Cos`è il talento? Dimentica tutti i luoghi comuni

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Cos`è il talento? Dimentica tutti i luoghi comuni
Sommario
introduzione
È ciò che ti rende
unico e speciale
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capitolo 1
Cos’è il talento?
Dimentica tutti i luoghi comuni
9
capitolo 2
Ci consente
di essere noi stessi
31
capitolo 3
Se lo esprimi,
la sua energia ti fa guarire
43
capitolo 4
Come scoprire
i tesori nascosti dentro di te
61
capitolo 5
Gli esercizi per far emergere
chi sei davvero
91
capitolo 6
Come coltivare
le “vocazioni” nei bambini
121
capitolo 7
Casi esemplari di personaggi
diventati famosi
145
capitolo 1
Cos’è il talento?
Dimentica tutti
i luoghi comuni
È la risorsa che cambia
la nostra vita
10
Per capire il suo significato
cancella le opinioni errate
15
Da dove nasce
21
Chi usa il talento e chi no
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È la risorsa che cambia
la nostra vita
N
el linguaggio comune con la parola “talento” si
definisce un’abilità dai tratti eccezionali. Si ritiene di solito che a un grande talento debba seguire una
carriera brillante, magari costellata da cospicui guadagni. Quindi il talento viene visto come caratteristica
esclusiva di personalità famose, attori, pittori, artisti,
sportivi... Vi è inoltre la tendenza a credere che tale
“dote” speciale venga scoperta solo in giovane età, altrimenti non la si possiede davvero, e che bisogna coltivarla con impegno e sforzo per poterla sviluppare.
Questo è il modo corrente di pensare, che svaluta il
talento a strumento di ricchezza e di fama; invece esso
è ben altro: un’energia creativa che vive dentro ognuno
di noi e che, lasciata libera, porta ogni persona alla sua
piena e spontanea realizzazione.
È un patrimonio alla portata di tutti, che non riguarda capacità speciali ma l’attitudine a seguire il proprio
vero destino, la realizzazione di se stessi, a qualsiasi età.
L’espressione del proprio talento permette di manifestare la propria vera natura.
Quindi è errata la convinzione comune secondo la
quale il termine talento possa essere associato solo a
personaggi particolari, dotati di una abilità che li di10
stingue da tutti gli altri, e che essi hanno saputo sviluppare nella propria vita con sforzo e imponendosi
sugli altri. In questo senso non bisogna confondere
l’abilità con il talento; ciò che li differenzia è proprio
la loro origine: il talento è presente nell’individuo a
livello embrionale; è un dono innato, personale, che ci
appartiene ancora prima della nascita. Invece l’abilità è
una qualità che deve essere imparata e sviluppata.
L’immagine che ci definisce - In molte culture
antiche il talento coincideva con il “daimon” (il demone), il destino o il genio ispiratore, cioè una “forza”
innata in grado di guidare l’uomo verso le scelte più
corrette per far affiorare la sua essenza, la sua irripetibile impronta. Questo “genio” è presente in ogni uomo,
non è una caratteristica di pochi.
Il talento è l’immagine unica che ci definisce e con la
quale siamo venuti al mondo: è la nostra carta d’identità esistenziale, la nostra tendenza naturale, il perno
invisibile attorno al quale tutti noi ruotiamo e sul quale si fondano la nostra realizzazione e la nostra felicità.
Il talento si trova lasciando che la vita accada nella sua
naturalezza, senza che ci si ostini a incanalarla in direzioni prefissate, “logiche” o socialmente legittimate. Se
è vero che il talento è quel tratto distintivo che ci caratterizza, ogni volta che siamo infelici e insoddisfatti
è perché stiamo deviando la nostra vera natura e con
essa il nostro modo di essere unici.
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Nel momento in cui ci allontaniamo dal talento, travolti dai ritmi frenetici della vita, dai pregiudizi e dagli schemi di comportamento, è come se un “demone
interno” ci richiamasse all’ordine attraverso segnali di
disagio che vanno accolti e interpretati.
Fatica, insoddisfazione e angoscia vengono per dirti
che stai rinunciando a te stesso.
