Quattro ragazzi e un libro

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Quattro ragazzi e un libro
Quattro ragazzi e un libro
Nevicava molto, il vento era impetuoso, non ci dava tregua.
Camminavamo tra le strette vie di Trieste. Alla nostra destra scorrevano velocemente le vetrine. Il
tempo non ci permetteva di rimanere un solo attimo in più in strada. Ci guardammo intorno e ad un
tratto ci trovammo davanti ad un possente portone dalle maniglie dorate con su scritto “biblioteca”.
Entrammo, così in qualche modo potevamo stare caldi, senza bagnarci, anche perché non avevamo
un ombrello, eravamo usciti da casa sprovvisti.
La cosa che più ci colpì fu la marea di libri: eravamo completamente circondati da libri, all’interno
riecheggiava la quiete, la concentrazione nella lettura di chi la frequenta, le migliaia di volumi che
occhieggiavano dagli scaffali e che chiedevano di essere letti. Sapevamo che sarebbe stata
un’impresa impossibile, ma nella nostra mente coltivavamo la fantasia di riuscire un giorno a
leggerli tutti. Era un continuo viavai di ragazzi e uomini di media età che domandavano se c’era un
libro o meno. Improvvisamente sentimmo un tonfo, distogliemmo lo sguardo dallo scaffale che era
davanti a noi. Ci girammo e dietro di noi c’era la bibliotecaria su uno sgabello, che cercava di
risistemare dei libri riconsegnati. Capimmo che quel rumore proveniva da un libro caduto a terra
insieme al suo segnalibro. Chiara fece per chinarsi a raccogliere il libro che si era aperto su una
pagina scritta in corsivo con un carattere che a tutti noi parve interessante. Chiara chiuse il libro e
lesse sulla copertina il titolo: Il Canzoniere. Per puro caso Chiara lo aprì proprio sulla pagina della
sua poesia preferita, così iniziò a leggercela:
Quando si apriva il velario sul mondo
della mia fanciullezza ,accorsi come
ad una festa promessa. Cadute
sono le meraviglie ad una ad una;
delle concette speranze nessuna
che mi valga, al ricordo, anche una lacrima,
anche un solo sospiro. Ma possiedo,
giovane amica, il tuo bacio, che assenze
fanno, e pietà di noi stessi, più raro.
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Era questo la vita: un sorso amaro.
Eravamo basiti da quelle rime e essendo Saba il nostro poeta preferito, cominciammo a scambiarci
opinioni sulle poesie che per noi erano le migliori:
Cominciamo a definire “ Velario”. Il velario era un’ampia tenda che proteggeva gli spettatori dalla
pioggia o dal forte sole negli antichi teatri all’aperto. Viene definito anche come sipario.
Saba usa questo termine come titolo di una sua poesia: Quando si apriva il velario. Il poeta scrive
che fin dalla sua fanciullezza, quando si apriva questo velario sul mondo, non gli sembrava vero,
tanto da paragonare l’atto dell’aprire la tenda alla partecipazione ad una festa importante definita
promessa. Afferma con tono malinconico, specchio della sua vita , che tutte le soddisfazioni, le
meraviglie ( e con questo termine secondo noi intende tutti gli eventi positivi) svanivano cadendo
ad una ad una. Esprime di non avere più neanche una speranza che lo renda felice, neanche una
lacrima di dolore o un sospiro. Poi è presente un riferimento ad una giovane amica che lo ha baciato
quando forse erano fanciulli felici o magari si riferisce alla moglie. Tutto ciò è descritto solo come
un ricordo e pensiamo che mancavano persone vicine a Saba che gli manifestassero il bene e
l’amore. Due frasi messe alla fine fanno riflettere: una è “pietà di noi stessi” e l’altra è “Era questo
la vita: un sorso amaro”. Per quanto riguarda il mio pensiero, io, Chiara, non sono d’accordo con
Saba perché penso che non bisogna mai provare rancore verso noi stessi perché le scelte che
seguono la nostra vita sono sempre e comunque scelte che aiutano a diventare i veri noi stessi.
Ovviamente nella vita si sbaglia, ma se ci demoralizziamo o uccidiamo il nostro animo come Saba
allora quest’ultimo sarà un errore ancor più grande.
