Redditi di fonte estera - Scuola di Formazione Ipsoa
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Redditi di fonte estera di Paolo Parisi Docente di diritto tributario “Scuola Nazionale dell’Amministrazione - Presidenza del Consiglio dei Ministri” Esperto fiscale e societario - Parisi Tax Firm & Partners” IL REDDITO DA LAVORO DIPENDENTE ALL’ESTERO Definizione di reddito di lavoro dipendente Costituiscono redditi di lavoro dipendente (art. 49 del D.P.R. n. 917/1986) quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri. Sono inoltre considerati redditi di lavoro dipendente (il cui esame è escluso nella presente trattazione) le pensioni di ogni genere e gli assegni ad esse equiparati e le somme di cui all'art. 429, ultimo comma, del Codice di procedura civile. Determinazione del reddito imponibile Il reddito di lavoro dipendente è costituto da tutte le somme ed i valori percepiti nel periodo di imposta a qualunque titolo anche sotto forma di erogazioni liberali ricevute in relazione al rapporto di lavoro, incluse tutte le somme ed i valori che, pur non provenendo dal datore di lavoro, sono riconducibili al predetto rapporto (art. 51, del D.P.R. n. 917/1986; Agenzia Entrate, Circolare 23 dicembre 1997 n. 326). Fanno eccezione a tale principio di omnicomprensività alcune somme o valori per le quali sono stabilite delle specifiche deroghe descritte nel seguito (art. 51, comma 2 del D.P.R. n. 917/1986). Momento imponibile Il criterio generale che informa la tassazione dei redditi di lavoro dipendente è il "principio di cassa"; l'evento imponibile si verifica nel momento di percezione del reddito, quello in cui il provento esce dalla sfera di disponibilità dell'erogante per entrare nel compendio patrimoniale del percettore (Agenzia Entrate, Circolare 23 dicembre 1997 n. 326). Fanno eccezione a tale principio generale, le somme ed i valori corrisposti entro il 12 gennaio del periodo di imposta successivo che, se relativi al periodo di imposta di riferimento, sono ivi attratti a tassazione. Imponibilità del reddito di lavoro dipendente Reddito di lavoro dipendente prodotto all'estero da soggetti fiscalmente residenti in Italia Esistono particolari regole di determinazione del reddito di lavoro dipendente prestato all'estero da soggetti fiscalmente residenti in Italia. Nozione di residenza fiscale 1 Si considerano fiscalmente residenti in Italia quei soggetti che per la maggior parte del periodo d'imposta possiedono almeno uno dei seguenti requisiti (art. 2 comma 2, del D.P.R. n. 917/1986) : • sono iscritti nelle anagrafi della popolazione residente; • hanno nel territorio dello Stato il domicilio ai sensi del Codice Civile (luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi); • hanno nel territorio dello Stato la residenza ai sensi del Codice Civile (luogo in cui la persona ha la dimora abituale). Si considerano altresì residenti nel territorio dello Stato (art. 2, comma 2bis del D.P.R. n. 917/1986), salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residenti ed emigrati in Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato (D.M. 4 maggio 1999). Casi di doppia residenza Nel caso in cui, in applicazione della normativa domestica del Paese d'origine e di quello di destinazione, il dipendente risulti fiscalmente residente in entrambi i Paesi, le disposizioni contenute nelle convenzioni contro le doppie imposizioni concluse dall'Italia stabiliscono alcuni criteri per la determinazione, in via definitiva, del Paese di residenza del soggetto interessato (c.d. tie-break rules ) : una persona è considerata residente solo nello Stato nel quale dispone di una abitazione permanente; se essa dispone di un'abitazione permanente in entrambi gli Stati, è considerata residente dello Stato nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali); se non si può determinare lo Stato nel quale detta persona ha il centro dei suoi interessi, o se essa non dispone di un'abitazione permanente in alcuno degli Stati contraenti, è considerata residente dello Stato in cui soggiorna abitualmente; se detta persona soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati ovvero non soggiorna abitualmente in nessuno di essi, è considerata residente dello Stato di cui possiede la nazionalità; se