Economie e diseconomie esterne della filiera conserviera dell`Agro

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Economie e diseconomie esterne della filiera conserviera dell`Agro
Economie e diseconomie esterne della filiera conserviera dell’Agro nocerino
sarnese
Luciano Brancaccio
MEZZOGIORNO
In questo articolo si ricostruiscono caratteristiche ed evoluzione recente della filiera della
conservazione del pomodoro dell’Agro nocerino sarnese, ponendo particolare attenzione ai fattori
di contesto che favoriscono, o che ostacolano, la costruzione di reti cooperative tra i produttori. .
1. Le caratteristiche strutturali del settore1
Il distretto delle conserve di Nocera Inferiore (situato nella zona nord della provincia di
Salerno e comprendente anche alcuni comuni della provincia di Napoli) rappresenta la principale
filiera manifatturiera del Mezzogiorno, con una quota di export pari a circa un quinto di tutte le
esportazioni dei distretti industriali del Sud (Intesa-Sanpaolo 2012) Si tratta di un’area di
insediamento tradizionale dell’industria conserviera, già notevolmente sviluppata nella prima metà
del Novecento e poi rapidamente evolutasi nel corso del secondo dopoguerra. Il territorio è stato
esposto a partire dagli anni Cinquanta a un processo di intensa urbanizzazione fino a raggiungere
indici di densità demografica pari a quelli della vicina area metropolitana di Napoli (fig.1).
Insediamenti residenziali e funzioni tipicamente urbane contendono il poco spazio residuo ad un
tessuto produttivo fortemente interconnesso, costituito da aziende di produzione e manutenzione di
macchine industriali, impianti di produzione della banda stagnata, fabbriche di conserve e alcune
colture agricole di pregio.
Le ragioni di questa densità produttiva, entro un quadro di intensa urbanizzazione, possono
essere fatte risalire ad alcuni fattori di localizzazione di ordine ambientale che hanno favorito, in
origine, lo sviluppo di colture intensive di pregio, come il pomodoro San Marzano, e in un secondo
momento l’insediamento, spesso sui medesimi suoli e da parte degli stessi coltivatori, di linee
1
Ho condotto per un periodo di 6 mesi, tra il 2012 e il 2013, una ricerca di campo raccogliendo testimonianze e
pareri di imprenditori, esponenti delle istituzioni e conoscitori del tessuto produttivo locale (15 interviste). La ricerca è
corredata dall’analisi di dati statistici e della letteratura sull’argomento.
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produttive per la trasformazione del prodotto agricolo. Questi fattori possono essere sintetizzati in
tre punti:
1) una situazione climatica ottimale, con temperature miti in inverno e non particolarmente
calde in estate, condizioni ideali per la coltivazione dei prodotti ortofrutticoli;
2) la particolare fertilità del suolo dovuta alla stratificazione di materiali alluvionali combinati
con apporti piroclastici provenienti dall’attività del vicino Vesuvio;
3) una grande disponibilità d’acqua grazie alla presenza di due fiumi (Sarno e Solofrana) e un
gran numero di corsi sotterranei, ai quali si può attingere facilmente mediante pozzi.
Nel corso del tempo, inoltre, l'Agro Nocerino Sarnese, ha sviluppato un buon sistema di
collegamento con i principali snodi del commercio internazionale che ha consentito di valorizzare la
già favorevole posizione strategica. In particolare, tra i fattori di localizzazione di ordine
geografico, possono essere citati:
1) la vicinanza alle aree di coltivazione del pomodoro, anche quando, a seguito della
saturazione urbanistica e della crisi della coltivazione del San Marzano, il tipico prodotto
locale, si sono spostate per la gran parte in Puglia;
2) vicinanza ai porti della regione, dove transitano le merci destinate al mercato
internazionale: Napoli (40 km) e Salerno (20 km);
3) buone vie di collegamento per il trasporto su gomma e su ferro: lungo la direttrice est-ovest
attraversano il territorio dell’Agro l'autostrada Napoli-Salerno (A3), la linea ferroviaria delle
FF.SS. e la SS. 18; lungo la direttrice nord-sud, l'autostrada Caserta-Salerno (A30).
