le politiche europee in materia di cooperazione con i paesi terzi

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le politiche europee in materia di cooperazione con i paesi terzi
LE POLITICHE EUROPEE
IN MATERIA DI COOPERAZIONE
CON I PAESI TERZI: PROCESSI,
PROSPETTIVE, OPPORTUNITÀ
Trento, 8 settembre 2003
Dott. Carlo Tassara
Sociologo - Direttore del CISP
Dott. Luigi Grando
Economista
Responsabile di Area Geografica America Latina
e Caraibi del CISP
GIUNTA DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
TRENTO, 2005
© Tutti i diritti riservati - 2005
Giunta della Provincia Autonoma di Trento
Centro Documentazione Europea
Coordinamento redazionale: Dott. Marco Zenatti
Stampato in proprio
Centro duplicazioni della Provincia Autonoma di Trento
Editore: PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
TASSARA, Carlo
Le politiche europee in materia di cooperazione con i paesi terzi:
processi, prospettive, opportunità: Trento, 8 settembre 2003 /
Carlo Tassara, Luigi Grando. - Trento : Provincia autonoma di
Trento. Giunta, 2005. - 100 p. ; 21 cm. - (Quaderni del CDE ; 19)
Relazioni presentate al Seminario
1. Comunità europea - Assistenza ai Paesi in via di sviluppo 2. Paesi
in via di sviluppo - Assistenza economica - Cooperazione
Internazionale I. Grando, Luigi
338.91401724
I testi degli interventi, su autorizzazione dei relatori del Convegno, sono stati riordinati a cura
del Servizio Rapporti Comunitari della Provincia Autonoma di Trento.
Introduzione
Questo seminario rappresenta un momento di approfondimento e di
confronto sugli indirizzi e sulle politiche europee in materia di cooperazione allo sviluppo ed è un nuovo evento promosso all'interno dell'attività istituzionale di informazione/formazione e sensibilizzazione
sulle tematiche europee del Centro di Documentazione Europea
(CDE).
Il CDE è una struttura promossa dall'Unione europea e sostenuta dalla Provincia autonoma di Trento e dall'Università degli Studi di Trento
che dal 1997 organizza seminari e momenti di approfondimento su
tematiche di interesse, spesso dell'intera collettività trentina. Con
l'aiuto di professori universitari e di esperti locali, nazionali e comunitari il CDE ha realizzato quasi 20 seminari su temi quali, solo per
citarne alcuni, gli aiuti di Stato nella politica di concorrenza dell'Unione
europea, il VI programma quadro per la ricerca, il libro bianco sulla
governance, la nuova costituzione europea.
Il seminario di oggi vuole essere un momento di riflessione sulle politiche di sviluppo e cooperazione dell'Unione Europea con i paesi terzi
e sulla riforma della gestione dell'assistenza esterna avviata dalla
Commissione europea alla luce dei processi in corso quali: il nuovo
assetto europeo definito nella Convenzione europea ed il processo di
allargamento. I relatori di oggi sono: il dott. Carlo Tassara e il dott.
Luigi Grando rispettivamente direttore e responsabile di area geografica America Latina e Caraibi del Centro Internazionale per lo Sviluppo
dei Popoli (CISP), ONG che si occupa da molti anni di cooperazione
allo sviluppo e assieme all'Università di Pavia organizza anche un
Master in Cooperazione allo sviluppo.
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Il tema che si vuole affrontare è molto complesso e dibattuto, ma
anche di grande interesse perché nella nostra provincia la cooperazione allo sviluppo rappresenta un terreno di forte impegno da parte della società civile e della pubblica amministrazione. La Provincia autonoma di Trento, in contro tendenza rispetto alla riduzione dei fondi pubblici predisposta dal Ministero degli Affari Esteri, ha rilanciato la solidarietà internazionale non solo attraverso nuovi e più aggiornati strumenti operativi e gestionali, ma anche attraverso un impegno in progetti europei realizzati in collaborazione con realtà del Nord e del Sud
del mondo.
Riteniamo, infatti, che gli enti locali insieme ai rappresentanti delle
associazioni e ONG, all'università, ai sindacati e a tutti gli attori non
statali sono chiamati ad essere promotori degli interventi di cooperazione internazionale. Nasce dunque l'esigenza di comprendere i processi di cambiamento in corso per poter utilizzare gli strumenti e le
opportunità offerte a livello europeo ed essere interlocutori attivi della Commissione.
La cooperazione internazionale rappresenta oggi un settore in cui gli
attori non statali giocano un ruolo fondamentale, per la promozione
dei diritti dell'uomo, dei processi di democratizzazione e di integrazione dei gruppi marginali nei paesi impoveriti. I progetti di cooperazione allo sviluppo si caratterizzano negli ultimi anni per essere improntati sul "partenariato", ossia sulla relazione che nasce tra attori del
Nord e del Sud aventi in comune valori, interessi e una stessa dimensione operativa (esperienza in comune nei settori del servizi sociosanitari, formazione, ricerca etc.). Il rapporto di partenariato indica un
impegno congiunto di entrambi i soggetti per il raggiungimento di
obiettivi condivisi e per la realizzazione di un processo di sviluppo partecipato, socialmente equo, ambientalmente sostenibile.
Le relazioni con il Sud del mondo, così come affermato dalle Nazioni
Unite, non possono limitarsi semplicemente a quelle funzionali agli
interessi di natura economica, legati al sostegno degli investimenti e
all'apertura di nuovi mercati. La Commissione europea, in linea con le
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Nazioni Unite, tenta di elaborare una politica di cooperazione non
subordinata agli interessi di politica commerciale e al contempo elabora una strategia per raggiungere il coordinamento e la complementarietà tra le politiche e gli interventi di cooperazione allo sviluppo dei
singoli stati membri e quelli della UE. Il miglioramento del coordinamento e della complementarietà sono, infatti, elementi essenziali per
rendere più efficace l'assistenza esterna della Comunità. D'altronde già
nel trattato di Maastricht si stabiliva all'articolo 180 che gli stati
membri devono coordinare "le rispettive politiche in materia di cooperazione allo sviluppo" e concentrarsi "sui rispettivi programmi di aiuto, anche nelle organizzazioni internazionali e in occasione di conferenze internazionali". Queste problematiche sono di grande attualità e
sono strettamente legate al dibattito che si è sviluppato intorno alla
nuova Convenzione europea.
Infine, su un altro aspetto si vuole richiamare l’attenzione. Le politiche di cooperazione hanno rappresentato anche uno strumento verso l'allargamento dell'Unione Europea. La Commissione ha predisposto varie linee di finanziamento (i cd. strumenti di preadesione) che
sono state fortemente orientate al raggiungimento dell'acquis comunitario da parte dei paesi candidati. I paesi con un'economia in transizione hanno raggiunto attraverso la cooperazione e lo scambio con i
paesi membri un livello di sviluppo che consentirà loro di entrare a
pieno titolo in Europa.
Accanto alle linee di finanziamento tradizionali abbiamo assistito nell'ultimo ventennio all'apertura di nuove linee di cooperazione con i
"paesi terzi" che si caratterizzano per la geografizzazione degli interventi e per gli interessi settoriali come, ad esempio, la sicurezza alimentare, l'emergenza, la riabilitazione e la ricostruzione, i diritti umani e la democrazia, la questione di genere, i migranti, il razzismo, la
ricerca e lo sviluppo tecnologico per arginare il divario tecnologico.
Su questi temi la Provincia autonoma di Trento è da anni impegnata
sia attraverso interventi di cooperazione decentrata sia attraverso la
partecipazione come capofila e/o come partner in vari progetti di coo-5-
perazione allo sviluppo finanziati dalla Commissione. Nell'ambito dei
progetti europei la Provincia di Trento sta realizzando, assieme alla
Provincia di Bolzano, al Land Tirolo e alla provincia vietnamita di Bac
Ninh un progetto per aggiornare il sistema professionale di quella
provincia. La nostra provincia partecipa e sostiene con attenzione
progetti similari in altre parti del mondo sempre nell'ambito della formazione professionale e dell'ammodernamento dei sistemi sanitari.
Di recente è stato approvato un altro progetto europeo sulla linea
@lis (Alleanza per una società dell'informazione). Si tratta si un progetto pilota che intende creare un network tra organizzazioni e istituzioni italiane e brasiliane impegnato sul tema della e-health.
Si stanno elaborando, inoltre, proposte progettuali nell'ambito del VI
Programma Quadro di Ricerca e Sviluppo Tecnologico, sulla linea di
cooperazione con i paesi terzi.
Questo seminario costituisce l'occasione proficua per uno scambio di
esperienze e laboratorio per nuove progettualità.
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Dott. Carlo Tassara
Considerazioni
La tradizione della Provincia Autonoma di Trento (PAT) nell'ambito
della cooperazione e della solidarietà internazionale è ampiamente
conosciuta e molto apprezzata, non solo in Trentino ma in tutto il
paese.
Prima di cominciare l'esposizione vorrei quindi raccogliere un punto
fondamentale, collegato con la battaglia di democrazia e di civiltà che
la Provincia autonoma di Trento intende percorrere, ovvero l'iniziativa
di vincolare una certa parte del suo bilancio ad attività di cooperazione e di solidarietà internazionale. Infatti, qualora questa proposta fosse condivisa e sostenuta con altri enti locali, rappresenterebbe una
sfida importante al governo nazionale, che negli ultimi anni - indipendentemente, in questo caso, dal tipo di maggioranza - non solo non
ha fatto passi avanti verso quello 0,7% del prodotto interno lordo
(PIL) a cui tutti i paesi aderenti alla Organizzazione per la
Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE ) si sono impegnati ad
arrivare circa trent'anni fa - ma addirittura ha fatto passi indietro,
scendendo allo 0,13%. Non potremmo che rallegrarci, quindi, se gli
enti locali, in modo trasversale e indipendentemente dalle maggioranze esistenti, si facessero alfieri di questo obiettivo. Si tratterebbe di
una battaglia di civiltà, che potrebbe riscuotere un grosso consenso
a tutti livelli (locale, regionale e nazionale) e, nello stesso tempo, uno
strumento importante per sollecitare il governo nazionale a muoversi
almeno nella stessa direzione.
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Presentazione generale
I temi oggetto del seminario sono stati articolati in tre parti principali:
1. Il primo tema è l'inquadramento generale sulle politiche comunitarie, quindi Unione Europea, Commissione e quant'altro relativo
alla cooperazione con i paesi in via di sviluppo.
2. Il secondo blocco riguarda l'organizzazione comunitaria, quindi
come la Commissione europea in particolare, ma tutto l'ambito
dell'Unione Europea, è attrezzato per lavorare ed operare in questo contesto.
3. Il terzo punto riguarda un approfondimento informativo su alcune
linee di finanziamento non tradizionali.
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Dott. Carlo Tassara
Parte I - Le politiche comunitarie in materia di cooperazione con i paesi terzi
Il tema delle politiche comunitarie in materia di cooperazione con i
paesi terzi è stato articolato in tre moduli principali, che si sintetizzano di seguito:
1. In primo luogo, cercheremo di rispondere alla domanda "Perché la
cooperazione europea è importante?". E quindi di capire i motivi per
cui vale la pena di comprenderla, studiarla ed interagire con essa.
2. In secondo luogo il centro dell'esposizione sono le politiche comunitarie in termini di contesto internazionale e concetti di riferimento,
in primo luogo, poi di contesto strategico operativo, perché esse si
collocano nell'ambito di un sistema molto complesso e articolato.
Quindi, ovviamente, le politiche e la prassi di cooperazione riflettono,
nel bene e nel male, l'insieme della macchina operativa, delle strategie
e delle politiche dell'Unione Europea.
3. Entreremo poi nel merito della questione approfondendo quali
sono gli obbiettivi o, per meglio dire, il meta obbiettivo, che poi, come
tutti sapete immagino, è la lotta alla povertà. Ci soffermeremo sulle
aree strategiche, sui principi guida e le priorità operative, nonché sui
criteri metodologici assunti dalla cooperazione europea nell'ambito
del suo lavoro.
4. Qualche spunto informativo in termini di utilizzazione delle risorse; quindi analizzeremo quali sono i trend degli ultimi anni nell'utilizzazione delle risorse, soprattutto a livello macro regionale, quindi in
termini geografici di aree, di continenti. Esamineremo come sta cambiando e come è già cambiata, in maniera molto evidente, l'allocazione delle risorse in un quadro geo-strategico internazionale. (Stiamo
sempre parlando, ovviamente, di risorse comunitarie).
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5. Da ultimo abbiamo segnalato alcuni nodi critici, perché anche se
le politiche comunitarie in materia di cooperazione internazionale e la
Commissione nel suo complesso svolgono un ruolo - a nostro avviso,
sicuramente molto positivo - questo non vuol dire che sia esente da
critiche, che non ci siano alcuni nodi critici particolarmente seri che
dovrebbero essere affrontati. Faremo una breve analisi dell'attività
politica e di quello che alla politica è collegato in termini di strutture
operative, istituzioni e così via. Ci sembrava anche giusto segnalare,
come spunti di riflessione - ovviamente sono punti di vista e come tali
opinabili - quelli che possono essere identificati come problemi, come
nodi critici rispetto al funzionamento della macchina nel suo complesso e quindi, soprattutto, i risultati che questa macchina operativa
porta, o dovrebbe portare, rispetto ai beneficiari finali - cioè né voi né
noi -ma soprattutto cittadini di paesi in via di sviluppo.
6. Da ultimo qualche riferimento agli strumenti specifici, in termini
di principali linee di bilancio e rispettive modalità operative e in termini di Country o Regional Strategy Papers, che, come vedremo, sono lo
strumento operativo di orientamento delle strategie che la
Commissione si è data due o tre anni fa all'incirca, quindi relativamente da poco tempo.
I.1. Rilevanza della cooperazione europea
La domanda a cui cerchiamo di rispondere con queste due prime
tabelle è molto semplice: l'importanza delle politiche di cooperazione
europea in materia di cooperazione allo sviluppo deriva dal fatto, tanto per cominciare, che l'insieme composto dalla Commissione - quindi lo strumento operativo dell'Unione Europea, l'equivalente, per così
dire, dell'esecutivo - in una certa misura, quindi l'insieme delle risorse
gestite dalla Commissione e dagli attuali 15 stati membri, ossia l'insieme delle risorse erogate nell'ambito degli aiuti ai paesi terzi, come
vengono tecnicamente definiti all'interno della Commissione, fanno sì
che l'Europa sia il principale donatore, a livello internazionale, relati- 10 -
vamente alla cooperazione internazione, allo sviluppo, agli aiuti umanitari ed a quant'altro.
In questa tabella vediamo l'evoluzione negli ultimi 12 o 13 anni; ovviamente gli ultimi dati consolidati datano 2002, dell'ammontare complessivo in milioni di euro, come vedete in alto a sinistra, delle risorse allocate. Vedete, tra l'altro, un primo dato interessante: comincia a
comparire una nuova - è evidenziata nella torta che sta in alto - componente molto importante, il 36% di allargamento.
Alcune tabelle saranno in inglese perché le fonti erano in inglese e mi
sembrava più efficacie lasciarle in lingua originale; poi vedremo che
anche molta nomenclatura, in termini di sigle, è e rimane in inglese
perché ovviamente è difficile tradurre le sigle; quindi è opportuno
familiarizzare con certi termini. In ogni caso la cosa importante che si
vede emergere negli ultimi tempi, è una componente importantissima
di aiuti, che quindi non rientrano nell'ambito di quello che tecnicamente si definisce aiuto pubblico allo sviluppo che ha come target, come
beneficiari, i principali paesi in via di sviluppo, ma altri aiuti ufficiali
che in questo caso, ovviamente, come dice anche il termine allargamento, sono orientati verso i paesi che stanno per aderire, che hanno aderito (la cosa che da giugno del 2004 sarà formalizzata, se non
vado errato) che hanno assorbito negli ultimi anni una parte importante di questi aiuti, anche se, ripeto, su linee di budget diverse.
