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Poste Italiane - Spedizione in A. P. DL. 353/2003 (conv in L.27/02/2004 n.46) art.1 comma 1 DCB Torino - Nr. 220 - maggio 2016 - Editore Promit Srl - c.so Racconigi, 150 - 10141 Torino
P. D’ALESSIO
ANNO XXV NUMERO 220
www.paddock.it
MAGGIO 2016
EURO 3,00
FORMULA 1
È NATA UNA STELLA?
DOPPIO STOP VOLKSWAGEN
WRC 2016
S O M M A R I O
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Anno XXV • numero
220 • Maggio 2016
FORMULA 1
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ATTORI DEL MONDIALE 2016
La lepre e i gamberi
20 TECNICA
I soldi non sono tutto
26 MAX VERSTAPPEN
È nata una stella?
32 ANNIVERSARI
50 anni della McLaren
ENDURANCE
32
26
40 IL WEC 2016 ENTRA NEL VIVO
Verso Le Mans con incertezza
MONDIALE RALLY
50 NON SOLO VOLKSWAGEN
Chi fermerà la musica?
PERSONAGGI
60 ELIO DE ANGELIS
Talento beffato dal destino
40 50
GP MONACO HISTORIQUE
62 VECCHIE GLORIE IN PASSERELLA
Il fascino del bel tempo che fu
BOOKSTORE
66 LIBRI DA NON PERDERE
Mezzo secolo dietro l’obiettivo
PADDOCK È ORA DISPONIBILE ANCHE PER PC,TABLET ED IPAD CON
NUOVI CONTENUTI INTERATTIVI RAGGIUNGIBILI CON UN CLICK
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Corrado Bruschi, Massimo Campi,
Franco Carmignani, Alessandra Fedeli,
Marco Giachi, Manrico Martella, Eugenio Mosca,
Daniele Paglino, Giorgio Stirano, David Tarallo
ol Gran Premio di Montecarlo è andato in
archivio il primo quarto della stagione 2016
e, anche se alla fine del mondiale mancano
ancora quindici gare, pare che l’epilogo del
campionato sia già stato scritto. Se non nei dettagli, almeno nel suo svolgimento generale. E il copione, per
il quarto anno di fila, rischia di essere tinto di grigiocromo, dove questo non-colore sta ovviamente per
Mercedes. Vincere cinque, delle sei gare disputate, la
dice lunga sulla superiorità tecnica delle stelle d’argente che mai, come nel 2016, stanno recitando la
parte della “lepre”, della monoposto imbattibile, braccata dalla muta degli avversari. E la Ferrari?
Quello che doveva essere l’anno del riscatto, del ritorno del titolo iridato in Italia, si sta trasformando in
un campionato frustrante, in una stagione sottotono,
dove da lepre di Melbourne, la rossa che in Australia
C
aveva dominato la prima parte della gara, si è mestamente trasformata in un gambero. In un team in preda a nervosismo e scoramento, dove le cose che non
vanno sono tante. Troppe. È vero che alla fine del
mondiale 2016 mancano ancora tanti Gran Premi, ma
se a brevissimo tempo (in Canada dovrebbe debuttare una power-unit potenziata) non ci sarà una drastica inversione di rotta, ci vedremo costretti a parlare
dell’ennesima stagione di transizione per il Cavallino,
Le gare di inizio anno avevano illuso,
ma la Mercedes F1 W07 rimane sempre
la vettura da battere, mentre la Ferrari
interpreta il ruolo di “gambero rosso”.
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di una Ferrari in grado di puntare, nella migliore delle
ipotesi, a qualche vittoria di tappa,ma nulla più. Il primo
ad ammetterlo sommessamente, a Barcellona, è stato
Piero Ferrari, che ha ribadito un concetto diventato ormai un mantra per la Ferrari degli ultimi anni: se le cose
miglioreranno nell’arco di un paio di gare, il mondiale è
ancora aperto, in caso contrario meglio concentrarsi
sulla macchina del 2017 che, per regolamento, sarà parecchio diversa dalle attuali. Solo che queste parole il figlio del Drake le pronunciava alla vigilia del Gran
Premio di Montecarlo, dove la Ferrari puntava al gradino più alto del podio ma, come sappiamo, le cose nel
Principato non sono andate per il verso giusto...
I TANTI PERCHÉ DI UNA CRISI
A questo punto sorge spontaneo domandarsi perchè
la Ferrari, che aveva iniziato in maniera così brillante il
campionato, dopo essere stata la star dei test invernali,
non abbia mantenuto fede alle aspettative. I motivi sono molteplici e non tutti di carattere tecnico. A partire
dalle parole del suo Presidente, Sergio Marchionne,
grande manager e grande motivatore di uomini, ma
quando, alla vigilia del Gran Premio di Australia, ha dichiarato di puntare decisamente al titolo e di sperare in
Fine settimana indimenticabile, quello del Gran Premio di Spagna, per
il giovanissimo Max Verstappen, che salito per la prima volta sulla Red
Bull RB12, è partito in seconda fila e ha vinto la sua prima gara iridata.
Seconda e terza le Ferrari SF16-H di Raikkonen e Vettel (in alto a destra).
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una Ferrari sul gradino più alto del podio a Melbourne,
ha messo forse troppa pressione ai suoi uomini. Che
nello scorso inverno hanno rivoltato la macchina del
2015 come un guando, dando vita al progetto SF16-H
che, sulla carta, aveva tutte le carte per puntare in alto.
Nuova aerodinamica, power-unit profondamente rivista
e sospensione anteriore (quella accusata di non mandare in temperatura le gomme) rifatta.
C’era insomma tutto quello che occorreva per vincere
ma, fin dalla seconda gara dell’anno, in Bahrain, ci si rendeva conto che non tutto funzionava alla perfezione
sulla monoposto 2016. E, dopo i rumors sulla fragilità
della nuova trasmissione, arrivava il ritiro di Vettel nel giro di formazione, in una gara che avrebbe dovuto vedere la Ferrari protagonista. Poi una preoccupante serie
di problemi al cambio e alle power unit, che non depongono certamente a favore dell’affidabilità della
SF16-H. Tutto questo ci sta, in un anno di profonde trasformazioni tecniche, ma quello che allarma di più l’am-
La Ferrari SF16-H è certamente più competitiva della rossa della passata stagione, ma anche
in Spagna, dove le Mercedes hanno fatto harakiri, non è riuscita a conquistare la vittoria..
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biente è il riproposi di vecchie carenze tecniche. A partire dall’annosa questione del carico aerodinamico, che
continua a latitare sull’asse posteriore e la riprova si è
avuta nel Gran Premio di Spagna, dove Raikkonen, che
pure disponeva di un motore più potente, non è mai
riuscito ad attaccare Verstappen, per il semplice fatto
che l’olandesino lo staccava inesorabilmente nel tratto
misto... E che dire dei tanti aggiornamenti sfornati con
regolarità dal reparto corse di Maranello che, una volta
portati in pista non danno i risultati sprecati. E’ da anni
che questo capita, mentre Mercedes e Red Bull quando
montano sulle loro macchine qualche particolare nuovo, migliorano sensibilmente le loro prestazioni. A queste preoccupanti carenze nel 2016 se ne è aggiunta
un’altra, fino ad ora sconosciuta: la Ferrari che non va
più bene col caldo (l’esatto contrario di quello che accadeva gli anni scorsi) e perde di competitività in Q3,
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ARCHIVIO
FORMULA 1
Ecco come si sono autoeliminate le due Mercedes F1 W07 di Nico Rosberg
e Lewis Hamilton poche centinaia di metri dopo il via del Gran Premio di
Spagna. E dire che, dopo la concitata partenza della gara catalana, le due
stelle d’argento comandavano saldamente il folto gruppo degli inseguitori..
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C. BARNI - P. D’ALESSIO
Cartoline dalla Spagna. Lewis Hamilton (in alto a destra) esulta, dopo avere
fatto segnare il miglior tempo in prova. La sua gara, e quella di Rosberg, è però
durata poche centinaia di metri e ha favorito la cavalcata solitaria di Red Bull
e Ferrari. Nella foto in basso il “diciottenne” Max Verstappen precede la Ferrari
di Kimi Raikkonen sul lungo rettilineo di Barcellona. Le rossa è decisamente più
veloce sul dritto, ma la Red Bull si avvantaggia nel tratto misto, rendendo vani
tutti i tentativi di sorpasso da parte del campione del mondo 2007.
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Daniel Ricciardo (in basso) paga caro gli errori del suo box e nell’arco di
quindici giorni vede svanire due più che probabili vittorie. La delusione
maggiore a Montecarlo, dove l’italo-australiano conquista la prima pole
della sua carriera e dove la Ferrari (a destra) non va oltre il quarto posto.
vale a dire nella fase più calda delle qualifiche. Il perchè
rimane un mistero pèer lo stesso Maurizio Arrivabene
“...non capiamo perchè in qualifica non riusciamo a migliorare in maniera tangibile, come fanno gli altri. Il problema
pare risiedere nella finestra di temperatura di utilizzo delle gomme Pirelli. Non si tratta comunque di un problema di
gomme, ma di come si comporta la nostra monoposto”.
E tutti sanno quanto, al giorno d’oggi, sia penalizzante
partire indietro, soprattutto se si punta al gradino più
alto del podio. Questo per quel che concerne l’aspetto
tecnico della crisi Ferrari, ma il momento no del “gambero-rosso” ha anche risvolti di carattere umano.
Il rischio più grave che si corre in questi casi è la demotivazione, la pedita di fiducia, la ricerca di un colpevole,
che potrebbe portare a quel tutti contro tutti degli anni più bui della storia Ferrari. Dei motoristi, che accusano gli aerodinamici che a loro volta scaricano le responsabilità del fallimento sui telaisti e via discorrendo.
Uno scenario che nessuno si augura, a partire dalla
Formula 1 e da Bernie Ecclestone, che hanno più che
mai bisogno di una rossa vincente, per ridare lustro alla
categorioa regina dell’automobilismo mondiale.
A proposito di “Mr.E”, la mente più lucida del Circus, a
dispetto delle 85 primavere: lo scorso inverno il padrino della Formula 1 aveva lanciato un salvagente a tutti i team non-Mercedes, proponendo loro un ritorno
a propulsori meno esaperati, se non addirittura ai vecchi V8 aspirati. Ma in molti rigettarono la sua proposta,
a partire dalla Ferrari: chissa se a Maranello qualcuno
è ancora dello stesso parere?