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Fig. 1) La densità urbanistica dell’Agro nocerino sarnese2
Il territorio dell’Agro nocerino sarnese ha vissuto una industrializzazione precoce. Già alla
fine dell’Ottocento, attorno ai primi impianti moderni fondati dal piemontese Francesco Cirio,
nascono numerose aziende per la trasformazione del pomodoro San Marzano, allora intensivamente
coltivato in zona. Gradualmente una costellazione di fabbriche conserviere si va affermando in
prossimità dei terreni e delle colture agricole. Poco prima della crisi del 1929 si contano in
provincia di Salerno oltre 100 aziende conserviere dedite principalmente all’esportazione di
pomodoro pelato sui principali mercati internazionali (Stati Uniti, America del Sud, Inghilterra), per
un totale di circa 12.000 addetti nel periodo estivo (Sales 1982). Il comparto si basa fin dall’origine
su una estrema parcellizzazione della proprietà. Nell’Agro, come si evince nelle prime raccolte
statistiche e nelle prime ricostruzioni di storia economica e dell’agricoltura di inizio Novecento, è
preponderante la struttura proprietaria tipica della cosiddetta Campania Felix: aree fertili
caratterizzate da colture intensive, frazionate in piccoli e piccolissimi appezzamenti (Bordiga 1909).
La frammentazione della proprietà fondiaria si trasmette direttamente al settore conserviero: nel
corso del secondo dopoguerra, trainata dalla repentina crescita dei consumi, nell’Agro nocerino
sarnese si assiste alla formazione di un fitto tessuto di piccole e piccolissime aziende conserviere a
carattere familiare che nascono all’interno del mondo agricolo e contadino. Questo modello è molto
ricorrente: agricoltori, intermediari o commercianti, con un po’ di spirito di iniziativa, si mettono in
2
http://www1.asmenet.it/santegidiodelmontealbino/index.php?action=index&p=374
Sant’Egidio Monte Albino).
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(Sito
del
Comune
di
proprio. L’avvio dell’attività è legata al possesso di un lembo di terra, sulla quale si realizzano le
prime linee produttive, con poco investimento iniziale e molto lavoro artigianale. Il saper fare
proveniente dalla tradizione familiare (cruciale il ruolo delle donne, più tardi trasmesso nelle
maestranze operaie addette alla lavorazione, che non a caso, ancora oggi, sono nella quasi totalità
femminili) fornisce le competenze di base per avviare il ciclo. In effetti, la lavorazione delle
conserve, e in particolare del pomodoro, rappresenta la trasformazione in attività industriale di una
tradizionale usanza delle famiglie contadine locali.