Questo però è emerso come un altro ambito importantissimo, anche
in termini quantitativi, e lo vedremo andando avanti. Se poi lo vediamo in termini comparativi, abbiamo visto il trend delle risorse europee, abbiamo la conferma che in 12 o 13 anni si passa da 12.500 a
circa 10.000 milioni di euro; quindi risulta ancora più evidente l'importanza, il peso della cooperazione europea. Qui c'è una comparazione fra la media degli aiuti del 1985/86 con quella degli ultimi 5 anni:
si vede chiaramente che, in termini di scenario internazionale, l'UE era
e rimane - anzi, si rafforza saldamente - il principale attore.
L'UE gestiva circa il 45% degli aiuti nell'85/86 e nell'ultimo quinquennio, facendo una media, gestisce oltre il 50%. E' quindi fuori di dub- 11 -
bio, ripeto, che l'Europa sia al vertice. Attenzione, di questi aiuti soltanto il 4% circa viene gestito direttamente dalla Commissione
Europea, però ovviamente il 50% e oltre è la somma delle risorse
gestite direttamente dalla Commissione, oltre a quelle gestite da tutti gli altri stati membri dell'UE.
Gli altri due grossi cambiamenti che si vedono in questa comparazione sono il sostanziale declino delle risorse dedicate alla cooperazione
internazionale da parte degli Stati Uniti, in termini assoluti e relativi.
Non ho avuto il tempo di sviluppare questo tema che, del resto, non
era al centro della nostra riflessione, ma si possono fare riflessioni
interessanti sul contesto geo-politico internazionale, incrociandolo
con gli anni e andando ad analizzare i flussi della cooperazione nordamericana. Chiudo la parentesi. Il dato è evidente: c'è un declino in termini di queste percentuali rispetto al totale degli aiuti, quindi al totale di tutti i donatori dei paesi OCSE. Gli stati Uniti, fra il 1985 e l'ultimo quinquennio, passano da poco più del 29% al 17,6%; vi è quindi
una diminuzione in termini relativi, ma ripeto, anche in termini assoluti, molto importante. C'è, invece, una crescita altrettanto importante del Giappone come altro grande donatore internazionale che passa
da circa il 14% ad oltre il 22%.
Va detto subito - anche perché poi non avremo modo di vederlo più
avanti - che da questo punto di vista l'UE si contraddistingue in termini, a mio avviso molto positivi, nei confronti degli altri due grandi
attori perché pratica, con i suoi difetti e con i suoi errori, alcuni li
vedremo, una cooperazione molto meno condizionata rispetto a questi due grandi attori, che sono gli Stati Uniti e il Giappone, nel senso
che ha inserito, soprattutto negli ultimi anni, elementi di condizionalità, soprattutto in termini di democrazia e diritti umani. La cooperazione viene utilizzata anche come strumento di pressione verso quei
paesi che non hanno ancora imboccato con decisione la strada di un
assetto democratico e di un rispetto sostanziale dei diritti umani a
livello interno, per così dire.
Al contrario la cooperazione giapponese ha una certa tendenza alla
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monopolizzazione degli aiuti in termini d'assistenza tecnica giapponese, quindi noi che viaggiamo e abbiamo conosciuto cooperazioni di
tutti i tipi, in tutti i paesi, siamo stati anche testimoni di centri per le
ricerche oceanografiche in Ecuador costruiti portando praticamente
quasi tutto - anche il cemento - dal Giappone, per non parlare delle
attrezzature e di altre materie prime. Quindi c'è una forte condizionalità commerciale nel caso del Giappone, mentre invece l'Europa è
all'avanguardia nella battaglia - un termine tecnico antipatico - del
cosiddetto slegamento degli aiuti, che vuol dire non condizionare l'acquisto di materiali ed attrezzature nei paesi che erogano il finanziamento, che finanziano il progetto, il programma, l'attività. Il Giappone
si sta avviando su questa strada, anche in considerazione della spinta della Comunità internazionale; sta cambiando atteggiamento però,
fino all'altro ieri, continuava a perseguire una logica di cooperazione
in cui, ripeto, erano giapponesi anche gli spilli con cui si attaccavano
le figurine sul polistirolo della parete!
Dall'altra parte gli Stati Uniti si sono sempre caratterizzati per una
notevole condizionalità politica degli aiuti, non tanto in termini etici e
carini come quelli dell'UE, - per cui l'aiuto arriva se si rispettano i diritti umani, se non si rispettano la prossima volta gli aiuti arrivano in
misura minore - ma in termini molto più direttamente collegati ai propri interessi geo-politici bilaterali. Quindi, se è un paese amico, viene
aiutato ma, se non lo è si può anche non aiutare; se in quel momento serve il voto si aiuta, se il voto non arriva niente aiuto e così via.
Questi sono un po' i vizi, per così dire, principali degli altri due grossi soggetti di cooperazione internazionale. Il restante 10% circa comprende tutti gli altri donatori, che non sono quelli di cui sopra, quindi gli altri paesi industrializzati, la Nuova Zelanda, l'Australia, la
Svizzera, altri paesi europei che non fanno parte dell'UE Attenzione
però che questi dati tengono conto soltanto dei tempi del DAC, che
come sapete è il Comitato di Sviluppo dell'OCSE, l'Unione dei paesi
industrializzati, di cui non fanno parte, per esempio, i paesi arabi, che
invece sono donatori di cooperazione internazionale (alcuni di loro
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almeno, i più ricchi). Va detto comunque che non sposterebbe,
sostanzialmente, questo tipo di valori un calcolo effettuato tenendo
presenti anche i donatori che non fanno parte del DAC.
Una piccola riflessione negativa sull'Italia, solo una piccola parentesi:
in tutto ciò, questa è la situazione, la fotografia dell'ODA, che è l'equivalente inglese di APS; aiuto pubblico allo sviluppo, 2000, dei paesi
che fanno parte del DAC OCSE in termini di percentuale del PIL. Per
trovare l'Italia ci vuole la lente d'ingrandimento; la troviamo allo
0,13% nel 2002, quindi praticamente è fanalino di coda. Fanno peggio soltanto gli Stati Uniti, che non hanno mai superato lo 0,15% in
termini di percentuale sul PIL. Ovviamente sono comunque grandi
donatori, perché hanno un PIL di tutt'altra dimensione, quindi in termini di valore assoluto la quantità di risorse messe in campo è
comunque di tutto rispetto e di grande rilevanza.
Dal punto di vista relativo, in termini di percentuale sul PIL, che poi è
l'indicatore che si usa in questo caso, sono gli ultimi in classifica fra i
paesi OCSE e lo sono sempre stati; da questo punto di vista c'è una
coerenza ammirevole, mentre l'Italia è stata anche attorno allo 0,3%,
superandolo leggermente.
Apro una parentesi: da questo punto di vista c'è una certa continuità
negativa tra i governi: non si percepisce tra un governo di centrosinistra e uno di centrodestra una sostanziale differenza; poi ci possono
essere altre differenze nel senso che la curva continua ad essere negativa o al massimo stabile, ma nessuno, negli ultimi 10-15 anni, si è
caratterizzato - da quando la curva ha cominciato a scendere - nel
dimostrare un interesse reale nel rovesciare la linea di tendenza.
I.2. Politiche comunitarie
Allora, cominciamo ad avvicinarci al cuore del problema: contesto
internazionale e concetti di riferimento. Quattro concetti di base, per
arrivare a come si è andato definendo il cuore, in termini di priorità e
di strategie, delle politiche comunitarie. Questi sono quattro elemen- 14 -
ti; alcuni, più illuminati, potrebbero dire che tutto questo è lapalissiano e, cioè che sono cose evidenti. Sicuramente lo sono dal punto di
vista di chi conosce ed ha un po' di esperienza di politica e di cooperazione internazionale, non lo sono stati sempre, nel senso che per
tanti anni invece si sono perseguite politiche che andavano anche in
aperto contrasto di queste ovvietà lapalissiane, che adesso andiamo
a ricordare.
1. L'estrema povertà di settori rilevanti della popolazione costituisce
un ostacolo importante per la crescita complessiva di un paese. Per
tanti anni si è continuato a perseguire una logica in cui la cooperazione doveva aiutare lo sviluppo economico; quindi senza fare tante
mediazioni ed analisi, si andava direttamente al sodo, costruendo la
fabbrica, costruendo la diga, costruendo quello di cui sembrava ci fosse bisogno per favorire oppure no - non lo so - il sistema di telecomunicazioni e così via. Dopo un certo numero di anni, con qualche decennio di ritardo rispetto alle ONG, i governi si sono resi conto che tutto
ciò, se non era accompagnato da adeguate strategie di formazione, di
consolidamento delle istituzioni nazionali che ricevevano queste
dighe, queste fabbriche e queste altre cose, e da strategie di supporto alla qualità della vita della popolazione locale non solo non servivano a niente ma, a volte, erano anche controproducenti. Questi interventi spesso generavano una dipendenza, non generavano profitto e
reddito per nessuno. A volte, ripeto, generavano ulteriori problemi.
2. Lo sviluppo economico non è raggiungibile in assenza di livelli
minimi di sviluppo umano e sociale. Anche qui, pensare di sviluppare
- lo dico brutalmente, ma ci capiamo - un paese ignorando le necessità e le caratteristiche dei suoi cittadini è, ovviamente, una cosa un
po' originale. Lo ripeto: questi quattro nodi ormai fanno parte integrante del discorso sulla cooperazione internazionale, però per tanti
anni non ne hanno fatto parte. Soltanto nell'ultimo quinquennio degli
anni '90 si sono consolidati come dati di realtà ampiamente condivisi.
Da questo punto di vista bisogna dire che il DAC dell'OCSE ha avuto
un ruolo sempre di grande stimolo e di grande avanguardia nella
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discussione internazionale su queste tematiche, nel segnalare l'importanza di riorientare la cooperazione internazionale, tenendo in considerazione questi nodi che adesso stiamo segnalando.
3. Le politiche di sviluppo devono essere coordinate e coerenti con le
politiche commerciali e le altre politiche: ampliamento e rafforzamento della democrazia e dei diritti umani, difesa dell'ambiente, eccetera.
Ovviamente, dal punto di vista dei grandi paesi industrializzati, se un
paese dà 1000 milioni di euro con la mano della cooperazione e ne
toglie 5000 con la mano del commercio estero, o favorendo il ribasso dei prezzi delle materie prime esportate da un paese in via di sviluppo, crea quanto meno un problema di incoerenza. Infatti, se uno
degli obiettivi è quello di sostenere processi di sviluppo in quel paese, il saldo complessivo dell'azione del paese sviluppato invece è negativo rispetto a quell'obiettivo, mentre dall'altra abbiamo, come dire,
un allontanamento dall'obiettivo invece che un avvicinamento allo
stesso.
4. Il debito estero accumulato dai paesi in via di sviluppo costituisce
un ostacolo per lo sviluppo economico e sociale. Anche qui Lapalisse
impera; sta di fatto che soltanto a partire dagli ultimi 10 anni circa,
più o meno, si è preso atto di quest'elementare verità, per cui si è
cominciato a mettere in pratica anche sistemi di condono o di riconversione del debito estero di alcuni paesi. Come sappiamo molti paesi ormai erano, da tutti i punti di vista, non solo assolutamente
impossibilitati a pagare, ma cominciavano a pagare un prezzo altissimo in termini di non sviluppo o di aggravamento della situazione del
paese rispetto ad ipotetici processi di sviluppo, proprio per il peso del
debito che, in alcuni casi, raggiungeva e raggiunge cifre 6 o 7 volte
superiori il PIL. In altre parole, è come dire che un paese per sette
anni deve produrre soltanto per pagare il debito e non fa altro: non
investe, non mangia, non beve e non dorme. Poi dopo sette anni, se
ne riparla! È ovvio che in una condizione del genere, dal punto di vista
macroeconomico, neanche Mandrake sarebbe in grado di mettere in
campo processi di sviluppo.
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Alcuni indicatori rispetto a questa situazione macro della povertà nel
mondo:
- l'86% del consumo globale è concentrato sul 20% della popolazione mondiale; ovviamente si potrebbero fare 20 pagine di questi tipi
di indicatori, mi sono limitato a 4 o 5, i più essenziali forse, o comunque a quelli che mi sembravano i più esemplificativi;
- comparazione fra il '60 e il '95. Nel 1960 il 20% più ricco della
popolazione aveva un reddito 30 volte maggiore del 20% più povero.
Nel 1995, dopo 35 anni, questa sproporzione è passata da 1/30 a
1/82, comparando gli stessi estremi: il 20% più ricco e il 20% più
povero della popolazione mondiale,
- circa 40 paesi, cosiddetti Heavily Indebted Poorest Countries
(HIPCs), hanno un debito estero pari o superiore a sei volte il loro PIL.
Si tratta di una situazione macro economica assolutamente inaffrontabile senza il coinvolgimento della comunità internazionale;
- parlando di globalizzazione - io non sono un anti global per definizione - si evidenzia molto spesso l'importanza del fatto che la globalizzazione ha portato una crescita sostanziale degli investimenti
internazionali. Questo è vero, dopo di che poi va aggiunto, come viene segnalato in questo caso, che questa crescita si è andata concentrando all'80% in 10 o 12 paesi (stiamo parlando di paesi in via di sviluppo, ovviamente, non di paesi industrializzati). Quindi, se da una
parte è vero che il contesto della globalizzazione ha aumentato gli
investimenti internazionali anche nei paesi in via di sviluppo, è altrettanto vero che questi investimenti si sono concentrati soltanto in
pochi paesi. Quindi dei benefici di questa novità possono approfittare
solo pochi paesi, mentre la grande maggioranza dei paesi in via di sviluppo non sono beneficiari di maggiori investimenti internazionali.
Il nodo centrale è che circa il 25% della popolazione mondiale vive con
meno di 1 dollaro al giorno. Voi sapete che un dollaro al giorno è stato preso come soglia di definizione del livello di povertà, quindi si dice
che si vive al di sotto della soglia di povertà (cioè "peggio del peggio
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del peggio") sotto un reddito, una disponibilità di un dollaro al giorno.
Ebbene il numero di persone che vivono con meno di 1 dollaro al giorno è cresciuto. Qui vedete nella prima colonna il 1987, nella seconda
il 1988, nella terza i saldi, nella quarta la percentuale che rappresenta il numero di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno
rispetto alla popolazione complessiva di quell'area del mondo: vedete
che in Asia del sud, si passa da 474 a 552 milioni; l'Africa sub sahariana vede anch'essa un incremento di 74 milioni.
Qui invece c'è la percentuale più alta, cioè comparativamente, rispetto alle varie aree geografiche nell'Africa sub sahariana, il 46% della
popolazione vive sotto la soglia del dollaro al giorno, e così via: Asia
dell'est, Pacifico, America latina e Caraibi, Medio Oriente e Nord Africa,
Europa e Asia centrale. Dati questi elementi di inquadramento sulla
riflessione e il dibattito in corso quattro documenti fondamentali.
Il primo documento, del 1986, è il "pioniere" nella formalizzazione del
cuore attuale degli orientamenti internazionali in termini di politica
della cooperazione, quindi quelle direttive che contribuiscono ad identificare la lotta alla povertà come priorità, come cuore pulsante di tutte le azioni rivolte al sostegno dei processi di sviluppo. Fra l'altro questi documenti li trovate tutti in Internet e vi sono anche tutta una
serie di siti web segnalati da dove potete scaricare tutto quanto vi
può interessare.
