I colloqui di Saba

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I colloqui di Saba
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Tesina di: De Benedictis Sara, Debenedetti Ilaria, Garbini Camilla
Panfilo Giorgia
classe IV LE
classe III LE
I COLLOQUI DI SABA
INTRODUZIONE
Addentrandoci nella poetica di Saba abbiamo analizzato alcune poesie dalle quali è emerso il
rapporto che Saba ha con l’altro. Per questo motivo abbiamo deciso di intitolare il nostro percorso
“I colloqui di Saba” essendo, appunto, dei veri e propri dialoghi nei quali l’autore ci rende partecipi
dei suoi sentimenti e, in alcuni casi, ricerca compartecipazione al proprio dolore. In seguito alla
lettura di queste poesie ci siamo domandate quale fosse lo scopo del poeta, se cercasse sollievo,
sfogo, confessione, apprezzamento da parte del lettore o semplicemente bisogno di raccontarsi.
PRIMO CAPITOLO: DA SABA A SABA
“La tortura,
che si soffre una volta, soffro muto”
In molte poesie del Canzoniere, Saba spesso lascia intendere il suo sentirsi solo, estraniato dalla
realtà che lo circonda, incompreso, incapace di inserirsi in armonia in un contesto sociale. Il suo
approccio con l’esterno è molte volte schivo, distaccato ed egli confessa più di una volta di
considerare vani i richiami della realtà che non lo distolgono dalla sua condizione di eremita, di
esule.
Quasi un manifesto di ciò è la poesia dal titolo emblematico: “Solo” [1]. “Sono solo. Nessuno
ascolta dove/agli amici dispersi ogni richiamo/è vano.” Saba qui scrive che nessuno lo ascolta, gli
amici dispersi, forse allontanati da lui stesso, non riescono a salvarlo da questa condizione,
probabilmente perché è proprio lui che non si sente pronto ad uscire dal guscio di solitudine che si è
creato per non confondersi con la realtà. E’ come se trovasse un rifugio in se stesso, inaccessibile,
dove nessuno può procurargli ulteriore dolore; creandosi un meccanismo in cui è lui la causa del
suo male e nel quale è solamente lui il bersaglio su cui si ripercuote quest’ultimo.
In questa poesia ci sembra che il suo odio che "brilla come un ghiacciuolo” sia rivolto nei confronti
della massa di gente indifferente alla sua sofferenza, che provoca un ulteriore distacco con il mondo
esterno; tuttavia Saba si rende conto, grazie alla luce del suo intelletto che viene paragonata a un
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sole che scova ciò che apparentemente è nascosto nell'ombra, di aver sempre sbagliato a limitare i
suoi dialoghi a un soliloquio, come nei versi “Penso quanto nel sole//che rileva, nell’ombra che
nasconde,/ho fatto, errato, a dirmi in pace alcune/parole.”
Di conseguenza la pace iniziale dei dialoghi con se stesso viene interrotta dalla luce che irrompe
come un lampo nella notte, all'interno delle tenebre del suo errore, provocando quindi una
distruzione di quel mondo che si era creato a misura della sua persona nel quale c'era spazio solo
per lui, il suo dolore e i suoi colloqui interiori.
Confrontandoci abbiamo preso coscienza di questo errore di Saba, ma abbiamo anche constatato
che questo sbaglio è in realtà comune a tutte quelle persone che, quando si devono confrontare con
il muro delle proprie sofferenze, credono di poter trovare da sole il modo di superare l'ostacolo,
poiché hanno la convinzione che nessuno potrebbe comprendere il loro stato d'animo e di
conseguenza nessuno sarebbe funzionale alla risoluzione del problema. Forse però espressa in
questo modo la presenza dell’altro è strumentale, simile a quella di un oggetto: talvolta ci è parso
che Saba non riesca ad amare qualcuno per il piacere di farlo ma cerca in ogni cosa e in ogni
persona un beneficio personale, necessario alla sua stabilità. Però abbiamo percepito anche la
grandezza dello sforzo compiuto dal poeta che, compreso lo sbaglio, ammette di non riuscire a
farcela da solo; cosa difficile per tutti coloro che tirano dritto nella direzione dettata dal proprio
orgoglio, continuando a camminare senza allargare la propria visuale, restando avvolti dalle tenebre
della propria clausura.
Anche nella poesia “Epigrafe” [2] troviamo un tentativo di confronto e dialogo con il mondo da
parte dell’autore che però fallisce appena prende coscienza del fatto che dell’altra parte non c’è
nessuno disposto ad ascoltarlo ma solo un “popolo di morti” che non offre altro che indifferenza nei
suoi confronti. Questo disinteresse dell’altro lo porta a rifiutare l’acclamazione e desiderare l’oblio
conducendolo ad una condizione di ripiegamento su se stesso, come affermato nel verso “Morto
alloro rifiuto e chiedo oblio.”