Con la meccanizzazione dei processi produttivi, nel corso degli anni Sessanta, prende forma
una filiera industriale composita. Attorno al settore conserviero, infatti, si sviluppa la produzione
della banda stagnata per l’inscatolamento del pomodoro, degli imballaggi in legno, plastica e
cartone, si moltiplicano le aziende di trasporto e di servizi. Ma soprattutto si nota in quegli anni la
crescita del settore metalmeccanico per la produzione di macchine e impianti industriali. In molti
casi queste imprese nascono dall’iniziativa di figure tecniche delle aziende conserviere e degli
scatolifici che decidono di mettersi in proprio. Il know-how è dunque costituito dalla conoscenza
minuta dei problemi tecnici delle linee di lavaggio, lavorazione e inscatolamento dell’ortofrutta
(alla lavorazione del pomodoro si accompagnano nel corso del tempo altre produzioni minori:
legumi, frutta e bevande). Anche in questo caso si tratta di realtà familiari: piccole unità produttive
in grado di assecondare le specifiche esigenze dei produttori conservieri. Gli impianti dell’Agro
devono svilupparsi in assenza di spazi adeguati, dunque diventa cruciale la soluzione tecnica
innovativa calibrata su misura del singolo impianto. La specificità delle risorse delle aziende
metalmeccaniche (la simbiosi col settore conserviero) favorisce la crescita del settore. Ma ciò non
impedisce, mano a mano che si consolidano conoscenze ingegneristiche di alto livello, che la
produzione si differenzi. Le aziende maggiormente attrezzate si dotano di considerevoli uffici di
progettazione e riusciranno nel corso del tempo a far fronte alle varie crisi piazzando una buona
quota di export. Tra alti e bassi il comparto della produzione macchine e impianti presenta ancora
oggi una certa consistenza, da non sottovalutare in un’ottica di politiche orientate al rafforzamento
del tessuto produttivo della filiera. Al censimento 2001 si contano in provincia di Salerno, nel
settore della produzione macchine e apparecchi meccanici, 366 aziende (con 2.250 addetti), circa un
terzo delle quali ricade nell’ambito ristretto dei 10 comuni che formano il Sistema locale del lavoro
di Nocera Inferiore, il cuore dell’Agro nocerino sarnese.
L’industria conserviera vive nel corso degli anni Ottanta una crisi strutturale. Tra i due
censimenti del 1981 e del 1991, in provincia di Salerno, il numero di addetti del settore della
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lavorazione e conservazione frutta e ortaggi subisce un crollo del 60%, passando da 9.000 unità a
3.850. La competizione sui mercati internazionali si fa sempre più stringente (soprattutto ad opera
di aziende spagnole e greche) e l’industria dell’Agro comincia a mostrare tutti i suoi limiti che nella
fase di crescita e nella prima fase degli aiuti comunitari (molto generosi per tutti gli anni Ottanta)
erano rimasti in una condizione di latenza. La gestione familiare delle imprese, le rivalità tra
imprenditori, l’assenza di politiche integrate, i comportamenti speculativi e illegali (noto il caso
delle truffe per ottenere i premi di produzione Cee), sono le ragioni principali del consolidamento di
uno strato imprenditoriale conflittuale al suo interno, poco abituato alle strategie di sistema, che
preferisce l’intermediazione politica e il comportamento opportunistico di breve termine. Nel
frattempo anche la produzione agricola del pomodoro San Marzano entra in crisi: la crescita dei
costi della manodopera (questo tipo di coltivazione ha bisogno di molto lavoro manuale), il
consumo di suolo causato da una urbanizzazione disordinata e speculativa, una virosi delle piante
provocano la scomparsa della tipica produzione locale (solo di recente recuperata, come prodotto di
nicchia). A partire dagli anni Ottanta la produzione locale del San Marzano viene sostituita da una
qualità ibrida, molto più resistente, che consente la raccolta meccanizzata, coltivata soprattutto in
Puglia. La filiera dunque comincia a disarticolarsi geograficamente, con la conseguenza di una
maggiore vulnerabilità del sistema locale. Nonostante ciò la gran parte della trasformazione del
prodotto continua ad essere effettuata in zona, a riprova della tenuta della filiera e di una buona
qualità dei processi produttivi locali (Bianchi 1999).
2. Le economie di agglomerazione
Il settore conserviero dell’Agro esce dalla crisi degli anni Ottanta con un ulteriore
frazionamento delle unità produttive in aziende con pochi lavoratori, molte delle quali lavorano in
conto terzi. La dimensione media delle aziende del comparto (in provincia di Salerno), che nel 1981
era di circa 50 addetti, passa nel 2001 a 16 addetti (elaborazione su dati Istat). Si realizza un
assestamento sul modello basato sulla piccola e piccolissima azienda, con poche eccezioni di
dimensione superiore.
