310 La Madonna scalza di Caravaggio

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310 La Madonna scalza di Caravaggio
n° 310 - maggio 2003
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La Madonna scalza di Caravaggio
Caravaggio portò nell’arte
l’attimo e la realtà in cui
la tragedia accade o si consuma. Un attimo che diventa un attimo di eternità.
Il suo stile pittorico rivoluzionario spesso è stato
associato dai critici al suo
carattere intemperante,
turbolento, quasi che l’uno
fosse in qualche modo la
conseguenza dell’altro.
Eppure Caravaggio era un
artista colto, intellettualmente superiore a tutti gli
artisti contemporanei: una
natura che lo portava all’isolamento. E aveva un
carattere difficile, molto
difficile, a volte tremendo.
Uccise anche.
«Io penso - dice Giuliano
Briganti in un’intervista
a Stefano Malatesta - che
per capire Caravaggio non
sia tanto necessario conoscere le agitate, anzi agitatissime vicende della sua
vita violenta, quanto conoscere la sua mente, l’idea
che aveva dei fini della pittura. Ossia non la cronaca
vera o romanzata delle sue
violenze, ma la consapevolezza che egli aveva della
violenza, della tragedia».
La Morte della Vergine, realizzata da Caravaggio tra
il 1605 e il 1606 e rifiutata dai Carmelitani di
Santa Maria della Scala a
Roma, in Trastevere, in
quanto considerata indecorosa e sconveniente per
la “Madonna gonfia e con
le gambe scoperte”, secondo quanto tramanda
il Baglione, pittore e rivale di Caravaggio, ci testimoniano questo suo pessimismo e il suo nuovo
stile tragico.
Nel contratto di commissione del dipinto, recuperato solo di recente, vi sono
precise disposizioni secondo cui la Vergine
avrebbe dovuto essere raffigurata cum omni diligentia et cura, ovvero rispettando sia iconograficamente che formalmente
le rigide direttive controriformistiche allora vigenti.
Maria, invece, attorniata
da un piccolo gruppo di
personaggi che ne vegliano
il corpo, con indosso un
abito rosso, distesa su uno
spoglio catafalco, è ritratta
in una posa naturale, poco
sacra, con una mano sul
grembo e con il braccio
sinistro steso su un cuscino. Il suo corpo è gonfio e livido e s’intravedono
anche i suoi piedi nudi.
Caravaggio non dipinge
la santa incorruttibilità
del corpo di Maria, ma
quello di una vera donna,
da poco deceduta.
Lavorare con scrupolo sulla
veridicità di ogni particolare non toglie, infatti,
secondo la sua poetica,
grandezza al soggetto sacro dipinto; anzi permette
a chiunque di parteciparvi
e di accostarvisi nel modo
più diretto e immediato.
Per l’artista è la scena di
umano dolore che conta,
non nascosta da segni e
simboli, ma immediatamente comprensibile anche agli spettatori più
umili e meno colti. Anche il catino di rame collocato ai piedi degli apostoli con la soluzione
d’aceto necessaria al lavaggio del cadavere, da
qualcuno letto, come fa
Caravaggio: Morte della Vergine - Parigi, Museo del Louuvre
notare Elena Pondero,
come un’inconscia attestazione di sfiducia nella
Resurrezione da parte del
Caravaggio, forse altro non
è che un nuovo elemento
realistico, fotografia di
una scena già vista.
La sua interpretazione è,
infatti, ancora una volta
quella di un testimone
coinvolto della tragedia.
E la tragedia della scena
dipinta era la stessa del
mondo in cui Caravaggio
viveva, del mondo di cui
pag. 2
anche lui faceva parte con
la sua vita tormentata.
Tutti i personaggi del dipinto sono rappresentati
nella zona inferiore della
tela, mentre in alto un ampio drappo rosso scarlatto
si alza come un sipario
sulla scena e le conferisce
ancor maggiore pathos. Gli
apostoli sono tutti disposti su assi verticali, cui
si contrappone, unico elemento orizzontale, il corpo
esanime di Maria.
La luce fortemente chiaroscurata tipica del Caravaggio, nella Morte della
Vergine scende obliquamente dall’alto e si posa
prima sulle teste calve degli apostoli affranti, per
poi distendersi su Maria
e sulla Maddalena ingi-
nocchiata dinanzi a lei.
Una luce folgorante che
cade rivelatrice delle figure e delle cose indifferentemente, anche se in
quest’opera gli oggetti
sono pochi, poiché come
sempre la luce è unicamente funzionale alla sua
dialettica luce-ombra.
La Morte della Vergine, si è
detto, venne rifiutato. Diverse le motivazioni tramandate, come quella che
raffigurasse una prostituta amata da Caravaggio
stesso, o che la Madonna
fosse rappresentata da una
donna con il corpo gonfio, e con le caviglie e i
piedi scoperti, come quello
di una donna annegata nel
Tevere.
Nonostante questo e altri
rifiuti, l’élite di amatori e
conoscitori continuò a proteggerlo e stimarlo; la
Morte della Vergine venne
acquistato nel 1607 da Peter Paul Rubens per il duca
di Mantova e ritenuta una
delle opere più riuscite
del pittore lombardo.
Tanto che prima di spedirlo al nord Rubens ne
fece allestire una pubblica
esposizione a Roma.
Oggi quest’opera di un
pittore di cui il Baglione
scriveva «che pur avendo
una buona maniera nel colorire dal naturale», però
«non molto giudizio di
scegliere il buono e lasciare
il cattivo», si può ammirare al Louvre.
maria siponta de salvia