Chissà se per il Cavallino non sarebbe stato meglio
esplorare altre soluzioni tecniche, più conosciute, o incaponirsi su una tecnologia che dalle parti di Modena
non sembrano avere ancora digerito? Temiamo che
nessuno ci darà mai una risposta in questo senso, ma la
mancanza di risultati potrebbe portare all’enesimo ribaltone, alla partenza di pedine importanti e all’arrivo
di volti nuovi in quel di Maranello. E’ spesso accaduto
in passato e non è da escludere in futuro, anche perchè, alla vigilia del Gran Premio di Spagna, sono rimbalzate voci di un Arrivabene in crisi e di un possibile
ritorno di Aldo Costa in Ferrari.
Rumors prontamente smetiti dal numero uno del
Cavallino Sergio Marchionne, ma i dubbi rimangono,
così come la consapevolezza che per risolvere, una volta per tutte, i problemi aerodinamici e strutturali della
rossa, si sarebbe forse dovuto osare di più e “investire”
sull’ingaggio di Adrian Newey, affiancandolo con qualche motorista di provenienza Audi o Porsche per la
parte power-unit. Ingaggiare quanto di meglio offre la
piazza, insomma, come in passato faceva un certo
Enzo Ferrari: la storia è maestra di vita e, ogni tanto,
non guasterebbe rileggerla....
MERCEDES SEMPRE AL TOP
In posizione diametralmente opposta alla Ferrari la solita, imbattibile, tetragona, ipercompetitiva Mercedes.
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Dopo il secondo e terzo posto di Barcellona, in casa Ferrari si sperava nel Gran Premio di Monaco,
pista, sulla carta, meno favorevole alle Mercedes ma Seb Vettel non è andato oltre il quarto posto
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La, per certi versi, fortunosa affermazione nel Gran Premio di Monaco,
ha rilanciato il tre volte iridato Hamilton (foto sopra) nel mondiale, in
una gara stregata per il compagno di squadra Rosberg, come per Daniel
Ricciardo, beffato dal suo box, e Raikkonen (a sinistra), subito fuori.
Che nel 2016, con la F1 W07 Hibrid, sembra addirittura avere messo in campo la monoposto più competitiva delle ultime tre stagioni. Un modello che, senza il
dissenato autoscrontro di Barcellona, tra Hamilton e
Rosberg, avrebbe potuto chiudere il primo scorcio di
stagione con un disarmante en-plein.
Pazienza, anche per quest’anno il record è sfumato, ma
su come andrà a finire il campionato costruttori ci sono
pochi dubbi, anche perchè nel 2016 la Mercedes sta veramente giocando al gatto col topo. A partire dai test invernali, dove gli uomini in grigio non hanno mai fatto segnare tempi di rilievo, concentrandosi sui long-run e sull’utilizzo ottimale delle nuove coperture Pirelli.
Poi, quando si è trattato di fare sul serio, sono emerse
le caratteristiche messe i mostra dal 2014, quelle di una
macchina inattaccabile sul giro secco, in prova, e con
una riserva di prestazioni e cavalli da scaricare in pista,
quando le circostanze lo richiedono.
La sensazione che hanno un po’ tutti gli addetti ai lavori
è che solo in rare circostanze il duo Rosberg-Hamilton
sfrutti tutto il potenziale della vettura, per una questione
di affidabilità, ma forse anche per non ammazzare con
troppo anticipo il campionato. E le prestazioni fornite
dalle stelle d’argento in qualifica ne sono la riprova: nelle
pove del sabato mattina o in Q1 e Q2 gli avversari sono
spesso più veloci delle Marcedes. Però, quando scatta la
caccia alla pole, le F1 W07 tornano a recitare la parte
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A Monaco la Mercedes si è subito rispresa dal doppio stop di Barcellona, favorita anche
da un clamoroso errore del box Red Bull, che ha negato la vittoria a Daniel Ricciardo
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Il Gran Premio di Montecarlo non è solo la
gara più glamour di tutta la stagione, ma
un vero e proprio paradiso per i fotografi,
a stretto contatto con le vetture. In uno
scenario unico al mondo dove abbondano
anche le gradevoli presenze femminili..
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Anche nel 2016 è proseguito il digiuno di vittorie della Ferrari nel Gran Premio di Montecarlo,
una gara che la rossa non vince dal 2001, quando trionfò con un certo Michael Schumacher..
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LA VARIABILE RED BULL
Con una Ferrari in evidente affanno, l’unica variante in
grado di spezzare la dittatura Mercedes, pare essere la
Red Bull. Non tanto per la vittoria di Verstappen, di cui
si parla diffusamente in altra parte del giornale, quanto
per il miracolo compiuto in pochi mesi dal team di
Milton Keynes. L’arrivo dello sponsor Tag Heuer e soprattutto la sempre più stretta collaborazione con
Mario Ilien (il padre dei V10 Mercedes, all’epoca del
doppio titolo mondiale di Mika Hakkinen) hanno ridato
competitività alle monoposto anglo-austriache, che in
più di una circotanza potranno dare fastidio alla
Mercedes. Magari non potranno puntare al titolo, ma la
vittoria di Verstappen in Spagna potrebbe non rimanere
un fatto isolato, non fosse altro perchè Adrian Newey
sembra avere suggerito le giuste dritte ai suoi collaboratori e la RB12 è tornata ad essere la solita monoposto imbattibile nel misto, con un carico aerodinamico
addirittura superiore a quello della Mercedes.
Da non trascurare poi il potenziale piloti del team di
Masteshitz. Dopo Barcellona tutti a lodare la prestazione dell’astro nascente Verstappen, trascurando il fatto
che, senza un errore di strategia, a Barcellona avrebbe
vinto Daniel Ricciardo e la stessa cosa sarebbe capitata
a Montecarlo, dove l’australiano è stato battuto non da
Hamilton, ma da un clamoroso errore del suo box, nel
cambio gomme. “....Nelle ultime due gare gli uomini del
mio box mi hanno fottutodue volte!” andava ripetendo
uno sconsolato Ricciardo nel dopo corsa monegasco,
ma la sua delusione era mitigata dalla consapevolezza di
essere tornato competitivo come nel 2014 quando, a
sorpresa, aveva vinto tre gare, contro l‘imbattibile armata degli uomini in grigio. Un copione che potrebbe ripetersi nelle prossime gare (Austria e Ungheria in primis), se non altro per ribadire a a chi toccano i galloni
del capitanoin casa Red Bull: all’esperto italo-australiano
o all’astro nascente Verstappen.
Di sicuro a guadagnarci sarà lo spettacolo e non è detto che nel 2017 i due continueranno a fare coppia in
Red Bull: l’anno prossimo in Ferrari dovrebbe liberarsi il
posto di Raikkonen e sono in molti a puntare a quel volante. A partire da Daniel Ricciardo....
D. PAGLINO
delle monoposto imbattibili, infliggendo distacchi spesso
imbarazzanti alla concorrenza. L’unica incertezza riguarda il nome del candidato al successo finale: il team appoggerà Nico Rosberg, per dimostrare (teoria cara a
Enzo Ferrari) che a fare la differenza sono le macchine,
non i piloti, o virerà ancora una volta sul tre volte iridato Lewis Hamilton? Le prossime gare dovrebbero chiarire la situazione, anche se in seno al team cresce il disappunto verso certi comportamenti di Hamilton, che
non ha perso lo smalto dei giorni migliori, ma sembra
sempre di più attratto dal jet set, che non dalla Formula 1.
E questo, dalle parti di Stoccarda, non piace affatto....
Dopo una dozzina di giri il leader del mondiale Nico Rosberg (foto sopra)
ha dovuto cedere la posizione a Lewis Hamilton, dopo il pressante invito
del suo box, che si era reso conto dei problemi tecnici che affliggevano la
monoposto numero 6. Ottimo terzo posto per la Force India di S.Perez.
Testi e foto: Paolo D’Alessio
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L’ingegner Giachi a colloquio con Nick Chester
cisione in genere è importante anche nella gestione in pista della vettura perché le
prestazioni massime si ottengono in una
finestra molto stretta di valori e basta
qualche imprecisione per far saltare tutto
il set-up. Ecco, i dettagli e la precisione sono senz’altro un elemento di novità riC. BARNI
del vento. Inevitabilmente una capacità di
analisi così elevata, ma al tempo stesso
imbrigliata dai vincoli del regolamento
che non consente di esplorare strade veramente alternative e diverse l’una dall’altra, porta a lavorare sui dettagli anche
molto minuti. La cura dei dettagli e la pre-
Il “bargeboard” della Mercedes (a sinistra) è il più complesso di tutto il circus della Formula 1.
Il rinforzo in metallo lascia intuire un lavoro di messa a punto non indifferente, al di là dello
sviluppo aerodinamico, molto probabilmente per smorzare delle vibrazioni indesiderate sulle
alette più grandi. Forse anche altre squadre hanno trovato lo stesso risultato con la CFD e in
galleria del vento, ma non hanno le risorse per farlo funzionare correttamente. Dettagli sempre
più curati e forme sempre più complesse (immagine a destra) caratterizzano la Formula 1
attuale, che spende troppo rispetto a quello che il regolamento tecnico consente di fare.
C. BARNI
incidenze delle ali, bilanciamento della
frenata. La barra antirollio è probabilmente la più importante. Non c’è molta
elettronica ad eccezione del bilanciamento della frenata che viene fatto per via
elettronica in quanto associato al settaggio del recupero di energia (MGU-K). La
frenata è uno degli aspetti più complessi
dal punto di vista della gestione di una
vettura di Formula Uno attuale».
Infatti solo i freni anteriori sono ancora
tradizionali e vengono azionati dalla
pressione del piede del pilota sul pedale, mentre quelli posteriori sono completamente gestiti dalla centralina elettronica che “decide” quanta energia
dissipare in calore e quanta usarne per
ricaricare le batterie.
Se dividiamo la vettura in tre aree - il
set-up elettronico (identificabile a grandissime linee con i manettini sul volante che includono sostanzialmente il
controllo del differenziale, della frizione
e dei parametri del motore), il set-up
meccanico (sospensioni, barra antirollio, regolazioni delle ali, altezza da terra)
e motore (oggi “power unit” a indicare
l’insieme complesso di motore tradizionale termico e dei motori elettrici) quale di queste è più importante?
«Non direi che una delle tre sia predominante – precisa Smedley – ed entrambe
concorrono a definire la maneggevolezza
della vettura. Si controllano separatamente le tre fasi della curva: ingresso, punto di
corda ed uscita e bisogna capire circuito
per circuito cosa rende la vettura veloce.
A casa abbiamo una squadra che fa simulazione durante i Gran Premi ma ci sono situazioni che nessun modello riesce
ancora a descrivere. Il passaggio da gomme “wet” a “dry”, ad esempio, dipende
da troppe variabili per essere analizzabile matematicamente e ci vuole la giusta
miscela di scientificità e pragmatismo».