L'ultimo documento in cui l'UE formalizza i contenuti delle sue politiche in materia di cooperazione allo sviluppo, risalente all'aprile del
2000, è l'accordo di Cotonou, firmato nel giugno del 2000. Oggi quello di Cotonou è il meta accordo quadro tra i paesi membri dell'Unione
europea, nonché la stessa UE e i paesi cosiddetti ACP, Africa, Caraibi
e Pacifico. Si tratta praticamente di tutta l'Africa subsahariana ad
eccezione di quella arabo-mediterranea e di tutte le varie isolette dei
Caraibi e del Pacifico, che sono i partner storici dell'UE per quanto
riguarda la cooperazione. Tutto cioè per ovvi motivi geopolitici, nel
senso che tutto è cominciato quando ancora la Spagna e il Portogallo,
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per esempio, non erano stati membri: per evidenti motivi di carattere storico-politico, si dava maggiore importanza alle ex colonie (stiamo parlando degli anni '60) dei paesi europei, con le quali si erano
mantenuti rapporti più stretti da tutti i punti di vista, sociale, politico, commerciale e così via.
I paesi ACP dunque sono sempre stati un po' il fulcro attorno al quale ruotava tutta l'attività e gli interessi di altri paesi; negli ultimi tempi, poi lo vedremo, si è un po' invertita la linea di tendenza, però storicamente questi paesi sono stati gli interlocutori principali della cooperazione europea.
Da ultimo i famosi Millenium development goals, formalizzati nell'ambito della Millenium Declaration delle Nazioni Unite (settembre 2000)
Alcune rapide considerazioni sugli obiettivi prioritari identificati
dall'OCSE; si fa riferimento a quel documento "Shaping the 21st century" la contribuzione della cooperazione allo sviluppo, del maggio
'96, in cui ripeto, parliamo di indicatori, brutali, ma anche in termini
di analisi, di filosofia, di contenuti. E' sicuramente un documento che
vale la pena leggere con attenzione, per apprezzare la situazione
attuale in termini di politiche di cooperazione, perché è stato il pioniere nel tracciare un po' i confini concettuali, logici all'interno dei quali
ci si continua a muovere e ci si muoverà, presumibilmente, nei prossimi anni. Anche qui i nodi viene identificati sono:
- la riduzione entro il 2015 del numero di persone che vivono in
condizioni di estrema povertà, cioè con meno di un dollaro al giorno;
- lo sviluppo umano e sociale;
- l'equità di genere nell'educazione primaria e secondaria;
- la diminuzione dei tassi di mortalità neonatale ed infantile;
- l'accesso alla salute riproduttiva per tutte le donne in età fertile.
Queste vengono identificate come priorità essenziali nell'ambito dello
sviluppo umano e sociale.
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Il terzo ambito è l'ambiente. Anche qui è evidente l'importanza di identificare ed attivare strategie convincenti per ribaltare la tendenza al
degrado e alla distruzione delle risorse naturali nei paesi in via di sviluppo. Non sto a sottolineare le contraddizioni rispetto a quello che
hanno fatto, per tanti secoli, i paesi del nord, che adesso un po' "salgono in cattedra" dicendo che, a quell'epoca, nessun controllava ma
che adesso bisogna invertire la rotta e non si può continuare a tagliare gli alberi!
Anche lì il problema è reale; nello stesso tempo è reale la contraddizione e l'ipocrisia dei paesi del nord: quindi bisogna trovare una soluzione che tenga conto di tutto e cioè del fatto che se questi paesi del
sud se vogliono sviluppare qualche risorsa naturale dovranno pure
utilizzarla e del fatto che il livello di guardia, di allarme, sulle risorse
naturali è oggettivamente molto elevato, checché ne dicano Bush e i
suoi consulenti che non firmano gli accordi di Kyoto.
Aspetti qualitativi: è proprio in questo documento che si comincia a
parlare, in modo strutturale e organico, di "buongoverno, democrazia,
diritti umani e integrazione sociale" come humus essenziale per affrontare, in maniera convincente, i processi di sviluppo. Tali processi quindi non sono più soltanto - com'è stato massicciamente nella percezione dei grandi donatori, per tutti gli anni '60, '70 e per buona metà degli
anni '80, un fatto economico - lo sviluppo soltanto come fatto economico che si misura soltanto come PIL o come prodotto pro capite, ma
un processo più complessivo che coinvolge le società nel loro insieme
e quindi anche tutta un'altra serie di variabili e di dinamiche.
I Millenium development goals sono quindi gli obiettivi sottoscritti da
165 stati del mondo. Tali documenti tracciano un po' il 2015 come
frontiera temporale entro la quale occorre, se si vuole dare una spinta nella direzione giusta, sostenere i processi di sviluppo. Purtroppo
tranne alcuni punti, tutto questo rischia di essere l'ennesima lista di
belle intenzioni come "Salute per tutti nell'anno 2000" (non so se la
ricordate - Alma Ata, siamo nel 2003); salute per tutti proprio non ce
n'è neanche da lontano! Quest'impegno però identifica una serie di
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nodi e priorità ed è importante perché riflette al massimo livello, il
documento "Shaping the 21st century". E' un documento soltanto
OCSE, tuttavia molto importante, perché si tratta dei 22 o 23 paesi
più industrializzati del mondo, però è un ambito piuttosto ristretto;
questo invece è l'ambito delle Nazioni Unite, ed è stato sottoscritto
praticamente da tutti gli stati membri, con poche eccezioni, quindi ha
una maggiore importanza in termini politici e in termini di peso politico. Voglio dire però che dal punto di vista contenutistico è il figlio di
quanto è stato elaborato in ambito UE, in ambito OCSE, anche se,
ripeto, come è ovvio, ha molta più importanza dal punto di vista politico. Dal punto di vista invece dell'analisi, dell'elaborazione, diciamo
che utilizza soprattutto quella sviluppata da altri soggetti.
Contesto strategico operativo: cominciamo quindi a parlare di UE nel
dettaglio. La politica di cooperazione allo sviluppo s'inserisce nell'ambito di quella che l'UE definisce azione esterna. L'azione esterna comprende quelle politiche, quelle attività, quelle azioni i cui obiettivi, i cui confini, i cui risultati, si misurano all'esterno della Comunità. Ovviamente
la Comunità svolge soprattutto attività al suo interno, fra gli stati membri che la compongono, ma da qualche anno è andata rafforzando e
consolidando le attività che si rivolgono in maniera unitaria, come UE
nei confronti dei cosiddetti paesi terzi come si definiscono in questo
slang bruxellese, cioè tutti i paesi che non fanno parte dell'UE
Fra i paesi terzi ci sono anche gli Stati Uniti e non solo i paesi i via di
sviluppo, quindi anche la Norvegia, tutti i paesi che non fanno parte
dell'UE e che quindi sono interlocutori esterni, rispetto ai quali i paesi dell'UE guardano come ad un interlocutore esterno. La politica di
cooperazione e sviluppo s'inserisce sicuramente in questo contesto,
ma c'è anche la politica di commercio estero, che sempre di più si sta
confermando nell'ambito di azione esterna, che ha una grossa interazione con la politica di cooperazione allo sviluppo. Da ultima vi è la
dimensione politica, la dimensione politica tout court.
Sapete che ormai, anche se purtroppo non si sa moltissimo in termi- 21 -
ni di implicazioni concrete, da quattro o cinque anni a questa parte
l'UE si è dotata di un altro rappresentante per la sicurezza e la politica estera comune, Javier Solana, che in pectore, è colui che dovrebbe
diventare un futuro Ministro degli esteri, inteso come punto focale di
un processo che dovrebbe portare alla possibilità di esprimersi con
un'unica voce, con un'unica posizione, come UE, sulle più importanti
azioni internazionali. È ovvio che non è una cosa di domani, o di dopodomani; abbiamo visto la guerra in Iraq e questioni ad essa collegate
(solo per citare un esempio recente), però la tensione a muoversi in
quella direzione rimane: questo è il terzo polo, per così dire, al quale
fare riferimento.
Politiche comunitarie, obiettivo e aree strategiche. L'obiettivo centrale lo abbiamo già visto in tutti gli altri documenti, come priorità percepita ormai chiaramente sulla base delle analisi prima richiamate:
riduzione della povertà.
Aree strategiche:
- sviluppo sostenibile, quindi crescita equilibrata, che tenga in considerazione la protezione e la valorizzazione dell'ambiente;
- integrazione con l'economia internazionale, anche attraverso il
sostegno all'integrazione e alla cooperazione regionale tra paesi della
stessa regione;
- lotta alla povertà, ovviamente;
- democrazia e diritti umani, certezza del diritto e, quando necessario, interventi di pacificazione, il famoso Peace Making e prevenzione
dei conflitti.
Principi guida, in una qualche misura trasversali rispetto alle aree
principali:
- sviluppo sostenibile, anche in questo caso usato come principio
guida in tutti i contesti, non soltanto nei progetti di sviluppo sostenibile e risorse naturali, ma come criterio che taglia orizzontalmente
tutte le attività;
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- sostegno allo sviluppo istituzionale e aumento della capacità operativa delle istituzioni del sud a tutti i livelli, dal governo centrale
all'equivalente ente locale, per così dire, sul territorio;
- eguaglianza di genere, anche questo è un criterio, come gli altri,
che taglia orizzontalmente;
- gestione ed uso sostenibile delle risorse ambientali e naturali;
- accrescimento e consolidamento dei diritti economici, sociali, politici e culturali.
Priorità operative:
- commercio e sviluppo, quindi anche sostegno alla definizione
commerciale e di investimento, anche attraverso l'assistenza tecnica,
l'aumento delle capacità commerciali e il rafforzamento della competitività;
- integrazione e cooperazione regionale, quindi tra paesi della stessa regione, inclusa la soluzione dei problemi transfrontalieri. L'UE
come abbiamo visto dà, e giustamente, una grossa importanza a questa priorità, anche perché è uno strumento molto efficace - ovviamente ci sono sempre le eccezioni - per la prevenzione e l'eventuale
gestione dei conflitti. Infatti, se si comincia a gestire insieme fra paesi confinanti tutta una serie di problemi macro, che hanno a che vedere con l'ambiente, con le risorse naturali, con il commercio, con le
esportazioni e così via, si crea un humus che rende comunque più difficile poi l'insorgere di conflitti. Non lo rende impossibile ovviamente,
però in molte situazioni può funzionare come buona medicina preventiva;
- sostegno alle politiche macro economiche esplicitamente collegate con l'implementazione e la strategia per la riduzione della povertà,
quindi soprattutto in termini di assistenza tecnica, al disegno delle
politiche, sia di risorse per la loro realizzazione. In particolare le priorità che si dà l'UE nel settore sociale sono salute ed educazione, che
sono sicuramente i due nodi centrali in termini di qualità della vita
relativamente all'aspetto sociale della lotta alla povertà;
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- trasporti: anche qui per motivi abbastanza ovvi e tautologici l'esistenza di vie di comunicazione efficienti, o perlomeno esistenti, viene
identificata come pre condizione essenziale per lo sviluppo dell'economia e per l'accesso ai servizi;
- sicurezza alimentare e strategia di sviluppo rurale sostenibile;
- rafforzamento delle capacità istituzionali, capacity building, del
buon governo, della certezza del diritto;
- da ultimo, come capacità operativa trasversale, aiuti umanitari in
caso di conflitti o catastrofi naturali, prevenzione dei disastri, che
ovviamente, pur non essendo una priorità pianificabile, è una priorità
operativa che viene attivata a fronte di crisi. Anche da questo punto
di vista ECHO, cioè il braccio operativo per l'emergenza della
Commissione europea, è il primo donatore internazionale in questo
sottoambito degli aiuti umanitari già ormai da diversi anni.
Criteri metodologici:
- dialogo, partecipazione e ownership - che è una di quelle brutte
parole che sono difficilmente traducibili in italiano - per cui si auspica
e ci si muove in modo tale che i soggetti del sud (in questo caso si fa
riferimento soprattutto ai governi e alle istituzioni) s'impadroniscano
e gestiscano come propri i programmi di cooperazione realizzati con
le risorse dell'UE. Il dialogo e la partecipazione con gli interlocutori
istituzionali sono sempre presenti in tutte le tappe dell'identificazione: gestione e valutazione di attività, progetti, programmi, politiche
realizzate nell'ambito della cooperazione;
- coinvolgimento della società civile, anche questo ormai è diventato, negli ultimi 10 anni, un principio sottoscritto anche dalle istituzioni governative e intergovernative che fino a 15/20 anni lo vedevano
come una cosa un po' folcloristica, ma, tutto sommato, non accettavano poi di formalizzarlo come criterio coessenziale alla realizzazione
delle loro politiche, cioè alle politiche dei governi con i governi;
- assunzione logica di un "Programma-paese", che includa i diversi
ambiti, quindi superamento della logica del progetto. Il progetto è e
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rimane uno strumento per realizzare delle cose però, affinché sia più
efficace, deve essere inserito in una logica di "Programma-paese", in
cui le problematiche generali del paese vengano affrontate nella loro
interezza, anche attraverso la realizzazione di progetti, ma per così
dire, nell'ambito di un'analisi complessiva della situazione;
- coerenza delle politiche e delle azioni, ne abbiamo già parlato, qui
la slide approfondisce un po';
- coordinamento e complementarietà delle azioni dei donatori:
ovviamente l'UE è il centro di un crocevia in cui ci sono 15 donatori,
che sono i 15 stati membri; ovviamente da questo punto di vista l'entrata dei nuovi 10 paesi non cambierà molto: nessuno di loro è un
grande donatore in termini di cooperazione internazionale, però
comunque gli attori diventeranno 25 e tutto sarà più complicato.
Ognuno è, nello stesso tempo, da una parte un braccio operativo, cioè
una struttura che ha delle risorse proprie, che gli hanno girato gli stati membri, che gestisce direttamente. E' un po' come un teorico direttore d'orchestra che su questa tematica dovrebbe armonizzare, complementare, coordinare e sinergizzare tutte le attività di cooperazione
che i 15 stati membri fanno nell'ambito bilaterale delle loro relazioni
con gli altri paesi in via di sviluppo; quindi è un crocevia abbastanza
complesso, anche da questo punto di vista. In ogni caso, questo si
assume come uno dei criteri metodologici fondamentali per la realizzazione delle politiche di cooperazione.
