editoriale - Luoghi dell`infinito

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editoriale - Luoghi dell`infinito
Quando
l’Infinito
abita
luoghi
editoriale
Gianfranco Ravasi*
C’
è una ragione autobiografica alla base
di questo editoriale. Quindici anni fa
assistetti anch’io alla riunione, nella
sede milanese di Avvenire, che dette origine alla
rivista Luoghi dell’infinito. Da allora, per tutti i
150 numeri finora apparsi, sono stato nel colophon del Comitato scientifico del mensile e
spesso sono intervenuto sulle sue pagine. Come i
tanti lettori ho partecipato all’itinerario della rivista, ammirando la sontuosa efflorescenza della
sua iconografia che s’intrecciava con la ricchezza
dei testi e delle rubriche, scoprendo orizzonti
inattesi, vicini e remoti, sempre all’insegna della
bellezza e dello spirito.
Proprio su questo aspetto vorrei ora suggerire
una riflessione molto semplificata attorno a una
sorta di ossimoro che è nel titolo stesso Luoghi
dell’infinito. Infatti, come può avere un “luogo”
– termine che presuppone uno spazio limitato,
una sede circoscritta, un perimetro definito – ciò
che è “infinito” come appunto lo è lo spirito,
l’arte, la bellezza? Sappiamo che questa antinomia è alla base dell’idea stessa di tempio, come
già dichiarava Salomone nella sua preghiera di
consacrazione del santuario di Sion: “Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli e
i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto
meno questa casa che io ho costruito!” (1Re 8,
27). La soluzione era stata trovata nella denominazione della tenda sacra dell’alleanza: ’ohel
mo‘ed, “tenda dell’incontro”. Il Dio trascendente
e infinito che tutto abbraccia incontra l’uomo e
la donna, che sono finiti e legati allo spazio, in
un “luogo” prescelto, quasi in una sorta di appuntamento a cui si adatta per attuare l’incon-
tro. È stupenda a questo proposito una cantilena
assonante di un inno giudaico cabbalistico medievale che ruota attorno al vocabolo ebraico
maqôm che significa “luogo”, ma indica anche il
“tempio”: wehû hammaqôm shel maqôm we’en
lammaqôm meqomô, “Egli [Dio] è il luogo del
luogo e questo suo luogo non ha luogo”.
Ancor più forte è l’idea cristiana del Verbo divino, eterno e infinito, che “si comprime” nella
carne storica, caduca, limitata dell’umanità. Non
per nulla nel Medioevo per l’Incarnazione si usava, tra le altre, la formula curiosa Verbum abbreviatum. Ebbene, per analogia, in modo molto libero possiamo dire che Luoghi dell’infinito ha
cercato di coniugare la trascendenza del bello,
dello spirito, dell’arte con le concrete epifanie
nella natura, nei monumenti, nei dipinti, nella
poesia. Certo, come diceva Borges, el universo es
fluido y cambiante, el lenguaje rígido: la bellezza e
lo spirito sono ineffabili e invisibili; eppure essi
nello stampo costretto del creato e delle opere
d’arte svelano i bagliori della loro essenza.
L’arte cristiana ha sostanzialmente avuto sempre questo programma ed è per questo che ha
generato capolavori di bellezza e di fede. L’intera
raccolta della rivista ne è una testimonianza costante e proprio perché l’eternità e l’infinito non
appassiscono e non conoscono caducità, queste
pagine continuano a parlare e a rimanere attuali,
possono essere ininterrottamente riprese, rilette,
contemplate a differenza del giornale che sfiorisce col fluire del tempo e col mutare delle terre e
degli eventi.
* Cardinale
Presidente Pontificio Consiglio della Cultura
Cristo in maestà
tra la Madonna
e san Giovanni Evangelista,
mosaico, Duomo di Pisa.
Alla realizzazione del catino
absidale intervennero
Francesco Pisano (1301),
Cenni di Pepo detto Cimabue
(1302), Vincino da Pistoia
(1320) e restauratori che
operarono dopo l’incendio
del 1595. Immagine tratta
da Il Duomo di Pisa, Mirabilia
Italiae, Franco Cosimo Panini
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