SIMULAZIONE PRIMA PROVA DEGLI ESAMI DI STATO – ITALIANO

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SIMULAZIONE PRIMA PROVA DEGLI ESAMI DI STATO – ITALIANO
Svolgi la prova, scegliendo una delle quattro tipologie qui proposte.
TIPOLOGIA A – ANALISI DEL TESTO
Giovanni Verga, da I Malavoglia, cap. III-IV (19??)
cap. III
[…] Sull’imbrunire comare Maruzza coi suoi figlioletti era andata ad aspettare sulla sciara (1), d’onde si scopriva un bel
pezzo di mare, e udendolo urlare a quel modo trasaliva e si grattava il capo senza dir nulla. La piccina piangeva, e quei
poveretti, dimenticati sulla sciara, a quell’ora, parevano le anime del purgatorio. Il piangere della bambina le faceva
male allo stomaco, alla povera donna, le sembrava quasi un malaugurio; non sapeva che inventare per tranquillarla, e le
cantava le canzonette colla voce tremola che sapeva di lagrime anche essa.
Le comari, mentre tornavano dall’osteria coll’orciolino dell’olio, o col fiaschetto del vino, si fermavano a barattare
qualche parola con la Longa (2) senza aver l’aria di nulla, e qualche amico di suo marito Bastianazzo, compar Cipolla,
per esempio, o compare Mangiacarrubbe, passando dalla sciara per dare un’occhiata verso il mare, e vedere di che umore si addormentasse il vecchio brontolone, andavano a domandare a comare la Longa di suo marito, e stavano un tantino a farle compagnia, fumandole in silenzio la pipa sotto il naso, o parlando sottovoce fra di loro. La poveretta, sgomenta da quelle attenzioni insolite, li guardava in faccia sbigottita, e si stringeva al petto la bimba, come se volessero
rubargliela. Finalmente il più duro o il più compassionevole la prese per un braccio e la condusse a casa. Ella si lasciava
condurre, e badava a ripetere: – Oh! Vergine Maria! Oh! Vergine Maria! – I figliuoli la seguivano aggrappandosi alla
gonnella, quasi avessero paura che rubassero qualcosa anche a loro. Mentre passavano dinanzi all’osteria, tutti gli avventori si affacciarono sulla porta, in mezzo al gran fumo, e tacquero per vederla passare come fosse già una cosa curiosa.
– Requiem eternam, biascicava sottovoce lo zio Santoro, quel povero Bastianazzo mi faceva sempre la carità, quando
padron ‘Ntoni gli lasciava qualche soldo in tasca.
La poveretta che non sapeva di essere vedova, balbettava: – Oh! Vergine Maria! Oh! Vergine Maria!
Dinanzi al ballatoio della sua casa c’era un gruppo di vicine che l’aspettavano, e cicalavano a voce bassa fra di loro.
Come la videro da lontano, comare Piedipapera e la cugina Anna le vennero incontro, colle mani sul ventre, senza dir
nulla. Allora ella si cacciò le unghie nei capelli con uno strido disperato e corse a rintanarsi in casa.
– Che disgrazia! dicevano sulla via. E la barca era carica! Più di quarant’onze di lupini!
cap. IV
Il peggio era che i lupini li avevano presi a credenza (3), e lo zio Crocifisso non si contentava di «buone parole e mele
fradicie», per questo lo chiamavano Campana di legno, perché non ci sentiva di quell’orecchio, quando lo volevano pagare con delle chiacchiere, e’ diceva che «alla credenza ci si pensa». Egli era un buon diavolaccio, e viveva imprestando
agli amici, non faceva altro mestiere, che per questo stava in piazza tutto il giorno, colle mani nelle tasche, o addossato
al muro della chiesa, con quel giubbone tutto lacero che non gli avreste dato un baiocco (4); ma aveva denari sin che ne
volevano, e se qualcheduno andava a chiedergli dodici tarì (5) glieli prestava subito, col pegno, perché «chi fa credenza
senza pegno, perde l’amico, la roba e l’ingegno» a patto di averli restituiti la domenica, d’argento e colle colonne (6), che
ci era un carlino dippiù, com’era giusto, perché «coll’interesse non c’è amicizia». [...]