I nodi critici della politica comunitaria, infine, sono i seguenti:
- eccessiva complessità e frammentazione del sistema. Ovviamente,
da quel che abbiamo visto, la frammentazione di obiettivi, strumenti,
procedure e meccanismi rischia di diminuire l'efficacia delle azioni e di
aumentare l'incoerenza dei risultati. Credo sia abbastanza evidente
perché ciò accada;
- eterogenesi dei fini. La logica degli strumenti da rispettare, della
linea di budget, dei regolamenti, dei comitati, a Bruxelles si è inventata la parola comitatologia, cioè quella scienza che studia l'articola- 25 -
zione dei comitati, come funzionano, come non funzionano e come si
può ottenere il risultato, cioè l'approvazione della delibera che entra
nel comitato e non si sa mai quando ne esce, rischia di prevalere sui
contenuti delle politiche, quindi si rischia di cambiare in corso d'opera le finalità. La finalità è ottenere un impatto in termini di miglioramento di qualità della vita e di lotta alla povertà nel "paese x" piuttosto che nel "paese y", non quello di fare una buona riunione di comitato. Di fatto questo è uno dei nodi critici e dei rischi che anche i più
avveduti, lungimiranti e intelligenti, fortunatamente ce ne sono tanti,
funzionari della Commissione europea percepiscono come tale;
- scarsità delle risorse umane. Il dato oggettivo è preoccupante. Per
ogni 10 milioni di euro gestiti la Commissione dispone di 2,9 persone. Questa media, brutale ma esemplificativa, è molto inferiore a quella di altre importanti agenzie come la Banca Mondiale (4,3) e alla
maggior parte degli stati membri , che è fra 4 e 9;
- eccessiva burocratizzazione ed enfasi sulle procedure piuttosto
che sugli impatti. Se non si semplificano i controlli finanziari, tra l'altro ormai siamo entrati in un virtuosismo del controllo finanziario,
duplicazioni, controlli esterni, controlli interni, controllo sul controllato, controllore del controllato, una cosa che non ci si capisce più niente e spostamento dell'accento sui controlli ex post. La nostra posizione, come quella di tutte le persone un po' ragionevoli è: ma a cosa serve controllare 28 volte se la ricevuta ha il timbro in alto a sinistra o
in basso a destra? Vai a vedere sul terreno se il centro di salute funziona, se è stato fatto bene e se serve a qualche cosa invece che fare
tutti questi estenuanti controlli sulla carta! Questa non è la posizione
delle ONG italiane, però sicuramente quella di CISP e di tante altre
ONG italiane, siate più severi nel fare i controlli sul campo! Se c'è un
problema di scarsa efficacia, di scarsa efficienza, non si finanzi più la
ONG! Come dire: maggiore incisività nel valutare ciò che viene fatto,
anche assumendo ulteriore personale per essere più incisivi, anche
negativamente, nel valutare ciò che viene fatto. Ecco perché, invece,
serve più personale per gestire i dossier, non in termini di progetti sul
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campo, ma in termini di ricevute e di spillature di punti metallici di
tutte le ricevute nel dossier da mandare a Bruxelles o alla burocrazia
italiana. Quindi riorientiamo completamente la logica del tutto, il che
non vuol dire essere meno severi o non fare controlli, ma fare controlli meno impegnativi in termini quantitativi ma più efficaci in termini
qualitativi e anche con più rigore rispetto ai risultati!
- insufficiente peso politico. In parole povere, il peso politico - e la
cosa non riguarda solo la cooperazione allo sviluppo - dell'UE è drasticamente sottostimato, inferiore rispetto al peso finanziario.
L'insieme dell'UE con gli stati membri è il primo finanziatore della cooperazione internazionale, il primo finanziatore di aiuti umanitari, il primo finanziatore del sistema delle banche internazionali; ciononostante, in termini di influenza politica, al momento di decidere su questioni che hanno una grossa rilevanza sugli assetti dell'economia internazionale - in quanto anche dirimenti sulle possibilità di sviluppo o meno
dei paesi terzi - non riesce ad intervenire con forza. E' un po' un problema suo, perché non è solo il fatto che non gli riconoscano il potere; in realtà il potere viene riconosciuto nella misura in cui si è capaci di difendere il proprio peso politico. Quindi non possiamo ribaltare
sugli altri, sui soliti cattivi nordamericani, in questo caso, il fatto che
l'UE non riesca ad avere un peso maggiore; forse dovremmo anche
gestire in maniera più efficace, più determinata, più effettiva, la
dimensione della politica estera comunitaria. È necessario avere una
sola voce, una concertazione su un'unica posizione; se continuiamo ad
arrivare divisi di qua e di là è ovvio che poi è difficile tradurre la massa di risorse messe in campo in effettivo peso politico sulle decisioni
importanti.
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Dott. Luigi Grando
Parte II - L'organizzazione comunitaria in materia di aiuti ai paesi terzi. Cenni su mandati, assetti, e processi di organizzazione in corso
Con questa presentazione cercherò di illustrare l'organizzazione
attuale del sistema comunitario di aiuti ai paesi terzi. Partiamo da una
data precisa, quella del maggio 2000, quando è stata introdotta tutta la riforma del sistema di relazioni esterne dell'UE voluta in maniera forte dallo stesso Presidente Romano Prodi.
Carlo Tassara accennava al contesto operativo strategico dell'UE ed è
esattamente in questo concetto di azione esterna che cerca di unire
diverse dimensioni della presenza dell'UE nei paesi terzi che si colloca la riforma avviata dal maggio 2000. L'obiettivo di questa riforma
era quello d'incrementare il peso dell'UE nell'ambito internazionale e
cercare di definire un sistema più coerente e più integrato che potesse, in qualche modo, permettere maggiore impatto dell'azione di cooperazione, ma non solo, nei paesi terzi.
C'è un problema, segnalato da alcuni analisti, rispetto a questo tipo di
approccio e che nasce dall'integrazione di quattro DG (Direzioni
Generali), che sono la Direzione Generale Relazioni Esterne, la
Direzione Generale Sviluppo e Aiuti Umanitari, la Direzione Generale
per il Commercio e la Direzione Generale per l'Allargamento. Di fatto,
c'è il rischio che la parte della politica di sviluppo propriamente detta
venga un po' marginalizzata rispetto ad eventuali priorità, tipo le attività commerciali o gli obiettivi politici di altro genere. Nel caso della
politica di allargamento un po' già ora possiamo prospettare alcuni
impatti sulla politica di cooperazione propriamente detta, soprattutto
per altre regioni del pianeta al di fuori dell'Europa.
La Direzione Generale delle Relazioni Esterne ha come mandato quello di garantire che la Commissione europea abbia una chiara identità
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ed un approccio coerente nelle azioni ed attività esterne. Quindi deve,
di fatto, operare per garantire questa coerenza e si trasforma in qualche modo in una Direzione Generale di riferimento e di raccordo per
le altre Direzioni Generali. Il Commissario è Patten e il suo incarico
principale è quello di coordinare le relazioni esterne dell'UE. Egli opera come interfaccia del Consiglio, si relaziona con l'altro rappresentante per la politica estera e la sicurezza - Solana, - e cerca di mantenere le relazioni con tutti i paesi al di fuori dei paesi membri e quelli al
di fuori di quelli inclusi dal processo di allargamento. È responsabile
della programmazione del programma Tacis, mantiene relazione con
gli organismi internazionali ed è il responsabile dell'amministrazione
delle delegazioni dei paesi terzi. Questo è un punto importante vedremo poi il perché.
Come altre finalità, come attività operativa molto più concreta della
Direzione Generale, vi è quella di definire accordi con paesi terzi in
materia di cooperazione economica, di tematiche di ogni sorta di dialogo politico, promozione delle relazioni commerciali. Anche in questo
caso sottolineo un po' la parte relativa alle relazioni commerciali dato
che, appunto, questo già porta ad un incrocio con la Direzione
Generale del Commercio. Mi dimenticavo di dire che queste quattro
DG insieme sono definite la “famiglia Relex", nel senso che costituiscono le 4 DG che sono incaricate delle relazioni esterne. Viene definita "Famiglia Relex" in quanto si vuole evidenziare la ricerca di coerenza e di integrazione delle diverse politiche delle diverse DG.
Per quanto riguarda invece la Direzione Generale - The Development
Humanitarian Aid - ricordo che ha come mandato la definizione della
politica di cooperazione allo sviluppo della Commissione per tutti i
paesi in via di sviluppo; inoltre gestisce e coordina le azioni della
Commissione con i paesi ACP e con gli OCP. Il Commissario è Paul
Nielson; per realizzare queste attività di definizione delle politiche e di
gestione dei paesi ACP opera sempre attraverso una forte azione di
coordinamento, principalmente con la DG External Relation e con il
dipartimento AIDCO. Qui vi ho segnalato "ECHO"; anche se può sem- 30 -
brare contraddittorio, in quanto, in ogni caso, ECHO, come vedremo,
è un ufficio che opera in una forma estremamente indipendente anche
dal punto di vista del suo mandato rispetto all'azione e alla politica
che possono sviluppare e portare avanti le DG. Poiché il suo mandato
è, appunto, quello degli aiuti umanitari, a prescindere da opinioni di
altro tipo, deve garantire e offrire assistenza umanitaria.
Per quanto riguarda gli obiettivi della politica di cooperazione della
Commissione (già Carlo Tassara ha dato un'ampia panoramica del
tema, quindi io sarò molto veloce) ricordo che lo sviluppo sostenibile
rimane l'obiettivo per sradicare la povertà e facilitare l'integrazione dei
paesi in via di sviluppo nell'economia internazionale. Mi piace molto
questa definizione, in quanto la vediamo già applicata alla DG
Sviluppo. E' vero: l'obiettivo è lo sviluppo sostenibile (vogliamo sradicare la povertà), però c'è un chiaro riferimento all'integrazione nell'economia internazionale dei paesi invia di sviluppo. C'è quindi una
posizione di politica della Commissione che va al di là della semplice
attività di cooperazione allo sviluppo ed entra in ambiti quali possono
essere il mandato della DG External Relations o anche nel mandato
della DG Commercio, eccetera.
Un punto importante, che mi sembrava non particolarmente e sufficientemente sottolineato nella presentazione di Carlo Tassara, è la
formazione delle equità. Questo è importante, in quanto parte dei criteri guida di tutte le DG che presenterò oggi è - a parte la tutela degli
interessi europei - l'obbiettivo di esportare i valori europei. Anche
questa è, quindi, una scelta politica molto importante ed interessante, che punta all'equità come ad un criterio per uno sviluppo sostenibile che possa sradicare la povertà e non criteri di altro tipo che
potrebbero essere meno corrispondenti alla storia economica ed allo
sviluppo dei paesi dell'UE
Inoltre, realizza il coordinamento con gli stati membri e con i principali donatori. Come diceva Tassara, elabora e concorda i Country
Strategy Papers e (CSP) i Regional Strategy Papers (RSP) che sono i
documenti che definiscono, in linea generale, la politica della
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Commissione nei paesi terzi, o in aree omogenee tipo il centro
America. Va precisato che i CSP e i RSP sono dei documenti che contengo le priorità, le principali aree di intervento, le risorse messe a
disposizione, gli obiettivi e i risultati da raggiungere e i tempi previsti
di implementazione e, normalmente, sono documenti che coprono un
arco temporale di cinque anni.
Per quanto riguarda, invece, la DG Commercio, il mandato principale
è promuovere l'apertura dei mercati attraverso una progressiva abolizione degli ostacoli del commercio internazionale e la riduzione delle
barriere commerciali. Questo è il cuore del mandato. Opera principalmente su due dimensioni: multilaterale e bilaterale regionale, privilegiando il multilaterale, in quanto viene considerata la dimensione prioritaria in appoggio all'Organizzazione Mondiale del Commercio. Quella
bilaterale - anche questa è un'evidente scelta politica - svolge un lavoro di supporto ai processi di integrazione regionale e non tanto su
rapporti bilaterali con singoli paesi, sempre nell'ambito del lavoro di
ricerca di ampliamento del commercio internazionale. Anche qui
l'obiettivo principale della DG del Commercio è, come dicevamo prima,
quello di difendere gli interessi europei, nonché la promozione dei
valori europei all'interno di una DG che si occupa di commercio, tipo
la protezione dell'ambiente, i diritti sociali, i servizi pubblici, la diversità culturale, la sicurezza alimentare. Sono tutti principi contenuti
negli obiettivi della politica di questa DG e chiaramente promuove l'integrazione dei paesi in via di sviluppo nell'economia e nel commercio
mondiale, come parte dell'obiettivo principale.
Nel caso della DG Allargamento, si tratta di una DG costituita appositamente per l'allargamento a 10 o 13 paesi - in futuro probabilmente
13 - che entreranno a far parte dell'UE L'obiettivo è: l'allargamento com'è definito dalla stessa Commissione - nonché incrementare la stabilità politica dell'area, espandere il mercato europeo, incrementare il
peso politico dell'Europa nel contesto internazionale.
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Criteri per l'ammissione nell'UE sono:
- la stabilità delle istituzioni a garanzia della democrazia;
- il rispetto dei diritti umani e delle minoranze;
- l'esistenza di un'economia di mercato;
- la capacità di acquisire e rispettare le condizioni di membro
dell'UE.
Negli ultimi dieci anni per questo contesto relativo all'allargamento
l'UE ha stanziato circa tre miliardi di euro l'anno, per appoggiare
appunto il processo di allargamento. Gli obiettivi di questo tipo di
attività sono la costruzione e il rafforzamento delle istituzioni democratiche dei paesi che hanno espresso il desiderio di entrare a far
parte dell'UE e appoggiare l'acquisizione e l'applicazione della legislazione europea.
I principali programmi dell'UE - in qualche modo, ce ne sono alcuni
che sono specifici - sono stati creati in modo specifico per appoggiare il processo di allargamento, mentre altri si collocano nello stesso
contesto anche se non sono stati creati appositamente. Nell'ambito
dell'appoggio ai processi di allargamento sono:
- il PHARE per i paesi dell'est Europa, che opera dal 1989;
- il TACIS che opera dal '91;
- il CARDS, per i Balcani, che si occupa della ricostruzione, lo sviluppo
e la stabilizzazione dell'area dei Balcani appunto, che opera dal 2000,
- il TWINNING che è un rafforzamento di quello che già era stato
avviato con il SARC che è sempre diretto ai 13 paesi candidati ad
entrare nell'UE;
- il MEDA che fa riferimento soprattutto all'area del Mediterraneo,
in cui recentemente sono stati inclusi due programmi specifici
relativi a West Bank: la striscia di Gaza e lo Yemen, opera dal 1995
con la parte principale.
Passiamo ora a "Europe Aid". Che cos'è? Nasce come un dipartimento della Commissione, nato in risposta a questa necessità di integra- 33 -
zione o di ricerca di una maggiore coerenza nelle politiche esterne della UE. E' importante segnalare come tutte le DG, che abbiamo brevemente illustrato, fino ad ora operino sulla base di alcuni criteri comuni che si ripetono:
- rispetto e formazione dei diritti;
- appoggio ai sistemi democratici;
- appoggio all'economia di mercato;
- rispetto e protezione dell'ambiente;
- lotta alla povertà;
- promozione delle equità.
Sono tutti criteri, questi ed altri, comuni a tutte le DG che ho citato e
che sono parte anche delle ragioni che hanno spinto alla conformazione di un Ufficio unico per la gestione dei progetti e dei programmi
dell'UE nei paesi terzi. E' per questo che, dal punto di vista strategico e politico di integrazione e di interscambio di informazioni fra le
diverse DG Europe Aid, si può chiamare in forma succinta anche AIDCO, ha un ruolo operativo, è il braccio operativo, la parte più consistente di intervento diretto sul territorio, di organizzazione, di gestione e di implementazione di cose e di progetti.
È importante perché, oltre al livello politico, arriviamo anche al livello, molto concreto, dell'intervento. Come dicevo è un Dipartimento
della Commissione, non è un DG; è gestito da un Consiglio formato
da tutti Commissari citati delle 4 DG più il Commissario per gli Affari
Economici e Monetari.
La responsabilità politica della struttura è affidata al Chairman e al
Chief Executive, come vedete il Chairman è Chris Patten, che è il
Commissario della DG External Relations, e Paul Nielson è il Chief
Executive, che è invece il Commissario responsabile della DG
Development ad Humanitarian Aid. Diciamo che la parte più consistente della gestione è affidata a Paul Nielson, il quale, di fatto, è colui
che governa realmente la struttura.
L'organizzazione, l'organigramma, la struttura di AIDCO è definita
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principalmente sulla base di direzioni geografiche, diciamo che con
AIDCO, rispetto al 2001, quando è entrato in vigore Europe Aid, c'è
una separazione fra la frase di identificazione e la fase poi di gestione
e di monitoraggio dei progetti. Con AIDCO si è deciso di incorporare
e di integrare il tutto; quindi il ciclo completo dell'identificazione, fino
alla valutazione finale, viene gestito tutto all'interno di Europe Aid e
viene fatto attraverso una modalità, una focalizzazione geografica.