detta persona possiede la nazionalità di entrambi gli Stati, o di nessuno di essi, le autorità competenti risolveranno la questione di comune accordo. Esempio n. 1 (art. 51, comma 8 bis, del D.P.R. n. 917/1986) Il reddito prodotto all'estero è tassato in Italia sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, indipendentemente dalla retribuzione effettivamente percepita, al verificarsi delle seguenti condizioni: ¾ il lavoro viene prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto ; e ¾ il dipendente soggiorna nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, nell'arco dei 12 mesi (che possono anche non coincidere col periodo d'imposta), 2 Condizioni di applicabilità (Agenzia Entrate, Circolare 16 novembre 2000, n. 207/E) In relazione al requisito di esclusività e continuatività, il contratto di lavoro deve specificare che la prestazione è resa in via esclusiva e continuativa all'estero. Se il personale è già alle dipendenze del datore di lavoro, occorre un accordo suppletivo, integrativo di quello originario, ove emerga la prestazione esclusiva all'estero (c.d. contratto di distacco). Ai fini del conteggio dei 183 giorni di effettiva permanenza del lavoratore all'estero, il periodo da considerare non deve necessariamente risultare continuativo (essendo sufficiente che il lavoratore presti la propria attività all'estero per un minimo di 183 giorni nell'arco di dodici mesi) e che nel suddetto conteggio devono essere inclusi i periodi di ferie, le festività, i riposi settimanali e gli altri giorni non lavorativi indipendentemente dal luogo in cui sono trascorsi. Esempio n. 2 (art. 1, comma 122, Legge n. 266/2005) I redditi derivanti da lavoro dipendente prestato all'estero in zone di frontiera ed in altri Paesi limitrofi da soggetti residenti nel territorio dello Stato concorrono a formare il reddito complessivo per l'importo eccedente euro 8.000. Si definisce come frontaliero colui che: ¾ è fiscalmente residente in Italia; ¾ si reca quotidianamente all'estero in zone di frontiera (Austria, Città del Vaticano, Francia, Repubblica di San Marino, Slovenia e Svizzera) o in altri Paesi limitrofi (quale potrebbe, ad esempio, essere il Principato di Monaco) per adempiere alla obbligazione lavorativa; ¾ presta la propria attività in detti Stati in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto. Esempio n. 3 Nel caso in cui il reddito prestato all'estero non presenti alcune delle caratteristiche previste negli esempi 1 o 2, la determinazione del reddito imponibile viene effettuata attraverso le regole ordinarie di determinazione del reddito di lavoro dipendente. Reddito di lavoro dipendente prodotto in Italia da soggetti fiscalmente non residenti I redditi di lavoro dipendente prestati in Italia da soggetti che non si qualificano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato sono imponibili limitatamente al reddito ivi prodotto (art. 23, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 917/1986). Le regole di determinazione del reddito imponibile sono le medesime utilizzate per la determinazione del reddito prodotto da un soggetto fiscalmente residente in Italia. Applicazione della normativa convenzionale La maggior parte delle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall'Italia (art. 15, rubricato "Lavoro Subordinato", par.2), attribuisce in 3 via esclusiva la potestà impositiva allo Stato in cui il soggetto risulta fiscalmente residente, al verificarsi delle seguenti condizioni: a) il beneficiario soggiorna nell'altro Stato (in Italia) per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale 183 giorni nel corso dell'anno fiscale considerato; e b) le remunerazioni sono pagate da o per conto di un datore di lavoro che non E' residente dell'altro Stato; e c) l'onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell'altro Stato." Al verificarsi di tali condizioni il soggetto fiscalmente non residente che presti la propria attività lavorativa in Italia non sarà assoggettato ad imposizione nel territorio dello Stato. Regole di determinazione della base imponibile del reddito di lavoro dipendente Il reddito di lavoro dipendente è costituto da tutte le somme e valori ricevuti dal dipendente in relazione al rapporto di lavoro. Per completezza, si