Nel corso degli anni Duemila l’industria conserviera dell’Agro torna a crescere, mantenendo,
nel panorama del Mezzogiorno, una leadership indiscussa, ben segnalata dall’ammontare delle
esportazioni che, come detto in apertura, nel 2011 sono pari a circa 1/5 delle esportazioni
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complessive dei distretti del Mezzogiorno.
Se si considerano i problemi strutturali di cui si è parlato, questi risultati assumono un rilievo
particolare. Evidentemente, agiscono fattori positivi che dimostrano le forti potenzialità del
comparto. Il primo di questi è senz’altro la tenuta, nonostante l’andamento ciclico e la fragilità
endemica del tessuto produttivo, della filiera. Si possono notare significative economie di
agglomerazione, che hanno gioco anche in presenza della quasi completa scomparsa della
coltivazione locale del pomodoro. La presenza di un fitto tessuto di aziende e servizi ai vari livelli
della filiera, il saper fare diffuso, una consuetudine con le maestranze operaie continuano a
costituire fattori di attrazione decisivi, che impediscono la disarticolazione del comparto. Conta
naturalmente la vicinanza con gli snodi del mercato mondiale (i porti di Napoli e Salerno
principalmente, come si è detto) ma risulta determinante il fattore distrettuale, in particolare la
presenza in loco di competenze specifiche nel settore meccanico.
La lavorazione del pomodoro, infatti, è un’attività che si concentra in due-tre mesi estivi
(luglio-settembre) in cui gli impianti lavorano a pieno regime. Risulta cruciale, quindi, la possibilità
di contare su una manutenzione immediata, disponibile giorno e notte, con profonde conoscenze
tecniche della linea, che sia in grado di ovviare ai problemi che possono verificarsi nel corso della
stagione. Inoltre, come già anticipato, gli spazi spesso limitati in cui sono collocate le linee di
produzione impongono soluzioni tecniche specifiche, adattamenti che debbono tenere conto della
singola realtà aziendale, cose che non possono essere garantite da una produzione standardizzata.
La presenza di rapporti di fiducia e disponibilità alla collaborazione tra i diversi livelli della
filiera consente di programmare riducendo i rischi e quindi i costi di transazione. Da questo punto di
vista i legami verticali di filiera rappresentano un punto di forza decisivo. Come sostengono due
imprenditori del settore:
Qui il giorno di ferragosto lei trova sempre il meccanico che arriva… in Puglia no (int. a R. D.,
31.10.2012).
Il mese d’agosto è il clou della campagna e se non stai in un’area dove conosci bene non puoi andare
avanti. A me se si rompe un motore il 15 agosto io so dove devo andarlo a prendere oppure, se c’è da
rifare un avvolgimento o qualche cosa, chiamare la persona giusta per andare avanti, in altre parti
diventa molto difficile. A volte vediamo qualche collega che sta fuori zona i problemi che ha. Se hai
un’azienda grande che risolve tutto internamente allora va bene, ma le piccole aziende hanno bisogno
di supporti esterni che se non stai nel territorio, chi te lo fa? (Int. a F. T., 28.09.2012)
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Bisogna considerare che nell’Agro si lavora principalmente il fresco per la produzione del
pelato e quindi un fermo degli impianti, produrrebbe, soprattutto con il caldo estivo, enormi danni
sulla materia prima, deteriorandola rapidamente. Le aziende dell’Agro hanno il monopolio
sostanziale della lavorazione del pelato, che invece non viene prodotto affatto nel distretto
concorrente di Parma3. Il pelato è un prodotto di più alta qualità rispetto alla passata e alla polpa,
che tuttavia richiede una lavorazione più attenta in tutte le fasi, compreso il trasporto in fabbrica del
fresco che deve essere effettuato rapidamente per garantire l’integrità della materia prima. E per
fare in modo che il pomodoro inscatolato mantenga la consistenza necessaria e le caratteristiche
organolettiche.