Esistono però dei network trasversali, la cui finalità è quella di garantire la consistenza e l'approccio settoriale oltre che privilegiare l'approccio geografico che tende a coinvolgere tutte le diverse unità che
sono interessate ad un certo tipo di settore. Esiste poi un raggruppamento della gestione dei programmi settoriali e ci sono alcuni programmi che rimangono con una focalizzazione, che sono principalmente: sicurezza alimentare, cofinanzimento all'OMG e tutta la parte
relativa ai diritti umani. In quel caso l'organigramma prevede una
struttura ad hoc per la gestione dei programmi settoriali. Inoltre
include due direzioni, una dedicata al supporto operativo, al funzionamento dell'AIDCO, l'altra al funzionamento dell'organizzazione interna
stessa dell'AIDCO.
Qui va segnalato un punto importante, che è quello della valutazione:
c'è un'unità di valutazione, che però dipende direttamente dai due
Commissari che ho citato, Patten e Nielson, L'unità di valutazione
dell'UE è stata potenziata moltissimo negli ultimi anni; è stato istituito tutto un sistema di monitoraggio dei vari progetti che sta funzionando bene e sta dando risultati molto interessanti. Da parte nostra,
consideriamo che sia sicuramente una cosa positiva il fatto che si sia
arrivati a definire un sistema di monitoraggio e valutazione, in quanto, negli anni passati, una delle cose che spesso mancavano era proprio la capacità, da parte della Commissione, di valutare o di avere un
rapporto diretto anche con il terreno, con la realtà dei progetti, con
la misurazione dell'impatto di quello che veniva fatto.
L'ultima parte riguarda ECHO, l'ho lasciato per ultimo perché, come vi
dicevo, ECHO è l'Ufficio degli Aiuti Umanitari della Commissione
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Europea. Realizza interventi umanitari, opera in forma realmente indipendente rispetto alle altre strutture operative della Commissione.
Per mandato, deve intervenire e garantire assistenza a prescindere da
qualsiasi altro tipo di criterio, ha l'obiettivo di salvare vite o comunque alleviare la sofferenza di chi è vittima di situazioni di crisi umanitaria.
Come abbiamo visto è inclusa nella DG Development; è il principale
donatore internazionale nel settore degli aiuti umanitari, si avvale di
un sistema diverso da quello di AIDCO, diciamo che il ciclo di progetto di ECHO si avvicina, però è un sistema indipendente rispetto a
quello di Europe Aid. Infatti, anche i formati e le modalità di presentazione delle proposte, eccetera seguono degli iter e delle procedure
diverse. ECHO non esegue progetti ed opera sul territorio attraverso
accordi di partnership con ONG internazionali, oppure con le Nazioni
Unite. È presente in moltissimi paesi, anche con uffici locali ed è
importante segnalarlo come esempio di efficienza e di impatto degli
interventi. Nei paesi dove c'è una crisi umanitaria, effettivamente gravi, come ad esempio la Colombia, o come il centro America fino a poco
tempo fa, ha dimostrato che questo è un buon modo di operare; c'è
flessibilità, c'è capacità di intervento sul territorio, c'è accompagnamento, c'è appoggio per la realizzazione delle attività. Realmente noi
riteniamo che sia un esempio da imitare, magari lo imitasse la cooperazione italiana per gli interventi di emergenza!
Per chiudere questa parte presento un po' questo schema che mi
sembra abbastanza interessante, questa è la "famiglia Relex”. Nella
zona grigia si evidenzia tutta la parte che più direttamente si occupa
di cooperazione allo sviluppo. Anche se nella parte superiore della
presentazione delle varie DG, tutte queste cinque DG, che includono
in questo caso anche la DG per gli Affari Economici e Finanziari, operano in forma coordinata ed integrata cercando la coerenza di cui
abbiamo detto; le due DG che maggiormente hanno competenze sulla parte diretta di implementazione delle politiche di cooperazione,
rimangono la DG External Relations e la DG Development.
- 36 -
AIDCO è una struttura al servizio delle D.G. per l'implementazione del
ciclo di progetto; ECHO rimane una struttura abbastanza indipendente, esterna; nella parte in basso vengono segnalati i principali progetti, focalizzati secondo i criteri geografici, che sono il PHARE, il TACIS,
il CARDS, i programmi ALA per l'America Latina e l'Asia, il MEDA e tutta la parte dedicata all'European Development Found, tutta la parte
relativa alle linee di budget orizzontali che viene gestita direttamente
da AIDCO.
In questo modo, molto brevemente, abbiamo illustrato quale è la
struttura operativa della Commissione; ci sono però dei processi in
corso che sono di particolare interesse, e che, secondo il mio punto
di vista, stanno creando, generando non pochi problemi in alcuni casi,
anche se teoricamente sono pensati bene e hanno delle finalità molto
positive.
L'aspetto più problematico e più importante, che sta avendo un
impatto molto forte direttamente a livello locale nei paesi dove anche
noi stiamo operando (io, occupandomi di America Latina ho vissuto
la prima deconcentrazione operativa applicata all'America Latina, per
il Centro America). C'è quindi questo progetto di deconcentrazione,
che forse è il problema più evidente in questo momento - poi vedremo di che cosa si tratta esattamente - e fa parte comunque del pacchetto di riforma che ha portato alla costituzione di AIDCO, cioè è parte di tutta la politica di riforma delle relazioni esterne dell'UE.
C'è una parte relativa ai processi di allargamento, che però è probabile possa creare qualche problema; sono soltanto delle ipotesi: ci si
può aspettare che ci siano degli impatti che devono essere controllati; vedremo quali secondo noi potrebbero essere. Inoltre si sta ipotizzando una ristrutturazione geografica degli interventi e una razionalizzazione ulteriore del Bilancio. Questi sono i tre punti dei processi in
corso e le prospettive più interessanti rispetto al processo di riorganizzazione.
Perché la deconcentrazione? La deconcentrazione nasce in risposta
alle difficoltà nella gestione centralizzata di tutta la fase di ciclo del
- 37 -
progetto, in quanto appunto (non so se ricordate il grafico che ha illustrato prima Carlo Tassara), la crescita in termini di budget dell'impegno dell'UE negli anni '90 è stata particolarmente consistente. Questo
ha portato ad un certo livello di crisi da parte della struttura di
Bruxelles, che quindi è una delle giustificazioni per l'attività di deconcentrazione verso le delegazioni, delle attività di gestione del ciclo del
progetto. Un'altra giustificazione sono le inefficienze operative, le difficoltà di garantire un adeguato monitoraggio delle attività, una scarsa conoscenza dei contesti locali da parte dei funzionari incaricati a
Bruxelles.
L'obiettivo della deconcentrazione quale è? Deconcentrazione un termine neanche tanto bello, ma cos'è effettivamente? Si tratta di trasferire alle delegazioni la responsabilità della gestione di tutte le fasi del
ciclo di progetto, ossia, praticamente, tutta la fase operativa relativa
alla gestione del progetto, viene trasferita alle delegazioni sul territorio dei paesi dove l'UE sta operando. L'idea è che in questo modo si
possa permettere una maggiore efficienza gestionale ed amministrativa, lasciando a Bruxelles soltanto la definizione delle politiche macro
di cooperazione o la firma di accordi macro con i paesi beneficiari,
comunque un'attività più di definizione di politiche che non di implementazioni dei progetti.
Anche se questo si verificava in passato, si prevede di incaricare
comunque le delegazioni, che sarebbero un riferimento importante
anche per la definizione di eventuali bozze di eventuali documenti di
programmazione che poi dovrebbero essere, in ogni caso, perfezionati direttamente da Bruxelles.
La deconcentrazione, come dicevamo, è parte del processo di organizzazione; sono state previste tre fasi, sono state deconcentrate 21
delegazioni nel 2001, 22 nel 2002 e 30 delegazioni si prevede verranno deconcentrate tra il 2003 e il 2004.
Che cosa prevede la deconcentrazione? Il progressivo trasferimento
del personale di Bruxelles alle delegazioni, cioè un primo momento di
potenziamento, anche logistico, delle capacità operative delle delega- 38 -
zioni, un passaggio di competenze e anche il trasferimento di parte del
personale che in passato operava a Bruxelles, che si sta trasferendo
direttamente sul territorio nei vari paesi dove operano le delegazioni.
La prima esperienza di deconcentrazione è stata il Centro America,
come già vi accennavo; la cosa disastrosa del Centro America è stata
la coincidenza con l'avvio del programma PRAC, cioè il programma
Regionale di Ricostruzione dell'America Centrale dopo Mitch (poi vi
racconterò magari qualche cosa in proposito), ma è stata veramente
una cosa abbastanza interessante, anche se un po' triste a volte, un
disastro comunque. Recentemente è stata decisa la deconcentrazione
mentre, in passato, una prima posizione era che le linee tematiche,
diritti umani, sicurezza alimentare, rifugiati, non venissero deconcentrate. Sembra però che negli ultimi mesi sia stata presa la decisione
di assegnare la responsabilità della gestione di queste linee, di queste
tematiche direttamente alle delegazioni, includendole quindi nel processo di deconcentrazione.
La linea B7 6000 che è la linea di cofinanziamento delle ONG, quella
che spesso utilizzano le ONG, dedicata esclusivamente a loro; è la
linea più importante ed è stata deconcentrata solo in modo parziale,
diciamo che si potenzia un po' il potere o il ruolo delle delegazioni nella fase di gestione del ciclo di progetto, però la decisione nell'assegnazione, nell'approvazione dei progetti e nella programmazione operativa viene sempre presa a Bruxelles.
I programmi più complessi di carattere regionale invece rimangono a
Bruxelles, non vengono deconcentrati, cioè non si passano le competenze per la gestione di questi programmi alle delegazioni, ma rimangono di gestione diretta di Bruxelles. In questo momento è in corso dopo i disastri che poi vi racconterò - un cambiamento di rotta da parte della stessa Commissione: si stanno mobilitando per rafforzare l'accompagnamento al processo di deconcentrazione, definendo le linee
guida e realizzando visite di supporto da parte di personale tecnico
specializzato di Bruxelles.
- 39 -
ECHO, l'ufficio di aiuti umanitari non è incluso, non fa parte del processo di deconcentrazione.
I problemi che sono sorti, fino ad ora, nell'esperienza della deconcentrazione sono soprattutto di tipo logistico. Vi assicuro che in Centro
America, a Managua, quando hanno iniziato la deconcentrazione è
stato un disastro: logistico significa anche perdita di documenti,
assenza d'interlocutori, ecc. In altre parole, per un certo periodo quella è stata una terra di nessuno: non si sapeva con chi parlare, non si
sapeva a chi rivolgersi, a chi chiedere qualsiasi cosa; non si sapeva chi
decideva e cioè se Bruxelles, l'Ufficio del PRAC o la delegazione; in
altre parole, una confusione assoluta. Ci sono dei problemi, emersi
più recentemente, che sono di tipo culturale, un forte conflitto centro-periferia; Bruxelles non molla l'osso, anche se lo dovrebbe mollare a favore delle delegazioni e quindi spesso si creano dei conflitti che
a volte sono anche un po' personali, comunque sempre relativi alle
dinamiche di potere che, di fatto, impattano negativamente sulla
gestione in loco e sul campo dei progetti.
Molto spesso il personale che viene incaricato nelle delegazioni non ha
la formazione tecnica adeguata per poter svolgere il ruolo che gli viene assegnato e c'è sicuramente una confusione nelle attribuzioni degli
incarichi ed anche un forte interscambio di personale; non c'è stabilità del personale e questo è un elemento fortemente negativo.
Sono stati sollevati, recentemente, parecchi dubbi da parte degli stati membri sul processo di deconcentrazione, in particolare per alcuni
problemi sorti in loco fra le rappresentanze diplomatiche e le delegazioni. Molto spesso le delegazioni, con questo processo di deconcentrazione, pensano di aver ottenuto uno status che non corrisponde
alla realtà e quindi si trovano ad avere dei contrasti abbastanza forti
con le rappresentanze diplomatiche.
Per novembre è prevista una verifica di tutto il processo - che, tra l'altro è stata chiesta dalla Presidenza italiana - e, in ogni caso, il risultato del processo di deconcentrazione è che invece di risolvere, di
snellire, di rendere più agile la gestione, tutto si stia trasformando in
- 40 -
un incremento di burocratizzazione delle procedure: non c'è chiarezza
nella distribuzione delle responsabilità all'interno delle stesse delegazioni. Addirittura la cosa più difficoltosa nella gestione ordinaria dei
progetti dei paesi terzi è che ognuno interpreta a suo modo le procedure standard previste dalla stessa Commissione. Se si parla con un
componente di una delegazione, lui interpreta un articolo di un contratto in un modo; se si chiama Bruxelles viene data un'opinione completamente diversa; se si cambia delegazione, se si va in un altro paese, si trova un'altra opinione, un altro tipo di interpretazione. Questo,
chiaramente, non aiuta certo la buona gestione dei progetti.
Quali sono gli effetti principali del processo di deconcentrazione? Con
il nuovo assetto organizzativo sicuramente, da parte di tutte le organizzazioni o enti locali che realizzano attività di cooperazione, che
vogliono interagire, lavorare e collaborare in stretto contatto con la
Commissione, serve una maggiore capacità di presenza sul territorio,
perché se la gestione dei progetti, la definizione delle priorità, le decisioni, tutto viene gestito in loco, è necessario essere presenti.
Un effetto che, secondo me, è importante ed è portato dalla deconcentrazione è che lo spostare a livello locale i meccanismi decisionali,
di fatto, si riduce la possibilità di sinergie territoriali tra l'Europa e i
paesi in via di sviluppo. Questo è particolarmente vero nel caso,
secondo me, degli enti locali, in quanto realmente non è più Bruxelles
che definisce e che gestisce la parte di cooperazione; è molto più sbilanciato verso i singoli paesi e quindi realmente, dal punto di vista
logistico, è molto più difficile poter operativizzare, cioè concretizzare
queste sinergie territoriali.
Io condivido molto l'opinione che indica come la cooperazione "non
deve essere qualcos'altro". Spesso, invece, è "troppo altro" la cooperazione, molto spesso il sistema della cooperazione mantiene i progetti al di fuori della realtà, una nuvoletta da qualche parte che si
autoalimenta. Quindi bisogna creare sinergie territoriali, spostare,
mettere in contatto il territorio, inteso non solo come unità produttive, ma anche come un concetto di sviluppo territoriale; questo è for- 41 -
se il modo più interessante per poter fare una cooperazione veramente con i piedi per terra.
Un altro effetto importante della deconcentrazione che nel caso
dell'America Latina ha portato degli effetti abbastanza consistenti, e
che ha provocato un incremento nei rapporti con l'esterno, ha fatto
segnare una forte priorità ai rapporti della delegazione direttamente
con i governi locali, ad una cooperazione più bilaterale, più direttamente vincolata alle entità governative che, di fatto, si limita ancora
all'azione delle organizzazioni, delle entità locali europee.
Questo è praticamente vero; io ho visto questo cambiamento molto
netto nel caso della Colombia dove realmente, a parte i conflitti di cui
dicevo prima fra centro e periferia, c'è stato in pochi mesi un cambio
di rotta completo, nettissimo, con un forte avvicinamento, un forte
appoggio di diverse linee di finanziamento direttamente alla politica
del governo. Questo non è un male, non lo considero sbagliato; anzi,
può essere anche una linea d'intervento abbastanza opportuna, in
alcuni casi. Nel caso della Colombia ho qualche dubbio - ma questo è
un altro discorso - sulla politica del governo Uribe; forse sarebbe
meglio sollevarlo, perché sposare in modo diretto tutta la politica di
sicurezza democratica di quel governo, forse non è così coerente con
tutti i principi che abbiamo visto essere alla base della cooperazione
della Commissione europea.