L’anima non smette mai di fiorire - Molti
pensano che il nostro processo di crescita finisca quando il corpo, le sue funzioni e i suoi organi sono del
tutto formati. Giunti all’età adulta, insomma, secondo
questo modo di pensare, non ci sarebbe più nulla che
debba evolversi in noi.
Niente affatto: ci sono in tutti noi funzioni invisibili,
sottili, di cui il talento è l’esempio più significativo,
che non cessano mai di svilupparsi e di crescere ed è
soprattutto lì che si gioca la nostra identità e la possibilità di realizzarsi ed essere felici.
È fondamentale comprendere che l’anima non smette
mai di fiorire nel corso della nostra vita e che dipende
da noi nutrirla nel modo giusto. Le funzioni “sottili” legate all’anima e al talento costituiscono la trama
profonda del nostro essere, come un germoglio che
prepara i suoi frutti. Far emergere il talento significa
dunque “fare i frutti” della pianta che siamo. Questo
può avvenire in qualsiasi stagione della nostra vita: a 5
anni così come a 65.
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È come una fotografia...
Possiamo concepire il talento come un’immagine misteriosa depositata in profondità dentro di noi che,
giorno dopo giorno, viene alla luce, come se fosse impressa su una lastra fotografica. Occorre allora farla
emergere e vivere in accordo con i comportamenti che
ci suggerisce.
Pensiamo all’immagine che si fissa sulla pellicola quando scattiamo una fotografia: un’impronta luminosa su
materiale sensibile che poi verrà sviluppata e stampata. Affinché questo processo si realizzi, sulla pellicola
non devono sovrapporsi altre immagini: solo in questo
modo quella originaria si svilupperà in modo chiaro. E
se la pellicola prende luce o se i tempi di sviluppo non
vengono rispettati, l’immagine risulterà compromessa.
Perché l’immagine venga bene, dunque, vanno rispettate delle regole.
C’è dunque un’immagine originaria depositata dentro
ognuno di noi: la possiamo visualizzare come una sorta di ideogramma presente nel piano sottile della psiche. In quell’immagine sono inscritti il nostro modo
di essere, le nostre caratteristiche, cosa ci appassiona e
cosa detestiamo, come amiamo, i nostri gusti, il modo
di reagire alle difficoltà, il carattere, che strada siamo
portati a percorrere nella vita e mille altre sfumature
ancora. Tutto questo concorre a formare il nostro talento, quel tratto originale e unico che ci contraddi13
stingue. Ma perché si possa realizzare appieno è opportuno che, proprio come accade a una fotografia nella
camera oscura, nulla intervenga a disturbare lo sviluppo di quell’immagine. Così potrà emergere, secondo i
suoi tempi, e formare ciò che siamo.
Lo nutri se eviti il conformismo - Ognuno di
noi si fa un’immagine di sé e cerca, nella vita quotidiana, di corrispondervi.
Spesso però questa immagine nasce da input esterni,
come una pellicola sovraimpressa più volte: immagini
di successo, di moda, di bellezza imposte dai media.
Queste immagini conformiste aleggiano attorno a noi,
pronte a disturbare l’affermarsi dell’immagine originaria. Se le seguiamo, finiremo per produrre nella nostra
vita azioni confuse e “sbagliate” e ci sentiremo di conseguenza insoddisfatti di quello che stiamo facendo.
Il rapporto che abbiamo con la nostra immagine innata, con il nostro talento, è determinante per uno sviluppo adeguato di ciò che siamo.
Tuttavia la famiglia d’origine e il contesto sociale in cui
viviamo possono interferire con il fluire del nostro talento, spostando il nostro percorso verso qualche altra
attività che non rappresenta però la nostra vera dote.
Il rischio è quello di arrivare a soffocare il talento, sopprimerlo, negarlo per uniformarci a una realtà che ci
porterà a vivere una vita mediocre, delineata da standard e ideali altrui.
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Per capire il suo significato
cancella le opinioni errate
Il termine talento deriva dal greco “talanton” che significa “bilancia”. In seguito poi con la parola talento si
passò a indicare il peso che veniva posizionato su uno
dei piatti della bilancia per valutare il peso dell’oggetto
posto sull’altro piatto. Poi la parola passò a definire il
valore stesso di questo peso, e in particolare delle monete, perché il loro pregio dipendeva dal materiale con
cui venivano coniate e quindi dal loro peso.