I legami verticali di filiera riguardano anche la produzione di scatole in banda stagnata, che
deve rispettare una produzione calibrata sulle singole esigenze dell’azienda conserviera, spesso
molto differenti tra loro. Anche in questo caso le particolarità della produzione locale richiedono
risorse dedicate:
Qui in parte compriamo la banda stagnata e ce la facciamo lavorare in zona, perché quando facciamo il
famoso 100 gr. (concentrato di pomodoro) con le scatolette piccole, generalmente gli scatolifici grossi
quando sono impegnati non te le fanno queste lavorazioni, quindi te la fanno questi scatolifici piccoli
che ci sono in zona, io compro la banda stagnata me la faccio litografare e la do’ a loro per la
lavorazione (Int. a R. D., 31.10.2012).
Ci sono poi, come accennato, le sinergie orizzontali all’interno del settore conserviero in
funzione della complementarietà della produzione. Si tratta da un lato di strategie industriali che
cercano di costruire alleanze di mercato differenziando la produzione, dividendosi i mercati e
venendosi incontro per le reciproche esigenze (ad esempio la collaborazione tra coloro che
producono pelati per l’esportazione e coloro che producono passata e concentrato di pomodoro).
Dall’altro sono rapporti di tipo gerarchico con le aziende di piccola dimensione che lavorano in
conto terzi. Il mercato delle conserve è soggetto a forti variazioni, con alti e bassi a seconda delle
annate. Allorquando il mercato tira è di importanza cruciale, per sfruttare al meglio i margini di
profitto, poter contare sulla collaborazione di altre unità produttive alle quali l’azienda principale
può ricorrere per fronteggiare una domanda in crescita. Naturalmente quando il mercato cala le
aziende di piccola dimensione che lavorano principalmente in conto terzi sono le prime a trovarsi in
difficoltà. Come sostiene uno dei principali produttori del distretto:
3
I due distretti si dividono all’incirca al 50% la produzione nazionale del pomodoro conservato, che si aggira
complessivamente sui 50 milioni di quintali all’anno.
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ci sono diverse aziende che hanno questo ruolo, lavorano solo per altri. A seconda della richiesta del
mercato le aziende si appoggiano ad altre aziende, poi anno dopo anno tutte le aziende si sono
rafforzate incrementando la loro capacità produttiva, quindi recentemente queste aziende sono andate
in difficoltà e hanno cominciato a produrre per altri marchi di altri settori (ad esempio i pastifici)
utilizzando quel canale di commercializzazione (int. a G. L., 14.11.2012).
In alcuni casi si tratta semplicemente di collaborazioni temporanee per far fronte ad esigenze
congiunturali del mercato, ma in altri casi siamo di fronte a sinergie più stabili che denotano una
modalità di strutturazione del settore. Le imprese più grandi costruiscono così reti di collaborazioni
con aziende satellite, secondo una strategia di delocalizzazione delle capacità produttive.
Sia nel caso delle relazioni verticali di filiera che nel caso delle sinergie orizzontali di settore, siamo
in presenza di economie di agglomerazione per larga parte di tipo inintenzionale, indotte, cioè, dalle
esigenze di mercato. Esse danno vita a circuiti di cooperazione relativamente ristretti, configurando
alleanze e accordi strategici tra singoli imprenditori. Tuttavia, sono costruite sulla base di rapporti di
fiducia e non è escluso che, con lo stimolo di opportune politiche territoriali, possano contribuire
alla costruzione di un tessuto cooperativo più allargato, che favorisca la produzione di beni e servizi
collettivi locali a valere sull’intero comparto.