Alla fine l'obiettivo di semplificare le procedure, di snellire la gestione
del ciclo del progetto, non si sta ottenendo ma, al contrario, si sta
creando una situazione di confusione e di scarsa efficienza. Vi faccio
solo un esempio: le procedure per la gestione dei contratti dell'UE
prevedono, nel caso degli acquisti o della contrattazione di servizi o
di opere, di seguire una serie di procedure che, fino ad un certo
ammontare, sono le classiche tre offerte mentre, al di sopra di un certo ammontare, si deve fare una gara locale ed ancora, al di sopra di
un altro ammontare molto più alto, si deve fare una gara internazionale. Nel caso del Centro America dovevamo acquistare dei kits per le
scuole; noi avevamo costruito delle scuole e dovevamo fornire i qua- 42 -
derni, le matite, le cose per i bambini che dovevano andare a scuola.
Il tutto per un ammontare di circa 7.000 €, che corrispondono alla
fascia di importo per il quale si devono avere le tre offerte: ebbene, la
delegazione deconcentrata ha deciso che le tre offerte non erano sufficienti e ha richiesto un malloppo di documenti per fare una gara per
spendere 7.000 €! La cosa più divertente è che abbiamo dovuto presentare tutto il pacchetto della documentazione per la gara prima di
pubblicare la gara: in spagnolo le gomme da cancellare si chiamano
boreadores, noi avevamo messo 50 (non ricordo il numero esatto)
boreadores, e l'osservazione è stata "Non va bene boreadores, dovete
mettere boreadores de gomma, perché se non mettete che è di gomma non va bene": questa precisazione ci ha fatto perdere tre settimane!
Questo è soltanto un piccolo esempio per capire quello che sta succedendo e che cose si stanno generando.
Altro esempio nel caso dei programmi PRAC, che richiedono, attualmente, l'approvazione dei curriculum del personale che deve fare le
pulizie dell'ufficio: chi sta eseguendo un progetto deve assumere una
serie di esperti che, per contratto, devono essere approvati dalla delegazione, visto che ne ha la competenza, però per il personale di supporto devo mandare una lettera con tre curriculum (questo anche per
la signora delle pulizie). Per favore, non fatemi perdere tempo! Invece
li richiedono: è obbligatorio anche mandare il curriculum della signora delle pulizie per farlo approvare dal signore che non si riesce mai a
trovare!
Infatti la teoria della deconcentrazione è buonissima; avere una struttura UE sul territorio, avere il donatore sul territorio, presente, che
collabora, che è disponibile, che conosce e che riesce a toccare con
mano la realtà, a conoscere, "a sentire odori, ad avere caldo, a sudare, a vedere bambini, animali e cose, ecc"., è perfetto, è molto interessante, però, di fatto, quello che sta avvenendo è che le strutture
deconcentrate diventano dei bunker impossibili da sfondare. Avere un
appuntamento è una cosa impossibile; poter parlare, potersi confron- 43 -
tare diventa sempre più difficile; la burocratizzazione che stanno
applicando a livello locale è, a volte, addirittura peggiore di quella che
si applica a Bruxelles. La cosa più simpatica di tutto questo è che
ognuno applica la sua interpretazione, non è che adesso, perché vi ho
parlato di Managua, in Colombia applichino le stesse procedure; in
Colombia ne inventano un'altra e non parliamo di quanto avviene a
Lima o in altri paesi. Questo solo per dare alcuni spunti su questo
processo di deconcentrazione.
Per quanto riguarda il processo di allargamento farò solo pochi cenni, si tratterà di vedere poi come procedere. Il processo di allargamento sta producendo diversi effetti negativi, dovuti principalmente alle
seguenti ragioni:
- un aumento del numero dei paesi senza realmente un Bilancio
all'altezza, anche se c'è scritto dappertutto che ci sarà un incremento
del Bilancio non è vero, il Bilancio rimarrà uguale, però con 10 paesi
in più;
- una limitata conoscenza delle procedure del sistema della cooperazione da parte dei funzionari delle organizzazioni dei nuovi paesi,
questo sarà qualche cosa che nei primi anni si dovrà un po' scontare
e potrà avere degli effetti anche sul funzionamento di tutta l’organizzazione;
- in ogni caso molti dei nuovi paesi passeranno bruscamente da
essere beneficiari di questi 3,3 miliardi di euro a donatori, perché
dovranno acquisire tutte le obbligazioni, tutti quanti gli impegni che
corrispondono ad un membro dell'UE;
- la cosa che mi preoccupa di più, in questo mio incarico per
l'America latina, è che si possono prevedere degli effetti negativi sulle politiche di cooperazione già in corso. Se entrano 10 paesi in più,
se il Bilancio è lo stesso, se le priorità di questi paesi sono importantissime, è possibile che ci sia un impatto negativo ad esempio
sull'America Latina, che già in parte non è prioritaria. Questo perchè
ci sono varie regioni molto più prioritarie, però tutte queste variazioni provocate dal processo di allargamento potrebbero, in qualche
- 44 -
modo, impattare su alcune aree geografiche che già non sono così
prioritarie.
Per quanto riguarda invece la ristrutturazione geografica dell'intervento devo dire che sono solo idee, sono solo voci di corridoio; sembra
che per il 2007 si preveda una riduzione delle linee tematiche di intervento dell'UE.
Quello delle linee tematiche è sempre stato il grosso problema delle
politiche di cooperazione della Commissione, che è stata anche una
delle ragioni che ha spinto verso la riorganizzazione di tutto il sistema di relazioni esterne. La loro riduzione serve anche per semplificare le procedure di accompagnamento e monitoraggio dei vari progetti. Comunque dovrebbero rimanere:
- la sicurezza alimentare;
- la B7 6000 che è un cofinanziamento ONG;
- la linea diritti umani;
- tutte le altre linee, ambiente, riabilitazione eccetera andrebbero
all'interno di un unico mega gruppo che sono azioni tematiche per
lo sviluppo sostenibile.
Questa è una piccola variazione che si sta pensando di attuare per il
2007 e alcune linee tematiche, come rifugiati e riabilitazione, stanno
per essere trasformate direttamente in linee geografiche, cioè localizzate per area geografica.
- 45 -
Dott. Luigi Grando
Parte III - Analisi di alcune linee di finanziamento non tradizionale:
Alliance for the Information Society (@LIS) e Programma quadro per
la ricerca e lo sviluppo tecnologico
Anche sulla base delle richieste ricevute dalla Provincia, abbiamo scelto un paio di linee di finanziamento fra quelle meno tradizionali, cioè
non parleremo delle linee di bilancio "classiche" dal punto di vista di
una ONG (B7 6000, sicurezza alimentare, democrazia e diritti umani,
e così via). Uno è il "Programma @LIS", che incentiva e sostiene la diffusione della società dell'informazione nei paesi in via di sviluppo; l'altro è un programma che finanzia la ricerca applicata. Si tratta di finanziamenti per la ricerca, quindi nulla a che vedere con il sistema Relex
che prima è stato illustrato; si tratta soprattutto di ricerca applicata,
soprattutto in Europa, fra i 15. Ci sono però alcuni fondi particolari
disponibili per la ricerca applicata nei paesi in via di sviluppo.
Il "VI Framework program" della DG Research prevede forti investimenti per consorzi di ricerca, privilegiando investimenti di grandi
dimensioni che permettano di raggiungere una certa massa critica
minima, necessaria per garantire l'impatto dell'attività di ricerca.
Questo è un grosso cambiamento rispetto al passato, quando invece
finanziavano anche cose di piccole dimensioni. Sicuramente si tratta
di una linea molto orientata alle università, ai centri di ricerca, anche
se l'obiettivo dichiarato dell'UE è non limitare questa linea di finanziamento alle università e ai centri di ricerca, ma di cercare di coinvolgere direttamente le imprese, le associazioni.
@LIS è invece il risultato del dialogo politico tra i governi dell'Unione
Europea, dell'America Latina e dei Caraibi, realizzato nel giugno del
- 46 -
1999 a Rio de Janeiro. L'obiettivo è diffondere i benefici della società
dell'informazione e ridurre il digital divide. Il Programma @LIS si attiva attraverso la decisione della Commissione del 6 dicembre 2001 e
conta su un budget di 85 milioni di Euro di cui 63,5 messi a disposizione dalla Commissione stessa.
I principali obiettivi sono:
x stimolare la cooperazione tra partners europei e latinoamericani;
x facilitare l'integrazione dei paesi latinoamericani nella società globale dell'informazione;
x promuovere il dialogo tra gli utenti della società dell'informazione;
x incrementare le interconnessioni tra i centri di Ricerca & Sviluppo
delle due aree;
x soddisfare le necessità delle comunità locali come parte di uno sviluppo sostenibile;
x implementare applicazioni innovative che si possano duplicare e
diffondere come, ad esempio, software, installazioni di apparecchiature o configurazione di reti.
Il programma prevede tre settori di azione:
x dialogo sulle tecnologie e sugli standard;
x il finanziamento di programmi dimostrativi che permettano la diffusione della società dell'informazione;
x la costituzione di network tra organi di controllo e regolazione,
ricercatori e beneficiari.
Nel caso dei progetti dimostrativi si prevedono quattro settori di
intervento:
x e-local governance;
x e-education and cultural diversity;
x e-public health;
x e-inclusion.
- 47 -
Possono partecipare e presentare progetti organizzazioni senza fini di
lucro dei 15 paesi europei, dei 18 paesi dell'America Latina e dei
Carabi. Per i progetti dimostrativi l'assegnazione del cofinanziamento
comunitario si realizza attraverso le procedure standard di
EuropeAid/AidCo.
La Call for Proposal del 2002 prevedeva i seguenti criteri di eleggibilità per la presentazione delle proposta:
x consorzi con almeno 8 partners provenienti da almeno 3 paesi
europei e da almeno 1 paese latinoamericano;
x preferenza per i consorzi con un alto numero di soci;
x leadership del consorzio da parte di una organizzazione senza fine
di lucro europea;
x possibile partecipazione di società con fini di lucro, a condizione
che non si riconosca loro il rimborso di eventuali spese per le attività
d'identificazione.
La durata massima dei progetti è di 36 mesi ed ogni progetto deve
essere suddiviso in singoli sotto progetti, indicando in modo chiaro il
ruolo di ogni partner. Le proposte devono far chiaro riferimento ad un
solo settore dei quattro identificati. Il finanziamento della
Commissione arriva fino ad un tetto massimo dell'80% dei costi eleggibili. L'ammontare minimo e massimo del contributo della
Commissione è, rispettivamente, di 1,5 milioni di Euro e 3,0 milioni
di Euro. Le società private che fanno parte del consorzio non possono ricevere più del 25% del totale del contributo. Inoltre il contributo destinato ad ogni singola società privata non può eccedere il 50%
dei suoi costi eleggibili.
- 48 -
- 49 -
Università degli
Studi di Trento
Università degli
Studi di Pavia
1
A cura di: Carlo Tassara e Luigi Grando
European School of
Advanced Studies in
Cooperation and
Development (ESAS-CD)
Trento, 8 settembre 2003
Le politiche europee in materia
di cooperazione con i paesi terzi:
processi, prospettive, opportunità
Reti d’informazione
dell’Unione Europea
- 50 2
Analisi di alcune linee di finanziamento non
tradizionali
L’organizzazione comunitaria in materia di
cooperazione con i paesi terzi
Le politiche comunitarie in materia di
cooperazione con i paesi terzi
Le
Le politiche
politiche europee
europee in
in materia
materia di
di cooperazione
cooperazione con
con ii
paesi
paesi terzi:
terzi: processi,
processi, prospettive,
prospettive, opportunità
opportunità
- 51 3
* principali linee di bilancio e rispettive modalità operative;
* Country e Regional Strategy Papers.
Strumenti specifici:
* contesto internazionale e concetti di riferimento;
* contesto strategico-operativo;
* obiettivo, aree strategiche, principi guida, priorità operative;
* criteri metodologici;
* utilizzazione delle risorse;
* nodi critici.
Politiche comunitarie
Rilevanza della cooperazione europea
Le
Le politiche
politiche comunitarie
comunitarie
in
materia
di
cooperazione
in materia di cooperazione con
con ii paesi
paesi terzi
terzi
- 52 -
Fonte: ECEC-EuropeAid,
EuropeAid, 2003
4
Evolution of the amounts
committed and paid
Euro
million
Rilevanza
Rilevanza della
della cooperazione
cooperazione europea
europea
- 53 -
17,6
50,5
29,4
45,1
5
1997-2001: 52.616 US$ ml
9,7
22,3
10,9
14,6
Net ODA from DAC countries (%)
1985-1986: 32.296 US$ ml.
Fonte: OECD, 2002
Others
Japan
USA
EC
Rilevanza
Rilevanza della
della cooperazione
cooperazione europea
europea
- 54 6
Italia
0,13%
ODA 2000 dei paesi DAC-OECD in percentuale sul PIL
EE l’Italia?
l’Italia?
- 55 7
Il debito estero accumulato dai paesi in via di sviluppo
costituisce un ostacolo per lo sviluppo economico e
sociale.
Le politiche di sviluppo devono essere coordinate e
coerenti con le politiche commerciali e le altre politiche
(ampliamento e rafforzamento della democrazia e dei
diritti umani, difesa dell’ambiente ambiente, ecc.).
L’estrema povertà di settori rilevanti della popolazione
costituisce un ostacolo importante per la crescita
complessiva di un paese.
Lo sviluppo economico non è raggiungibile in assenza di
livelli minimi di sviluppo umano e sociale.
Contesto internazionale e concetti di riferimento
Politiche
Politiche comunitarie
comunitarie
- 56 8
Il flusso degli investimenti privati nei PVS è cresciuto
sostanzialmente negli ultimi 10 anni, ma l’80% di esso si
concentra in una dozzina di paesi.
Circa 40 paesi (HIPCs) hanno un debito estero pari o
superiore a 6 volte il loro Prodotto Interno Lordo.
1960: il 20% più ricco della popolazione ha un reddito 30
volte maggiore del 20% più povero.
1995: il 20% più ricco della popolazione ha un reddito 82
volte maggiore del 20% più povero.
L’86% del consumo globale è concentrato dal 20% della
popolazione mondiale.
Alcuni indicatori
Politiche
Politiche comunitarie
comunitarie
- 57 -
Fonte: World Bank, 2000
9
Numero di persone che vivono con meno di 1 USD al giorno
Circa il 25% della popolazione mondiale (1,5 miliardi di
persone) vivono con meno di 1 USD al giorno.
Alcuni indicatori
Politiche
Politiche comunitarie
comunitarie
- 58 10
United Nations Millennium Declaration (6 settembre
2000): Millennium Development Goals (MDGs)
Accordo di Cotonou (giugno 2000) firmato dalla
Commissione, dagli stati membri e dai paesi ACP
The European Community's Development Policy
[COM(2000) 212 final, April 26 2000]
OECD-DAC, Shaping the 21st Century: the contribution of
Development Cooperation, May 1996
Documenti fondamentali per la definizione delle
politiche di cooperazione allo sviluppo
Politiche
Politiche comunitarie
comunitarie
- 59 11
a. Benessere economico: riduzione del 50%, entro il 2015, del numero di
persone che vivono in condizione di estrema povertà nei paesi in via di
sviluppo.
b. Sviluppo umano e sociale: educazione primaria per tutti entro il 2015;
equità di genere nell’educazione primaria e secondaria entro il 2005;
diminuzione dei 2/3 dei tassi di mortalità neo-natale e infantile entro il 2015;
accesso alla salute riproduttiva per tutte le donne in età fertile.
c. Ambiente: identificazione e attivazione, entro il 2005, di strategie nazionali
e regionali di sviluppo sostenibile orientate al ribaltamento, entro il 2015, dei
processi di degrado delle risorse naturali.
d. Aspetti qualitativi: integrazione sociale, buon governo, ecc.