Nella poesia “Una notte” [3] ritroviamo questo sentimento di solitudine, espresso in una notte
insonne piena di angoscia che gli contorce il cuore, durante la quale vorrebbe urlare il proprio
dolore ad un qualcuno che non esiste. In questo momento di strazio comprende di dover consumare
la sua sofferenza da solo, nel proprio silenzio senza poterla condividere con qualcuno.
Questi dialoghi fallimentari ci hanno fatto pensare che Saba si è creato una condizione in cui è lui
stesso gabbia e prigioniero e dalla quale di tanto in tanto riesce ad uscire credendo di poter trovare
comprensione nell’altro ma, autoconvinto di non poter trovare questo appoggio, decide di tornare
nel suo ambiente personale dove il suo dolore è familiare. Appunto, da Saba a Saba.
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SECONDO CAPITOLO: SABA E IL LETTORE
“Sappi tu dunque che un poeta io sono.”
Un altro aspetto dei colloqui di Saba che abbiamo incontrato nel Canzoniere è il rapporto
contrastante del poeta con il lettore. Nella prima poesia presa in analisi, “L’egoista” [4] tratta dalla
raccolta “Tre poesie fuori luogo”, abbiamo riscontrato un primo tentativo di interazione con il
lettore già dal primo verso in cui si rivolge direttamente a lui scrivendo “Di me ti meravigli”; questa
meraviglia di cui parla l’autore consiste in tutto ciò che egli serra nel proprio cuore e tiene nascosta
all’altro poiché “i corpi e i pensier strugge la guerra” e difatti nessuno, chiuso nell’ottica di
quest’ultima, capirebbe il suo meditare sull’essenza delle cose. In questo stato di riflessione, nel
quale il poeta si trova a suo agio, egli prova disinteresse nei confronti della guerra andandosi a
concentrare su tutto ciò che non riguarda la superficie delle cose dichiarando si essere solamente un
poeta e di non riconoscersi né tra i giusti né tra i malvagi. Saba conclude il suo componimento
affermando che il vero tesoro di un poeta non si trova sulla stessa superficie della terra dove si
sparge il sangue della guerra, ma nella profondità dell’anima.
Nella poesia “Parole” [5] Saba esprime la potenza delle parole e la loro capacità di purificare colui
che legge. Egli è alla ricerca di un angolo di mondo dove trovare l’autenticità delle cose, senza che
siano contaminate dalla falsità degli uomini. La funzione del poeta nei confronti del lettore è
dunque quella di purificare l’animo dalla menzogna attraverso le stesse parole nelle quali l’uomo si
specchiava –nudo e sorpreso- alle origini”. Pensiamo che l’autore abbia una concezione dell’uomo
contemporaneo negativa, in quanto, a differenza dell’uomo delle origini puro nella sua veridicità,
egli viene accecato dalla futilità delle cose. Nonostante Saba fu accusato di aver composto una
poesia troppo differente rispetto alle precedenti a causa della mancanza di un nucleo narrativo, egli
dichiara di aver solamente compiuto un percorso di evoluzione. Questo percorso di illimpidimento,
ovvero chiarimento personale, che ha portato l’autore a scrivere questa poesia è lo stesso che invita
a fare al lettore. L’itinerario di purificazione aiuterebbe il lettore a liberarsi dall’inutilità dei ricordi
che lo terrorizzano, che si rivelerebbero di poco significato “come neve al sole”.
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
RIMPROVEROAL LETTORE
“Poco invero tu stimi, uomo, le cose”
Discutendo, abbiamo individuato un rapporto poco costante tra il lettore e il poeta, particolarmente
ci ha colpito l’aspetto in cui Saba lo rimprovera di non apprezzare abbastanza le cose di tutti i
giorni, dandole per scontate. Quest’aspetto è ripreso a pieno dalla lirica “Meditazione” [6] in cui
nella pace della sera, infatti, l’autore si ritrova seduto alla finestra ad osservare la gente che riempie
la città e comincia a meditare sui secoli trascorsi e le conquiste dell’uomo rendendosi conto degli
sforzi fatti in passato e poco apprezzati nel presente. Egli si rivolge direttamente al lettore
invitandolo a riflettere, e riflettendo lui stesso, sul valore delle semplici cose che si usano ogni
giorno senza pensarci, come il lume, il letto e la casa che, citando i versi “sembrano cose da nulla”
poiché già presenti alla nostra nascita, ma che in realtà sono frutto della storia millenaria degli
uomini, fatta di progressi ma anche di privazioni e di sofferenze. Inoltre Saba continuando a
comunicare con il lettore lo ammonisce poiché quest’ultimo non si riteneva colpevole nel pensare
“ch’è poco quanto all’immondezzaio oggi” lui getta; seguendo su questa linea cerca di far capire a
colui che legge che se non si dà valore alle piccole cose non ci sarà mai “gemma” che ne avrà.