precisa che restano esclusi dalla base imponibile, quei rimborsi che riguardano spese di competenza del datore di lavoro e anticipate dal dipendente per semplici ragioni di praticità, come le spese per l'acquisto di materiale utile allo svolgimento dell'attività lavorativa (cancelleria, supporti informatici, ricambi etc.) Nel seguito si descrivono le regole che impattano la determinazione del reddito imponibile relativamente ad alcuni elementi retributivi specifici. Fringe benefits I fringe benefits sono costituiti da quella parte di retribuzione corrisposta tramite compensi in natura, che si traduce nella disponibilità per il dipendente di beni o servizi resi direttamente dal datore di lavoro o da terzi in relazione al rapporto di lavoro (art. 51, commi 2, 3, 4 del D.P.R. n. 917/1986). Ferma restando la "natura" di reddito da lavoro dipendente di queste componenti della retribuzione, il legislatore ha previsto dei trattamenti fiscali di favore distinguendo questi elementi in: compensi esenti, che non concorrono alla formazione del reddito imponibile in presenza di determinate condizioni ed entro certi valori (art. 51, comma 2 del D.P.R. n. 917/1986); benefits imponibili sulla base di valori convenzionali (art. 51, comma 4 del D.P.R. n. 917/1986). Benefits esenti Vitto, mense aziendali e prestazioni sostitutive (art. 51, comma 2, lett. c del D.P.R. n. 917/1986). Il legislatore distingue tre modalità di somministrazione di vitto ai dipendenti e dispone diverse rispettive agevolazioni fiscali. Vitto e mense aziendali - Non costituisce compenso in natura imponibile la somministrazione di vitto alla generalità o a categorie di dipendenti se effettuata: 4 - direttamente dal datore di lavoro (es. pranzi consumati dai dipendenti di un ristorante); - in mense aziendali, sia che siano organizzate dal datore di lavoro sia che la gestione venga affidata a terzi; - tramite convenzioni con ristoranti o fornitura di " cestini preconfezionati " contenenti il pasto. Il benefit offerto secondo le suddette modalità è integralmente esente (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.2.3 e Circ. 16 luglio 1998, n. 188/E, punto 8). Prestazioni sostitutive del servizio mensa - Le prestazioni sostitutive del servizio mensa aziendale (tickets restaurant) non concorrono alla formazione del reddito imponibile entro il limite giornaliero di Euro 5,29, sempre che vengano concesse alla generalità dei dipendenti o a categorie omogenee degli stessi. Indennità sostitutive di mensa - L'esenzione dell'erogazione corrisposta in denaro, entro il limite giornaliero di euro 5,29, è riconosciuta ai lavoratori edili e a quelle categorie di dipendenti che svolgono la loro attività in strutture temporanee o comunque prive di servizi di ristorazione dove utilizzare eventuali buoni pasto. In particolare, con riferimento al caso di mancanza di strutture di ristorazione, l'esenzione è applicabile a condizione che (Agenzia delle Entrate, Ris. 30 marzo 2000, n. 41/E) : • l'orario di lavoro comporti una pausa pranzo; • il dipendente sia addetto ad un'unità produttiva, cioè sia stabilmente assegnato ad una determinata sede di lavoro; • l'ubicazione della sede di lavoro sia tale da necessitare l'utilizzo di mezzi di trasporto per recarsi nel più vicino luogo di ristorazione. Resta ferma la possibilità per il datore di lavoro di adottare la forma di somministrazione del benefit che ritiene più adatta alle esigenze aziendali, distinguendo se necessario tra le diverse categorie di dipendenti; parallelamente, non è ammissibile per uno stesso dipendente usufruire di due diverse somministrazioni del benefit in un'unica giornata lavorativa, anche se il valore complessivo non dovesse superare la soglia dei euro 5,29 (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.2.3). La Risoluzione Ministeriale 30 ottobre 2006 n. 118/E ha chiarito che le medesime regole sono applicabili anche ai lavoratori a tempo parziale il cui orario di lavoro non preveda il diritto alla pausa pranzo. Servizi di trasporto (art. 51, comma 2, lett. d del D.P.R. n. 917/1986) Non concorrono a formare il reddito imponibile le prestazioni di servizi di trasporto collettivo offerte alla generalità o a categorie di dipendenti, indipendentemente dal fatto che il servizio