ROLLS DI ROLLS ROYCE - Museo dell`automobile

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ROLLS DI ROLLS ROYCE - Museo dell`automobile
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ROLLS DI ROLLS ROYCE
Cento anni fa l’incontro tra Charles Stewart Rolls e Frederick Royce
Un giorno chiesero a Sir Lawrence d’Arabia, il noto ufficiale inglese diventato
agli occhi di molti il paladino della causa araba, cosa desiderava di più al
mondo che potesse essere comprato con del denaro, ma che fosse al di la’ dei
suoi sogni o delle sue tasche. Rispose: “Mi piacerebbe avere una Rolls-Royce
con abbastanza pneumatici e benzina da durarmi tutta la vita”. L’eroe
dell’avventura romantica ed esotica sognava dunque una vettura che, ai suoi
occhi, univa in sé genio ingegneristico, snobismo, tradizione, magia di un
nome.
Rolls-Royce è effettivamente un nome che di per sé evoca l’aristocrazia
dell’eccellenza, anche di riflesso, tanto che se di un prodotto si vuole vantare
la superiorità sul mercato si dice che è “la Rolls – Royce” del suo genere. Si fa
fatica ad immaginare un momento della storia in cui esisteva un signor Rolls e
un signor Royce, ben distinti e con nascite e destini che non potevano essere
più diversi. Forse soltanto in Inghilterra poteva sorgere un sodalizio tra il
figlio di un Pari, estroso, smisuratamente ricco ed originale, che morirà
giovane trascinato da uno dei suoi hobby più pericolosi, e un ingegnere
quarantenne, uscito faticosamente dalla povertà grazie ad un lavoro indefesso
e ad una determinazione inesausta, che non si concederà mai pause anche a
costo di mettere in pericolo la propria salute.
Charles Stewart Rolls nacque il 27 agosto 1877, terzo dei quattro figli di Henry
Allen Rolls, Lord di Llangattock, proprietario di una tenuta di seimila acri a
“The Hendre”, vicino a Monmouth, comunità inglese in una contea con
predominanza gallese. Scolaro distratto e poco brillante, sorprese un giorno
suo padre chiedendogli, come regalo di Natale, di installare un piccolo
impianto elettrico a The Hendre. A diciassette anni, l’elettricità era diventata
il suo studio preferito; e un viaggio a Parigi fatto insieme ai genitori lo iniziò
al fascino della meccanica, perché nella capitale francese ebbe modo di vedere
le prime automobili. A Cambridge si trovò a proprio agio, potendo
frequentare le lezioni di ingegneria del Prof. Ewing, si appassionò alla
bicicletta, e divenne un discreto allievo, tanto da conseguire il Bachelor of Arts
nel 1898. Ma due anni prima vi era stato un incontro che condizionò il resto
della sua vita. Aveva trascorso, nel 1896, un fine settimana con Sir David
Salomons, nella sua tenuta in Kent. Non si trattava di un amico qualunque,
bensì del proprietario di una vettura Peugeot, dell’organizzatore della prima
esposizione automobilistica svoltasi in Gran Bretagna (1895), del Presidente
della Self – Propelled Traffic Association, sodalizio che precedette tutti gli
automobile clubs britannici. Furono due giorni indimenticabili, che
indicarono la strada al giovane Charles: una strada che lo porterà ad
incontrarsi con Royce, a vincere il Tourist Trophy, a diventare un pioniere del
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pallone aerostatico, a sorvolare la Manica, e ad uccidersi a Bournemouth su
un biplano Wright, a trentatré anni.