Alcune forme di collaborazione intenzionale sono state messe in piedi con il supporto delle
politiche di programmazione negoziata della seconda metà degli anni Novanta. Da questo punto di
vista il Patto territoriale dell’Agro, in una fase di arretramento del controllo partitico sulle istituzioni
e di rivitalizzazione della partecipazione politica a livello locale, ha costituito un punto di
riferimento importante. A detta degli imprenditori del settore, il Patto ha rappresentato, nella prima
fase di attività, un momento di avvicinamento delle istituzioni locali ai problemi complessivi della
filiera. Il Patto territoriale dell’Agro, attraverso la società controllata Agro Invest, ha realizzato
quattro aree industriali comprensoriali, (Fosso Imperatore, Sarno, Scafati e Taurana), che tuttavia
non hanno ospitato delocalizzazioni significative di impianti conservieri, in parte perché le
metrature disponibili non sono state sufficienti (le imprese conserviere hanno bisogno di ampi spazi,
per la lavorazione, per l’immagazzinamento delle conserve e per la logistica) e in parte per
l’impossibilità da parte di aziende con fatturati limitati (che costituiscono la grande maggioranza
delle aziende del comparto) di sostenere i costi dell’investimento, difficoltà acuite dalla crisi degli
ultimi anni. Tra le attività realizzate, anche uno sportello unico per le attività produttive, una società
di collocamento privato (Agro occupazione), un consorzio fidi (Confidi patto dell’Agro), vari
accordi di programma e protocolli di intesa con i comuni dell’area. Tuttavia, dopo un iniziale
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periodo di buona governance del settore, alla quale partecipano attivamente esponenti del tessuto
imprenditoriale locale, si assiste a partire dagli anni Duemila ad un ritorno della mediazione politica
di tipo particolaristico, che coincide con un abbassamento della qualità degli interventi. Delle azioni
inizialmente promosse dal Patto, sostanzialmente non resta traccia. Attualmente è attivo un
Contratto di programma (varato nel 2005), specificamente dedicato all’agroindustria: si tratta del
consorzio Agrofuturo che raccoglie circa 170 aziende della filiera conserviera. Anche in questo caso
le testimonianze raccolte concordano nel ritenere questo tipo di azione poco efficace e
sostanzialmente rispondente ad obiettivi politici di corto respiro. D’altronde, gli stessi imprenditori
intervistati ammettono che le forme di istituzionalizzazione del settore suscitano interesse solo
quando c’è la possibilità di ottenere agevolazioni finanziarie. Il rapporto con le istituzioni, in ultima
analisi, mostra quasi sempre la faccia della strumentalità di breve periodo.
3. Le diseconomie esterne
La carenza di fiducia tra imprenditori, come è noto, è uno dei limiti principali di molte
economie territoriali, soprattutto nel Mezzogiorno. E tuttavia, sappiamo che nella competizione su
scala globale le risorse di sistema diventano oltremodo cruciali. Soprattutto nelle filiere basate sulla
piccola e media impresa, la disponibilità alla cooperazione è la sola risorsa capace di produrre quei
servizi collettivi essenziali per la competitività del sistema locale (consorzi fidi, reti comuni di
vendita o di acquisto, servizi di promozione comune del marchio, ricerca, azione di lobbying nei
confronti delle istituzioni politiche ecc.). Nel caso del conserviero dell’Agro, in particolare, la
tradizionale frammentarietà e rivalità interna al settore hanno impedito, o fatto naufragare in breve
tempo, progetti di costituzione di consorzi di acquisto delle materie prime (per mantenere stabili i
costi) e servizi collettivi di vendita (per evitare la discesa eccessiva dei prezzi e i comportamenti
speculativi dei singoli produttori). Il risultato è un settore che, pur potendo fare leva su un prodotto
di qualità e a forte marchio territoriale, non riesce a scrollarsi di dosso il giogo della grande
distribuzione.