(1) sciara: termine siciliano con cui si indica la superficie formata dalla colata lavica, che ad Aci Trezza arriva a lambire la spiaggia.
(2) Longa: il soprannome di Maruzza, la moglie di Bastianazzo.
(3) Credenza: a credito.
(4) baiocco: moneta di poco valore.
(5) tarì: moneta del valore di 42,5 centesimi.
(6) Colonne: zio Crocifisso controlla il buono stato delle monete, su cui errano effigiate 4 colonne.
I brani, tratti dal romanzo di Giovanni VERGA, I Malavoglia, descrivono il naufragio della Provvidenza, la barca della
famiglia, la morte di Bastianazzo, marito di Maruzza, e la perdita del carico di lupini. L’evento, che disgrega la famiglia, viene rappresentato attraverso il punto di vista degli abitanti di Aci Trezza. Il ritratto di zio Crocifisso, all’inizio
del cap. IV, aggiunge un altro elemento per completare il punto di vista corale sulla disgrazia.
1. Comprensione
1.1 L’evento è narrato in modo indiretto (infatti manca ogni accenno diretto al naufragio della Provvidenza), e da un
unico punto di vista, quello della collettività anonima, del coro dei paesani.
Attraverso precisi riferimenti al testo, spiega attraverso quali espressioni e immagini il lettore venga messo a conoscenza del fatto; inoltre perché il narratore decide di non rappresentare direttamente il naufragio della Provvidenza.
2. Analisi
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2.1 Attraverso l’esame del lessico e della sintassi individua quelle espressioni che possono essere pronunciate non da un
narratore colto, ma da personaggi del popolo. Spiega inoltre attraverso quale tecnica vengano espresse le parole dei personaggi.
2.2 2 La descrizione dei personaggi riguarda le azioni dei personaggi o le loro emozioni?
2.3 Il personaggio di zio Crocifisso è rappresentato nelle sue azioni e nel suo pensiero attraverso i proverbi. Come lo
caratterizzano quelli contenuti nel brano? Anche padron ‘Ntoni lo è nel romanzo: opera un confronto fra i due, evidenziando il loro essere “antagonisti” rispetto al lavoro che essi compiono. Ricorda inoltre che la barca dei Malavoglia si
chiama “Provvidenza” , mentre quella di zio Crocifisso viene indicata, in altro punto della narrazione la “barca del diavolo”
3. Approfondimento
3.1 “ Il movente dell’attività umana che produce la fiumana del progresso (…) alle sue sorgenti” è anche la causa della
catastrofe della famiglia dei Malavoglia: Spiega come il tema del progresso, o meglio degli effetti provocati dal progresso, venga realizzato in questo primo romanza del ciclo dei Vinti.
3.2 Confronta il romanzo verista di Verga con altri romanzi dell’Ottocento.
TIPOLOGIA B – REDAZIONE DI UN “SAGGIO BREVE” O DI UN “ARTICOLO DI GIORNALE”.
(puoi scegliere uno degli argomenti relativi ai quattro ambiti proposti)
CONSEGNE
Sviluppa l’argomento scelto o in forma di «saggio breve» o di «articolo di giornale», interpretando e confrontando i documenti e i
dati forniti.
Se scegli la forma del «saggio breve» argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi.
Se scegli la forma dell’«articolo di giornale», indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba
essere pubblicato.
Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà foglio di protocollo
1. AMBITO ARTISTICO-LETTERARIO
ARGOMENTO: La natura e la visione che l’uomo ha del proprio rapporto con essa.