All’epoca di quell’incontro con Salomons, l’automobilismo in Gran Bretagna
era praticamente inesistente. Non vi erano fabbriche nazionali, e chiunque
volesse acquistare una vettura doveva rivolgersi alla produzione del
“Continente”. Non vi erano garage né officine e nemmeno vi si svolgevano
corse. Vigeva ancora l’anacronistico “Red Flag Act”, anche se, fin dal 1878, la
polizia non badava molto alla presenza dell’uomo dalla bandiera rossa che,
secondo la legge, avrebbe dovuto precedere qualsiasi veicolo non
ippotrainato. Nascevano soltanto allora le riviste specializzate: “Autocar”, nel
novembre 1895, “Automotor Journal” poco dopo. L’acquisto di un “horseless
carriage” (veicolo senza cavallo) appariva ancora quanto mai originale da
parte di uno studente universitario diciannovenne, anche se di Cambridge, da
sempre ritenuta una cittadella più tecnica di Oxford. Charles attuava un suo
sistema per ammorbidire lo sconcerto dei docenti e la loro eventuale
riprovazione: non si faceva sfuggire l’occasione di portarli a spasso sulla sua
Peugeot, comprata per metà con i propri soldi e per l’altra metà con l’aiuto del
padre, con l’intento di ricavarne dei soldi rivendendola di lì a poco sul
mercato dell’usato. Intanto faceva opera di proselitismo raccogliendo firme
per l’abrogazione del Red Flag Act (che arrivò, nel 1896, con il noto
“Emancipation Act”), divenne membro della Self–Propelled Traffic
Association, partecipò nel 1897 alla Parigi-Dieppe e accompagnò gli invitati al
matrimonio della sorella sulla sua elegante victoria, prima occasione
mondana dell’alta società inglese a cui partecipò una automobile. Fu uno dei
primissimi soci dell’ACGBI (Automobile Club of Great Britain and Ireland), e
alla fine del 1897 non resistette alla possibilità di acquistare per 1200 sterline
la Panhard vincitrice della Parigi-Marsiglia-Parigi, ma si sa anche che provò la
Duryea e la Bollée, di cui disse lapidariamente “per partire alle dieci, occorre
alzarsi alle sei”. Si permise insomma tutto, e forse più, ciò che un giovanotto
dalle solide finanze potesse permettersi, mantenendo il suo solido
conservatorismo inglese, e una scanzonata propensione a vedere il lato
ironico di ciò che gli capitava. La sua fedeltà alla Panhard rimase salda anche
dopo che la marca divenne progressivamente incapace di tenersi al passo con
i tempi e con l’inarrestabile evoluzione della linea delle vetture. Persino
l’illuminazione elettrica sulle vetture gli parve a tutta prima poco affidabile,
tanto da sconsigliarne al padre l’adozione. Allo stesso tempo fu tra i primi in
Inghilterra ad usare la propria vettura non solo come costoso passatempo di
rampolli sfaccendati, ma come mezzo per spostarsi tra due località. Affrontò
un viaggio alla vigilia del Natale 1896 tra la sua casa di South Lodge a Londra
e la tenuta The Hendre così ricco di imprevisti, incidenti, avventure da durare
quarantottore. Vi sono divertite cronache di quel che gli successe nel
“Caprices of Petrol Motor”, pubblicato nel 1903 nel “Badminton Book of
Motors”, in cui Rolls non esita a dispensare saggi consigli su come
comportarsi alla guida, basandosi sulla sua intensa esperienza. Per esempio
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consiglia di non maneggiare a lungo la benzina per poi accendersi una
sigaretta; esorta i distratti a “non pedalare sulla motocicletta per mezz’ora
prima di ricordare di girare la manopola dell’accensione, a meno che sia stato
il dottore a consigliarvelo”. Ma al di la’ dell’ironia, vi sono anche puntuali
suggerimenti di aggiungere, nei mesi invernali, un venti per cento di glicerina
all’acqua di raffreddamento, memore del disastroso viaggio natalizio durante
il quale aveva persino dovuto accendere un fuoco sotto il motore per sgelarlo.
Raccomandava anche di tenere a bordo un estintore, o almeno un sifone per
la soda. Forse però la parte più curiosa è quella dedicata “ai rumori strani”.
Ne fa un lungo elenco, in ordine di gravità. Per poi concludere dicendo che “se
il vostro motore funziona bene, non tormentatelo, anche se vi sembrerà di
non andare mai abbastanza forte. Molti guasti sono la conseguenza di
interventi inopportuni e di curiosità molesta”.
