La vita religiosa femminile come segno di maternità verso un mondo

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La vita religiosa femminile come segno di maternità verso un mondo
La vita religiosa femminile come segno di maternità verso un mondo
che ha bisogno di ritrovare la gioia di esistere
Il racconto delle nozze di Cana (Gv 2, 1-12) è di una innegabile
ricchezza nel suo simbolismo cristologico. Ci offre numerose chiavi di
riflessione utili a leggere l’odierna situazione del mondo come anche
quella del discepolato. Tra queste chiavi di riflessione ve ne è una
mariana. La vita religiosa femminile ha l’opportunità di cogliere in
questa chiave un’occasione per ripensare il senso di una presenza nel
mondo in relazione alla profonda crisi epocale in atto; presenza da
riscoprire nell’esercizio di una maternità spirituale per aiutare il
mondo a ritrovare le vie d’accesso alle sorgenti della vita e della
gioia.
Le nozze di Cana rappresentano fondamentalmente un quadro
festoso di relazioni e di gioia. La festa, le relazioni e la gioia sono le
ragioni profonde per cui gli uomini sentono il bisogno di uscire
dall’isolamento e di stare insieme. Il senso della vita sta proprio nella
festa delle relazioni e nella gioia che queste infondono nel cuore. Le feste di nozze, poi, sono
particolari, in quanto annunciano un evento che nel suo significato più intimo celebra la vita nel
suo divenire e nel suo aprirsi al futuro. Le nozze sono la festa della speranza. A questa festa sono
invitati Gesù, Maria e i discepoli di Gesù. Essi compaiono nel quadro dei personaggi, in un primo
tempo, come figure accanto alle altre: sono invitati assieme agli altri.
Facendo una prima attualizzazione di questo primo quadro, la vita religiosa femminile, per il
particolare dono che rappresenta per la Chiesa e per il mondo, e per il segno della totale
appartenenza a Cristo, sta in rapporto al mondo, almeno in una situazione ideale, come Gesù e
Maria invitati alla festa di nozze: sono commensali che partecipano ad un banchetto dove la festa
delle relazioni e la gioia che ne scaturisce sono un fatto. Nella sua relazione col mondo le donne
consacrate riverserebbero il carisma che scaturisce dalla loro totale appartenenza a Cristo nel
segno della gioiosa speranza e operosità dentro un mondo che vive e crede nel suo futuro. Vi
sarebbe quindi - idealmente - una relazione positiva e feconda. Questo è ciò che apparirebbe dal
primo quadro del racconto evangelico fino al momento in cui avviene l’incidente che mette fine
alla festa.
Il simbolismo del vino è fin troppo evidente, e non solo per il suo riferimento eucaristico. Il vino è
segno di onore di chi ospita. La sua abbondanza fa onore al padrone e agli ospiti. E' segno di
importanza. In un mondo dove le consuetudini sociali contavano tutto e le rigide gerarchie sociali
stabilivano chi stava dentro e chi fuori, qualcosa va storto. Viene a mancare il vino. L'elemento
che, per eccellenza, simboleggiava l'onore della tavola e dell'ospitalità. E in un colpo la festa è
finita. La vergogna assale ospitati e ospitanti. Non è come se qualcuno avesse dimenticato di
comprare la Coca Cola. Qui i codici sociali valgono tutto. Anche il disonore.
Per capire la vicenda spirituale sia del nostro tempo sia quella della vita religiosa dobbiamo
collocarla nel nostro contesto culturale. Anche le epoche hanno una loro dinamica spirituale. E se
la vita spirituale è, per se stessa, via di unificazione, non ci si può trovare con se stessi, se non
ritrovandosi anche con il proprio tempo, in ciò che ne rivela - pur nel limite - l’intima grandezza.
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Ora nell’oggi, la condizione umana è entrata in uno stato di transizione esodale. Lo è sotto due
figure integrate e interagenti:
a) l’inaugurazione del fattore dinamico nella cultura umana; letto nella fede e secondo le
Scritture, esso ci parla di una nuova relazione tra il mistero del Verbo incarnato e Adamo,
“figura di colui che doveva venire” (GS 22),
b) l’emergere, dopo il secondo dopoguerra del ventesimo secolo, delle prime avvisaglie
dell’anelito ad una coscienza comunitaria eppure, allo stesso tempo, la radicalizzazione di
un conflitto antropologico, quindi, nel cuore stesso dell’interiorità umana, di uno
scontro immane e apocalittico fra i primi germi di questo “nuovo umano nascente” e
l’esasperazione di uno spirito individualistico, edonistico e nichilistico che sta alla base
del collasso antropologico dell’uomo occidentale dell’inizio del ventunesimo secolo.