DOCUMENTI
Vincent van Gogh (1835-1890),
Campo di grano con corvi (1890),
Amsterdam, Museo van Gogh
Ph. J. de LOUTHERBOURG (1740-1812),
Una valanga sulle Alpi (1803),
Londra, Tate Gallery
Claude MONET (1840-1926),
Ninfee (1914),
Museum of Western Art, Tokyo, Japan
Voi, speculatori, non vi fidate delli autori che hanno sol co’ l’imaginazione voluto farsi interpreti fra la natura e l’omo,
ma sol di quelli che, non coi cenni della natura, ma co’ gli effetti delle sue esperienzie hanno esercitato i loro ingegni. E
riconoscere come l’esperienzie ingannano chi non conosce loro natura, perché quelle che spesse volte paiono una medesima, spesse volte son di grande varietà, come qui si dimostra.
LEONARDO da Vinci, dagli Aforismi
La natura ha fatto l’uomo buono e felice; la civiltà l’ha corrotto e l’ha reso infelice. In un tempo lontanissimo l’uomo
viveva nello stato di natura, senza leggi, senza disuguaglianze sociali, libero, sereno. Il male, l’ingiustizia gli erano ignoti, perché sola regola era allora la natura che è buona e fa buoni gli uomini. Ora la società distrugge un così meraviglioso capolavoro di pace e di bellezza, e riduce l’uomo al delitto, al vizio, alla schiavitù e alla miseria.
Jean-Jacques ROUSSEAU, dal Contratto sociale
Trattare la natura secondo la forma del cilindro, della sfera, del cono, il tutto messo in prospettiva, cioè in modo che ogni lato di un oggetto o di un piano si diriga verso un punto centrale. Le linee parallele all’orizzonte daranno l’ampiezza
di una sezione della natura o, se volete, dello spettacolo che il “Pater Omnipotens Aeterne Deus” ha disteso di fronte ai
nostri occhi. Le linee perpendicolari a questo orizzonte daranno la profondità. Ora la natura, per noi uomini, è più in
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profondità che in superficie, e da ciò la necessità d’introdurre nelle nostre vibrazioni di luce, rappresentate dai rossi e
dai gialli, una somma sufficiente di colori azzurrati per far sentire l’aria.
Paul CÉZANNE, da uno scritto del 14 aprile 1904
CORRISPONDENZE
La Natura è un tempio ove pilastri viventi
lasciano sfuggire a tratti confuse parole;
l’uomo vi attraversa foreste di simboli,
che l’osservano con sguardi familiari.
Come lunghi echi che da lungi si confondono
in una tenebrosa e profonda unità,
vasta come la notte e il chiarore del giorno,
profumi, colori e i suoni si rispondono.
Vi sono profumi freschi come carni di bimbo,
dolci come òboi, verdi come prati –
altri, corrotti, ricchi e trionfanti,
che posseggono il respiro delle cose infinite,
come l’ambra, il muschio, il benzoino e l’incenso;
e cantano i moti dell’anima e dei sensi.
Charles BAUDELAIRE, da Les fleurs du mal (1857)
(trad. A. Bertolucci)
ULTIMA LETTERA AL FIGLIO
Non vivere su questa terra
come un inquilino
o come un villeggiante nella natura.
Vivi in questo mondo
come se fosse la casa di tuo padre.
Credi al grano,
alla terra, al mare,
ma prima di tutto ama l’uomo.
Ama la nube, la macchina e il libro,
ma prima di tutto ama l’uomo.
Senti la tristezza
del ramo che secca,
del pianeta che si spegne,
della bestia che è inferma,
ma prima di tutto la tristezza dell’uomo.
Che tutti i beni terrestri
ti diano a piene mani la gioia,
che l’ombra e la luce
ti diano a piene mani la gioia,
che le quattro stagioni
ti diano a piene mani la gioia,
ma prima di tutto che l’uomo
ti dia a piene mani la gioia.