Purtroppo, il suo humour non gli impedì di vivere l’intera vita tra una
contraddizione e l’altra. Ricchissimo, dimostrò sempre un’esagerata
attenzione ai soldi, così da passare per tirchio agli occhi di tutti; era attratto
da tutto ciò che era nuovo, ma ogni volta vi si immergeva da professionista,
non certo da dilettante; apparentemente incostante ed irregolare, come da
scolaro, ma con un filo conduttore che gli permise di precedere sempre lo
spirito dei suoi tempi. Eroe nazionale, ma dimenticato a causa della sua morte
prematura, se non fosse per il persistere del suo nome nella storia di una
marca in cui, tutto sommato, c’entrò poco.
La svolta nella diffusione del motorismo in Gran Bretagna fu segnata dalla
“Thousand Miles Trial” del 23 aprile 1900. 65 veicoli partirono da Hyde Park
Corner e 35 vi fecero ritorno dopo aver percorso, come da regolamento, 1000
miglia. Charles Rolls fu tra questi, e si guadagnò una medaglia d’oro per “la
migliore prestazione indipendentemente dalla classe”. Lentamente,
cominciarono ad essere organizzate gare, che si trasformavano con facilità in
esposizioni all’aperto, in vetrine dove le prime vetture di produzione
nazionale potevano essere sperimentate e pubblicizzate. La carriera di Rolls
come pilota fu buona, anche se non folgorante. Nel 1901 si limitò a
partecipare alla Parigi – Berlino; negli anni successivi fu piuttosto
discontinuo, nel 1905 si iscrisse alla Gordon Bennett Cup e al Tourist Trophy;
l’anno dopo si aggiudicò proprio quest’ultima gara, che rimase la sua vittoria
più importante. Aveva iniziato un’attività professionale fondando nel gennaio
1902 una impresa commerciale, la C.S.Rolls and Co., a Lillie Hall, presso
Fulham. Si trattava di un passo logico nella direzione della missione che si
era autoconferito, convertire l’Inghilterra al motorismo. Soprattutto
rappresentava un mezzo per sostenere le spese dei suoi hobbies, molto
costosi. 6.000 miglia all’anno percorsi con la sua Panhard gli costavano per lo
meno 200 sterline, una sola ascensione in mongolfiera si aggirava sulle 6
sterline. Rolls riceveva una rendita di 500 sterline l’anno, ampiamente
sufficiente per vivere la vita di un gentleman tra Londra e Monmouth ma
forse esigua per permettersi tanti passatempi. Obiettivo della società era
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commercializzare sul suolo inglese la marca Panhard, in mancanza di una
marca nazionale. Ebbe coraggio nel fare una simile scelta professionale,
sicuramente non diffusa tra le giovani generazioni di Lords. D’altra parte la
sua estrazione era un ineguagliabile lasciapassare, perché gli permetteva di
entrare nei migliori ambienti senza alcun difficoltà, e di trovare facilmente
ascolto. Gli stessi giornali mondani, che seguivano i suoi spostamenti e le sue
vicende come quelli di tutti gli appartenenti ad un certo ambiente, gli
facevano indirettamente pubblicità. L’impresa fu inizialmente finanziata da
Lord Langattock. Furono necessarie 6.500 sterline, che il padre decise
sarebbero state dedotte dalle 20.000 che facevano parte della sua eredità;
oltre ad ulteriori 21.000 sterline per le showrooms in Conduit Street e Brook
Street, a Londra. Quest’ultima somma sarebbe entrata in scadenza soltanto
alla morte della madre, il che avrebbe significato per Charles un’eredità di
altre 50.000 sterline. Evidente, in questi accordi, lo sforzo del padre di
favorire il figlio senza pregiudicare la ricchezza familiare. Per due anni, il
1902 e il 1903, Rolls si occupò da solo della propria impresa, ottenendo anche
qualche buona gratificazione. Nel 1904 cooptò all’interno della società Claude
Johnson, molto conosciuto nell’ambiente come segretario dell’ACGBI da cui
si era ritirato da poco. Questi si rivelò preziosissimo per le sue doti di
comunicatore e amministratore, e svolse un ruolo fondamentale nella
successiva evoluzione dell’azienda. Nell’ottobre 1902 “Automotor Journal”
riferisce dell’attività, descrivendo un’area coperta in grado di ospitare 200
vetture, e di fornire servizi diversi come lavori di riparazione, corsi di
istruzione di chauffeurs e piloti, ricarica delle batterie per vetture elettriche e
noleggio di vetture, naturalmente con autista. Nel giugno 1903 Charles decise
di organizzare un “Open Day”, con visita dell’officina e giri gratuiti sulle