Shaping the 21st Century: the contribution of Development Cooperation, May 1996
Obiettivi prioritari identificati dal DAC-OECD
Politiche
Politiche comunitarie
comunitarie
- 60 12
4. Ridurre la mortalità infantile (entro il 2015).
4a. Ridurre di 2/3 il tasso di mortalità dei bambini minori di 5 anni.
3. Promuovere l’equità di genere e l’empowerment delle donne.
3a. Eliminare la disparità di genere nell’educazione primaria entro il 2005 e negli
altri livelli d’istruzione entro il 2015.
2. Raggiungere l’educazione primaria per tutti (entro il 2015).
2a. Assicurare a tutti i bambini il completamento dell’educazione primaria.
1. Sradicare la fame e la povertà estrema (entro il 2015).
1a. Dimezzare il numero di persone con un reddito giornaliero inferiore a 1 USD.
1b. Dimezzare il numero di persone che soffrono la fame.
United Nations Millennium Declaration (settembre 2000)
Millennium Development Goals (MDGs)
Politiche
Politiche comunitarie
comunitarie
- 61 13
7. Assicurare la sostenibilità ambientale.
7a. Integrare i principi dello sviluppo sostenibile nelle politiche nazionali e
ribaltare i processi di degrado e perdita delle risorse naturali.
7b. Dimezzare (2015) il numero di persone senza accesso all’acqua potabile.
7c. Ottenere (2020) miglioramenti significativi nella qualità della vita di almeno
100 milioni di persone che abitano in zone urbano marginali.
6. Combattere l’AIDS, la malaria e le altre malattie infettive (entro il 2015).
6a. Fermare e, possibilmente, ribaltare la diffusione dell’AIDS.
6b. Fermare e, possibilmente, ribaltare l’incidenza della malaria e della
tubercolosi.
5. Migliorare la salute riproduttiva (entro il 2015).
5a. Ridurre di 2/3 il tasso di mortalità puerperale.
United Nations Millennium Declaration (settembre 2000)
Millennium Development Goals (MDGs)
Politiche
Politiche comunitarie
comunitarie
- 62 14
8. Promuovere una partnership globale per lo sviluppo.
8a. Consolidare un sistema finanziario e commerciale aperto, con regole chiare,
prevedibile e non discriminatorio, che includa un impegno comune per il buon
governo, lo sviluppo e la riduzione della povertà.
8b. Affrontare i problemi dei PVS debitori attraverso misure nazionali e
internazionali orientate a rendere sostenibile il debito nel lungo periodo.
8c. Trovare risposte adeguate ai bisogni specifici di alcune categorie di paesi
(LDCs, piccole isole, ecc.).
8d. Identificare e implementare, in cooperazione con i paesi in via di sviluppo,
strategie e politiche per poter offrire ai giovano lavori decorosi e produttivi.
8e. Assicurare, in collaborazione con le imprese farmaceutiche, la disponibilità
dei farmaci essenziali, a prezzi ragionevoli, nei paesi in via di sviluppo.
8f. Rendere disponibili, in cooperazione con il settore privato, i benefici delle
nuove tecnologie nei paesi in via di sviluppo, e in particolare di quelle
informative e comunicative.
United Nations Millennium Declaration (settembre 2000)
Millennium Development Goals (MDGs)
Politiche
Politiche comunitarie
comunitarie
- 63 -
Trade
Policy
15
European Union’s
External Action
Development
Policy
Contesto strategico-operativo
Politiche
Politiche comunitarie
comunitarie
Political
Dimension
- 64 16
a. Sviluppo sostenibile, in particolare attraverso la promozione di una
crescita equilibrata, investimenti, opportunità di lavoro e di reddito, sviluppo
umano e sociale, protezione e valorizzazione dell’ambiente.
b. Integrazione con l’economia internazionale, anche attraverso il sostegno
all’integrazione e alla cooperazione regionale.
c. Lotta alla povertà.
d. Democrazia, diritti umani, certezza del diritto e, quando necessario,
interventi di pacificazione (peacemaking) e prevenzione dei conflitti.
Aree strategiche
Politiche comunitarie: obiettivo e aree strategiche
Obiettivo centrale: riduzione della povertà
Politiche
Politiche comunitarie
comunitarie
- 65 17
1. Sviluppo sostenibile, in particolare attraverso la promozione di una
crescita equilibrata, investimenti, opportunità di lavoro e di reddito, sviluppo
umano e sociale, protezione e valorizzazione dell’ambiente.
2. Sostegno allo sviluppo istituzionale e aumento della capacità
operativa delle istituzioni.
3. Eguaglianza di genere.
4. Gestione e uso sostenibile delle risorse ambientali e naturali.
5. Accrescimento e consolidamento dei diritti economici, sociali, politici
e culturali.
6. Promozione dell’equità nell’accesso a opportunità e risorse.
Politiche comunitarie: principi guida
Principi guida
Politiche
Politiche comunitarie
comunitarie
- 66 18
I. Commercio e sviluppo, inclusa la definizione di politiche commerciali e
d’investimenti, l’assistenza alla integrazione in sistemi di scambi
multilaterali e nel mercato mondiale, anche attraverso l’assistenza tecnica
e il sostegno all’aumento delle capacità commerciali e il rafforzamento della
competitività del settore privato.
II. Integrazione e cooperazione regionale, inclusa la gestione e la soluzione
di problemi transfrontalieri (economici, sociali, ambientali, ecc.). Oltre che
per l’importanza ambientale ed economica, tali processi costituiscono un
ambito fondamentale per la prevenzione e la gestione dei conflitti.
III. Sostegno alle politiche macroeconomiche esplicitamente collegate
con l’implementazione di strategie per la riduzione della povertà, in
particolare nel settore sociale (salute ed educazione).
Politiche comunitarie: priorità operative
Priorità operative
Politiche
Politiche comunitarie
comunitarie
- 67 19
Aiuti umanitari in caso di conflitti o catastrofi naturali e prevenzione
dei disastri costituiscono una priorità operativa ovviamente non
pianificabile, ma vengono attivati quando necessario.
Priorità operativa “trasversale”
IV. Trasporti, con particolare riferimento alle vie di comunicazioni necessarie
per facilitare l’accesso ai servizi basici (salute ed educazione) e alla
commercializzazione dei prodotti locali (compresa l’economia informale).
V. Sicurezza alimentare e strategie di sviluppo rurale sostenibile, che
costituiscono elementi essenziali in qualsiasi strategia di lotta alla povertà.
VI. Rafforzamento delle capacità istituzionali (capacity building), del
buon governo e della certezza del diritto (rule of law), che - insieme
allo sviluppo economico - sono essenziali per assicurare pace e stabilità.
Politiche comunitarie: priorità operative
Priorità operative (segue)
Politiche
Politiche comunitarie
comunitarie
- 68 20
3. Assunzione di una logica di “programmi paese” che includano i
diversi ambiti settoriali: per dare più efficacia, coerenza e coordinamento
alle azioni e superare la logica del progetto.
2. Coinvolgimento della società civile: nel rispetto dell’autonomia delle
istituzioni locali, le espressioni autentiche della società civile dei PVS
devono essere rafforzate e pienamente coinvolte.
1. Dialogo, partecipazione e ownership: la qualità del dialogo con le
istituzioni dei PVS è essenziale per il successo delle politiche di sviluppo.
Ciò implica che esse siano coinvolte in tutte le fasi delle politiche e delle
azioni concrete (identificazione, implementazione e valutazione). A livello
politico, tale criterio costituisce la base per il rafforzamento del
buongoverno, della democrazia e dei diritti umani.
Politiche comunitarie: criteri metodologici
Criteri metodologici
Politiche
Politiche comunitarie
comunitarie
- 69 21
4. Coordinamento e complementarietà delle azioni dei donatori: tale
aspetto costituisce uno dei compiti principali dell’Unione Europea nei
confronti dei suoi stati membri. A maggior ragione esso va perseguito
anche nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, promuovendo i
necessari strumenti e meccanismi per il coordinamento delle posizioni
espresse nelle sedi internazionali e delle azioni realizzate nei singoli PVS.
3. Coerenza delle politiche e delle azioni: dato che le politiche di sviluppo
sono interrelate con altre politiche comunitarie (commerciali, ambientali,
ecc.). L’Unione Europea intende inoltre promuovere la coerenza delle
politiche multilaterali e del governo internazionale dell’economia
(liberalizzazione del commercio; assistenza tecnica e finanziaria; difesa
dell’ambiente e sviluppo sostenibile) allo scopo di promuovere la graduale
e armoniosa integrazione dei PVS nell’economia mondiale.
Politiche comunitarie: criteri metodologici
Criteri metodologici
Politiche
Politiche comunitarie
comunitarie
- 70 -
0,5
3,8
7,4
5,4
Fonte: ODI, 1999
1988
Europe
Mediterranean
Latin America
Asia
ACP
69,1
22
1990
6,8
11,9
9,7
21,1
42,8
Regional distribution of EC Aid (%)
1998
7,2
5,6
15,9
34,6
30,5
Utilizzazione
Utilizzazione delle
delle risorse
risorse comunitarie
comunitarie
- 71 23
Amounts committed by main programmes
Fonte: ECEC-EuropeAid,
EuropeAid, 2003
Euro million
Utilizzazione
Utilizzazione delle
delle risorse
risorse comunitarie
comunitarie
- 72 -
Fonte: ECEC-EuropeAid,
EuropeAid, 2003
24
Amounts paid by main programmes
Euro million
Utilizzazione
Utilizzazione delle
delle risorse
risorse comunitarie
comunitarie
- 73 -
Fonte: OECDOECD-DAC, 2002
25
European Commission Gross Bilateral ODA - 2000/2001 Average
Utilizzazione
Utilizzazione delle
delle risorse
risorse comunitarie
comunitarie
- 74 26
4. Eccessiva burocratizzazione: occorre semplificare i controlli finanziari,
evitare le duplicazioni nei controlli (interni ed esterni) e spostare l’accento
sui controlli ex-post (in base ad indicatori verificabili) e sulla valutazione
dell’impatto delle azioni realizzate.
3. Scarsità delle risorse umane: il rapporto tra personale e risorse gestite
(2,9 unità ogni 10 MEuro) è molto inferiore a quello di altre agenzie (World
Bank: 4,3) e di molti stati membri (tra 4,0 e 9,0).
2. Eterogenesi dei fini: la “logica degli strumenti” (linee di budget,
regolamenti, comitati, ecc.) rischia di prevalere sui contenuti delle politiche,
i cui obiettivi dovrebbero essere formulati in modo più operativizzato.
1. Eccessiva complessità e frammentazione del “sistema”: in termini di
obiettivi, strumenti, procedure e meccanismi istituzionali. Ciò rischia di di
diminuire l’efficacia delle azioni e aumentare l’incoerenza dei risultati.
Politiche comunitarie: nodi critici
Politiche
Politiche comunitarie
comunitarie
- 75 27
6. Insufficiente “peso politico”: nonostante la grande quantità di risorse
erogate (che fanno dell’Unione Europea e dei suoi stati membri il principale
donatore mondiale), l’Unione Europea non esercita un’influenza e un “peso
politico” altrettanto importante nella definizione dell’agenda e
nell’assunzione delle decisioni relative alla cooperazione allo sviluppo e al
governo del sistema economico internazionale.
5. Eccessiva enfasi sulle “procedure” piuttosto che sugli “impatti”: il
sistema gestionale tende a sopravvalutare l’importanza dei processi legati
alla qualità formale dei processi (assegnazione dei contratti, reporting delle
attività in corso, procedure di acquisto, approvazione degli emendamenti,
ecc.) rispetto alla qualità sostanziale e all’impatto reale ottenuto attraverso
la realizzazione di tali attività.
Politiche comunitarie: nodi critici
Politiche
Politiche comunitarie
comunitarie
- 76 28
* decentramento operativo verso le Delegazioni nei paesi terzi;
* impatto del processo di allargamento;
* ristrutturazione geografica e razionalizzazione del bilancio.
Processi in corso
* principali istituzioni e processi decisionali;
* sistema di gestione degli aiuti ai paesi terzi;
* strutturagramma dei principali servizi operativi.
Organizzazione comunitaria
L’organizzazione
L’organizzazione comunitaria
comunitaria
in
materia
di
cooperazione
in materia di cooperazione con
con ii paesi
paesi terzi
terzi
- 77 -
Fonte: OECD, 2002
29
Principali istituzioni e processi decisionali
Organizzazione
Organizzazione comunitaria
comunitaria
- 78 30
Outside the
EC
Fonte: OECD, 2002
Sistema di gestione degli aiuti ai paesi terzi
Organizzazione
Organizzazione comunitaria
comunitaria
- 79 31
1. Multilaterale: dimensione prioritaria WTO.
2. Bilaterale/Regionale: supporto ai processi d’integrazione regionale.
Dimensioni operative
1. Difendere gli interessi europei.
2. Promuovere i valori europei: protezione dell’ambiente; diritti sociali; stato
sociale e servizi pubblici; diversità culturale; sicurezza alimentare.
3. Promuovere l’integrazione dei PVS nell’economia e nel commercio
mondiale.
Obiettivi
a. progressiva abolizione degli ostacoli al commercio internazionale;
b. riduzione delle barriere commerciali.
Promuovere l’apertura dei mercati, attraverso:
Mandato
DG
DG Trade
Trade -- Commercio
Commercio
- 80 32
* Tra il 1993 e il 2003 l’Unione ha stanziato 3,3 mld l’anno (programma
Twinning) in sostegno ai 13 paesi candidati.
* Obiettivi specifici: a. costruzione e/o rafforzamento delle istituzioni; b.
sostegno all’acquisizione e applicazione della legislazione europea.
* Programmi nella regione: PHARE (dal 1989, 13 paesi); TACIS (1991);
CARDS (2000, ricostruzione e stabilizzazione nei Balcani); MEDA (1995).
Sostegno al processo
1. Incrementare la stabilità politica.
2. Espandere il mercato europeo.
3. Incrementare il peso politici dell’Europa.
Obiettivi dell’allargamento
Criteri per l’ammissione: a. democrazia e stabilità delle istituzioni; b. rispetto dei
diritti umani e delle minoranze; c. esistenza di un’economia di mercato; d. capacità
di acquisire e rispettare le condizioni o gli obblighi specifici di paese membro.
Accompagnare il processo di allargamento ai nuovi stati membri.
Mandato
DG
DG Enlargement
Enlargement -- Allargamento
Allargamento
- 81 33
1. Coordina le relazioni esterne dell’Unione Europea.
2. Opera come interfaccia del Consiglio e dell’Alto Rappresentante per la
Politica Estera e la Sicurezza Comune (PESC) nelle relazioni esterne.
3. Mantiene le relazioni con i paesi terzi (esclusi quelli dell’allargamento)
e con gli organismi internazionali (Nazioni Unite, ecc.).
4. Definisce gli accordi con i paesi terzi in materia di: a. dialogo politico; b.
cooperazione economica; c. promozione delle relazioni commerciali.
5. Formula le politiche di cooperazione con PVS non ACP e la
programmazione di alcuni programmi specifici (TACIS, ecc.).
6. Amministra le Delegazioni nei paesi terzi.
Attività
Garantire l’identità e la coerenza dell’Unione Europea (UE) nelle
gestione delle relazioni esterne.
Mandato
DG
DG External
External Relations
Relations -- Relazioni
Relazioni esterne
esterne
- 82 -
- 83 35
1. Coordina l’elaborazione dei Country (CSP) e dei Regional Strategy
Papers (RSP), che definiscono le strategie di cooperazione comunitaria.
Sono documenti quinquennali che definiscono: priorità, principali aree
d’intervento, risorse, obiettivi e risultati da raggiungere, tempi di massima.