Successivamente dibattendo sul senso e il significato di questa poesia abbiamo pensato che si
potesse perfettamente inserire come critica a questo periodo di sfrenato consumismo, in cui niente
ha più valore, in particolare per noi giovani, che pensiamo semplicemente a seguire una moda che
cambia giorno dopo giorno. In conclusione possiamo certamente affermare che Umberto Saba
quando colloquia con il lettore dei primi del Novecento, colloquia anche con noi che leggiamo
queste poesie più di cento anni dopo esser state scritte ma nelle quali ci ritroviamo senza problemi.
In conclusione come abbiamo visto e come vedremo in seguito Saba affronta con il lettore diversi
momenti di “intimità” e dialogo, in cui senza indugio gli comunica ciò che sente senza aver timore
di compiere, appunto, rimproveri.
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
RINGRAZIAMENTO AL LETTORE
“Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco”
Nella poesia “Amai” [7], Saba riscopre la bellezza delle parole, della poesia e delle rime più
antiche di tutte come quella “fiore amore” che nonostante sia già stata di gran lunga utilizzata
nel passato, rimane complessa nella sua modestia a causa della difficoltà di potergli attribuire
dei valori nuovi. Il poeta si ritrova a meditare sulla bellezza di quella semplicità che nessuno è
ormai solito utilizzare per paura di risultare banale, giungendo alla conclusione che è proprio
attraverso la purezza delle piccole cose legate al passato, con l’aggiunta di una
personalizzazione che si riesce a puntare ad un successo futuro. Così come le rime remote, egli
riporta in superficie, attraverso la poesia, la sua essenza come fosse un sogno dimenticato che
giace nel fondo della sua anima e che “il dolore riscopre amica”. La rievocazione della verità e
di ciò che il poeta aveva lasciato il balìa dell’oblio per molto tempo, suscita però
preoccupazione nel suo animo facendolo avvicinare intimorito come descritto nei versi “Con
paura il cuore/a lei si accosta”. Una volta abbracciata la verità però non l’abbandona ma, al
contrario, sente il bisogno di doverla confessare. E’ in questi versi che si ritrova il bisogno di
raccontarsi di Saba che, attraverso la sua poesia riesce a sollevarsi, almeno in parte, da ciò che
lo affanna. Alla fine della composizione troviamo il richiamo diretto al lettore nel quale Saba lo
invita a capire le sue composizioni e il fine ultimo di ciò che egli ha scritto. L’autore infatti, a
nostra interpretazione, scrive questi versi per fare in modo che anche coloro che leggono, così
come ha già fatto lui in precedenza, vadano alla ricerca dell’essenza delle cose e cerchino di
appropriarsi della verità per arrivare a comprendere i segreti più nascosti dell’animo umano. Il
passaggio chiave è contenuto nelle parole di Saba “Amo te che mi ascolti” in cui esprime stima
e gratitudine al lettore per aver compiuto il tentativo di comprendere i versi da lui composti
poiché solo la comprensione del lettore lo avrebbe potuto aiutare ad espiare dalla sua condizione
di solitudine e poiché solamente il successo delle sue poesie lo avrebbe potuto far sentire più
partecipe di un sentimento umano.
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TERZO CAPITOLO: UOMO TRA GLI UOMINI
“Quell’uguale belato era fraterno
al mio dolore”
In questo ultimo capitolo ci soffermiamo sull’apertura del poeta al mondo che infatti richiama
l’attenzione su stesso e sul suo dolore, con la speranza di trovare qualcuno pronto a compartirlo. A
differenza del primo capitolo nelle poesie che analizzeremo in questa parte di tesina Saba non ha
più la sensazione dell’inutilità dei suoi richiami, ma si sente parte di un reticolo di emozioni umane.
L’autore nella poesia “La capra” [8] tratta dalla raccolta “Casa e campagna” riflette su un tema
caratterizzante della condizione terrena: la sofferenza. La capra solitaria è simbolo del dolore
universale e nel belato di questo animale si ritrova l’angoscia di tutti gli uomini, in particolare
quella del poeta. Il belato di una semplice capra è, in questa poesia, simbolo della coscienza
dell’autore, e attraverso questa metafora ritroviamo una mescolanza tra realtà e finzione
consegnandoci un pezzo di autobiografia. Abbiamo deciso di inserire questi versi all’interno del
seguente capitolo credendo che ci sia una stretta connessione tra il richiamo dell’attenzione da parte
della capra e quello da parte del poeta. I veli della finzione poetica con cui Saba vorrebbe
confonderci attraverso la presenza di un altro personaggio con cui lui parla, cadono quando il poeta
attribuisce l’aggettivo alla capra “semita”. E’ quindi questo il passaggio in cui si comprende che
quella capra è il poeta stesso, la cui nazionalità è per l’appunto ebrea. Citando i versi “Quell’uguale
belato era fraterno/ al mio dolore” Saba vuole creare un ponte di collegamento tra il particolare e
l’universale, ovvero tra il suo dolore e quello di tutti gli uomini. Quello stesso dolore che “ha una
voce e non varia” quindi la sofferenza non è una prerogativa dell’uomo in quanto essere
razionale, ma colpisce in egual modo tutte le creature, restando immutata anche con il passare degli
anni.