Col termine “talento” fu chiamata dunque una moneta diffusa nell’antica Grecia, che aveva valore diverso
a seconda delle varie città e in base al fatto che fosse
d’oro o d’argento. Il “talento” fu quindi presso molti
popoli antichi il nome di una moneta, un’unità di misura del valore economico.
Solo con la progressiva diffusione del Vangelo, il termine talento cominciò a prendere altri significati, in
seguito a una notissima parabola contenuta nel Vangelo secondo Matteo.
La parabola dei talenti, narrata da Gesù, racconta che
un uomo, dovendo partire per un lungo viaggio, decise di affidare i suoi beni ai suoi tre servi. Al primo
consegnò cinque talenti, al secondo due e al terzo solo
uno. Il primo e il secondo servo decisero di investirli
guadagnando rispettivamente altri cinque e altri due
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talenti; il terzo, invece, per paura di perdere tutto, nascose la sua unica moneta sotto terra. Quando tornò
a casa, il signore chiamò i servi e chiese cosa avessero
fatto dei talenti. Ringraziò e premiò i primi due chiamandoli “buoni e fedeli”. Rimproverò aspramente e
punì invece il terzo servo, che non aveva moltiplicato
il suo talento ma l’aveva nascosto.
In seguito alla diffusione di questa parabola alla parola
talento venne poi attribuito comunemente il significato di qualità, di dote. Così diventò di uso comune anche la frase: «far fruttare i propri talenti», con il significato di mettere a frutto le proprie qualità personali.
Due modi diversi di intenderlo - Oggi quindi
il termine talento è comunemente usato nel senso di
dote e abilità, ma di solito intesa come manifestazione
di capacità eccezionali. In questo libro ne illustreremo
invece una visione ben diversa. Per prima cosa occorre
quindi liberarsi dei luoghi comuni che lo riguardano:
il talento non è un’abilità eccezionale, non occorre
faticare per conquistarlo, non c’entra col successo o
col denaro, non è un privilegio di pochi, non ha età.
Mettiamo dunque a confronto i due modi diversi di
intendere il talento.
Nelle prossime pagine elencheremo prima le opinioni
correnti sul talento, e poi invece le idee che sono alla
base di questo libro, secondo le quali ognuno ha il proprio talento, che lo tende unico e speciale.
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capitolo 2
Ci consente
di essere
noi stessi
Il talento fa sbocciare
la nostra anima
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Alla stagione giusta
il tuo seme darà i suoi frutti
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Il talento fa sbocciare
la nostra anima
A
volte ci sembra che nella nostra vita manchi qualcosa. Può capitare anche a chi ha tutto: un partner, una famiglia, magari dei figli, la salute, un buon
lavoro, amici. Sì, è tutto bello, eppure manca qualcosa,
e senza questo qualcosa non possiamo veramente dirci
felici. Forse siamo incontentabili?
No, in molti casi qualcosa manca veramente, solo che
si tratta di un elemento a cui non diamo abbastanza
importanza: qualcosa che ci metta in contatto diretto con noi stessi. E questo qualcosa è il nostro talento: ovvero una dote innata verso la quale ci sentiamo
istintivamente portati, qualcosa che ci piace fare e che
sappiamo fare naturalmente. Quando ci sentiamo infelici, demotivati, privi di senso, chiediamoci se stiamo
assecondando il nostro talento, se gli stiamo dando il
giusto spazio o se, al contrario, l’abbiamo trascurato e
soffocato. Forse non siamo mai stati abituati a dargli
voce, fino al punto che non sappiamo cosa sia e quale
sia. Far emergere il proprio talento e coltivarlo cambia completamente il modo di stare nella realtà. Ha
un effetto prodigioso sulla psiche: ci fa sentire bene e
realizzati. Ma per avere questo effetto dobbiamo individuarlo o riscoprirlo, legittimarlo e difenderlo dagli
impegni, dalla sensazione di perdere tempo, dalle cri32
tiche, dai modelli dominanti. Non dobbiamo averne
paura; dar spazio alla propria dote innata non ci toglie
tempo, ma aggiunge molto di noi. La nostra vivacità,
l’entusiasmo e soprattutto la nostra unicità.