Un altro elemento di diversità rispetto
al passato è senz’altro l’attenzione maniacale ai dettagli.
«Alla Renault - spiega Chester - ci sono
novanta persone che lavorano all’aerodinamica della vettura mentre le squadre
di vertice hanno gruppi composti da circa
centocinquanta persone. La macchina è
sempre equipaggiata con prese di pressione (“pressure taps”), anche durante i
Gran Premi, che consentono agli ingegneri di verificare le previsioni teoriche e le
prove sul modello in scala nella galleria
D. PAGLINO
TECNICA
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TECNICA
La vorticosità è da sempre l’elemento tipico dell’aerodinamica che si sviluppa
intorno ad una vettura di Formulo Uno e si è cominciato a conoscerla intorno alla
fine degli anni ottanta per arrivare a controllarla e gestirla solo negli ultimi anni.
Il “monkey seat” lavora congiuntamente all’ala principale superiore ed è tanto più
utile quanto più l’ala superiore è ad elevato carico cioè esattamente le condizioni di
Montecarlo ma, forse, la massima “downforce” non era sopportata dalle gomme e
per questo la Red Bull ha pensato di toglierlo, per tirare via qualche chilo dalle ruote
posteriori. O l’ala anteriore della vettura di Ricciardo e Verstappen non riusciva a
dare il carico necessario a bilanciare l’auto con un posteriore troppo performante.
spetto al passato quando si poteva vincere un Gran Premio anche con più approssimazione. Oggi senza la precisione e
il rigore non ci si qualifica neppure».
Se si guarda la vettura del momento (la
Mercedes) si capisce cosa vuol dire cura dei dettagli. Ogni appendice non ha
meno di quattro/cinque fessure ed è
impressionante quanto sottili siano le
appendici aerodinamiche, indice di una
elevata qualità nella produzione dei pezzi.
«Il budget a disposizione – spiega senza
mezzi termini Nick Chester - ha un ruolo
fondamentale ma la macchina appare
indubbiamente di una qualità superiore
delle altre».
Alla fine si arriva sempre lì, ai soldi. Più
risorse economiche e più risultati, almeno per arrivare nelle prime file. Per
giocarsi la prima fila in assoluto forse ci
vuole dell’altro oltre ai soldi. Tornando
alla tecnica: aerodinamica o motore?
«Entrambi. Un buon pacchetto aero è
importante anzi è forse l’aspetto più importante anche perché i motori cominciano a livellarsi e rimane l’aerodinamica a
fare la differenza».
Questa è senz’altro un’affermazione
pesante della quale prendiamo atto e
ci crediamo visto da dove viene, ma il
dubbio che sia una risposta un po’ “politica” di un dipendente Renault che
può avere l’interesse a scansare l’argomento motore ci viene. L’affermazione
che i motori sono tutti uguali qualche
dubbio lo solleva.
Oggi le monoposto appaiono molto
più simili da un circuito all’altro di quanto lo fossero in passato. Nelle prove libere del giovedì (a Montecarlo, è noto,
il venerdì è giorno di vacanza per la
Formula Uno) si sono viste Williams e
Red Bull senza l’aletta sotto l’ala posteriore come se stessero girando senza
usare tutta la “downforce” a loro disposizione, cosa impensabile una volta
su un circuito così lento.
«Sono sorpreso di aver visto Red Bull e
Williams senza la piccola aletta inferiore
(il cosiddetto “monkey seat”, ndr) che
qualche chilo di carico addizionale lo dà.
Principalmente sono sorpreso dalla Red
Bull. Deve essere qualcosa legato al progetto della loro ala posteriore perché il
“monkey seat” lavora congiuntamente
con l’ala superiore ritardandone lo stallo
nella parte centrale. Tutti usano ali posteriori molto caricate ed il “monkey seat” è
D. PAGLINO
nata di giovedì loro dovevano semplicemente fare alcune prove di verifica
dei dati della galleria del vento in configurazione di ala pulita e difatti, finite le
prove, l’aletta è tornata al suo posto
e… la scimmia ha ritrovato la sua seggiola (traduzione letterale dall’inglese).
Già da questi commenti si coglie uno
degli aspetti della Formula Uno moderna rispetto al passato ovvero l’approccio scientifico alla soluzione dei problemi che non era nei cromosomi degli ingegneri da corsa anche solo di pochi
anni fa quando le scelte si facevano più
“di pancia” e meno con il computer.
A Monaco tutto quello che c’era nel
garage veniva montato per strappare
all’aria anche l’ultimo grammo di carico
verticale senza pensarci troppo. Una
squadra (la Williams) ha passato addi-
rittura una intera giornata di prove a
fare correlazioni con i dati della galleria
del vento (“data matching”), un lavoro
quasi accademico da universitari o, al
più, da aziende “normali” non coinvolte
nel turbine delle corse. Smedley usa
spesso concetti come “curva di apprendimento” di come usare la vettura
e di “scelte di progetto” al momento di
deliberare la configurazione iniziale della macchina. In particolare alla Williams
fu deciso di privilegiare l’efficienza e la
bassa resistenza a scapito del massimo
carico e gli effetti di questa scelta si vedono nelle prestazioni. Abbiamo mostrato a entrambi il grafico che
Paddock usa come indicatore della
qualità (e dei progressi/regressi se ci
sono) delle varie squadre che riporta,
in millisecondi per ogni cento metri di
C. BARNI
utile per questo motivo. Tra l’altro a
Montecarlo la velocità massima non viene mai raggiunta per la conformazione
della pista e quindi non è importante la
resistenza. Non capisco la ragione di una
scelta di questo tipo».
Può essere che quelli della Red Bull non
abbiano voluto usare tutta la “downforce” a disposizione per non caricare oltre
misura le gomme ed hanno rinunciato
al massimo carico per ottimizzare il
rendimento e la durata degli pneumatici, ipotesi (senz’altro plausibile) non nostra ma di Maurizio Arrivabene interpellato a proposito della ritrovata competitività della Red Bull che sta progressivamente relegando la Ferrari a
terza forza del campionato. Per la
Williams il problema non si pone perché Smedley ha spiegato che nella gior-
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TECNICA
Il grafico di cui si è discusso con i due tecnici che mostra chiaramente come la Williams
Mercedes FW38 sia una vettura “low drag/low downforce” come ci ha confermato Rob
Smedley e come è evidente dalle curve. Un anno dopo la prestazione è sempre la stessa
ed il distacco è passato da 65 a 50 millisecondi ogni 100 metri di pista.
P. D’ALESSIO
pista, i distacchi in qualifica dalla pole in
funzione della velocità media sul giro.
«Anche noi abbiamo qualcosa di molto
simile per monitorare tutte le squadre - ci
ha detto Chester - in percentuale e non
in distacchi, e leggermente più elaborato
per “normalizzare” le prestazioni a una
base comune di gommatura, di condizioni atmosferiche, ecc..Un tempo realizzato
in Q1 o in Q2 non può essere confrontato direttamente con il tempo della Q3.
C’è un po’ da lavorare ma la prestazione
in qualifica è un buon indicatore».
Emerge una Formula Uno indubbia-
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mente moderna nei modi di lavorare
che ha fatto proprie le metodologie ed
il rigore delle aziende ad alto contenuto tecnologico più tradizionali, abbandonando la fantasia sfrenata e la creatività tipica delle corse di una volta. Ma,
forse, anche una Formula Uno un po’
sovradimensionata chiusa su sé stessa
alla ricerca di ottimizzazioni estreme di
dettagli sempre più minuti con finestre
di utilizzo della macchina sempre più
strette e con tecnici sempre più “chirurghi” tanta deve essere la loro precisione. Sorprende che nessuno dei due
tecnici abbia posto l’accento sull’elettronica, considerata dall’esterno una
delle maggiori novità rispetto al passato, quasi che per l’ingegnere di pista l’elettronica non sia centrale.
Come dire che le regolazioni una volta
si facevano girando una vite con il cacciavite ed ora impostando un numero
nel computer, ma la sostanza è sempre
quella e si lavora sempre sulle stesse
cose per fare il set-up della vettura.
La gestione sicuramente più “scientifica” che in passato della vettura rende i
progressi più lenti ma più stabili nel
tempo perché sono il frutto di un lavoro metodico e sistematico e non di intuizioni estemporanee del momento.
Chi vince e chi perde viene deciso dalle scelte iniziali fatte in officina durante
l’inverno ma anche dalla capacità di gestire la vettura in pista nel corso del
Campionato e dalla organizzazione generale della squadra. Alla fine, però, le
risorse economiche sono sempre
quelle che fanno la differenza per stare
davanti. Per fare la pole e vincere il
Gran Premio, però, i soldi sono solo
una condizione necessaria ma non sufficiente perché ci vuole anche il gruppo
con le conoscenze tecniche adeguate
ed il giusto spirito di squadra.
Marco Giachi
Foto: C. Barni, D. Paglino
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FORMULA 1
È nata una
STELLA?
Anche se occorrono le opportune verifiche,
il Gran Premio di Spagna del 2016 ha
salutato la nascita di una probabile stella
nel firmamento della F.1: Max Verstappen
ax Verstappen, il più giovane pilota ad avere vinto un
Gran Premio di Formula 1, a poco più di diciotto anni,
sembra essere nato per smantellare tutti i possibili luoghi comuni.A partire dal suo aspetto fisico. L’olandesino
volante non ha l’espressione ieratica di un Senna, la cattiveria di
uno Schumacher o la riflessività di un Prost, al contrario sembra
essere stato partorito da un disegnatore di cartoni animati. Un volto come il suo lo puoi trovare all’uscita di tutte le scuole mediesuperiori ed è simile a quello di mille suoi coetanei, acne giovalile
compresa, ed è talmente simile a quello degli studenti liceali che a
Montecarlo Kai Hebel, popolarissimo volto della RTL, ha voluto
premiarlo col classico cono gelato gigante, all’interno del quale in
Germania sono soliti mettere una serie di omaggi di vario tipo,
per festeggiare i neopromossi.