sia organizzato dal datore di lavoro o che venga affidato a terzi, anche esercenti pubblici servizi. L'agevolazione è applicabile esclusivamente al servizio di trasporto che copre la tratta abitazione o punto di ritrovo - luogo di lavoro e viceversa (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.2.4). Qualora il servizio sia gestito da terzi esterni all'azienda, l'agevolazione fiscale è applicabile solo se il rapporto contrattuale intercorre tra il datore 5 di lavoro e il vettore, rimanendo il dipendente estraneo allo stesso: di conseguenza, venendo a mancare l'affidamento del servizio di trasporto al terzo da parte del datore di lavoro, sono pienamente imponibili i rimborsi dei biglietti/abbonamenti per il trasporto che il dipendente ha autonomamente sottoscritto con un vettore, così come le indennità sostitutive o eventuali rimborsi offerti ai dipendenti che utilizzano un proprio mezzo di trasporto (Agenzia delle Entrate, Ris. 21 marzo 2002, n. 95/E). Compensi reversibili (art. 51, comma 2, lett. e del D.P.R. n. 917/1986) Non concorrono a formare il reddito da lavoro imponibile le indennità e i compensi percepiti a carico di terzi per incarichi svolti in relazione alla qualità di dipendenti, che per clausola contrattuale o per legge devono essere riversati al datore di lavoro o allo Stato (art. 50, comma 1, lett. b del D.P.R. n. 917/1986). Sono esclusi dalla base imponibile anche: • le indennità, i gettoni di presenza ed eventuali altri compensi corrisposti ai dipendenti pubblici dello stato, regioni, province e comuni per l'esercizio delle loro pubbliche funzioni, e • i compensi dei membri di commissioni tributarie, giudici di pace ed esperti del Tribunale di sorveglianza che per legge devono essere riversati allo Stato (art. 50, c. 1, lett. f del D.P.R. n. 917/1986). Opere e servizi per finalità sociali (art. 51, comma 2, lett. f) e art. 100 comma 1 del D.P.R. n. 917/1986). L'utilizzazione da parte del dipendente o dei familiari (art. 13 del D.P.R. n. 917/1986), anche non a carico (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.2.6), delle opere e dei servizi messi a disposizione dal datore di lavoro non concorre alla formazione del reddito imponibile a condizione che: • il bene o il servizio sia destinato alla generalità o a categorie dei dipendenti; • le finalità perseguite siano incluse fra quelle di educazione, istruzione, ricreazione, di culto e assistenza sociale e sanitaria (D.Lgs. 23 dicembre 1999, n. 505; art. 100, comma 1 del D.P.R. n. 917/1986); • il bene o il servizio sia messo a disposizione tramite strutture di proprietà del datore di lavoro (Agenzia delle Entrate, Circ. 22 dicembre 2000, n. 238/E, punto 2.2) o anche tramite strutture di terzi, a condizione che il rapporto contrattuale intercorra direttamente tra il datore di lavoro e il fornitore del bene o servizio, rimanendo il dipendente estraneo allo stesso (Agenzia delle Entrate, Ris. 10 marzo 2004, n. 34/E; contra: Agenzia delle Entrate, Circ. 22 dicembre 2000, n. 238/E, punto 2.2) L'agevolazione è applicabile solo nel caso che il dipendente utilizzi direttamente il bene o il servizio offerto; qualora il dipendente riceva una somma da parte del datore del lavoro per poter usufruire dei beni o servizi, tale importo costituisce retribuzione imponibile (Agenzia delle Entrate, Ris. 10 marzo 2004, n. 34/E). Sussidi occasionali (art. 51, comma 2, lett b) del D.P.R. n. 917/1986) 6 I sussidi occasionali erogati ai dipendenti in situazioni di rilevante bisogno possono rientrare tra i fringe benefits esenti se ricorrono i seguenti presupposti: • l'erogazione è giustificata da rilevanti esigenze personali del dipendente o dei suoi familiari; • il bisogno economico è occasionale, cioè è la conseguenza di eventi negativi inaspettati e non programmabili. La discriminate è quindi la "rilevanza" del bisogno e l'"occasionalità" della situazione (es: malattia che richiede cure costose, perdita o inagibilità dell'abitazione a seguito di eventi naturali, nascita di figli) tali da indurre il datore di lavoro a concedere, spontaneamente o su richiesta dell'interessato, un sussidio economico; benché la legge non preveda un massimale, è comunque necessario che l'importo del sussidio sia proporzionato all'entità del bisogno