Nazim HIKMET (poeta turco, 1902-1963)
Come d’arbor cadendo un picciol pomo,
Cui là nel tardo autunno
Maturità senz’altra forza atterra,
D’un popol di formiche i dolci alberghi,
Cavati in molle gleba
Con gran lavoro, e l’opre
E le ricchezze che adunate a prova
Con lungo affaticar l’assidua gente
Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia, diserta e copre
In un punto; così d’alto piombando,
Dall’utero tonante
Scagliata al ciel profondo,
Di ceneri e di pomici e di sassi
Notte e ruina, infusa
Di bollenti ruscelli
O pel montano fianco
Furiosa tra l’erba
Di liquefatti massi
E di metalli e d’infocata arena
Scendendo immensa piena,
Le cittadi che il mar là su l’estremo
Lido aspergea, confuse
E infranse e ricoperse
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
La capra, e città nove
Sorgon dall’altra banda, a cui sgabello
Son le sepolte, e le prostrate mura
L’arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Non ha natura al seme
Dell’uom più stima o cura
Che alla formica: e se più rara in quello
Che nell’altra è la strage,
Non avvien ciò d’altronde
Fuor che l’uom sue prosapie ha men feconde.
Giacomo LEOPARDI,
da La ginestra (1936), vv. 202-236
2. AMBITO SOCIO-ECONOMICO
ARGOMENTO: Lavorare per vivere o vivere per lavorare.
DOCUMENTI
Le conoscenze richieste al lavoratore non sono più soltanto quelle di uno specifico “saper fare”, acquisibile prima di iniziare l’attività lavorativa, ma devono essere continuamente aggiornate ed ampliate: il lavoratore deve saperne di più di
quanto richiesto dal contesto attuale, per potersi rapidamente muovere nel campo delle tecnologie che evolvono e dei
modelli organizzativi che cambiano. Deve, cioè, ampliare continuamente il suo know-how.
Le forme che compongono il percorso lavorativo di una persona sono sempre più composite e caratterizzate da diverse
posizioni nella professione (si passa più frequentemente dal lavoro dipendente a quello autonomo e viceversa), da diverso impegno temporale (diverse forme di part-time o full-time), da diversa durata del rapporto (da tempo indeterminato e
determinato), in diverse imprese (per dimensione, comparto di attività).
L’elemento di continuità dell’esperienza lavorativa non consiste più perciò né nella forma della prestazione né nell’impresa con la quale si stabilisce il rapporto, né nel settore di appartenenza. Come i dati evidenziano, il lavoro “atipico”,
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cioè diverso dal lavoro dipendente, full-time a tempo indeterminato, tende a diventare una forma ordinaria, soprattutto
in certe fasi della vita lavorativa.
Nel momento in cui la sicurezza nel lavoro non può essere ricercata nella stabilità del posto, nella durata dell’organizzazione d’impresa o nell’appartenenza ad una categoria sindacale forte, è necessario uno slancio innovativo che spinga
decisamente alla ricerca di nuove modalità di combinazione tra le esigenze di sicurezza e le nuove condizioni di rischio.
C. GAGLIARDI (direttore del Centro Studi Unioncamere), “Il lavoro che cambia”, in Famiglia oggi, n. 10, 2001
Spesso si richiede una dedizione così totale e monopolizzante al lavoro che lo si potrebbe catalogare sotto l’elenco delle
idolatrie deprecate dalla Scrittura [...]. I costi in termini monetari per la casa e per gli spostamenti, quelli in termini affettivi per le prolungate lontananze degli sposi e quelle in termini educativi per seguire personalmente i figli, oggi sono
molto alti: ci vogliono molto coraggio e molta solidità morale per continuare nella fedeltà e nell’amore familiare.