Ecco, questo è Max Verstappen, un ragazzino simile a milioni di altri diciottenni, ma veloce, tremendamente veloce. Un predestinato,
si dirà, nato con le stimmate del successo, dotato di un grandissimo talento e, dote indispensabile per i grandi campioni, di una buona dose di fortuna. Che lo ha accompagnato fin dai suoi esordi in
Formula 1. Dove arriva non ancora diciassettenne, senza avere vinto nulla di importante, ma perchè spinto dal tenace padre Jos, che
è stato un buon pilotain F.1 e nelle gare endurance, ma nulla di eccezionale, e soprattutto perchè un certo Helmut Marko stravede
per lui. Tanto che nel 2015 gli affida la guida di una delle due Toro
Rosso, appiedando gente con Jean Eric Vergne, che l’anno prima
aveva dimostrato di andare molto forte.Ma nei team di Dietr
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Mateshitz, si sa, vige la legge due anni: in questo lasso di
tempo o dimostri di essere un potenziale campione, o
sei fuori. E il giovanissimo Max Verstappen (nato il 30
settembre 1997) non ci impiega molto tempo a mettersi in luce. In prova non è molto più rapido del suo
compagno di squadra Sainz, ma in gara è tanto spericolato, quanto velocissimo.
A volte rischia troppo ma, proprio in virtù di quella predestinazione al successo, gli vengono perdonati tanti errori. Perchè Max diverte, a volte entusiasma, e a uno
come lui nulla sembra precluso, neanche i sorpassi più
azzardati, che a volte si concludono con manovre da
applauso, in altre circostanze con uscite di strada rovinose o cantatti con i rivali di turno. Come sempre accade nella vita dei predestinati, sono gli episodi a creare il campione, a determinare la nascita del mito. E nel
nostro caso l’episodio “chiave” nella breve storia agonistica dell’olandesino volante, accade a Sochi, in Russia,
dove la seconda guida della Red Bull, Daniil Kvyat, sperona per ben due volte al via la Ferrari di Sebastian
Vettel, mettendolo fuori gara. La reazione del tedesco è
stizzita e, dopo essere rientrato al box, va subito a parlare col suo ex-team manager Chris Horner, che gli
promette di prendere provvedimenti.
La reprimenda di Chris Horner conta però poco o nulla, perchè nel 2017 Helmut Marko ha già deciso di rimpiazzare Kvyat con Verstappen. Ma perchè aspettare fino all’anno prossimo: di fronte ai tanti, troppi errori, del
russo, meglio intervenire subito, con uno scambio di sedili: a partire dal Gran Premio di Spagna il giovane Max
salirà sulla Red Bull, mentre Kvyat viene “retrocesso”
sulla Toro Rosso “...per continuare in tutta serenità lo
sviluppo della monoposto di Faenza, in un team con
meno pressione e che lui conosce molto bene, per
averci corso nel biennio 2014/2015”.
Il classico benservito da Formula 1, che per il russo suona tantocome fine della carriera, nel mondo dei Gran
Premi, mentre per Verstappen è una promozione a pieni voti. Solo che, con una Red Bull tra le mani, non si
può deludere il mondo intero, non si devono commettere errori e soprattutto bisogna trasformare le aspettative in risultati concreti. Un impegno che farebbe tremare i polsi a chiunque, non fosse altro perchè il debutto di Verstappen è previsto a Barcellona, su una delle piste più impegnatie del mondiale e per giunta con
una monoposto sconosciuta, sulla quale l’olandesino
non percorso neppure un metro.
Un campione vero, però, si riconosce proprio in queste
circostanze: dopo un venerdì di apprendistato, senza
commettere errori, Verstappen è protagonisata nelle libere del sabato mattina, ma soprattutto fa segnate il
quarto tempo in prova, al fianco del compagno di squdra Ricciardo e, udite, udite, davanti alle Ferrari di Kimi
Raikkonen e Sebastian Vettel, relegate in terza fila. Una
prestazione monstre che gli vale i titoloni dei giornali,
specialmente nella natia Olanda, e un piccolo posto
nella storia della Formula 1. Che diventa enorme il gior-
Per diventare campioni di valore assoluto in Formula 1 occorrono doti
di guida innegabili, ma anche una certa dose di fortuna. Cosa che non è
mancata alla rivelazione Max Verstappen, subito a segno con la Red Bull
nella gara dell’esordio. Un record assoluto, ottenuto a poco più di diciotto
anni, che lo fa entrare di diritto nel palmares della Formula 1.
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Dalle stelle, alle stalle. Nell’arco di soli quindici giorni Verstappen ha
offerto il meglio e il peggio del suo repertorio. A Montecarlo è andato
a sbattere per ben due volte, dimostrando di dover maturare ancora
parecchio, prima di essere considerato un grande. Senza dubbio la
classe c’è, ma il giovane olandese deve ancora maturare parecchio!
no dopo, quando il diciottennde di Hasselt vince addirittura il suo primo Gran Premio, al debutto con la vettura di Milton Keynes, sulla quale, lo ripertiamo, non
aveva mai girato prima. C’è di che gridare al miracolo,
alla nascita di una nuova stella nel firmamento della
Formula 1. Ma, come detto in precedenza, per diventare campioni, occorre anche il fatidico “fattore c” e questo si materializza per ben due volte a Barcellona.
Quando al via Rosberg ed Hamilton, in evidente trance
agonistica, si autoeliminano e il muretto box della Red
Bull commette un errore imperdonabile nella gestione
delle gomme sulla vettura di Ricciardo, negandogli una
vittoria quasi certa. Il merito del ragazino olandese è invece quello di guidare sempre al limite, ma senza commettere alcun errore, tenendosi dietro per un terzo di
gara un ex campione del mondo, come il ferrarista Kimi
Raikkonen, in stato di grazia a Montmelò.
A 18 anni, 7 mesi e 15 giorni Max Verstappen diventa
così il pilota più giovane ad avere vinto un Gran Premio
iridato e il primo ad abbracciarlo al suo rientro al box è
proprio quell’Helmut Marko, che tanto aveva creduto in
lui. E’ nata una stella? Probabilmente si, ma prima di parlare di un nuovo campionissimo, meglio apettare.
Perchè se in Spagna Verstappen aveva offerto il meglio
del suo repertorio, a Montecarlo commette errori a ripetizione, non certo degni di un “grande”. Il primo in
qualifica, quando in Q1, per dimostrare a tutti di che pasta è fatto, va a toccare le barriere di protezione, all’uscita delle piscine. Il botto è talmente forte che, per la
gara, i tecnici della Red Bull sono costretti ad utilizzare
un telaio nuovo di pacca. Morale: Max parte dalla corsia
box, mentre il suo compagno di squadra Ricciardo scatta dalla pole, in una pista dove la Red Bull sembra volare e dove le Mercedes, una volta tanto, sono meno brillanti del solito. La situazione è frustrande ma, con una
delle sue classiche rimonte, Verstappen risale fino alla
zona punti, salvo poi parchegguare violentemente la sua
RB12 sulla salita del Casino. Due macchine distrutte in
due giorni, niente male per uno che aspira a diventare
un grande. A questo punto sorge spontanea una domanda: qual’è il vero volto di Max Verstappen?
Quello che ragazzino che annichilisce gli avversari in
Spagna, o quello del potenziale campione, che ha bisogno di maturare e crescere? Probabilmente, come
sempre, la verità sta nel mezzo, di certo il successo
spagnolo non ha fatto altro che aumentare l’autostima
e la consapevolezza di poter puntare in alto. In fondo il
dna del campione si riconosce anche negli errori, nella
caparbietà di ottenere sempre il massimo, anche quando le circostanze non lo richiedono.
Perchè un fuoriclasse è fatto così: più che il confronto
con gli avversari, conta quello contro se stesso. Il superare i propri limiti, migliorarsi costantemente. Anche quando questo atteggiamento comporta rischi inutili. Questo
il giovane Max lo sa, ed è disposto a sconfiggere i limiti
della fisica, pur di salire in alto. Più in alto possibile.
Testo e foto: Paolo D’Alessio
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50 ANNI
P. D’ALESSIO
McLAREN
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Mezzo secolo fa debuttava al GP di Monaco un nuovo
team destinato ad un glorioso futuro. Tutto frutto della
passione del pilota-costruttore Bruce McLaren.
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ggi, parlare di festeggiamenti in casa
McLaren può forse apparire paradossale.
Da due anni le monoposto britanniche
navigano lontano dal vertice, complice
una crisi tecnica, al punto da ritenere un risultato più
che positivo, il quinto posto arpionato da Fernando
Alonso a Montecarlo. Eppure l’edizione 2016 del Gran
Premio di Monaco ha rappresentato un traguardo storico per il team di Woking. Già, perché 50 anni fa e proprio nel Principato aveva inizio l’avventura destinata a
scrivere pagine importanti della storia del motorismo
sportivo. È, infatti, il 22 maggio del 1966, quando una
monoposto dalla livrea bianca con una riga verticale
verde scuro sull’avantreno e contrassegnata dal numero due, percorre dieci giri nel mondiale di Formula
1, prima di ritirarsi a causa di una perdita d’olio. Il motore è un 8 cilindri Ford ed alla guida c’è il fondatore
della scuderia, Bruce McLaren. Neozelandese, classe
1930 e affetto da una leggera zoppia, McLaren inizia a
O
perfino secondo nel mondiale a 11 lunghezze dalla ben
più quotata Lotus. Segno inequivocabile che la scuderia
sarà presto in grado di dettare legge. Ma il 2 giugno del
1970, McLaren perde la vita in un tragico incidente nel
corso di un collaudo a Goodwood e l’azienda passa
nelle mani di Mayer e Phil Kerr. Un cambio della guardia che avviene in un momento delicato, in cui i risultati latitano. Devono, infatti, trascorrere tre stagioni per
ritrovare la McLaren protagonista, grazie al modello
M23 progettato da Gordon Coppuck, che s’impone
dapprima con Denis Hulme e poi due volte con l’americano Peter Revson.
È il prologo al 1974, la stagione dell’affermazione definitiva. Le M23A di Hulme ed il brasiliano Emerson
Fittipaldi, iridato due anni prima con la Lotus di Colin
Chapman, dominano conquistando il titolo costruttori
e piloti. Fittipaldi beffa il ferrarista Regazzoni all’ultima
gara a Wakins Glen, regalando il primo mondiale alla
McLaren, per la felicità anche del nuovo title sponsor, la
correre sin da giovanissimo per esordire in F1 nel GP
di Germania del 1958. Il 2 settembre 1963, insieme all’avvocato americano Teddy Mayer, fonda la factory che
inizialmente si compone di sole otto persone. Una piccola realtà che comincia gradualmente a crescere e nel
’65 produce un prototipo denominato M2A, che nello
stesso anno compie le prime tornate a Brands Hatch.
È il primo passo verso il debutto nella massima serie,
che ha luogo con un modello aggiornato, la M2B.