e alle condizioni economiche del dipendente (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.2.2). Sussidi in caso di usura o estorsione (art. 51, comma 2, lett b) del D.P.R. n. 917/1986) Sono benefit totalmente esenti anche i sussidi che il datore di lavoro può offrire ai dipendenti vittime dell'usura o che fruiscono delle erogazioni a ristoro dei danni derivati da eventuali rifiuti a richieste estorsive. Il beneficio dell'esenzione è riconosciuto solo a coloro che sono ricorsi agli strumenti di tutela e protezione per i casi di usura ( L. n. 108, del 7 marzo 1996) ed estorsione ( L. n. 172 del 18 febbraio 1992) previsti dalla legge. La stessa esenzione si applica ad eventuali prestiti di durata inferiore ai 12 mesi (art. 51, comma 4, lett. b) del D.P.R. n. 917/1986). Sussidi per la frequenza di asili nido o colonie climatiche (art. 51, comma f bis, lett. b) del D.P.R. n. 917/1986; Agenzia delle Entrate, Circ. 22 dicembre 2000, n. 328/E, punto 2.2). Non concorrono a formare il reddito da lavoro imponibile le somme erogate dal datore di lavoro: • alla generalità o a categorie di dipendenti • per la frequenza di asili nido o colonie climatiche da parte dei familiari (art.13 del D.P.R. n. 917/1986) del dipendente Borse di studio e altri sussidi per fini di studio (art. 51, comma f bis, lett b) del D.P.R. n. 917/1986; Agenzia delle Entrate, Circ. 22 dicembre 2000, n. 328/E, punto 2.2). Le borse di studio, gli assegni, i premi o i sussidi per finalità di studio offerti dal datore di lavoro a beneficio dei familiari dei dipendenti, costituiscono benefits esenti se: • sono offerti alla generalità o a categorie di dipendenti; • il datore di lavoro acquisisce e conserva tutta la documentazione comprovante l'utilizzazione per finalità di studio degli importi erogati al dipendente, sia che si tratti di un rimborso al dipendente sia di un'erogazione diretta all'istituto scolastico (Agenzia delle Entrate, Circ. 22 dicembre 2000, n. 238/E, punto 2.2). Benefits imponibili a valore normale 7 Nell'ambito della disciplina fiscale del reddito di lavoro dipendente, il valore normale è stato individuato quale criterio per la quantificazione dei compensi in natura che non presentano le condizioni richieste per le agevolazioni fiscali già trattate (art. 51, comma 3 del D.P.R. n. 917/1986; Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.3.1). Ad eccezione dei casi particolari riportati in dettaglio nel seguito, il valore normale viene identificato con il prezzo o il corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie, allo stesso stadio di commercializzazione e in contesti di libera concorrenza, nel tempo e nel luogo in cui i bene e i servizi sono stati acquisiti e/o prestati; se possibile, il valore normale deve essere determinato in base ai listini e alle tariffe applicati del soggetto che ha fornito i beni o i servizi, in base allo stadio della commercializzazione, (art. 9 comma 3 del D.P.R. n. 917/1986; Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.3.1). Il reddito imponibile equivale al valore normale del fringe benefit solo se il bene o il servizio sono resi gratuitamente: qualora il dipendente corrispondesse un importo per il godimento del benefit, tale importo dovrebbe essere scomputato dal valore normale al fine di determinare il reddito imponibile (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.3.1). Il criterio del valore normale al netto del contributo del dipendente, si applica anche nel caso in cui: • i fruitori del compenso in natura sono i familiari del dipendente, non necessariamente a carico (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.3.1); • il bene o il servizio viene reso al dipendente da terzi, obbligati per effetto di un collegamento col datore di lavoro o col rapporto di lavoro, secondo il principio generale per cui costituisce reddito da lavoro tutto ciò che il dipendente riceve in relazione al rapporto di lavoro (art. 51, comma 1, 3 del D.P.R. n. 917/1986; Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.3.1). Beni e servizi di modico valore (art. 51, c. 3 del D.P.R. n. 917/1986) Non concorre a formare la retribuzione imponibile il valore normale dei fringe benefits complessivamente non superiore a Euro 258,23 per periodo d'imposta: qualora