Letto nella fede e secondo le Scritture, La nascita dei primi germi di una nuova coscienza
dell’umano ci parla di una nuova signoria dello Spirito di unità. Egli, “presente a questa
evoluzione, con mirabile provvidenza dirige il corso dei tempi e rinnova la faccia della
terra, [suscitando] nel cuore dell'uomo una irrefrenabile esigenza di dignità” (GS 24). Oggi
il volto di questa dignità e delle esigenze che ne conseguono attiene la comunitarietà,
l’incontro nella differenza tra persone e popoli, la creazione del Noi: dalla coppia alla
famiglia, nella madre tutte le differenze che è differenza di genere, dai gruppi alle società,
dalle nazioni al mondo intero visto e perseguito come Grande Famiglia dei popoli.
Questo duplice fattore, da leggere in Cristo e nello Spirito Santo, è una vittoria del kairos
messianico sul cronos. E, oggi, il cambiamento è di tali proporzioni che il Concilio così lo descrive:
“Le condizioni di vita dell'uomo moderno, sotto l'aspetto sociale e culturale, sono profondamente
cambiate, così che è lecito parlare di una nuova epoca della storia umana” (GS 53). Si aprono
nuove vie per la perfezione umana: favorire la vita collettiva, creare nuovi modi di pensare, di
agire, di impiegare il tempo libero, sviluppare nuovi rapporti fra le varie nazioni e le classi sociali,
diffondere più largamente la cultura e crearne nuove forme più universali, che promuovano ed
esprimano l'unità del genere umano, nel rispetto delle particolarità delle diverse culture (cfr 53).
Di per sé, nessuno più dei religiosi sarebbe in sintonia teologica e spirituale con il carattere
messianico di questo tempo.
Davanti all’incidente accaduto alle nozze di Cana e che ha messo fine alla festa delle relazioni
della gioia, esattamente come la convergenza di numerosi fattori ha portato l’umanità che sta
vivendo questo tratto del ventunesimo secolo come se avesse esaurito la scorta di quel vino
capace di dare gioia all’esistenza, la vita religiosa femminile volge lo sguardo a Maria e si trova
davanti ha un modello per il nostro tempo.
Nella festa finita nel disonore si fa avanti una voce, quella di una donna, Maria, la Madre di Gesù.
Ricordiamo che nel contesto in cui visse Gesù la donna non godeva di diritti civili e nelle assemblee
pubbliche non aveva diritto di accesso nei luoghi centrali riservati agli uomini. Doveva stare in
fondo… All’esterno. Maria compiendo un atto coraggioso di fede si fa avanti e “passa avanti”,
ossia lascia la posizione riservata all’emarginazione femminile e si pone in una posizione di
protagonismo riservata solo agli uomini. Maria prende il suo posto accanto a Così facendo Maria
prende il suo posto nella storia della salvezza in relazione a Gesù. E compie un gesto straordinario
con più significati: spinge il Figlio a inaugurare in anticipo la sua ora, cogliendo la situazione del
disonore avvenuto come occasione di rivelarsi; rassicura i discepoli incerti sull'identità di Gesù,
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perché non si è ancora manifestato nella potenza e sta sollevando dubbi se possa essere
veramente lui il Messia; interviene per ristabilire la gioia e l'allegria ad una festa finita nella
vergogna. E così Maria ottiene il miracolo. Non solo la trasformazione dell'acqua in vino, che Gesù
compie come primo gesto della sua vita pubblica, ma anche il miracolo della rivelazione che ne
consegue: come l'acqua che è stata trasformata in vino, davanti a un mondo a cui è finita la gioia
di esistere e di sperare, Gesù si rivela il vino nuovo che è sorgente di gioia ed è la Gioia in se stessa.
Davanti a un mondo che ha perso la gioia che non ha più il senso del futuro la vita religiosa
femminile si trova davanti ad una straordinaria chiamata ad esercitare una inedita forma di
maternità spirituale. Nell’amare questo mondo, con tutte le sue ferite e le sue contraddizioni,
anche nelle sue reazioni contro Dio e contro i valori della vita, ogni donna consacrata riversa sul
mondo il balsamo dell’amore di Gesù e ripropone il gesto di Maria che rinuncia ad essere relegata
ad una figura minore e passa avanti fino a prendere posto accanto a Gesù. Nell’amare, con lo
stesso amore di Cristo, il mondo e nel testimoniare la propria totale incondizionata appartenenza
a Lui, la vita di religiosa femminile rivela Gesù al mondo come “la” Lieta Notizia, offerta dal Padre
per la pienezza della gioia del mondo. Egli e il vino nuovo che rivela al mondo un banchetto di
nozze in bandito dal Padre al quale tutti i popoli sono invitati. Chi accoglie dentro di sé questo vino
non programma è più la tristezza.
Don Enzo Caruso
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