Io non credo che la vita sia un sorso amaro , ci sono sempre parentesi piacevoli che ce la rendono
più vivibile , dandoci la forza per lottare, la speranza per ricominciare . A causa dei problemi
psicologici Saba vedeva ogni cosa triste , senza rimedio , un pretesto per “buttarsi giù” e stare male.
Il paragone tra vita e sorso amaro è che la prima è ciò che ognuno di noi percepisce, osserva e
considera. Il secondo è un qualcosa che si può sperimentare. Il termine amaro fa affiorare alla mia
mente i colori scuri , il nero in particolare, simbolo di tristezza, dolore, delusione, sconforto; tutti
termini che hanno a che fare con la depressione.
Il resto del gruppo ne rimase affascinato e decise di scoprire altre poesie, così da discuterne insieme.
Samuele scelse le sue due poesie preferite e ce ne parlò…
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Leggendo le poesie Epigrafe e Per immagini tristi e dolorose di Umberto Saba, sono riuscito a
comprendere pienamente lo stato d’animo del poeta, la sua personalità e molte cose che prima erano
nascoste e che ora si sono svelate.
La prima poesia è strettamente legata alla depressione: leggendo il titolo ce ne possiamo accorgere,
infatti già lo stesso termine Epigrafe richiama la morte, che nella vita di una persona spesso
rappresenta un incubo e questa immagine negativa accompagna il poeta nel corso di tutta la sua
vita.
Parlavo vivo a un popolo di morti.
Morto alloro rifiuto e chiedo oblio.
Vediamo però anche un altro aspetto della depressione: a me sembra che il poeta non sentisse di
avere un ruolo importante nella società e nella vita di tutti coloro che gli stavano intorno. Ci dice
infatti che “parlava ad un popolo di morti”. Con questo possiamo capire che lui parlava attraverso
le poesie e attraverso le rime ad un popolo “assente”, senza personalità e giudizio. Nel secondo
verso a me sembra di vedere che anche il poeta è diventato uno fra tanti, una persona “morta”
dentro e si scusa perché pensava di essere diverso ma purtroppo non è stato così. Questa poesia è
stata scritta dal poeta quando un suo carissimo amico era malato e stava per morire.
Qui possiamo vedere un aspetto importante della depressione e cioè il fallimento di un obbiettivo
del poeta: non riuscire a non essere morto come tutti gli altri.
Nella seconda poesia il poeta ci vuole descrivere la sua sofferenza e le difficoltà giovanili, che ha
poi ritrovato in futuro, anche quando si trovava più avanti nell’età. In questa poesia la depressione è
palese perché nella prima quartina ci vuole far capire che lui è stato sfortunato perché molti ragazzi
hanno avuto una fanciullezza felice.
Per immagini tristi e dolorose,
passò la giovinezza mia infelice,
che l’arte ad altri ha fatte dilettose,
come una verde tranquilla pendice.
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Non vuole però esprimere e dire ciò che ha sofferto, se lo vuole tenere per sé, vuole soffrirne da
solo senza essere compatito da nessuno. Vediamo come il poeta si tenga dentro la tristezza, la
racchiuda nel suo cuore: non vuole farla uscire dalla sua anima perché non ci riesce.
Tutto il dolore che ho sofferto non lice
dirlo, né voglion mie rime festose.
Dice che, anche se non vuole esprimere tutte le cose brutte che ha dentro, non abbassa l’orgoglio e
questo in qualche modo può bilanciare le cose. Saba ci dice che alla sera la sua vita si rischiara e
allude sempre alla tristezza perché la sera è buia, piena di colori scuri, senza rumori e senza persone
che lavorano e fanno confusione. Evidentemente a lui piace molto questa tranquillità che trova di
sera, questo buio e questo silenzio che lo avvolge in se stesso.
La mia giornata a sera si rischiara.
Queste poesie mi hanno colpito molto appena le ho lette, perchè le ho sentite moto vicine a me e
sono riuscito ad immedesimarmi nelle rime e a capire quali pensieri e sensazioni provava il poeta
mentre le scriveva.
In Federico riaffiorò il ricordo di suo nonno, il quale gli leggeva queste poesie prima di andare a
dormire…
Par da secoli chiusa. Alla sua porta,
fra le dita il rosario,
siede il mendico, cieco e solitario.