Card. C. M. MARTINI, Discorso pronunciato in occasione della “Veglia dei lavoratori”,
in “Martini ha ragione, troppo tempo al lavoro”, Corriere della Sera, 1 maggio 2002
Le donne lasciano la carriera perché qualcosa stride tra la loro sensibilità e il mondo del lavoro così come è stato concepito e costruito dall’altra metà del genere umano. Gli obiettivi da raggiungere sono insomma incastonati in un sistema di
valori che non è – o non è ancora – fatto per le donne [...]. Le nuove generazioni, come Julia che ha vent’anni, studia e
sogna un lavoro entusiasmante, ma che non sia tutto nella vita, sanno che, dopo la rivoluzione fatta dalle loro madri, è
giunto il momento di superare le pari opportunità, verso una nuova organizzazione del lavoro. “Ottenuta l’uguaglianza e
la parità, vogliamo umanizzare il modo in cui il mondo intero lavora”
E. LOEWENTHAL, “Gene di donna”, La Stampa, 10 maggio 2002
Ecco il decalogo imposto al quadro: il lavoro è un bene; l’impiego è un privilegio; offri il tuo tempo senza riserve; l’impresa si aspetta molto ma non promette nulla in cambio, come previsto dalle dure leggi dell’economia; se fallisci prenditela solo con te stesso; sii docile e flessibile; il consenso è di somma importanza; non credere troppo in quello che fai;
accetta senza riserve l’universo imprenditoriale; e ripeti: “la costituzione di imprese globalizzate è necessaria, il futuro è
delle imprese flessibili”.
A questo la Maier risponde con i suoi dieci contro-consigli che dicono: il lavoro salariato è la moderna condizione di
schiavitù; inutile tentare di cambiare il sistema: ogni opposizione lo rafforza; il tuo lavoro non serve a niente e puoi essere sostituito dall’oggi al domani dal primo cretino che capita; sarai giudicato in base alle tue capacità di uniformarti a
un modello; non accettare mai un incarico di responsabilità: avrai solo qualche soldino in più; scegli le imprese più
grandi e i posti più inutili; evita i cambiamenti; impara a riconoscere da segnali impercettibili chi è con te, e infine ripeti
costantemente che questa “ideologia ridicola veicolata e promossa dall’impresa non è più vera del materialismo dialettico eretto a dogma dal sistema comunista”.
Corinne MAIER, da una recensione, Giornale di Brescia, 22.02.2005, p. 25
3. AMBITO STORICO-POLITICO
ARGOMENTO: Economia, organizzazione del lavoro e progresso tecnologico nel corso della Prima Guerra mondiale.
DOCUMENTI
All’interno [delle società industrializzate, n.d.r.] si verificò una radicale riorganizzazione del lavoro finalizzata a razionalizzare i processi produttivi per aumentare il rendimento. Con l’uso sistematico delle macchine e la standardizzazione
della produzione, la fabbrica, da unità produttiva semplice, divenne sistema complesso, formato da un gran numero di
“processi meccanici interconnessi”, ognuno dei quali doveva essere sincronizzato e reso funzionale agli altri.
[...] Peraltro, a mano a mano che cresceva il numero degli operai concentrati nella medesima unità produttiva, che il lavoro diventava maggiormente dipendente dalla macchina e che le operazioni si facevano tra loro più interdipendenti, il
problema della disciplina della forza-lavoro diventava cruciale. In questo quadro si affermò lo scientific management,
l’organizzazione scientifica del lavoro industriale, introdotta, teorizzata e diffusa dall’ingegnere americano Frederick
W. Taylor, da cui prese il nome.
A. DE BERNARDI - S. GUARRACINO, La conoscenza storica, vol. II,
Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, Milano, 2000, pp.428-429
Lo sviluppo economico e industriale più recente aveva messo a disposizione degli eserciti mezzi di distruzione mai conosciuti nella storia dell’umanità. Il loro massiccio impiego impresse un’ulteriore spinta all’innovazione tecnologica,
consentendo così alla scienza e alla tecnica, come all’organizzazione politica ed economica, di fare “salti di qualità” irreversibili. Per la prima volta la fitta rete ferroviaria e stradale, i mezzi di trasporto più rapidi (dalla locomotiva alle recentissime applicazioni del motore a scoppio) e gli strumenti di comunicazione più moderni, come il telegrafo e il telefono, furono utilizzati a scopo bellico. La guerra ebbe infatti il proprio epicentro proprio nelle zone più densamente industrializzate e “modernizzate”. Le conseguenze sullo sviluppo del conflitto furono tali da sconcertare gli stessi governi
e comandi militari.