Ci rende diversi dagli altri
Il già citato psicoanalista americano James Hillman
dice che per vedere il genio ci vuole l’occhio non della
mediocrità, bensì un occhio che guardi la “differenza”;
ma come posso vedere la mia differenza?
Ecco il talento: il talento esplicita la tua diversità. Talento non vuol dire che vinci le Olimpiadi, anzi, quello non è il talento, il talento non ama gli sforzi, quello
è l’agonismo. Il talento è uno stato spontaneo dell’anima che produce azioni in correlazione con la tua interiorità, con pause, omissioni, spinte, fughe.
Per molti è facile fare emergere il proprio talento: fin
da ragazzi l’hanno coltivato e se non ci tornano da un
po’ è solo per pigrizia. Ma anche se per te non è così,
non fermarti al fatto che non sai quale sia.
Renditi disponibile a conoscere cose nuove, se sei un
po’ pigro, mettiti nella condizione di “innamorarti”,
di essere rapito da qualcosa che magari non avevi mai
neanche considerato. Proprio quel qualcosa che non
hai mai tenuto in gran conto può essere il tuo talento.
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Viviamo per far sì che si realizzi la nostra unicità, non
per diventare come gli altri, o come ci vogliono genitori e fidanzati. Attenzione alle aspettative mal riposte:
non importa che la nostra sia un’identità “di successo”,
conta solo sentirsi a posto “nei propri panni”.
Il rischio è di essere tutti uguali
Vi sono persone che non si sono laureate e pensano
tutta la vita che non si sono laureate, non sanno che
non si sono laureate perché l’anima le doveva preparare per fare dell’altro e hanno il rimpianto di qualcosa che non serviva, ma semmai serviva da riferimento
per dire: non ho fatto quella cosa per farne altre. Noi
siamo qui per fare quello che sappiamo già fare e lo
faremo comunque a meno di perderci nella uniformità
collettiva. Io non voglio essere un avvocato, un medico, un impiegato come tutti gli altri, io voglio essere
avvocato, medico o impiegato come posso esserlo soltanto io; tu non sei come tutti gli altri.
Dice Hillman: «C’è bisogno di uno sguardo nuovo, e
lo sguardo nuovo è uno sguardo posato su di te non
per cercare ciò che devi raggiungere ma semplicemente per guardare un mistero che si rivela a frammenti».
Quello che capita è sempre la miglior cosa che può
capitare, non può capitare altro, è la vita.
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Invecchiare si rivela una crescita
Le nostre scelte sbagliate si riflettono sul corpo, così
come gli errori di un genitore che ha scelto il nostro
destino al posto nostro, o la noia di una routine familiare ripetitiva, di un lavoro “sicuro” ma poco gratificante. Non coltivare il talento rischia di provocare
effetti dannosi sulla nostra psiche e anche sul nostro
cervello, causando non solo alterazioni dell’equilibrio
psichico, ma vere e proprie malattie degenerative.
In particolar modo questo è valido per l’anziano. Invecchiare non è una perdita, come si pensa comunemente. Invecchiando e maturando si attivano i codici
eterni dell’anima; procede lo sviluppo del seme che è
dentro ognuno di noi. Il cervello dell’anziano è frutto
di un’evoluzione: tende naturalmente a sfrondare l’inutile e a concentrarsi sull’essenziale. È normale quindi
che la sua saggezza coincida con la sua scarsa memoria:
lascia andare il superfluo per conservare l’essenziale.
Ma è importante che nella propria vita ciascuno abbia
espresso davvero se stesso. Se infatti la vita è stata un
susseguirsi di azioni ripetitive mal sopportate, se la trama profonda e più originale dell’identità giace dimenticata, il “divenire essenziale” della vecchiaia è come un
artista che scolpisce sul nulla: non resta che il vuoto. Il
risultato è che quel “seme”, che l’invecchiamento non
farebbe che esaltare, va perduto per sempre e il cervello
rimane vuoto della propria identità.
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