La prima vittoria arriva il 9 giugno del 1968 nel Gran
Premio del Belgio a Spa, dove McLaren s’impone alla
guida di una M7A, progettata da Robin Herd e spinta
dal motore Cosworth, motore a cui resterà fedele fino
al 1983. Seguiranno altri due successi per le monoposto arancioni, firmati dal compagno di Bruce, Denis
Hulme; neozelandese pure lui. Alla fine il team chiuderà
Marlboro, il popolare tabaccaio, che da quell’anno colorerà per molto tempo le monoposto britanniche,
con l’inconfondibile grafica bianco-rossa del pacchetto
delle “bionde”. E se nel 1975, Fittipaldi dovrà cedere il
passo alla potente Ferrari 312T di Niki Lauda, il riscatto arriverà nel 1976. Sulla M23 aggiornata sale un giovane inglese tanto sregolato quanto velocissimo: è
James Hunt, detto “the shunt”, lo schianto per via del
suo piede pesante. Hunt lotterà con la rossa di Lauda
(vittima di un tremendo incidente al Nürburgring), fino
all’ultima gara, quando in Giappone soffierà la corona
mondiale all’austriaco per un solo punto.
Sempre in quell’anno la McLaren sbancherà per la seconda volta la “500 Miglia” di Indianapolis. Un anno indimenticabile, a cui però seguirà un periodo di risultati
altalenanti che faranno perdere alla scuderia bianco-
Dopo la Ferrari, che ha preso parte a tutte le edizioni del Campionato del Mondo di Formula 1,
la McLaren è il team con più presenze nella categoria regina dell’automobilismo sportivo e,
soprattutto, vanta un palmares invidiabile, con 182 vittorie, 12 titoli piloti e 8 mondiali costruttori.
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La Ferrari 312 B3 è senza dubbio la migliore monoposto del 1974, ma
non è sempre affidabile. Ad approfittarne Emerson Fittipaldi (in alto
a destra) che vince di misura il titolo. Nel biennio 1984/85 non c’è
nulla da fare contro il binomio McLaren-Tag Porsche, che si impone
prima con Niki Lauda, poi con Alain Prost, iridato anche nel 1986.
rossa la leadership nella massima serie. La rinascita arriverà nel 1981 quando decollerà una nuova era grazie
all’arrivo di un manager assetato di successo: Ron
Dennis. Un personaggio molto criticato nell’ambiente,
forse complice il suo carattere combattivo, mai domo a
cui non piace mai perdere. Inglese, classe 1947, Dennis
cresce fin da ragazzo nel mondo dei motori, dapprima
come meccanico di campioni come Jochen Rindt e Jack
Brabham. Poi, spinto dall’ambizione crea un proprio
team per partecipare al campionato di F2, e successivamente la “Project Four Racing”. Nel frattempo entra
in contatto con John Barnard, un geniale tecnico inglese, dal cui incontro scaturisce l’idea rivoluzionaria di costruire una monoposto in fibra di carbonio, grazie alla
collaborazione con la Hercules, il colosso aerospaziale
americano. Un progetto rivoluzionario, che fa colpo
sulla Marlboro, alle prese con i problemi economici del-
supersportiva progettata da Gordon Murray e prodotta in serie limitata, che vincerà la 24 Ore di Le Mans del
1995. La crescita commerciale, è accompagnata anche
dai risultati nei Gran Premi. Tra il 1984 ed il 1986, la
McLaren conquista due titoli costruttori e tre titoli piloti, dapprima con Niki Lauda e poi due volte con Alain
Prost. Un’espansione a cui contribuisce l’arrivo di un
colosso dell’auto come la Honda. Spinte dal sei cilindri
turbo nipponico, le monoposto biancorosse dominano
la stagione 1988, con 15 successi su 16. Una “dittatura”
che però finisce con lo scatenare una guerra interna tra
il “Professor” Prost ed il giovane Ayrton Senna da Silva.
Due purosangue difficili da gestire, che però arricchi-
la scuderia McLaren. È la svolta. Il 1 novembre 1980,
McLaren e Project Four si fondono, dando vita alla
McLaren International. I primi frutti del nuovo corso,
maturano già nell’anno successivo, più precisamente il
18 luglio a Silverstone, quando il nordirlandese John
Watson si impone alla guida della MP4/1, prima monoposto in carbonio della storia. Per la factory di Dennis
è l’inizio di una crescita costante, rafforzata anche dal
consolidamento del rapporto con la Tag del magnate
franco-saudita Mansour Ojjeh, destinato a diventare un
azionista di riferimento della società.
Dennis non si limita solo a gestire l’aspetto tecnico, ma
potenzia il settore marketing; strumento basilare per
catturare nuovi sponsor e finanziatori.
Nella nuova sede di Woking, la produzione si allarga anche ai prototipi, come la F1 GTR motorizzata BMW; la
scono la bacheca di Woking, con quattro mondiali piloti e altrettanti titoli costruttori.
L’egemonia della scuderia britannica s’interromperà nel
1992 con la dipartita della Honda, ma dopo un quinquennio senza particolari acuti, ecco la rivincita.
Malgrado la perdita di un title sponsor come la
Marlboro, Dennis perfeziona l’accordo con un altro tabaccaio, la West. E la Mercedes diviene il nuovo motorista, delle vetture di Mika Hakkinen e David Coulthard.
Risolti i problemi di gioventù, le MP4-13, create dal genio aerodinamico di Adrian Newey, tornano ad imporsi sulla concorrenza. Hakkinen, “il finlandese volante”,
conquista la corona iridata nel ’98 (insieme al titolo costruttori) e nel 1999. A partire dagli anni 2000 però, le
“Frecce d’argento”, saranno offuscate dalla Ferrari, che
con Michael Schumacher, non avrà rivali sino al 2004,
Dopo la scomparsa del fondatore Bruce, devono passare alcune stagioni, prima che il team
McLaren possa recitare un ruolo di primo piano in Formula 1. Il primo titolo mondiale arriva
nel 1974, con Emerson Fittipaldi e viene bissato appena due anni dopo, nel ‘76, da James Hunt.
Poi bisognerà aspettare il 1984, per ritrovare una McLaren sul tetto del mondo, con Niki Lauda.
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anno in cui la McLaren, divenuta ormai una holding,
inaugura il Technology Center, la nuova sede (sempre a
Woking) dalla struttura avveniristica, costruita sulle rive
di un lago artificiale, dove lavorano oltre 300 dipendenti. Per qualcuno un segno inequivocabile, che la factory
si appresta a vivere una nuova metamorfosi, che riporta la scuderia sotto i riflettori nel 2007.
Oltre a nuovi main sponsor come la Vodafone ed il
Banco di Santander, Dennis ingaggia il top driver del
momento, il due volte iridato Fernando Alonso, a cui affianca il rookie più promettente del panorama motoristico, l’inglese Lewis Hamilton, cresciuto nel McLaren
Driver Development, primo pilota di colore ad affacciarsi nella massima serie, che diviene subito un fenomeno mediatico, con tutti i ritorni pubblicitari del caso.
Insomma un dream team dato per strafavorito dai
Per Ron Dennis, patron del team dal 1981, Ayrton Senna è stato
“..simply the best” (a destra il brasiliano a Montecarlo). Dopo i
suoi tre titoli iridati la McLaren torna protagonista nel 1998/99
con Hakkinen e col motore Mercedes e nel 2008 con Hamilton.
bookmakers. Ma si sa che a volte, le logiche dello sport
sono destinate ad essere regolarmente smentite ed ecco che dopo i primi successi, i vertici tecnici della scuderia vengono coinvolti in una squallida vicenda di spionaggio industriale ai danni della Ferrari.
Una vera e propria bomba che sconvolge Woking e
che porterà alla squalifica nel mondiale costruttori ed
alla sanzione di 100 milioni di dollari, decisa dalla FIA. A
ciò si aggiunge la guerra esplosa tra i due piloti, la cui rivalità porterà alla perdita del titolo piloti agguantato dal
ferrarista Raikkonen. Tutto sembra crollare, con sponsor che se ne vanno e lo stesso Alonso, che preferisce
cambiare aria. Ma ecco l’ennesima reazione. Dennis dà
fiducia ad Hamilton, così come fece nel 2001 con il
22enne Raikkonen, versando a Peter Sauber, 50 miliar-
Alla base della decisione, si parla della crisi di risultati,
che però non arriveranno anche con il nuovo cambio
di rotta. Il resto è storia recente, con la Honda che torna a ricoprire il ruolo di motorista, creando grandi
aspettative, anche in virtù del ritorno di Alonso, che pare abbia rimosso i rancori verso Dennis. Purtroppo
però il binomio, che a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 aveva scritto pagine storiche del motorsport, è assai lontano dai fasti del passato. Ma la storia ci insegna che la
McLaren ha le cosiddette sette vite e non dovremo
stupirci se prossimamente nuovi trofei andranno ad arricchire la bacheca di Woking, forte di otto titoli costruttori, dodici piloti,182 vittorie e 155 pole positions.
di delle vecchie lire. Ed il giovane driver ripaga subito il
suo mentore con la conquista del titolo iridato, nel rocambolesco finale del GP del Brasile 2008.
Sarà l’ultimo alloro targato McLaren, che negli anni successivi si troverà alle prese con problemi tecnici e politici. Dennis lascia la presidenza del gruppo nel 2009,
dopo un nuovo contrasto con la Federazione di Max
Mosley, in cui la scuderia di Woking viene deferita per
frode sportiva dopo il GP d’Australia. Il timone viene
così ereditato da Martin Whitmarsh, braccio destro di
Dennis, che resterà in carica sino al 2014, data in cui
dovrà cedere la poltrona al suo vecchio proprietario.
Corrado Bruschi Foto Archivio P. D’A
La storia della McLaren è legata in maniera indissolubile ai tre mondiali, conquistati nel 1988,
1990 e 1991 da Ayrton Senna “..simply the best” per Ron Dennis. Gli ultimi allori mondiali sono
arrivati nel biennio 1998/99, con Mika Hakkinen, e nel 2008 con l’astro nascente Lewis Hamilton.
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P. D’ALESSIO
ENDURANCE
Verso Le Mans
con incertezza
M. MARTELLA
A Silverstone è inziato il Wec 2016 in modo pirotecnico:
l’Audi ha tagliato per prima il traguardo, ma è stata
squalificata e la vittoria è andata alla Porsche.
A dimostrazione che sarà una stagione ad alta tensione.
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A Spa l'Audi si è ripresa ciò
che aveva perso nella gara
di Silverstone per una svista. Una banalità, una mezza
unghia di differenza, che al team di
Ullrich era costata la vittoria.
Nessuno dubita che il fondo della R18
non fosse stato manipolato intenzionalmente; piuttosto la squalifica testimonia quanto le attuali LMP1 di punta viaggino in una condizione estrema
per potersi tenere testa.