Forme di concorrenza sleale, per esempio, si verificano continuamente in un settore in cui,
data la frammentazione aziendale, i produttori si presentano al tavolo delle trattative con gli
intermediari commerciali da una posizione di debolezza, continuamente esposti al gioco al ribasso
da parte di chi ha necessità di liberare il magazzino e piazzare la merce prodotta. Come sostiene un
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imprenditore:
il settore della grande distribuzione ha acquisito una posizione di forza nei confronti della industria
conserviera, soprattutto dopo la crisi del settore degli anni Ottanta. I produttori si sono affidati, infatti,
ai grandi distributori o ad aziende di commercializzazione, peraltro non locali, sia per la vendita in
Italia che per l’esportazione, determinando la loro subordinazione al settore della vendita (int. a L. S.,
19.10.2012).
E ancora:
Attualmente ogni produttore tratta singolarmente con la grande distribuzione, noi siamo circa 80
persone che hanno l’azienda conserviera e probabilmente ci stanno 150 che vanno a trattare, la grande
distribuzione sono 5 catene di distribuzione ma chi tratta per loro è una sola, si fa una convocazione a
Milano e si dice: noi trattiamo l’acquisto di x cartoni di pomodori, chi vuole partecipare è per il giorno
24 all’hotel … e si vanno a scannare i colleghi miei, perché l’offerta migliore… ognuno offre al prezzo
più basso… (int. a L. S., 19.10.2012).
Né il settore riesce a unire le proprie voci nel rapporto con la politica, nazionale e locale,
nonostante il rilievo economico e sociale del comparto in sede locale. Stupisce che il distretto non
riesca a svolgere il ruolo di classe dirigente influenzando la politica locale in direzione degli
interessi complessivi del sistema territoriale. Come nota un testimone qualificato:
C’è una sproporzione tra l’importanza nell’export di questo settore e l’importanza politica, il settore
conserviero è ricco ma non ha una considerazione sociale, sul piano politico non è un settore che
incide […] L’industria conserviera non ha rappresentanza politica nel suo insieme, non c’è mai stata
una politica fatta per loro (Int. a I. S., 28.09.2012).
La chiusura dei rapporti di fiducia entro circuiti personali, o comunque di ridotta dimensione,
favorisce il consolidamento di fazioni e cricche di interessi, le quali intrattengono con la politica
rapporti di scambio clientelare. In altri termini, l’allocazione inefficace di risorse capitale sociale, il
suo agglomerarsi dentro sfere ristrette della filiera (usando una espressione della teoria sociologica
si direbbe: la proliferazione di capitale sociale bonding, escludente, rispetto a quello bridging,
aggregante), può avere due effetti sulla domanda politica. Da un lato può neutralizzarla del tutto,
producendo atteggiamenti distaccati, disillusione e apatia da parte degli operatori del settore che
rinunciano alla possibilità di effettuare azioni di lobbying sulle istituzioni; dall’altro tende a
promuovere domande particolaristiche, richieste di interventi, magari di minore entità, a beneficio
esclusivo delle catene di clienti. Ciò favorisce la selezione di un ceto politico attento alla cura di
interessi minuti, e inadeguato invece ad affrontare le sfide di sistema. Di qui la mancanza di
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politiche integrate a livello territoriale, che costituisce l’ostacolo principale a una regolazione
razionale del settore.