vetture, e se superò la sua tradizionale avversione alle spese garantendo
persino un piccolo rinfresco è proprio perché gli affari andavano bene, ed egli
poteva ragionevolmente contare su un buon ritorno dei suoi sforzi. Il mese
precedente aveva inaugurato un sistema rivoluzionario per i tempi: la vendita
delle Panhard a rate, con il pagamento del 25% alla consegna e il rimanente in
quattro quote, con un interesse del 5%. Al tempo le questioni di denaro erano
considerate troppo sordide per parlarne apertamente: il fatto che invece
“Autocar” pubblicasse tranquillamente le condizioni dell’offerta la dice lunga
sulla credibilità e sulla capacità di farsi dare ascolto del proponente. Il suo
slogan era: “la Panhard fa quello che fa la Mercedes, e più, ma a metà prezzo”,
ottimo esempio di pubblicità comparativa. Nell’anno però si registrò un
ribasso delle vendite e la crisi costrinse la Panhard, nel 1904, ad abbassare i
prezzi. Rolls si trovò in magazzino una dozzina di telai che gli erano costati di
più di quanto avrebbe potuto ottenere rivendendoli. Riuscì a procurarsi un
ricarico aumentando i prezzi delle carrozzerie ma dovette prendere atto che la
Panhard aveva perduto il suo primato di eccellenza tra le marche straniere.
Urgeva trovare altre strade.
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E’ a questo punto della storia che si situa lo storico incontro tra Rolls e Royce:
cioè esattamente al momento giusto per entrambi. Ma è anche da questo
momento che la figura di Rolls perde progressivamente peso, schiacciata da
quella di Royce che tra l’altro gli sopravvive ventitré anni, pur essendo molto
più anziano. Il suo coinvolgimento con le vetture di Royce si tradusse in una
iniziale luna di miele che sfociò in una progressiva freddezza e quindi in un
divorzio, peraltro ancora ben celato al momento della morte nel 1910. Come
se Rolls si fosse divertito per un po’, per poi volgersi altrove, attirato prima
dai palloni aerostatici e poi dagli aeroplani, alla pari di un bambino annoiato
che rompe uno dopo l’altro tutti i suoi giocattoli.
Se in parte è vero, non dobbiamo trascurare l’importanza che a Royce derivò
dal poter associare il proprio nome a quello di una persona conosciuta e
stimata in tutti gli ambienti di prestigio, a maggior ragione visto la varietà e
diversità dei suoi interessi. Rolls, al tempo del loro incontro, era sulla strada
di diventare un eroe nazionale, mentre Royce era un perfetto sconosciuto.
Aveva fondato una società nel 1884, a Manchester, insieme all’ingegnere
elettrotecnico Ernest Claremont (che lo seguirà nella Rolls – Royce, come
Johnson seguirà Rolls), mettendo insieme tra tutti e due 70 sterline. Era una
piccola società di apparecchiature elettriche, che ben presto conobbe la
prosperità, con un giro di affari, nel volgere di quindici anni, di 20.000
sterline. Nel 1902 Royce era così benestante che poté permettersi l’acquisto
di un’automobile, una Décauville. Fu il colpo di fulmine: da quando salì sulla
vetturetta francese, cominciò ad ossessionarlo l’idea di costruire egli stesso
una vettura, e dotare la Gran Bretagna di una marca nazionale. A dispetto
dell’opinione contraria di Claremont, che non capiva quale ne potesse essere il
vantaggio, si buttò anima e corpo nell’impresa. A questo punto compare sulla
scena un terzo personaggio, Henry Edmunds, membro fondatore
dell’Automobile Club di Gran Bretagna e Irlanda (e perciò buon amico di
Rolls), che decide di acquistare un pacchetto di azioni della Royce, divenuta
Ltd nel 1900. Sapendo della sua passione per l’automobilismo, Claremont gli
confida l’iniziativa di Royce, ed Edmunds fa un giro di prova su un prototipo
da 10 HP. L’impressione è ottima, ed Edmunds non ci pensa due volte a
segnalare questo potenziale costruttore a Rolls, che sa essere alla ricerca di
nuove vetture da vendere al posto della Panhard. Rolls risponde di essere
disposto ad incontrare Royce a Londra, anche se ha già molte altre richieste al
riguardo. Ossia, fa un po’ il difficile. Edmunds tiene il collegamento tra i due,
ma aggiunge una nota alla sua lettera per Rolls: “conoscendo, come io
conosco, l’abilità di Royce come ingegnere meccanico, sento che si è
assolutamente al sicuro nel prendere qualsiasi cosa la sua società produca”.