il valore ecceda il limite, l'intero importo concorre a formare la base imponibile e non il solo ammontare eccedente. Il valore del benefit e il superamento della soglia devono essere calcolati tenendo conto di eventuali somme versate dal dipendente per il godimento del benefit (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.3.1). Il limite in questione si applica a tutti i fringe benefits, compresi quelli imponibile su valori convenzionali e ad eccezione: • delle erogazioni liberali in occasione di festività e ricorrenze (si veda), che sono imponibili solo per la differenza eccedente la soglia (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.2.2 e 2.3.1); 8 • delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti nel limite della franchigia di Euro 2.065,83 (si veda) (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.2.7 e 2.3.1). Benefits imponibili a valore convenzionale Il valore normale è stabilito in base a criteri forfetari nei seguenti casi: Generi in natura prodotti dall'azienda (art. 51 comma 3 del D.P.R. n. 917/1986) Per i beni in natura prodotti dall'azienda e ceduti ai dipendenti, il valore normale di riferimento è pari al prezzo mediamente praticato dall'azienda nella cessione ai grossisti: si deve quindi fare riferimento ai listini dell'azienda fornitrice-datore di lavoro applicati per le vendite all'ingrosso. Qualora l'azienda non venda il prodotto anche ai grossisti ma proceda esclusivamente alle vendite al dettaglio, il valore normale di riferimento per il dipendente fruitore corrisponderà all'ultimo stadio della commercializzazione e quindi al prezzo di listino al dettaglio (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.3.1). Veicoli concessi in uso promiscuo al dipendente (art. 51, comma 4, lett. a) del D.P.R. n. 917/1986) Per gli autoveicoli, motocicli e ciclomotori che sono concessi ai dipendenti in uso promiscuo, cioè per lo svolgimento dell'attività lavorativa e per l'uso privato, si assume come valore imponibile convenzionale il 30% del costo corrispondente ad una percorrenza standard di 15.000 Km, determinato sulla base del costo chilometrico desumibile dalle tabelle ACI aggiornate con cadenza annuale. Il valore del benefit sopra riportato si riferisce ad un intero periodo d'imposta: di conseguenza, se il periodo di concessione del benefit è di durata inferiore, il valore convenzionale deve essere ragguagliato in proporzione. Eventuali contributi sostenuti dal dipendente, per l'uso promiscuo del veicolo, devono essere dedotti dal valore convenzionale al fine di determinare la base imponibile (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.3.2.1). Si precisa che (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.3.2.1) : • al fine della determinazione del valore imponibile, una volta che il benefit entra nella disponibilità del dipendente per uso promiscuo è irrilevante l'entità dell'effettiva utilizzazione personale da parte del beneficiario; • l'utilizzazione di un veicolo per motivi esclusivamente lavorativi, come viaggi di affari e trasferte, e il rimborso dei costi connessi (carburante, pedaggi) non costituisce benefit imponibile in quanto il dipendente non ne trae alcun vantaggio personale; • qualora il veicolo sia utilizzato esclusivamente per fini privati, vale la regola generale del benefit imponibile in base al valore normale ordinario. Prestiti a tasso agevolato (art. 51, comma 4, lett. b) del D.P.R. n. 917/1986) I prestiti a tasso agevolato rilevano dal punto di vista fiscale se sono concessi dal datore di lavoro applicando un interesse inferiore rispetto al 9 tasso ufficiale di riferimento (TUR) vigente al termine del periodo di imposta (art. 13, c.1, lett. b, punto 4 in D. Lgs n. 505 del 23 dicembre 1999); se il tasso di interesse applicato dal datore di lavoro è inferiore al tasso di riferimento applicato alla fine dell'anno fiscale, il 50% della differenza tra i due tassi costituisce benefit imponibile (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.3.2.1). Nonostante la determinazione del TUR possa essere effettuata solo allo scadere del periodo d'imposta, il datore di lavoro è comunque tenuto ad applicare la ritenuta d'acconto al momento del pagamento di ogni singola rata (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.3.2.1) : la ritenuta sul benefit applicata in corso d'anno è di conseguenza provvisoria e deve essere determinata in base al tasso di riferimento vigente alla chiusura dell'anno fiscale precedente, regolarizzando in sede di conguaglio ogni eventuale differenza risultante a fine anno (Ministero delle Finanze, Circ. 17 maggio 2000, n. 98/E, punto 5.2.1). Si precisa che (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.3.2.2) : - l'agevolazione è ugualmente applicabile ai finanziamenti che il dipendente ottiene da terzi, in virtù di accordi o convenzioni tra il datore di lavoro e questi ultimi; - non sono previste particolari formalità, limitazioni e finalità da soddisfare al fine di ottenere l'agevolazione fiscale: di conseguenza, tutte le forme di finanziamento erogate dal datore di lavoro, indipendentemente dalla durata e dall'utilizzazione, posso rientrare nell'ambito di applicazione dell'agevolazione; - se previsti da accordi aziendali, si qualificano come benefit totalmente esenti i prestiti di durata non superiore ai 12 mesi concessi ai dipendenti in Cassa integrazione guadagni o in contratto di solidarietà, e anche quelli erogati alle vittime dell'usura o ai dipendenti che fruiscono delle erogazioni a ristoro dei danni derivati da eventuali rifiuti a richieste estorsive. Fabbricati concessi ai dipendenti (art. 51, comma 4, lett. c) del D.P.R. n. 917/1986) I fabbricati, di proprietà del datore di lavoro, o da questo presi in locazione, che vengono concessi in (i) locazione, (ii) uso o (iii) comodato al dipendente, costituiscono benefit imponibile per il valore dato dalla differenza tra: - la rendita catastale, reale o presunta, dell'immobile aumentata di tutte le spese inerenti all'immobile (utenze, spese condominiali, etc.), e - quanto corrisposto dal dipendente per il godimento dell'immobile. In caso di immobile concesso col vincolo per il dipendente di dimorare nell'alloggio (es: abitazione del custode di un'azienda), concorre a formare la retribuzione imponibile il 30% della differenza determinata come sopra. Se l'immobile è concesso a più dipendenti, il valore del benefit deve essere ripartito per il numero degli assegnatari o, se possibile, in base alle parti di immobile assegnate a ciascuno (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.3.2.3). 10 I criteri di valutazione suddetti valgono anche per le pertinenze concesse con l'immobile adibito ad abitazione (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.3.2.3). Si ricorda che nel caso in cui il datore di lavoro conceda un'erogazione in denaro al dipendente al fine di contribuire al canone di locazione sostenuto direttamente dal dipendente, l'intero importo costituisce retribuzione imponibile poiché non ricorrono i presupposti per l'agevolazione. Trasferte L'erogazione di indennità e rimborsi spese ai dipendenti che effettuano trasferte, per motivi di lavoro, sono soggetti a particolari agevolazioni fiscali: il regime applicabile varia in funzione delle modalità di rimborso e a seconda che la trasferta sia effettuata nell'ambito del comune sede di lavoro o al di fuori del comune, in territorio nazionale o estero (art. 51, c. 5 del D.P.R. n. 917/1986). Trasferte nel territorio del comune sede di lavoro Le indennità e i rimborsi delle spese sostenute per le trasferte effettuate nell'ambito del comune in cui il dipendente ha la sede di lavoro costituiscono retribuzione imponibile ad eccezione dei rimborsi delle spese di trasporto comprovate tramite documenti rilasciati dal vettore (es: biglietti, ricevute taxi). Ai fini di limitare possibili abusi, è necessario che dai documenti rilasciati dal vettore risulti il giorno in cui il dipendente ha utilizzato il servizio di trasporto; parallelamente, il datore di lavoro dovrebbe avere nella propria documentazione interna evidenza del giorno in cui il dipendente ha prestato la propria attività al di fuori della sede di lavoro (Ministero delle Finanze, Ris. 16 luglio 2002, n. 232/E). Trasferte fuori dal comune sede di lavoro Per le trasferte effettuate in territorio italiano al di fuori del comune della sede di lavoro, sono possibili tre diversi sistemi di rimborso spese ai quali corrispondono tre rispettivi trattamenti fiscali: sistema