Chiusa è per sempre. Gente
morta quanta vi entrò, con dietro ardente
cera e vano dolore. L’erba cresce
sotto i gradini, alimentava un nero
muschio l’umidità nelle sue crepe.
Altro il suo cimitero
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non è che un prato: questo né custode
vigila, né la cancellata serra.
Chi gli si appressa ode fanciulli guerra
fingere e paci rotte da improvvisi
inseguimenti; fra le sue compagne
e le tombe ripete i nuziali
riti d’un tempo la bambina ignara.
Bruca una capra l’erba corta e rara.
Ed io sosto, ed un poco
anche qui siedo, e guardo quei fanciulli
nuovi, l’antico gioco,
quelli che a me nel gioco
si rivelano, come la figura
dell’uomo in pochi segni
di carbone su un muro, eterni veri.
Ecco: qui tutto con i miei pensieri
è fraterno; ogni aspetto un nuovo lato
del mio spirito adombra.
Dall’erta amica alla mia infanzia, all’ombra
della chiusa cappella, scorgo il cielo
pallido azzurro con le prime stelle,
l’Alpi lontane, i colli, la città
che sui colli si estese, che di borghi
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s’arricchisce e di enormi
navi, onde tutti suonano i cantieri;
navi per mari, per porti remoti
a chi li vide, non li vide mai,
sempre noti ed ignoti.
Ed anche tu che della morte – è assai
tempo – vivevi, forse un giorno invano
cercherò; qui, disutile rovina,
una scuola, tra poco, un’officina,
altro su quelle tombe sorgerà.
Cosí sempre al suo ieri
spera l’uomo migliore il suo domani,
ben che una voce gli dica: Domani
si soffrirà come soffrimmo ieri.
Questa poesia fa riferimento ad una cappella, probabilmente di Trieste, che dopo aver svolto la sua
funzione per parecchi anni ( quella di accogliere i defunti) viene chiusa. Saba vuole quasi rievocare
un sentimento di nostalgia, di vecchi ricordi, facendo riferimento a come sia cambiata la cappella
stessa con lo scorrere del tempo “L’erba cresce sotto i gradini, alimentava un nero muschio
l’umidità nelle sue crepe. I bambini, giocando intorno alle tombe, danno come una speranza,
simboleggiano la nuova generazione che rimpiazzerà quella ormai andata; le capre che brucano
simboleggiano la tranquillità e quindi si viene quasi a sminuire quella che è l'aria di tensione del
cimitero. Sembra quasi di essere in un grande cortile: ci sono bambini che giocano, capre che
brucano l'erba, bambine che cantano, gente che, passando, osserva la scena. Il complesso risulta
quasi quotidiano e non funereo come appunto dovrebbe essere. Questa poesia mette bene in risalto
il contrasto fra il movimento dei bambini che giocano e corrono, le capre che brucano e, dall’altro
lato, la staticità del cimitero e della sua cappella, quest'ultima ormai "invecchiata".
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Federico lesse poi un’altra poesia, che questa volta ci fece sentire in balia del mare…
Anche un fiato di vento pare un sogno
agli uomini del porto, alla bandiera
afflosciata là in cima alla terrazza
del Bagno della Diga.
Il mare, come in burrasca, si leva.
Sotto il cielo coperto è volta l’ansia
di tutti ad una raffica, alla prima,
che sbatterà le tende lungo riva,
chiuderà gli ombrelloni varieggiati,
per i quali l’estate ci veniva,
più amica, incontro;
che sarà un refrigerio ed una fine
In questa poesia viene molto esaltato da Saba il tema della tensione: i marinai sono agitati, si sta
alzando una burrasca. Si riesce molto bene ad immaginare la scena, il vento che alza grosse onde,
nuvole cariche d'acqua che incutono timore, le tende che sbattono, gli ombrelloni che si chiudono. E
si vede l'immediatezza in un istante: da un momento ad un altro cambia tutto, la bandiera che prima
era afflosciata ora sbatte, il mare si increspa,ecc. E' come se si delineassero due momenti: quello
appena prima della burrasca e quello della burrasca stessa. Nel complesso la scena appare molto
cupa, tesa, ansiosa e si preannuncia il freddo che il mare porterà con sé come citato alla fine " ...che
sarà un refrigerio ed una fine...".