P. ORTOLEVA - M. REVELLI, L’Età contemporanea, Il Novecento e il Mondo attuale,
Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, Milano,1998, p.50
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Il primato del sistema industriale, della scienza applicata alla produzione e della nuova tecnologia era inoltre visibile
nelle mirabilie del volo e del combattimento aereo, nei trasporti automobilistici (autoambulanze e autoblindo) pur ancora integrati con trasporti animali, nella complessità dei sistemi logistici, dei servizi sanitari e postali. Nella rilevanza delle pratiche burocratiche, dei timbri e dei certificati, divenivano manifeste la dimensione crescente e la presenza più estesa dello Stato nella vita privata e quotidiana. Tutto nella guerra appariva sovradimensionato, ogni fenomeno si presentava su scale di grandezza prima impensabili, tipiche della società di massa in corso di affermazione: il numero dei
proiettili e delle mitragliatrici, quello degli uomini, quello delle derrate alimentari e delle lettere smistate dai servizi postali. […] Anche la morte si presenta per la prima volta nella dimensione dei grandi numeri, come risultato di operazioni
in serie e prodotto di organizzazione industriale.
[…] Il comando del tempo era nelle mani di un potere invisibile e rispondeva a logiche superiori sconosciute. Tutte
quante le abitudini apparivano sovvertite e soggette a ragioni imperscrutabili. Lo stesso lavoro prestato per la guerra,
anche quando assomigliava al lavoro di sempre, si svolgeva in un’ambientazione innaturale: il rumore delle picche e dei
badili che servivano a fare le fortificazioni, i ripari e i camminamenti si mescolava a quello dei proiettili in arrivo. […]
Si può dire che la guerra insegnasse a milioni di uomini non solo l’orrore della morte ma anche le straordinarie possibilità che il mondo nuovo offriva, e che erano destinate a cambiare la vita di tutti.
A. GIBELLI, La grande guerra degli Italiani. 1915-1918, Sansoni, Milano, 1998, pp.137-139, 141-144, 146-148
Occorreva aprire nuove industrie di prodotti bellici, aumentare la produttività del lavoro e riorganizzare la produzione in
funzione della massima efficienza. L’“esercito industriale” crebbe con incredibile rapidità e per la prima volta anche le
donne furono impiegate nell’industria pesante e in quella meccanica.
In queste condizioni, la “produzione” divenuta un elemento decisivo per la “sicurezza” della nazione, fu assoggettata al
diretto controllo dello Stato. [...] In Inghilterra il Munition of War Act del 1915 pose “tutta l’industria di guerra sotto il
controllo dello Stato, limitò i suoi profitti, organizzò i prestiti, vietò gli scioperi, prescrisse agli operai di non cambiare
lavoro senza speciale autorizzazione (J.B. Duroselle)
[...] Anche i residui “diritti” dei singoli nei confronti dello Stato, compreso il diritto di proprietà, cedettero di fronte allo
“stato di necessità”. […]
Gli effetti dell’ingerenza dello Stato in ogni aspetto della vita sociale furono travolgenti anche sul piano politico: lo
“stato di necessità” esaltò il potere di decisione, l’efficacia del governo e l’unicità del comando. Sottrasse credibilità e
legittimazione agli organismi rappresentativi (pluralistici e necessariamente più lenti nelle loro procedure decisionali) e
le trasferì agli organi esecutivi, più pronti ad affrontare rapidamente scelte da cui dipendeva la sopravvivenza della nazione. La “società politica” si massificò (tutti furono coinvolti nel massimo impegno politico: la difesa della patria), ma
contemporaneamente tese a modellarsi su quella militare, ad assumere la stessa forma gerarchica, incompatibile con il
rispetto della pluralità delle opinioni e delle posizioni.