La mancanza di cooperazione potrebbe essere interpretata come il classico dato culturale,
l’eredità di un’arretratezza immodificabile nel breve-medio termine. Ma a contraddire una
immagine stereotipata, che di sovente viene semplicisticamente associata al comportamento degli
imprenditori meridionali, le testimonianze raccolte sul campo mostrano una chiara consapevolezza
della trappola della sfiducia in cui si dibatte il comparto. Emerge, infatti, una domanda esplicita di
politiche finalizzate alla regolazione del distretto, che aiutino a superare il particolarismo che
caratterizza i rapporti interni alla filiera. Particolarismo dal quale gli imprenditori sembra non siano
in grado di liberarsi con azioni intenzionali, vittime e insieme artefici di pratiche conservatrici
chiuse. In altri termini, gli imprenditori locali richiedono un intervento esterno (quindi estraneo alla
rivalità e alle relazioni conflittuali tra i produttori) che agisca direttamente sul territorio
promuovendo beni collettivi locali per la competitività. Una parte di queste richieste è concentrata
sui miglioramenti della logistica, dei servizi e delle vie di collegamento interne al sistema locale
(sovraffollate da una condizione di intensa urbanizzazione). Ma la richiesta più ricorrente riguarda
la regolamentazione di un marchio Dop per la lavorazione del pelato. Il pelato, infatti, come
abbiamo detto, è la produzione tipica campana, non realizzata dal distretto concorrente di Parma,
che potrebbe rappresentare la principale linea di produzione per la crescita del distretto. A questo
strumento si potrebbero accompagnare politiche integrate per la promozione del territorio e dei
prodotti tipici locali, in sinergia con i vicini luoghi del turismo e del turismo culturale (Costiera
amalfitana e sorrentina, siti archeologici alle pendici del Vesuvio).
4. Le potenzialità della filiera
Il deficit di politiche volte alla crescita della filiera, alla sua promozione sui mercati
internazionali e alla costruzione di strategie competitive non impedisce che il settore mostri segnali
importanti di tenuta. Qualche rapido riferimento statistico relativo alla dimensione occupazionale e
all’andamento delle esportazioni può aiutare a mettere a fuoco le potenzialità di crescita
dell’industria conserviera dell’Agro.
Se ci riferiamo al territorio del sistema locale del lavoro di Nocera Inferiore (che costituisce il
cuore ma non esaurisce in estensione il distretto), nel 2008 l’Istat calcola la presenza di oltre 3.000
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lavoratori delle industrie alimentari, facendo registrare una crescita rispetto al 2001 di circa 250
unità. Il settore mantiene una forte incidenza sul totale delle attività manifatturiere, superando nel
2008 la soglia di un terzo del numero di addetti (che invece complessivamente calano).
Seguendo l’andamento delle esportazioni di prodotti alimentari della provincia di Salerno,
dopo una crescita sostenuta nella seconda metà degli anni Duemila (nel 2008 e 2009 si supera la
soglia del miliardo di euro), si nota di recente una flessione di entità contenuta connessa alla crisi
globale (anni 2010 e 2011), cui segue una ripresa nel 2012. Complessivamente, dall’inizio del
nuovo secolo il valore delle esportazioni è cresciuto di circa un terzo (fig. 2).
Fig. 2) Provincia di Salerno, valore delle esportazioni di prodotti alimentari, milioni di euro
1200
1000
800
600
400
200
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
0
Fonte: CCIAA Salerno
È significativo, inoltre, che sia proprio il settore conserviero a dare i segnali di ripresa più
chiari. Tra il 2011 e il 2012, se ci riferiamo strettamente all’industria della conservazione di frutta e
ortaggi, il valore delle esportazioni (su base provinciale) cresce del 4,5 %, passando da 822 a 859
milioni di euro (dati CCIAA Salerno). I dati dunque confermano il ruolo di traino ricoperto dal
settore per l’intero tessuto economico dell’area.
Le potenzialità della filiera del pomodoro si basano principalmente sulla forte connotazione
territoriale del prodotto. Un marchio “naturale” a forte valore simbolico, che spiega, almeno
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parzialmente, il mantenimento di quote significative di mercato nazionale e di export. Va ricordato
che l’Agro nocerino sarnese può contare su una produzione di qualità pressoché monopolistica,
quella del pomodoro pelato, che fa registrare ancora quote significative di fatturato. In prospettiva
questa produzione può rappresentare un fattore di sviluppo dell’intera filiera. Se accompagnata da
politiche adeguate.
Riferimenti bibliografici
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StrumentiRES - Rivista online della Fondazione RES
Anno VI - n° 1 - Febbraio 2014