2. Promuove e dà seguimento al coordinamento delle politiche di
cooperazione allo sviluppo con gli stati membri e gli altri donatori
internazionali (e in particolare con il sistema delle Nazioni Unite).
Attività
* Definire le politiche più generali di cooperazione allo sviluppo e,
in particolare, quelle relative ai paesi ACP (Africa, Caraibi e
Pacifico).
* Gestire le relazioni con 78 paesi ACP e 20 paesi e territori
d’oltremare.
Mandato
DG
DG Development
Development and
and Humanitarian
Humanitarian Aid
Aid
- 84 36
DG
DG Development
Development and
and Humanitarian
Humanitarian Aid
Aid
- 85 37
1. Le Direzioni Generali (DG) geografiche seguono tutte le fasi delle attività.
2. La congruità settoriale è seguita da unità tematiche presenti in tutte le DG.
3. Alcuni ambiti settoriali di tipo trasversale (sicurezza alimentare, diritti umani,
ecc.) sono gestiti da singole Unità di un’apposita DG.
Organizzazione interna
1. E’ gestito da un Consiglio formato da 5 Commissari (External Relations,
Development, Trade, Enlargement, Economic & Financial Affairs).
2. Il Chairman (Chris Patten) lo presiede ed è responsabile della gestione
strategica delle politiche.
3. Il Chief Executive (Poul Nielson) è responsabile della gestione operativa.
Gestione
Garantire la coerenza e l’unitarietà operativa nella realizzazione
delle politiche, dei programmi e dei progetti.
Mandato
Europe
Europe Aid
Aid Cooperation
Cooperation Office
Office (AidCo)
(AidCo)
- 86 38
Europe
Europe Aid
Aid Cooperation
Cooperation Office
Office (AidCo)
(AidCo)
- 87 39
1. Non implementa direttamente le attività, ma opera attraverso accordi di
partnership con ONG e/o agenzie delle Nazioni Unite.
2. Nei paesi che presentano particolari crisi umanitarie stabilisce un ufficio con
personale proprio, che coordina il processo di approvazione e seguimento
dei progetti gestiti dalle ONG e dalle agenzie delle Nazioni Unite.
Partnership e organizzazione operativa
1. Afferisce alla DG Development, ma non è coordinato dal Consiglio formato
dai 5 Commissari.
2. Utilizza un proprio sistema di identificazione, approvazione e gestione dei
progetti.
Gestione
Rendere disponibili gli aiuti umanitari nei paesi terzi in
occasione di conflitti e catastrofi naturali.
Mandato
European
European Commission
Commission Humanitarian
Humanitarian Office
Office (ECHO)
(ECHO)
- 88 -
ECHO 4
( **)
Balkans and
Southern Africa
Antoine Lemasson
Léa Drouet
Middle East
María-José Pallares-Paredes
Hermann Spitz
Horn of Africa
Iraq
DIPECHO
Helena Ram on Jarraud
Western Africa
Ignacio Burrull
40
Javier Menendez-Bonilla
Michael Gowen
Iran
Afghanistan, Pakistan,
Elisabeth Rousset
Richards Hans
Central Africa
Javier Perez
South Asia
NIS and Mongolia
Caribbean
South East Asia
Andrea Koulaimah
Helena Ram on Jarraud
Latin Am erica
Ruth Albuquerque
Central and Latin Am erica
Hermann Spitz
Mediterranean countries
Cornelis Wittebrood
NIS (*), Middle East
Mediterranean countries,
Steffen Stem berg-Jensen
René Guth
Technologies (IRM)
Resources; Inform ation
ECHO Offices; Hum an
ECHO 6
Vijay Bhardwaj
Finances; Audit
Planning co-ordination and support; General support for major crises
(**) ECHO 4: General policy affairs; Relations w ith European institutions, partners and other donors
Kyrgyzstan, Moldova, the Russian Federation, Tajikistan, Turkmenistan, Ukraine and Uzbekistan
(*) NIS: New ly Independet States (former Soviet Union): Armenia, Azerbaijan, Georgia, Kazakhstan
Michel Arrion
& suppo rt; M ajo r crises
tio ns; P lanning, co-o rdinatio n
General policy; External rela-
ECHO 5
Asia,
ECHO 2
Balkans,
ECHO 1
Africa, Caribbean & Pacific
ECHO 3
Hervé Delphin
Director Assistant
Advisor Information
and Communication
Giorgio Guarneri
Costanza Adinolfi
Director
Organisation chart for European Commission Humanitarian Aid Office (ECHO) (August 2003)
European
European Commission
Commission Humanitarian
Humanitarian Office
Office (ECHO)
(ECHO)
- 89 41
* decentramento operativo verso le Delegazioni nei paesi terzi;
* impatto del processo di allargamento;
* ristrutturazione geografica e razionalizzazione del bilancio.
Processi in corso
* principali istituzioni e processi decisionali;
* sistema di gestione degli aiuti ai paesi terzi;
* strutturagramma dei principali servizi operativi.
Organizzazione comunitaria
Processi
Processi in
in corso
corso
- 90 42
1. E’ parte del processo di riorganizzazione del sistema di gestione degli aiuti
esterni, avviato con una Comunicazione del 16 maggio 2000.
2. Le fasi di decentramento previste sono tre: entro il 2001: 21 Delegazioni;
entro il 2002: 22 Delegazioni; tra il 2003 e il 2004: 30 Delegazioni.
Fasi
1. Trasferire alle Delegazioni la gestione del ciclo del progetto e la prima
formulazione dei documenti di programmazione, lasciando ai funzionari di
Bruxelles la formulazione finale delle politiche.
2. Ottenere una maggiore efficienza gestionale ed amministrativa.
Obiettivi
1. Inefficienza operativa ed eccessiva centralizzazione della gestione attuale.
2. Difficoltà nel monitoraggio delle attività.
3. Scarsa conoscenza dei contesti locali da parte dei funzionari di Bruxelles.
Motivazioni
Decentramento
Decentramento operativo
operativo
- 91 43
1. E’ previsto il progressivo trasferimento presso le Delegazioni di una parte
del personale che opera a Bruxelles.
2. Un’esperienza pilota è stata realizzata in occasione della gestione del
Programa Regional para la Reconstrucción de América Central (PRRAC).
3. I programmi regionali (che coprono più paesi) e quelli più complessi si
continueranno a gestire da Bruxelles.
4. E’ in corso un processo di seguimento delle Delegazioni e di formazione del
personale (definizione linee guida, missioni di supporto, ecc.).
5. Il processo di decentramento operativo non toccherà ECHO, che manterrà
gli assetti attuali, ma riguarderà le linee di bilancio tematiche (sicurezza
alimentare, diritti umani, ambiente, ecc.).
6. La linea di bilancio B7-6000 (ONG) sarà decentrata in modo parziale,
attraverso il maggiore coinvolgimento delle Delegazioni nel ciclo del
progetto.
Modalità
Decentramento
Decentramento operativo
operativo
- 92 44
1. L’esperienza finora realizzata ha messo in evidenza problemi logistici,
culturali (conflitto tra “centro” e “periferia”), formativi (limitata preparazione
del personale incaricato) e organizzativi (confusione nelle attribuzioni).
2. Il nuovo assetto richiede una maggiore capacità d’interlocuzione locale.
3. I meccanismi decisionali localizzati limitano le possibili sinergie globali,
nonché la coerenza e l’impatto delle politiche e dei programmi.
4. Gli obiettivi previsti non sembrano raggiungibili. Aumentano invece: a.
burocratizzazione delle procedure; b. confusione nella distribuzione delle
competenze; c. confusione nell’interpretazione delle procedure.
5. Gli stati membri sembrano perplessi sui risultati raggiunti e l’esito
complessivo del processo, in particolare per quanto relativo ai problemi sorti
nelle relazioni e nel coordinamento tra Delegazioni e Ambasciate.
6. E’ prevista una verifica complessiva del processo per la fine del 2003.
Osservazioni e problemi aperti
Decentramento
Decentramento operativo
operativo
- 93 45
1. Aumento del numero di paesi senza incremento del bilancio
globale e, quindi, neanche delle risorse destinate alla
cooperazione con i paesi terzi.
2. Limitata esperienza e conoscenza delle tematiche e delle modalità
operative del sistema di cooperazione con i paesi terzi da parte
dei nuovi stati membri.
3. Brusco passaggio da “beneficiari” a “donatori” di molti dei nuovis
stati membri.
4. Possibile ridefinizione delle priorità geografiche (soprattutto verso i
Balcani e i paesi dell’ex Unione Sovietica), con ulteriori impatti
negativi per i paesi più poveri dell’Africa e dell’America Latina.
Impatto
Impatto del
del processo
processo di
di allargamento
allargamento
- 94 46
1. Riduzione delle linee di bilancio tematiche e allocazione delle
risorse finanziarie in poche macro linee “geografiche”. C’è quindi il
rischio di non poter più disporre di risorse per intervenire su nodi
operativi di particolare rilevanza strategica (p.e. il continuum tra
emergenza, riabilitazione e sviluppo).
2. Entro il 2007 verranno probabilmente mantenute soltanto le
seguenti linee tematiche: a. ONG e società civile; b. aiuti e
sicurezza alimentare; c. democrazia e diritti umani; d. ambiente e
sviluppo sostenibile.
3. Ulteriore aumento delle risorse trasferite direttamente ai governi
locali e possibile riduzione del ruolo delle ONG e degli altri attori
espressi della società civile (del Nord e del Sud del mondo).
Ristrutturazione
Ristrutturazione geografica
geografica ee
razionalizzazione
razionalizzazione del
del bilancio
bilancio
- 95 -
ACP
ALA
ASEAN
CAP
CARDS
CEECs
CFP
CFSP
CSP, RSP
DAC
ECHO
EDF
EIB
EuroMed
HIPs
IFI
LDCs
1
Central and Eastern Europe Countries
Common Fishery Policy
Common Foreign and Security Policy
Country Strategy Paper, Regional Strategy Paper
Development Assistance Committee
European Commission Humanitarian Aid Office
European Development Fund
European Investment Bank
Euro-Mediterranean Partnership
Heavily Indebted Poor Countries
International Financial Institutions
Least Developed Countries
Community Assistance for Reconstruction, Development and Stabilisation (Balkans)
Association of South East Asian Nations
Common Agricultural Policy
African, Caribbean and Pacific States
Asia and Latin America
Sigle
Sigle di
di uso
uso comune
comune -- 11
- 96 -
Millennium Development Goals
Middle East and North Africa Programme
National Indicative Programme
New Independent States of the former Soviet Union
Official Aid
MDGs
MEDA
NIP
NIS
OA
Obnova
ODA
OECD
OLAF
OSCE
PHARE
PRSP
Stabex
Sysmin
TACIS
2
Programme for former Soviet Union countries
Special financing facility for safeguarding mining production (Lomé)
Special Lomé instrument to STABilise EXport earnings from agriculture commodities
Official Development Assistance
Organisation for Economic Cooperation and Development
European Anti-Fraud Office (Office Européen de Lutte Anti-Fraude)
Organisation for Security and Co-operation in Europe
Programme for Eastern Europe’s emerging economies
Poverty Reduction Strategy Paper
Regional programme for the former Yugoslavia and the Balkans (now under CARDS)
Low-Income, Lower-middle Income, Upper middle Income, High Income
Countries
LIC, LMIC,
UMIC, HIC
Sigle
Sigle di
di uso
uso comune
comune -- 22
- 97 3
europa.eu.int/comm/europeaid/index_en.htm
* sito web di Europe Aid:
europa.eu.int/comm/echo/index_en.htm
* sito web di ECHO:
europa.eu.int/comm/external_relations/index_en.htm
* sito web della DG Relazioni Esterne:
europa.eu.int/comm/dgs/development/index_en.htm
* sito web della DG Sviluppo:
europa.eu.int/comm/
* sito web generale della Commissione Europea:
Fonti
Fonti ee materiali
materiali d’interesse
d’interesse generale
generale -- 11
Siti web Commissione Europea e OECD
- 98 -
* sito web OECD:
www.oecd.org
4
europa.eu.int/comm/development/body/policy/eu_developme
nt_en.cfm
* pagina web contenente i documenti ufficiali della Commissione sulle strategie di
sviluppo:
- europa.eu.int/comm/external_relations/sp/index.htm
- europa.eu.int/comm/development/body/csp_rsp/csp_en.cfm
* pagine web contenenti Country & Regional Strategy Papers:
Siti web Commissione Europea e OECD
Fonti
Fonti ee materiali
materiali d’interesse
d’interesse generale
generale -- 22
- 99 5
* United Nations - General Assembly, Road map towards the implementation of the
United Nations Millennium. Declaration Report of the Secretary-General, New York, 6
September 2001 [A/56/326]
* OECD-DAC, Development co-operation review: European Community, Paris, 2002
* OECD-DAC, Shaping the 21st Century: the contribution of Development Co-operation,
Paris, May 1996
* EC-EuropeAid, External aid programmes: Financial trends (1989-2002), Brussels,
2003
Documenti e altri materiali
Fonti
Fonti ee materiali
materiali d’interesse
d’interesse generale
generale -- 33
- 100 6
* principali documenti relativi alle politiche di sviluppo della CE:
- The European Community's Development Policy [COM(2000) 212 final, 26.04.2000]
- The European Community's Development Policy [Statement by the Council and the
Commission, 10.11.2000]
- Participation of non-state actors in EC Development Policy [(COM(2002) 598 final),
07.11.2002]
- Fighting rural poverty - European Community policy and approach to rural development
and sustainable natural resources management in developing countries [COM(2002) 429
final, 25.07.2002]
- Health and Poverty Reduction in Developing Countries [COM(2002) 129 final,
22.03.2002]
- On Education and Training in the Context of Poverty Reduction in Developing Countries
[COM(2002) 116 final, 06.03.2002]
- Community support for economic reform programmes and structural adjustment: review
and prospects [COM(2000) 58 final, 04.02.2000]
Documenti e altri materiali
Fonti
Fonti ee materiali
materiali d’interesse
d’interesse generale
generale -- 44
COLLANA "QUADERNI DEL CDE"
1. La tutela delle minoranze etnico-linguistiche in relazione alla rappresentanza politica:
un'analisi comparata
2. Le professioni turistiche nell'ottica comunitaria
3. Euro: una sfida per la pubblica amministrazione
4. L'accesso ai documenti amministrativi nella prospettiva comunitaria
5. Cooperative, associazioni e mutue nelle normative e nelle politiche della comunità europea
6. Accesso alle fonti informative comunitarie
7. Opportunità di cofinanziamento comunitario nel settore dell'ambiente
8. Documento elettronico e firma digitale
9. Gioventù - il programma Europeo per l'educazione non formale e la mobilità internazionale
10. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea
11. Programma comunitario "Cultura 2000"
12. Disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato
13. Il sistema degli aiuti di Stato nella politica di concorrenza dell'Unione Europea
14. La produzione della normativa comunitaria
15. Il nuovo Programma Quadro dell'Unione Europea per la ricerca
16. La concorrenza nei servizi pubblici di trasporto
17. Il Libro Bianco sulla Governance Europea: nuove prospettive comunitarie dell'autonomia
trentina
18. L'Unione Europea e la "questione regionale". Quali orientamenti nella Convenzione per
una Costituzione europea?
19. Le politiche europee in materia di cooperazione con i paesi terzi: processi, prospettive,
opportunità
20. Il futuro dell'Unione europea dopo il V allargamento
Le pubblicazioni sono disponibili su Internet al seguente indirizzo:
http://www.provincia.tn.it/cde, oppure si possono richiedere a:
Provincia Autonoma di Trento,
Centro di Documentazione Europea, via Romagnosi, 9
38100 Trento, tel. 0461/495087-88, fax 0461/495095, mailto: [email protected]
Finito di stampare nel mese di giugno dell’anno 2005