P. ORTOLEVA - M. REVELLI, L’Età contemporanea, Il Novecento e il Mondo attuale,
Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, Milano, 1998, p. 50
La guerra ha interrotto abitudini ed equilibri antichi: ha messo in movimento nuove forze ideali; ha mutato costumi, istituzioni politiche, rapporti morali e sociali. Con la vita di milioni di combattenti, ha fatto perdere alla nazione i superstiti
caratteri ottocenteschi, e l’ha costretta ad assumere un volto più moderno. La guerra ha trasformato rapidamente e profondamente la realtà nazionale.
P. PORISINI, Il capitalismo italiano nella prima guerra mondiale, Firenze, La nuova Italia, 1975
4. AMBITO TECNICO-SCIENTIFICO
ARGOMENTO: Quale idea di scienza nello sviluppo tecnologico della società umana.
DOCUMENTI
Nel corso della storia è sempre accaduto che l’uomo si sia trovato in una situazione di incertezza di fronte a due modi
profondamente diversi di interpretare la realtà. Fu senza dubbio questo il caso che si verificò alla fine del Seicento,
quando gli scienziati e i filosofi razionalisti – Isaac Newton, John Locke, René Descartes e altri – misero in discussione
alcuni dogmi della Chiesa, fra i quali anche una dottrina fondamentale: quella che considerava la terra come una creazione di Dio e, quindi, dotata di valore intrinseco. I nuovi pensatori propendevano per una visione più materialistica
dell’esistenza, fondata sulla matematica e sulla “ragione”. Meno di un secolo dopo, gli insorti delle colonie americane e
i rivoluzionari francesi scalzarono il potere monarchico, che sostituirono con la forma di governo repubblicana, proclamando “il diritto inalienabile” dell’uomo “alla vita, alla libertà, alla felicità e alla proprietà”. Alla vigilia della Rivoluzione americana, James Watt brevettò la macchina a vapore, istituendo un nesso fra il carbone e lo spirito prometeico
della nuova era; l’umanità mosse così i suoi primi, malfermi passi verso lo stile di vita industriale che, nei due secoli
successivi, avrebbe radicalmente cambiato il mondo.
J. RIFKIN, da Economia all’idrogeno, Mondadori, 2002
Nel suo New Guide to Science, Isaac Asimov disse che la ragione per cercare di spiegare la storia della scienza ai non
scienziati è che nessuno può sentirsi veramente a proprio agio nel mondo moderno e valutare la natura dei suoi problemi
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– e le possibili soluzioni degli stessi – se non ha un’idea esatta di cosa faccia la scienza. Inoltre, l’iniziazione al meraviglioso mondo della scienza è fonte di grande soddisfazione estetica, di ispirazione per i giovani, di appagamento del desiderio di sapere e di un più profondo apprezzamento delle mirabili potenzialità e capacità della mente umana [...] La
scienza è una delle massime conquiste (la massima, si può sostenere) della mente umana, e il fatto che il progresso sia
stato in effetti compiuto, in grandissima parte, da persone di intelligenza normale procedendo passo dopo passo a cominciare dall’opera dei predecessori rende la vicenda ancor più straordinaria, e non meno.
J. GRIBBIN, da L’avventura della scienza moderna, Longanesi, 2002
Vi sono due modi secondo cui la scienza influisce sulla vita dell’uomo. Il primo è familiare a tutti: direttamente e ancor
più indirettamente la scienza produce strumenti che hanno completamente trasformato l’esistenza umana. Il secondo è
per sua natura educativo, agendo sullo spirito. Per quanto possa apparire meno evidente a un esame frettoloso, questa
seconda modalità non è meno efficiente della prima. L’effetto pratico più appariscente della scienza è il fatto che essa
rende possibile l’invenzione di cose che arricchiscono la vita, anche se nel contempo la complicano.
