qualche momento di vuoto in più del
necessario). Lo è perché non si avvale della fotografia e della musica in
maniera anonima, ma gioca con la luce per creare le atmosfere adatte nei
momenti di pathos maggiore (soprattutto notturni e dal taglio erotico) e
usa la colonna sonora di Morricone con intelligenza, amalgamandone le
linee espressive con la narrazione visiva. È un film ben fatto, anche e
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soprattutto, perché utilizza un registro espressivo corretto, fluido, mai
noioso (in sé e per sé): è un’opera cinematografica, se vogliamo, da
manuale – ossia figlia di un approccio scientifico alla regia. Anche la
recitazione, per quanto non poche volte sopra le righe, è additabile come
scolastica, perché è oltre laddove anche i personaggi e la storia stessa
sono oltre.
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Non possiamo oggettivamente dire che si tratti di un film mal fatto, anche
se non perfetto (nel senso di “al meglio delle sue possibilità”), non
mancano momenti anche interessanti, seppure alternati ad altri di bassa
resa. Alti e bassi narrativi, competenza e diligenza tecnica: sicuramente è
un film da non abbandonare in cantina, ma questo lo rende oggi di degna
nota? Perché nonostante la forte componente accademica – che fa quasi
pensare, come molti altri film del suo tempo, ad un esercizio di stile
senz’anima -, Campanile decide di scavare un po’ nel suo testo,
nonostante la già citata semplicità di fondo dello stesso. E la recitazione
degli attori lo aiuta a rendere bene dei “tipi” sullo schermo, in maniera
efficace e funzionale alla diegesi: ma questo, quanto contribuisce alla
causa di Autostop rosso sangue? Perché a fine visione il senso che ci
gira in testa è quello di aver assistito a qualcosa di buffo, di macchinoso, di
finto, di scioccamente ambizioso? Perché questo film di Campanile,
nonostante abbia obiettivamente dei pregi, non ci ha catturato? È forse
perché datato? Questa questione è annosa e – ammettiamolo – sempre
abbastanza idiota: ci sono opere d’arte (di ogni tipo d’arte) ben meno
recenti e tuttavia molto più impressionanti. La vecchiaia non è un
problema, non di per sé. Però quando qualcosa – come nel caso di
Autostop rosso sangue – a quasi quarant’anni dalla sua uscita in sala
perde gran parte di quello che doveva essere il suo smalto e finisce col
divertire e far ridere – piuttosto che turbare e chiamare in causa il senso
critico dello spettatore, provocato con l’estremo (ed è il palese intento del
film) -, si capisce allora che una parte dell’opera deve essersi smarrita nel
tempo. E riesumare la pizza del film, restaurarla, non riporterà in vita ciò
che ormai se ne è andato.
Autostop rosso sangue è un’opera limitata al suo tempo, tempo nel
quale è probabilmente morta poco dopo essere nata – una sorta di tema di
ginnasio, magari (anzi sicuramente) curato ed appassionato, ma destinato
a sfiorire e svilire col naturale passare del suo momento. E quel che ne
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resta – oltre a un nostro possibile sincero moto di amarcord e, perché no,
anche una nuova divertita (e divertente) modalità di fruizione all’insegna
della risata e dello scherno – è la scolasticità, lo scheletro: la struttura che
da sola non sostiene quanto ci poteva essere in più e che fa trasparire
necessariamente solo un’espressione inevitabile di mediocrità. Purtroppo
di questo film non ci è, in realtà, rimasto nulla e una nuova vita è per lui
possibile, ma non è chiaramente la sua.
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Perché, dunque, cantarne oggi forzatamente le lodi?
Cineteca Nazionale – Cinema dei piccoli
Roma, viale della Pineta, 15 tel. 06 8553485
Sito web: Fondazione Csc
Titolo: Autostop rosso sangue
Regista: Pasquale Festa Campanile
Attori principali: Franco Nero, Corinne Cléry, David Hess
Genere: Thriller
Durata: 104’
Sceneggiatura: Aldo Crudo (dal romanzo “La violenza e il furore” di
Peter Kane)
Fotografia: Franco Di Giacomo
Montaggio: Antonio Siciliano
Musiche: Ennio Morricone
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