Ed è forse l'esigenza di restare costantemente sul filo del rasoio che ha
prodotto il risultato piuttosto sorprendente di Spa. Non certo sorprendente per la sua natura (un'Audi che
vince non fa certo storia) ma per come si è prodotto. Il fatto che tutte le
LMP1 tranne l'Audi numero 8 abbiano
patito problemi a Spa-Francorchamps
è abbastanza allarmante in vista di Le
Mans. Anche a Silverstone erano
emersi problemi qua e là, che forse le
squadre hanno sottovalutato, anche
perché si trattava di inconvenienti dalle cause ben note. Torna da Spa con il
C
maggior numero di incertezze la
Toyota: per quanto se ne sappia, i cedimenti dei due propulsori in gara
hanno origini differenti, e forse non è
un segnale positivo. Al limite sarebbe
stato meglio un guasto similare, mentre l'evidenza mostra delle piccole debolezze in vari aspetti magari marginali della meccanica, in grado di compromettere una gara. Segno che in
Toyota hanno forse raggiunto l'obiettivo delle prestazioni a scapito di una
certa affidabilità, che si aggiunge a
un'organizzazione complessiva ancora
non al livello di Audi e Porsche.
È stato un errore di distrazione abbastanza grave l'errato calcolo a Spa del
tempo minimo di guida (40 minuti) di
Nakajima, una trappola che la Porsche
ha evitato cambiando pilota ogni pitstop evitando così di dover fare ulteriori calcoli al di là delle normali soste. E al momento la Porsche sembra
anche il team che si è avvicinato di più
all'equazione affidabilità-prestazioni,
un'equazione che peraltro dipende
anche da tante variabili esterne, non
ultima la reale consistenza dei concorrenti in campo.
Il 2015 aveva mostrato che la 919 era
il miglior compromesso fra le varie
voci, evidenziando anche un enorme
balzo in avanti rispetto al 2014, l'anno
del debutto, in ogni caso più che positivo. La ricerca del mix di prestazioni
sul giro secco, costanza di rendimento
e robustezza è probabilmente ciò che
da sempre rende le gare endurance
un mondo affascinante, lontano per
fortuna da certe manie di modernità
e di riforma che hanno rovinato altre
categorie. Nel 2016 la Porsche ha
semplicemente continuato sul sentiero tracciato nel 2015, sviluppando ulteriormente la 919 senza stravolgerla
e senza rovinarne i delicati equilibri.
A ciò si aggiunge una determinazione
straordinaria, che non appartiene ai
pregi tecnici ma che la dice lunga sulla
consapevolezza del team di Stoccarda: a
Spa, per esempio, la vettura numero 2
viaggiava quattro secondi al giro più
lenta del leader, ma la squadra è riuscita a farle passare ai box almeno due
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ENDURANCE
Dopo la beffa di Silverstone l’Audi R18 (foto sotto) si prende la rivincita a Spa-Francorchamps, nella
6 ore, dove s’impone la vettura di Di Grassi-Duval-Jarvis. La favorita Porsche 919 (in alto le LMP1 di
Stoccarda guidano il gruppo, dopo la partenza) si deve accontentare della seconda piazza, mentre sul
gradino più basso del podio finisce la sorprendente Rebellion di Imperatori-Kraihamer-Tusher.
minuti totali in meno rispetto alle altre
vetture. L'ora e mezzo abbondante
persa nei box dalla Porsche numero 1,
poi, ha sicuramente compromesso
ogni possibilità di un risultato positivo
in una gara di 6 ore come quella belga,
ma a Le Mans non avrebbe probabilmente impedito alla vettura di competere per un posto sul podio.
Con queste indicazioni ci si avvicina alla gara più importante della stagione,
con un'Audi in crescita e con una
Toyota totalmente nuova, forse competitiva ma ancora soggetta a qualche
malanno di troppo. In altre occasioni
l'Audi è arrivata a Le Mans nel ruolo di
sfidante nei confronti del team favorito:
ricordiamo le edizioni 2008, 2010 e
2011 vinte contro la Peugeot grazie a
una strategia perfetta e ad un'utilizzazione ideale delle risorse tecniche e
umane. Battere la Porsche non sarà facile, ma con sole due vetture a disposizione, l'esito del duello tutto tedesco è
assolutamente aperto.
La gara di Spa ha riproposto ancora
una volta la solidità della Rebellion, che
è riuscita a ottenere un meritatissimo
terzo posto: il team ha lavorato sul propulsore AER, facendo anche un passo
indietro rispetto agli step che nel 2015
avevano causato alcuni problemi.
Risultato, un'affidabilità soddisfacente e
la certezza che a Silverstone come a
Spa la durata delle componenti meccaniche è stata alla fine più importante
della pura prestazione. Con due macchine ufficiali in meno e con la Toyota
ancora non in perfette condizioni, un
piazzamento a podio a Le Mans non
sembra una chimera.
E a proposito delle LMP1 “minori” (minori nel senso di non ufficiali, per carità!) sono alcune settimane che l'ACO
cerca di mettere a punto un programma di valorizzazione per impedire che
le squadre abbandonino la classe, o peggio, il WEC per andare a cercare fortuna
in LMP2, magari “solo” nell'ELMS.
Il problema è quello di trovare una collocazione più soddisfacente per le vetture LMP1 non ibride dei team privati.
Per il momento niente di concreto è
stato annunciato, ma il problema è ben
presente nei programmi dell'organizza-
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ENDURANCE
M. CAMPI - M.MARTELLA
Una carrellata di immagini
del WEC 2016, con vetture
e piloti che saranno di certo
protagonisti nella 24 ore di
Le Mans. Nella maratona
di durata francese, gara
che da sola vale quanto un
mondiale, si preannuncia
anche un duello serrato nella
classe GT, dove si ripropone
il duello storico Ferrari-Ford
(foto nella pagina di destra).
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ENDURANCE
Nella 6 ore di Spa-Francorchamps, a sorpresa, sul gradino più basso del podio è finita la sorprendente
Rebellion di Imperatori-Kraihamer-Tusher (sopra un pit-stop). Delusione invece in casa Toyota: le due
LMP1 nipponiche hanno comandato la gara per quattro ore, prima di accurare la rottura del motore.
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tore del WEC. Di recente si è svolta
una riunione cui hanno partecipato
Rebellion Racing e ByKolles, oltre ai
rappresentanti di Onroak Automotive,
Oreca, SMP Racing, Strakka Racing,
AER, Gibson e Engine Developments.
Per il momento sono state individuate
otto aree di azione per incrementare le
prestazioni delle LMP1 private a costi
accessibili. L'obiettivo, oltre a quello di
non far fuggire i pochi team presenti, è
quello di incentivare l'arrivo di nuove
realtà, cosa tutt'altro che facile, vista
l'offerta allettante nelle classi inferiori,
più alla portata delle squadre di media
grandezza. Si lavorerà forse sui motori,
anche in considerazione del fatto che
dal 2017 la potenza del V8 Gibson che
equipaggerà le nuove LMP2 si aggirerà
sui 600 cavalli, un centinaio in più rispetto alle attuali vetture.
Il rischio che le migliori LMP2 possano
mettere il sale sulla coda alle LMP1 private è più che concreto e questo è uno
scenario che l'ACO vuole evitare in
modo tassativo. Fuori discussione, del
resto, l'introduzione dei sistemi ibridi
per le LMP1, una prospettiva eccessivamente onerosa, anche pensando di utilizzare soluzioni “clienti” sviluppate da
terzi. Altra soluzione proposta, l'adozione di motori di grandi case, in una
certa maniera ufficiali, che peraltro non
mancano sul mercato.
Alcuni hanno pensato ad esempio al
Nissan biturbo V6 progettato dalla
Cosworth, utilizzato sulla disgraziata
GT-R LM, messo a punto e preparato
espressamente per le esigenze di una
squadra privata di LMP1. Altra strada
teoricamente percorribile è quella della riduzione del peso, magari combinata con l'adozione di appendici aerodinamiche mobili, da sempre un
campo minato nella storia dell'automobilismo sportivo, ma che l'attuale
tecnologia potrebbe rendere sufficientemente sicure e affidabili.
Tutto questo mentre si avvicina il prossimo “step” dei regolamenti, previsto
nel 2018, con nuove monoscocche e
quindi nuovi massicci investimenti richiesti a strutture che già fanno fatica a
stare seduti all'attuale tavolo di gioco.
Se la LMP1 sembra poggiarsi su equilibri tutto sommato piuttosto fragili
(manca ad esempio – ed è un fatto co-
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ENDURANCE
Quest’anno a Le Mans si rivivrà un duello di altri tempi: Ferrari contro Ford, come ai tempi della
330 P4 e delle GT40. La Casa di Maranello, che con la F488 di Rigon-Bird ha dominato in Belgio,
parte coi favori del pronostico, ma dovrà guardarsi dall’attesissima Ford GT (foto sopra) e dalle
sempre minacciosa Corvette C7R (in basso) e dalle numerose Porsche ufficiali in classe GTE-PRO.
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stantemente lamentato dalla dirigenza
stessa dell'ACO – un costruttore francese che rimpiazzi magari l'abbandono
dell'Audi), la LMP2 sta vivendo una stagione fortunata, con la prospettiva di
un ottimo regolamento nel 2017 e con
la certezza di tante squadre che hanno
deciso di investire ancora sui vecchi
materiali per la stagione in corso.
Un successo di telai e di motori, con
squadre altamente competitive che
hanno saputo trarre linfa dalla particolare situazione favorevole creatasi fra
gli Stati Uniti e l'Europa: con l'IMSA ancora incerta sul da farsi nel 2017, le
LMP2 stanno togliendosi delle grandi
soddisfazioni oltreoceano.
La Ligier vincitrice a Daytona e poi anche a Sebring è la testimonianza della
competitività di queste vetture a livello
internazionale; ci si è messa poi una serie come l'European Le Mans Series,
che nel giro di poco tempo è riuscita
ad esprimere valori di livello assoluto.
In qualche modo, di tutto questo, ha
beneficiato anche il WEC.
Nel caso dell'ELMS, gli obiettivi dell'ACO
sono stati raggiunti: si tratta di un campionato non “minore” ma semmai propedeutico, in cui i team possono esprimersi su circuiti seri e con un'organizzazione di ottimo livello. Un certo numero di team cercherà ulteriore visibilità a Le Mans, prima di rituffarsi nel
Nella foto sopra l’impressionante
schieramento di partenza della gara
ELMS, che si è disputata a Imola.
sono perse per strada. Ma l'ELMS fa
pensare ai casi più felici e anche se il
paragone è forse un po' stiracchiato
dal punto di vista tecnico, la memoria
torna a certe stagioni particolarmente
belle del vecchio Europeo 2 Litri negli
anni Settanta, che in alcuni frangenti
aveva saputo essere anche più interessante di un Mondiale costruttori in piena decadenza. Ora il WEC è tutt'altro
che decadente, ma resta la vivacità e
l'interesse di un ELMS che sa esprimere la forza delle piccole squadre esattamente con il “2 Litri” di tanti anni fa, su
circuiti ricchi di tradizione e con un
equilibrio sconosciuto alla maggior parte di molti altri campionati.