L’osservazione ha effetto. Rolls telegrafa a Edmunds chiedendogli di
accompagnarlo a Manchester, appena gli sia possibile, e l’incontro avviene nel
giro di qualche giorno. Siamo nei primi giorni di aprile del 1904.
L’entusiasmo di Rolls è tale che al ritorno tira giù dal letto il suo socio Claude
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Johnson con le parole: “Ho trovato il migliore ingegnere motoristico del
mondo!”
A dispetto di tanta euforia, le conseguenze non sono immediate. Rolls è
consapevole che le vetture di Royce costituiranno il futuro ma per il presente,
non essendo ancora disponibili, egli deve cercarsi qualche rappresentanza,
per esempio della belga Minerva, con cui tirare avanti finché i nuovi modelli
del “suo” ingegnere” cesseranno di essere tali solo sulla carta. Soltanto il 25
novembre 1905 “Autocar” pubblica un annuncio in cui la C.S.Rolls and Co. si
impegna a promuovere unicamente le Rolls-Royce (l’accordo definitivo del 23
dicembre 1904 prevedeva che la Royce Ltd avrebbe costruito e la C.S.Rolls &
Co. avrebbe venduto le vetture che avrebbero portato il nome congiunto di
Rolls-Royce).
La Rolls-Royce vera e propria nascerà nel marzo 1906, con un capitale
nominale di 60.000 sterline, senza per questo decretare la morte della Royce
che continuò la sua produzione di apparecchiature elettriche fin poco dopo la
morte del fondatore (1933). Le prime pubblicità dell’azienda sottolineano il
nome di Rolls, non quello di Royce, che addirittura nel catalogo del 1905, in
oltre 100 pagine che descrivono dettagliatamente l’intera gamma di vetture
disponibili, non è neanche nominato. Rolls in questa prima fase è molto
attivo. Tiene i rapporti con la stampa, compie un gran numero di giri
dimostrativi (all’epoca i giornalisti non sperimentavano le vetture in prima
persona, ma si facevano portare). I modelli in offerta non erano pochi: la 10
HP 2 cilindri, la 15 HP 3 cilindri, due versioni della 20 HP 4 cilindri, e la 30
HP a 6 cilindri. Rolls non interveniva sulla progettazione, ma unicamente
sulla loro vendibilità, e la stessa sua partecipazione al Tourist Trophy del 1905
e del 1906 era stata decisa per fini promozionali. I risultati non mancarono
perché nel 1905 una RR arrivò seconda, e nel 1906, come abbiamo visto, se lo
aggiudicò proprio Rolls, senza neanche troppo faticare. Così descrisse la sua
gara: “Non ho fatto altro che sedermi al volante e aspettare che la macchina
arrivasse al traguardo”. Ma questa ricchezza di offerta di modelli doveva
terminare presto, quando si scatenò una disputa tra i sostenitori del motore a
quattro cilindri e quelli del motore a sei cilindri. Claude Johnson, con una
Rolls Royce a sei cilindri, propose, sostenne e vinse un match, seguitissimo
dal pubblico, contro una vettura Martini a 4 cilindri. Da allora, e per 18 anni,
nessuno più mise in discussione la nuova strategia della RR: il modello unico,
naturalmente a sei cilindri.