Nella poesia “L’ora nostra” [9], tratta dalla raccolta “Trieste e una donna”, Saba e Trieste sembrano
una cosa sola; in questa lirica, Trieste viene rappresentata in quell’ora per lui «grande», bella,
importante, un’ora amata che anticipa di poco il riposo notturno. L’intera città vive quest’ora
intensamente, senza nemmeno rendersi conto del suo significato e la folla ondeggia come un mare
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lungo le strade e i vicoli di Trieste. Ricordi e pensieri si affollano nella mente del poeta, che,
confuso tra la gente, sente fluire la propria vita come un fiume in piena che corre inarrestabile verso
la sua meta. Questa poesia descrive chiaramente uno dei momenti chiave in cui Saba si sente
inserito in un contesto sociale e trova in questo ambiente un motivo di gioia e serenità goduto tra il
“mareggiare nelle strade” della gente, dove lui si confonde nel “lesto camminare” di questa folla
che vaga dopo le faticose ore di lavoro ed è pronta a godersi i meritati ozi serali. Nonostante Saba si
sia spesso isolato dal resto del mondo, in momenti di personale meditazione, in questa situazione di
serenità immobile, blocca lo svolgersi degli eventi e si comporta come un regista, che decide di
immortalare un momento della giornata nel quale lui finalmente si immedesima e riesce a capire
che quel mondo dal quale si sente così lontano in realtà gli appartiene più di quanto lui creda.
Il comunicare con il mondo esterno, collegarsi con gli altri, comprendere i sentimenti e gli affetti
degli uomini è la via che porta alla salvezza, che permette di vincere la disperazione. Il problema
per Saba è quello di saper uscire da se stesso, di vivere la vita di tutti, di essere come tutti gli uomini
di tutti i giorni, di godere delle gioie della vita, di essere soltanto uomo tra gli uomini.
Conclusione
Nel nostro percorso ci siamo impegnate a seguire un filo conduttore che ci ha portate ad analizzare i
vari livelli dei colloqui di Saba, nei quali passa da un soliloquio, scaturito dalla mancanza di
interesse da parte della società che lo circonda, ad un dialogo diretto con il lettore fino ad arrivare
ad un momento di compartecipazione dei sentimenti con il resto dell’umanità. Lo scopo del
tentativo di colloquio è sicuramente quello di sollievo e sfogo, ma il fine può essere anche quello di
espiare la colpa di essere nato cercando un’assoluzione data dal successo; la mancanza di
quest’ultimo lo porterà ad ulteriori delusioni, le quali non fermeranno il poeta, bensì lo faranno
aprire ulteriormente nei confronti dell’altro.
Questo incostante e tormentato rapporto che ha il poeta con l’altro è comunque sfociato in
un’indispensabile dialogo con il mondo dovuto alla presa di coscienza di non potercela fare da solo
a sopportare tutto il bagaglio di sofferenza che gli appartiene. In conclusione il poeta riesce a
colloquiare attraverso la stesura dei suoi versi anche se solo per alcuni piccoli istanti con la realtà
che lo circonda.
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Note.
[1] Solo, Volume Terzo (1933-1947), Ultime cose (1935-1943);
[2] Epigrafe, Volume Terzo (1933-1947), Epigrafe (1947-1948);
[3] Una notte, Volume Terzo (1933-1947), Ultime cose (1935-1943);
[4] L’egoista, Volume Primo (1900-1920), Tre poesie fuori luogo (1913-1915);
[5] Parole, Volume Terzo (1933-1947), Parole (1933-1934);
[6] Meditazione, Volume Primo (1900-1920), Poesie dell’adolescenza e giovanili (1900-1907);
[7] Amai, Volume Terzo (1933-1947), Mediterranee (1944);
[8] La capra, Volume Primo (1900-1920), Casa e campagna (1909-1910);
[9] L’ora nostra, Volume Primo (1900-1920), Trieste e una donna (1910-1912).
Bibliografia essenziale
Umberto Saba, Il canzoniere, Et poesia, Einaudi editore.