A. EINSTEIN, da Pensieri degli anni difficili, trad. ital. L. Bianchi, Torino, Boringhieri, 1965
Questa idea dell’incremento tecnico come onda portante del progresso è largamente diffusa; qualcuno l’ha chiamata
“misticismo della macchina”. Noi ci vediamo vivere nell’era del computer o nell’era nucleare, succedute all’era del vapore del XIX secolo. Si pensa a ogni periodo nei termini della tecnologia dominante, risalendo fino alla storia primitiva
dell’uomo. Pensiamo allora allo sviluppo dagli utensili di pietra a quelli di bronzo, e poi al sopravvenire d’un’età del
ferro, quasi una logica progressione tecnica che trascina nella propria corrente l’evoluzione sociale. Pensiamo a ciascuna età nei termini dell’impatto della tecnica sulle faccende umane, e raramente indaghiamo sul processo contrario. [...]
Così nello sviluppo della tecnologia moderna, non occorre intendere solamente l’influenza degli strumenti e delle tecniche sulla società, bensì l’intero ventaglio delle «forze reciprocamente interagenti» che ha dato luogo agli spettacolari
passi avanti del nostro tempo. Come si è espresso un altro studioso dell’evoluzione umana, Solly Zuckerman, «la tecnologia è sempre stata con noi. Non è qualcosa al di fuori della società, qualche forza esterna dalla quale veniamo sospinti
[...] la società e la tecnologia sono [...] riflessi l’una dell’altra».
A. PACEY, da Vivere con la tecnologia, Roma, 1986
Non intendo certo sbrogliare l’intricatissimo rapporto tra scienza e tecnologia, ma solo rilevare che oggi, soprattutto
grazie all’impiego delle tecnologie informatiche e della simulazione, la nostra capacità di agire ha superato di molto la
nostra capacità di prevedere. [...] La tecnologia è importante per ciò che ci consente di fare, non di capire. [...] A cominciare dalla metà del Novecento la tecnologia ha assunto una velocità tale da non permettere a volte alla scienza di
giustificare e spiegare teoricamente, neppure a posteriori, il funzionamento dei ritrovati tecnologici. La scienza si è così
ridotta a difendere posizioni via via più difficili, tanto più che le radici dell’accelerazione tecnologica non sono da ricercarsi all’interno dello sviluppo scientifico, bensì nell’ambito della tecnologia stessa. Infatti è stata l’informatica che, con
il calcolatore, ha fornito all’innovazione uno strumento, o meglio un metastrumento, flessibile e leggero che ha impresso un’accelerazione fortissima alle pratiche della progettazione.
G. O. LONGO, da Uomo e tecnologia: una simbiosi problematica, Ed. Univ. Trieste, 2006
TIPOLOGIA C – TEMA DI ARGOMENTO STORICO
La memoria delle atrocità che hanno caratterizzato la storia del secolo XX può rappresentare un antidoto sufficiente
contro il loro ripetersi? Rifletti su questo problema alla luce di opportune esemplificazioni e facendo riferimento alla tua
esperienza e alle tue conoscenze.
TIPOLOGIA D – TEMA DI ORDINE GENERALE
Comunicare le emozioni: un tempo per farlo si scriveva una lettera, oggi un sms o una e-mail. Così idee e sentimenti
viaggiano attraverso abbreviazioni e acronimi, in maniera veloce e funzionale. Non è possibile definire questo cambiamento in termini qualitativi; si può però prendere atto della differenza delle modalità di impatto che questa nuova forma
di comunicazione ha sulle relazioni tra gli uomini: quanto quella di ieri era una comunicazione anche fisica, fatta di
scrittura, odori, impronte e attesa, tanto quella di oggi è incorporea, impersonale e immediata.
Discuti la questione proposta, sulla base delle tue conoscenze ed esperienze personali, illustrandone gli aspetti che ritieni più significativi.
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