Con questa disputa, era inutile negarlo, la fase più eccitante, più romantica
dell’automobilismo era trascorsa. Rolls lo avvertì acutamente. Era inevitabile
che gli anni successivi sarebbero stati contrassegnati da una solida, tranquilla
evoluzione. Nella sua nuova veste di Technical Managing Director Rolls
sicuramente condivise e approvò il “nuovo corso” aziendale, ma non poteva
farsene affascinare. Chiese un alleggerimento dei suoi impegni, una
diminuzione dei giri di prova e delle attività promozionali, e se ne andò in
America, dove l’aria era il nuovo campo di conquista, di battaglia, di vita e di
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morte. Cominciò con delle ascensioni in pallone, ma si rese conto
rapidamente che come mezzo di locomozione non aveva futuro. Con le
conoscenze di cui disponeva, per lui fu un gioco da ragazzi farsi presentare ai
fratelli Wright, ottenere dei voli di prova su aeroplani del loro tipo, prenderci
gusto e capire che quello era il suo futuro, per il momento. “Dopo aver
sperimentato ogni sorta di locomozione, compresa la bicicletta e la corsa
automobilistica, un viaggio in un dirigibile dell’esercito francese e 130
ascensioni in mongolfiera, non vi è niente di così affascinante e divertente
come volare”, disse egli stesso. Forse allora si poteva pensare di acquistare
negli spazi aerei la stessa dimestichezza, la stessa naturalezza che si era
raggiunta con la strada, e di poterne avere un dominio individuale, personale,
come con una vettura terrestre, magari nel giro degli stessi pochissimi anni.
Rare, nel coro di appassionati temerari ed intrepidi, le voci lucide. Scarfoglio,
il trionfatore morale della New York-Parigi in automobile del 1908, fu tra
questi. “L’aeroplano è alla mercé del minimo soffio di vento, è come una
barca a vela di cui le vele siano fisse e non si possano manovrare. L’aeroplano
non potrà avere uno sviluppo che lo porti oltre il punto a cui è arrivato oggi…
Oggi va, domani precipita. Vi è chi si vanta di aver studiato il volo degli uccelli
per determinare le linee e la struttura dell’aeroplano. E’ un’illusione:
l’aeroplano non ha nulla a che vedere con gli uccelli. Si dimentica che mentre
l’ala dell’aeroplano è una superficie fissa di slittamento, l’ala dell’uccello è un
organo mobilissimo, dinamico, di propulsione e di sostentamento. ..L’aria
non si può conquistare e dominare se non con la velocità. Per essere in grado
di sostenere ogni colpo di vento, di fronteggiare ogni movimento della massa
aerea, occorre una velocità di almeno 500 chilometri, ed è necessaria una
massa resistente, chiusa, saldissima, come è appunto quella del proiettile, e
non un po’ di tela su di un’intelaiatura di legno…” Non parlava a sproposito,
Edoardo Scarfoglio. Lo stesso Rolls scrisse: “In aeroplano è come una nave
con un grosso buco sul fondo. Bisogna pompare tutto il tempo, o si va giù di
botto”. Chi si avventurava su quei fragili telai di legno e tela era un
incosciente, un temerario o un pazzo. Rolls, naturalmente, tra questi. Volo
dopo volo, si trovò a contare tra i primi dieci, dodici aviatori del mondo (non
che a quel tempo ce ne fosse più di un centinaio). Passarono quattro anni. La
Rolls Royce era diventata l’azienda che produceva “the best cars in the world”.
Rolls era diventato un eroe nazionale. Il 2 giugno 1910, in novanta minuti,
aveva attraversato la Manica ed era tornato indietro, compiendo l’impresa su
un biplano Wright. Non fu un record, perché Blériot, nel 1909, ci aveva
impiegato cinque minuti in meno e De Lesseps, altro aviatore alquanto
famoso al tempo, dieci minuti in meno nella traversata del maggio 1910. Ma
Charles era il primo inglese a farlo. Il Royal Aero Club gli conferì una
medaglia d’oro, che in precedenza aveva riconosciuto soltanto a Wilbur e
Orville Wright, a Louis Blériot, a Henry Farman e a Hubert Latham. Re
Giorgio V mandò un telegramma di congratulazioni, e Lord Llangattock ne
ricevette uno di cinque parole: “Your son is a hero”, vostro figlio è un eroe.