David Tarallo
Foto: M.Campi - M. Martella
M. BERETTA
campionato, al Red Bull Ring il 17 luglio.
A Imola, come del resto a Silverstone, il
parco partenti era davvero impressionante, con le LMP3 e le “piccole” GT a
fare da gustoso contorno. Vengono in
mente tutti gli esperimenti, riusciti e
non riusciti, fatti nel corso degli ultimi
decenni per dar vita a varie serie europee che si sono evolute (alcune arrivando lontano, anche troppo) o che si
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MONDIALE RALLY
Chi fermerà
la musica?
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l ritmo di “Chi fermerà la
musica…”, nella fattispecie
“AAA avversario cercasi
per Sébastien Ogier e la
VW”, che stanno navigando,
sia pure a…vista, verso il poker iridato, ci
si è avvicinati al Rally del Portogallo, quinto round del Campionato Mondiale Rally
2016 con grande curiosità.
Solo tre settimane prima in Argentina si
era accesa la stella di Hayden Paddon.
Davvero una piacevole novità! In un colpo solo il ventinovenne “kiwi” è riuscito a
interrompere l’anno di imbattibilità della
VW, regalando il secondo successo iridato alla Hyundai i20, ed è diventato anche
il primo neozelandese a vincere un rally
mondiale. Gli sterrati del Portogallo sembravano perfetti per la controprova.
Purtroppo, le speranze di Paddon sono
andate presto in fumo con l’incendio della sua vettura. Eppure, nella classica gara
lusitana è arrivato il secondo stop consecutivo per Ogier e la VW. A …”fermare la
A
musica” in Portogallo sono stati Kris
Meeke, Paul Nagle e la Citroën DS3
WRC, autori di una gara perfetta che li
ha visti in testa dalla seconda PS fino all’arrivo, dove anche Andreas Mikkelsen
con la Polo R WRC del secondo team
VW Motorsport si è preso il lusso di
precedere Ogier.
In questo caso non si può parlare di sorpresa, semmai di scoppio ritardato. Lo
scorso anno Kris Meeke, alla sua prima
stagione completa nel WRC con Citroën,
si era comportato bene, ed ha vinto la
sua prima gara mondiale in Argentina,
guarda caso dove quest’anno c’è stato
l’exploit di Paddon. Però, al pilota nordirlandese nel 2015 è mancata la continuità:
al successo argentino ha aggiunto altri tre
podi, ed ha chiuso il campionato in quinta posizione, dietro il compagno di squadra Mad Østberg che con con la Citroën
DS3 di podi ne ha arpionati ben cinque, anche se solo sul secondo e terzo gradino.
Ma come si è ripresentato all’inizio del
Nonostante qualche battuta a vuoto, anche nel
2016 il titolo sembra cosa fatta per Ogier e la WV.
Anche perché gli avversari stanno già pensando
alle vetture per la prossima stagione.
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MONDIALE RALLY
Nulla di nuovo nel mondiale rally: le Volkswagen Polo R Wrc e il loro profeta Seb Ogier (sopra)
continuano a rimanere i grandi favoriti per la conquista dei due titoli 2016 in palio, ma la loro
leadership comincia a scricchiolare: Paddon (sotto) ha vinto in Argentina, Meeke in Portogallo.
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2016, Meeke è apparso indiavolato, autore di due gran corse a Montecarlo e in
Svezia, dove ha rivaleggiato direttamente
con Ogier. Purtroppo quella continuità
necessaria per contrastare il campionissimo VW, a Kris mancherà anche quest’anno e non certo per colpa sua.
Il programma dell’Abu Dhabi Total WRT
che fa correre le Citroën di Meeke,
Lefebvre, Breen e al Qassimi è solo parttime. Citroën Sport è impegnata nello
sviluppo della nuova vettura per il 2017,
quando i regolamenti tecnici cambieranno radicalmente. La stagione di Meeke si
divide dunque tra i test, già alle spalle i
primi due a Chateau Lastours e in
Algarve, e poche gare selezionate del
mondiale, dove c’è da aspettarsi qualche
altra giornata di gloria.
Anche Toyota espone il cartello “lavori in
corso”. La nuova Yaris WRC 2017 è ormai pronta. Tommi Makinen sta completando la struttura. Per ora ha ingaggiato il
connazionale Juho Hänninen, un…usato
sicuro, come tester, ruolo che il trentaquattrenne finnico ex Škoda ha già svolto
per la Hyundai, salvo poi essere messo da
parte, al pari di Bryan Bouffier.
Dunque, tutto facile per Sebastien Ogier?
Sembrerebbe di sì. Dopo cinque gare ha
il doppio dei punti del secondo, Andreas
Mikkelsen, il norvegese compagno di
marca, e di Mads Østberg, l’altro “norge”
tornato alla guida delle Fiesta di M-Sport.
Due avversari molto continui, ma privi di
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Photo: M.Martella - C.Franchi - D.Milesi - Jorge Cunha - N. Mitsouras - F. Morittu - F. Doufour
TURISMO
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La dittatura tecnica della Volkswagen
Polo R Wrc è fuori discussione, ma non
si può certo dire che nel Mondiale Rally
manchino i motivi di interesse e il colore,
come testimoniano chiaramente le immagini
di queste pagine, catturate dai nostri
fotografi nelle prime gare della stagione.
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MONDIALE RALLY
Dodici mesi dopo il successo nel Rally di Argentina del 2015, Meeke (sopra) è tornato al successo,
riportando la Citroën Ds3 WRC sul gradino più alto del podio. In basso la Ford Fiesta di Bertelli
e a destra due passaggi spettacolari della VW Polo R Wrc, dominatrice del mondiale WRC 2016.
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reale pericolosità, come Dani Sordo, il
“regolarista” della Hyundai. Di Latvala, invece, si sono quasi perse le tracce. Per il
finlandese compagno di squadra di Ogier
l’assalto al titolo rimane una chimera…
Non resta che sperare che quello di
Hayden Paddon non rimanga un exploit
isolato per assicurare un po’ di pepe al
Campionato, altrimenti oltre al quarto titolo e ai record progressivi di Seb IV e
della VW l’attenzione si sposterà sul
2017 e sui movimenti di mercato….
Molto più combattuta e incerta è invece
la situazione nel WRC2. Con l’evoluzione
della Fiesta R5 e l’impegno ufficiale di
Elfyn Evans sembrava tutto facile per MSport. Purtroppo il gallese ha avuto un
passaggio a vuoto in Portogallo ed è stato avvicinato dai piloti Škoda, in particolare dal sudamericano Nicholas Fuchs e
dallo svedese Pontus Tiedemand, campione APRC 2015, con la macchina ufficiale.
In WRC3 c’è un uomo solo al comando,
il francese Michel Fabre che ha approfittato delle trasferte in Svezia, Messico e
Argentina, per mettere insieme un tesoretto di punti che non sarà facile recuperare da parte del norvegese Ole
Christian Veiby e dal nostro Fabio
Andolfi, che corre con la Peugeot 208 R2
di ACI Team Italia.
La prima prova del WRC Junior in
Portogallo ha invece lanciato le prospettive di Simone Tempestini, l’italiano di
Romania che ha sufficiente esperienza e
grinta per portare a casa il titolo FIA.
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ASPETTANDO IL 2017
L’impegno a metà servizio della Citroën,
nel mondiale 2016 e il programmato
rientro di Toyota, anticipano di fatto il focus sulla stagione 2017 del Mondiale
Rally. Dal primo gennaio dell’anno prossimo niente sarà più come prima.
ll principio cui si sono ispirati i legislatori,
non dissimile da quello che ha condizionato i cambiamenti regolamentari, che
l’anno prossimo entreranno in vigore in
Foemula 1, è quello di rendere più potenti e spettacolari le World Rally Car.
D’altra parte con le attuali macchine di
dimensioni ridotte e le quattro ruote
motrici al top level non c’era da stare allegri. Pur mantenendo l’impostazione del
motore 1.6 litri, a partire dal prossimo
anno, viene aumentato il diametro della
flangia del turbo, fino a 36 mm, e la pressione massima di sovralimentazione, che
viene portata a 2,5 bar. Si calcola che con
queste misure possa esserci un incremento di potenza tra il 20 e il 30%, ovvero un valore massimo di 370-390 CV, per
la felicità dei piloti. Altri punti importanti saranno il differenziale centrale elettronico, i 25 kg in meno di peso, e gli alettoni più grandi.A questo punto il salto spettacolare pare certo, molto dipenderà dai
costruttori che accetteranno la sfida già
lanciata da Citroën. A proposito del team
francese, la compagine transalpina potrebbe affiancare a Meeke il cavallo di ritorno Neuville se non addirittura Seb
Ogier. E la Toyota? La compagine nipponica punta decisamente sul collaudato
Latvala. Quanto a VW è certo che sta lavorando, anche se lontano dai riflettori, ai
quali ha concesso solo un bozzetto della
nuova Polo. Per Hyundai, che è appena all’inizio del suo nuovo impegno agonistico, è facile pensare a una riconferma,
mentre ci sono dei rumors che riguardano Subaru, il cui rientro non sarebbe certo una sorpresa. Di italiani neanche a parlarne, anche se siamo convinti che un
eventuale e auspicabile rilancio Lancia
debba passare proprio per i rally.
Franco Carmignani
Foto: M.Martella/PURE WRC
C.Franchi - D.Milesi - Jorge Cunha
N. Mitsouras - F. Morittu - F. Doufour
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MONDIALE RALLY
Mentre la stagione è in pieno svolgimento le
Case pensano già al 2017, quando le regole
tecniche del WRC cambieranno decisamente,
per avere al via del Mondiale Rally vetture più
“muscolose”. Per il momento la Volkswagen
ha mostrato solo un figurino della sua nuova
arma (in alto a sinistra), mentre Citroen e la
rientrante Toyota hanno già testato le vetture
destinate alla prossima stagione. Come si può
vedere nelle immagini a sinistra, le dimensioni
della nuove WRC sono più generose e anche
nei rally l’aerodinamica la fa da padrona..