Più leggevamo poesie più rimanevamo stupiti e non perdemmo altro tempo perché volevamo
ascoltare la poesia della nostra amica Federica:
Sono solo.
Nessuno ascolta dove
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agli amici dispersi ogni richiamo
è vano.
Brilla come un ghiacciuolo l’odio, e penso
che vedrò questa sera te che amo.
Penso quanto nel sole
che rileva, nell’ombra che nasconde,
ho fatto, errato, a dirmi in pace alcune
parole.
Nella poesia Solo di Umberto Saba, lui vuole trasmetterci la sua solitudine. Infatti, nelle prime righe
comunica la tristezza essendo solo e non avendo amici che lo cerchino; però uno spiraglio di luce
c'è perché la sera, quando tornerà a casa, incontrerà qualcuno che ama, probabilmente la moglie e
questo gli consente di superare l’infelicità.
Nell'ultimo paragrafo pensa alla duplicità della natura: il giorno e la notte.
Pensa a quanto sia bella la luce del sole che illumina ogni cosa a differenza della notte dove ogni
ombra nasconde qualcosa di sbagliato di cui lui vuole assolutamente liberarsi per sentirsi finalmente
in armonia con il mondo. Inoltre ci dice che nella sua vita ha fatto tante cose e tante altre le ha
sbagliate e per questo non si dà pace interiormente, ma vuole sentirsi tranquillo e sereno con se
stesso e perdonarsi tutte quelle cose che ha commesso come errore.
Dunque dopo anni di inquietudine cerca di ritrovare la pace con gli altri e con sé stesso: è come se
ad un certo punto della sua vita nascesse in lui la consapevolezza di volere accettare la dualità dei
sentimenti, quali l’odio che brilla come un “ghiacciuolo”, inteso appunto come qualcosa di molto
freddo e l’amore che lui prova per la sua donna, che in qualche modo lo risolleva da quella
condizione di solitudine e malinconia in cui si ritrova dopo che anche gli amici suoi più cari lo
hanno abbandonato al suo destino.
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È solo e senza amici e riflette su questo per cercare di sentirsi in pace con se stesso e non soffrire
più.
Ciò che lui scrive è strettamente autobiografico perché si colloca in quel periodo doloroso e buio
che Umberto percorre: in particolare ha sofferto di depressione nelle varie fasi della sua vita ed è
stato anche in cura, però è riuscito a convivere con questa orribile ed atroce malattia e la poesia l'ha
confortato molto.
Infatti, è riuscito sempre a trovare una ragione per vivere: non è morto giovane ma da anziano,
subito dopo la morte della moglie che ha amato molto.
Sento strettamente legata questa poesia e mi ha colpita particolarmente, rispetto ad altre, per un
fatto molto personale e so che la depressione è una malattia atroce, perché ho vissuto in prima
persona la malattia di una persona per me importante che ormai non c'è più: mia mamma.
Uscire da questo tunnel nero non è possibile, perché colpisce esclusivamente persone deboli
caratterialmente che non hanno la forza per reagire e vivere felicemente la vita.
Nonostante il soggetto abbia una vita serena, una famiglia vicina che le dà conforto morale e
psicologico, egli non vive bene e l'unico spiraglio che vede è la morte.
Leggendo tutte queste poesie noi ragazzi siamo arrivati ad una conclusione: che la poesia ha aiutato
il poeta in tutti i momenti difficili della sua vita e che la poesia non è soltanto una cosa per adulti
ma un qualcosa a cui possono fare riferimento tutti i ragazzi anche oggi, quando sono tristi e
soffrono. Può essere un modo per sfogarsi, per ritrovarsi nell’animo del poeta attraverso le sue
parole e forse, provando noi stessi a scrivere, la poesia diventa un modo per comunicare agli altri
tutte le nostre emozioni e sentimenti.
Bibliografia
-U. Saba,Il Canzoniere,Einaudi,1921
-R. Rossi, B. Masnata - Vol. 10, September 2004, Issue 3
Felli Chiara
Classe 3LG
Gozzi Federica
Classe 3LG
Leggieri Samuele
Classe 3LG
Pezzopane Federico
Classe 3LG
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