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Madame Tussaud chiese di poter modellare una statua di cera per il suo
famoso museo. Rolls accettò questi onori con il suo solito atteggiamento
scanzonato. Al pranzo dato in suo onore alla Camera di Commercio di Londra
riassunse la sua impresa come “la prima volta che riusciva a far entrare ed
uscire dalla Francia 10 galloni di benzina senza pagare dazio”.
Non si poteva neanche dire che ci fosse un conflitto d’interessi : perché la
Silver Ghost, da tempo, a Rolls non interessava più, o comunque molto meno
dei suoi voli. Le sue comparse a Conduit Street, sede dell’azienda, si erano
fatte sempre più rare; ed era chiaro a Royce e a Johnson che avrebbe dovuto
decidere prima o poi se rimanere Technical Managing Director della RR, e
volare come hobby, o diventare pilota professionista, abbandonando però la
sua posizione in società. Non c’era alcun desiderio da parte della RR di
liberarsi di lui, ma la consapevolezza che Rolls era incapace di perseguire due
obiettivi ad un tempo: era un uomo che si votava con tutto se stesso a ciò che
in quel momento lo assorbiva. E purtroppo Royce aveva espresso più volte il
suo disinteresse a progettare qualcosa di aeronautico (la guerra gli farà
cambiare idea: è stato calcolato che nelle due guerre mondiali circa la metà
degli aerei da combattimento inglesi erano dotati da motori da lui progettati).
Fu lo stesso Rolls a fare il primo passo chiarificatore. In un consiglio di
amministrazione svoltosi a gennaio del 1910, chiese di sollevarlo dalla
maggior parte degli impegni. Mantenne la sua posizione in seno al consiglio,
ma trasferì il suo ufficio dalla sede dell’azienda in casa sua, e interruppe ogni
attività di promozione delle vetture. Claude Johnson lo incontrò ancora ad
una riunione di direttori svoltasi l’8 luglio, quattro giorni prima che perdesse
la vita. Non fu fatto alcun annuncio, ma si può ragionevolmente supporre che
Rolls si fosse dimesso, tanto più che aveva già preso contatti con altri
appassionati per la fondazione di una società aeronautica.
Il suo
imprevedibile, fatale incidente durante la settimana delle Centenary
Celebrations di Bournemouth, mentre compiva alcune acrobazie con un
biplano del tipo Wright, sconvolse tutti coloro che avevano lavorato con lui e
li convinse che non c’era alcun bisogno di rendere pubblico il divorzio. E così
la sua morte rese indissolubile il legame alle vetture di Royce.
Come definire Rolls? Un uomo naturalmente solitario, che riusciva a
comunicare soltanto con chi condivideva, con la stessa forza, le sue passioni,
ossia con pochissimi. Un uomo avaro e meschino, se si trattava di separarsi
dai soldi, ma coraggioso, intraprendente, incurante di qualsiasi pericolo se si
trattava di sperimentare strade nuove, fino a sprecare montagne di denaro e
la sua vita stessa. Capace di grandi intuizioni: che l’automobile dovesse
trasformarsi da giocattolo per ricchi a strumento di vita e di lavoro, lui che
non lavorò mai nel senso stretto del termine; che l’aeroplano avrebbe avuto
un grande futuro; che la Gran Bretagna doveva studiare tutti i mezzi possibili
per collegarsi con il continente, in modo da sfuggire al destino di “tight little
island”, piccola isoletta stretta. Ma soprattutto resta il suo contributo a
rendere famose in tutto il mondo che allora contava le vetture che portavano
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il suo nome, evitando che le creazioni di un uomo geniale come Royce
restassero sconosciute o magari sopraffatte da altre marche con un marketing
più aggressivo. “Once you’ve got a few dukes and duchesses the rest follow
like sheep – such is life” (una volta che hai preso un po’ di duchi e duchesse
gli altri seguiranno come pecore… così è la vita” (da una lettera di Rolls a
Royce, del 1909).
Donatella Biffignandi
Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino
(2004)