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Talento beffato dal destino
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P. D’ALESSIO
ELIO DE ANGELIS
IL PERSONAGGIO
nche se nella sua lunghissima carriera, Riccardo
Patrese vanta il maggior numero di vittorie (sei), sono
due i piloti italiani che nei magnifici anni Ottanta hanno potuto accarezzare il
sogno di succedere ad Alberto Ascari
nell’albo d’oro del Campionato
Mondiale di Formula 1 Parliamo di
Michele Alboreto e Elio De Angelis.
Per entrambi il fattore negativo è stata
la scomparsa del titolare della scuderia,
Enzo Ferrari nel caso di Alboreto, Colin
Chapman per Elio. Le analogie tra i due
finiscono qui, anche se sarebbe curioso
ipotizzare cosa poteva succedere se
avessero potuto godere più a lungo la
presenza dei rispettivi “capi”.
Di certo Elio De Angelis godeva della
stima di Colin Chapman, che in quegli
anni lo preferiva nettamente a Nigel
Mansell, dopo che a fine ’81 Mario
Andretti, campione del mondo nel
A
Portato a Maranello da Gioacchino
Vari, punto di riferimento di Ferrari su
Roma, Elio ha avuto il coraggio di lasciare il programma F2 e le fumose
prospettive futuribili. Grazie, si dirà, poteva permetterselo, ma non è stato il
solo. Fatto sta gli è bastata quella prima
È stato uno dei più grandi piloti italiani in F1,
ma pochi lo ricordano. Lottò alla pari con
Senna. La sua serietà professionale gli fu fatale.
1979, aveva lasciato la F1. Una fiducia
che il romano si era conquistato imparando umilmente tutti i segreti da
“Piedone”, poi con il lavoro e con il suo
carattere di gentiluomo, cancellando
l’etichetta di “ragazzo con la valigia”.
Certo, era arrivato così in F1, portando
denaro alla disastrata Shadow, dopo un
apprendistato velocissimo in Formula
3, dove era sbarcato diciottenne sull’onda del secondo posto nel campionato mondiale karting, e in Formula 2.
Qui va aperta la parentesi Ferrari.
stagione con ciò che rimaneva della
Shadow per essere chiamato da Colin
Chapman come secondo di Andretti
alla Lotus nel biennio 1980-1981.
Nel 1982, partito Andretti, Elio diventa
il faro della squadra che si trova a lottare contro i primi turbo affidandosi ancora al DFV Cosworth. E sarà proprio
De Angelis con un finale emozionante
a regalare il 150º successo al motore
Ford, tagliando per primo il traguardo
di Zeltweg nel Gran Premio d’Austria.
Ma, complice la scomparsa di
Chapman, dovrà attendere due stagioni per ritrovare una Lotus tornata
competitiva con il motore Renault turbo. Sale quattro volte sul podio e alla fine è terzo nel Mondiale. Era dal 1957,
epoca dell’altro romano Luigi Musso,
che un italiano non si piazzava così in
alto. Elio può pensare positivo per il
1985 con la nuova Lotus 97. Arriva infatti la seconda vittoria, in casa a Imola,
e passa in testa al mondiale, confermandosi con il terzo posto di
Montecarlo. Ma proprio sul più bello
Gerard Ducarouge, il tecnico francese
che proprio Elio aveva voluto alla direzione del team, gli volta le spalle a favore del ciclone Senna, già vincente, ma
ancora un diamante grezzo.
Alla fine le due Lotus si piazzano quarta e quinta, mentre Michele Alboreto
secondo con la Ferrari alle spalle di
Prost con la McLaren-Porsche, cancella
il fresco primato di Elio, che dopo sei
anni lascia la Lotus.
Approda alla Brabham BMW gommata Pirelli dove c’è già Riccardo Patrese.
Ma l’eventuale rivalità non ha nemmeno il tempo di attecchire, perché la
macchina non c’è. Ed è nel tentativo di
cavarne qualcosa che Elio vuole partecipare ai test del Paul Ricard. L’alettone
che vola via, la macchina che impazzisce, l’incendio, il colpevole ritardo dei
soccorsi del poco personale di pista,
sostituito dagli altri piloti, l’Ospedale di
Marsiglia, il 15 maggio…
Elio è così entrato nel club dei piloti
italiani beffati dalla sorte nel momento
migliore ….cui non sfuggirà anni più
tardi anche Michele Alboreto.
Franco Carmignani
Foto: Archivio P. D’A
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GP MONACO HISTORIQUE
Il fascino del bel
tempo che fu
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lamour, vetture, jet set, barche: questa la sintesi del 10°
Gran Premio Historique di Monaco, una manifestazione
che si ripete ogni due anni con le più belle monoposto
storiche che si danno ancora battaglia sullo stretto toboga del Principato. Passione e facoltosi collezionisti, è la ricetta
per la conservazione di vetture, a volte importanti e blasonate, a
volte solo curiosità o pezzi che hanno fatto solo timide apparizioni
e che il trascorrere del tempo ha ridato loro dignità, mista alla passione dei loro proprietari, alla voglia di esserci e di calcare un nastro di asfalto reso mitico dalle imprese dei grandi campioni.
Organizzato dal 1997 dall'Automobile Club di Monaco, l'evento
"biennale" si svolge due settimane prima del Gran Premio di
Formula 1 Monaco ed ancora una volta ha riempito le tribune di
pubblico.Si inizia con le vetture anteguerra, quelle che hanno debuttato sul tracciato monegasco, vetture da Grand Prix, come si
chiamavano allora le Alfa Romeo, Maserati e tante altre vetture che
hanno spesso più anni dei piloti che le guidano.
La storia è l’anima di questa rievocazione, con le monoposto ed anche vetture sport, divise in ben sette categorie, secondo il periodo
ed i regolamenti mutati nel tempo. Le categorie dedicate alla
Formula Uno partono dalla metà degli anni ’50 fino al 1976, suddivise in funzione del periodo di appartenenza, iniziando dalle F.2 fino
ai motori di tre litri di cilindrata. Completano la manifestazione le
vetture Sport che hanno corso a Montecarlo tra il 1952 ed il 1955
e le Formula Junior che disputavano la gara di contorno al Gran
Premio tra il 1958 ed il 1960. Infine parate di vetture speciali, aste,
manifestazioni collaterali, il tutto per rendere indimenticabile questo evento dedicato alle vetture storiche.
A completare la manifestazione di quest’anno la sfilata delle
Porsche di F.1 del museo di Stoccarda con piloti d’eccezione come
Jacky Ickx, Brendon Hartley e Romain Dumas. Antony Beltoise, il figlio dell’indimenticato pilota francese, ha voluto essere presente
con la Matra MS 120 guidata dal padre. Con quella monoposto Jean
Pierre disputò il gran premio del 1970. Proprio a Montecarlo
Beltoise vinse la sua unica gara in FORMULA 1 nella piovosa edizione del 1972. «Mio padre era un esempio per me. Egli incarna la forza, il coraggio, ostinazione, la modestia e la saggezza e seguendo le sue
imprese mi è venuta voglia di vivere la stessa passione», dice Anthony
Beltoise. «È stato naturale per me seguire le sue orme ed essere un pilota, quello che sto facendo da oltre 20 anni. Con questa partecipazione
ho voluto rendere omaggio a lui ed alla Matra su questo tracciato pieno
di storie e di leggende».
Tanti i piloti ed i personaggi invitati a correre: Emanuele Pirro, Marco
Werner, Jean Luis Deletraz, Alex Caffi, Paolo Barilla, ed il direttore
tecnico della Red Bull, Adrian Newey, giusto per citarne alcuni. Non
molti gli italiani al via, ma tutti hanno fortemente voluto esserci, come Franco Fraquelli, Simone Tacconi e Renato Benusiglio con le loro piccole FORMULA Junior. L’edizione 2016 è andata in archivio
con la vittoria di Alex Caffi che ha vinto la gara più importante, quella delle F.1 più recenti con la Ensign.Via dalla prima fila, subito in testa mentre nelle retrovie diversi incidenti riducevano le vetture in
pista, con conseguente lavoro dei commissari e safety car. Il pilota
bresciano ha iniziato a far volare la nera monoposto a suon di giri
record, fin sotto la bandiera a scacchi. Per la prossima edizione bisognerà aspettare due anni, ma il Montecarlo Historique sarà ancora una delle manifestazioni più ambite per collezionisti e pubblico.
G
Massimo Campi
Foto: M.Campi - A.Filippi
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M. CAMPI - A. FILIPPI
GP MONACO HISTORIQUE
Ogni due anni sulle strade del Principato si danno battaglia le vetture storiche più belle al mondo. Nella gara principale, riservata alle monoposto
di Formula 1, vittoria del bresciano Alex Caffi, su Ensign (foto sopra N.22). Il Gran Premio storico del Principato è anche l’occasione per rivedere
all’opera vetture che hanno fatto la storia dell’automobilismo (a sinistra la Lotus del 1974 di Ronnie Peterson, N.31, e la Hesket del 1975 di James
Hunt, N. 26) e volti celebri, come Adrian Newey, in basso con Mark Webber, il vincitore Caffi, o l’ing. Forghieri con Jacky Ickx (in basso a destra).
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BOOKSTORE
MEZZO SECOLO DIETRO L’OBIETTIVO
Rainer W. Schlegelmilch non è solo un amico di vecchia data di chi si occupa di questa rubrica ma, con tutta probabilità, il migliore fotografo di tutti i tempi della Formula 1. E’ il 1962 quando il giovane Rainer assiste alla sua prima gara: la 1000 km del Nürburgring, per eseguire una serie di ritratti richiesti dalla Bavarian State School of
Photography di Monaco, che il nostro frequenta, ovviamente, con grande profitto. L’ambiente dello corse lo strega letteralmente e da allora comincia a fotografare tutto quello che circonda questo mondo. Prima in bianco/nero, poi, a partire dal 1974, con pellicola a colore. Le sue immagini non sono mai banali, tecnicamente perfette, riconoscibilissime. E ovviamente richiestissime in tutto il mondo, per allestire mostre o realizzare preziosi volumi.
L’ultimo dei quali, SCHLEGELMILCH 50 festeggia il mezzo secolo di militanza in Formula 1. un’opera che non
può mancare nella libreria degli appassionati, di tutti coloro che hanno la passione per il cosiuddetto “metallo veloce”. Tutti lo conoscono e lo apprezzano nel Paddock, a partire da Bernie Ecclestone, che nel 2011 gli ha assegnato un pass permanente per la sua lunga militanza in Formula 1. Il suo motto “non devi fare tante cose nella tua
vita, ma in quella che fai devi essere il migliore”. Più chiari di così.... Paolo D’Alessio
SCHLEGELMILCH 50
PHOTO: R. SCHLEGELMICH
YEARS OF FORMULA 1 PHOTOGRAPHY
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Ed. LOGOS
Prezzo: 49,90 Euro