analitico, forfetario e misto. I tre sistemi sono alternativi tra loro con riferimento alla singola trasferta: di conseguenza, nell'eventualità che vengano erogati due tipi di rimborso per la medesima trasferta, il datore di lavoro ne deve tassare uno ed esentare l'altro (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.4.1). Rimborso analitico Il rimborso analitico, o a "piè di lista", consente il rimborso in esenzione di imposta di tutte le spese idoneamente documentate relative a: - viaggio e trasporto, comprensivi di eventuali pedaggi e parcheggi accessori (Assonime, Circ. n 25/1998, par. 7; Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.4.1, in particolare confronta spese di parcheggio ) - trasporto - alloggio - vitto Tutte le altre spese che non possono essere documentate (es. mance, telefono fisso, lavanderia etc.) è riconosciuta una franchigia esentasse pari 11 a Euro 15,49 al giorno, a condizione che il dipendente presenti al datore di lavoro un dettagliato prospetto riepilogativo nella nota spese (Assonime, Circ. n 25/1998, par. 7; Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.4.1). Rimborso forfetario Il rimborso forfetario consente l'erogazione non imponibile di un'indennità giornaliera pari a Euro 46,48; qualsiasi spesa rimborsata in aggiunta all'indennità forfetaria è considerata retribuzione imponibile ad eccezione del rimborso analitico di eventuali spese di viaggio e trasporto. L'indennità giornaliera non è soggetta a variazioni di importo a seconda che la trasferta sia di durata inferiore a 24 ore e non comporti il pernottamento fuori sede (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.4.1). Rimborso misto Come per il rimborso forfetario, il dipendente può ricevere un'indennità giornaliera e contestualmente possono essergli rimborsate alcune spese a "piè di lista", ferma restando la detassazione delle spese di viaggio e trasporto accuratamente certificate (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.4.1). In caso di rimborso misto, le combinazioni esenti sono: a) rimborso analitico o fornitura gratuita del solo alloggio o, in alternativa, di vitto e indennità giornaliera pari a Euro 30,99, pari alla riduzione di un terzo dell'indennità prevista per il sistema forfetario b) rimborso analitico o fornitura gratuita di vitto e alloggio e indennità giornaliera pari a euro 15,49, pari alla riduzione di due terzi dell'indennità prevista per il sistema forfetario. Ogni eventuale indennità eccedente la soglia o rimborsi analitici di spese che non riguardano il vitto, l'alloggio o il trasporto costituiscono retribuzione totalmente imponibile. Trasferte all'estero Ferme restando le disposizioni valide per il territorio nazionale, i tre regimi alternativi si applicano con le seguenti varianti (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.4.1) : • sistema analitico: franchigia giornaliera per le spese non documentabili elevata a euro 25,82, invece di euro 15,49; • sistema forfetario: indennità giornaliera elevata a Euro 77,47, invece di Euro 46,48; • sistema misto: a) indennità giornaliera elevata a Euro 51,65, per il caso di riduzione pari a 1/3 dell'indennità forfetaria; b) indennità giornaliera elevata a Euro 25,82, per il caso di riduzione pari 2/3 dell'indennità forfetaria. Contributi previdenziali e assistenziali Non concorre a formare il reddito imponibile il versamento, sia da parte del datore di lavoro che del dipendente, di determinati contributi previdenziali ed assistenziali effettuato nel rispetto di particolari condizioni; sono (i) previdenziali i contributi finalizzati a garantire al dipendente future prestazioni sotto forma di capitale o rendita (indennità 12 una tantum o pensione) mentre si definiscono (ii) assistenziali quelli destinati a garantire al dipendente l'erogazione di specifiche prestazioni nell'eventualità di particolari circostanze negative (es: assistenza in caso di malattia o infortunio) Ai fini dell'applicazione dell'agevolazione, si distingue tra: • contributi previdenziali e assistenziali versati in ottemperanza di disposizione di legge; • contributi assistenziali sanitari versati ad enti o casse aventi esclusivamente fini assistenziali in conformità alle disposizioni del contratto, accordo o regolamento aziendale; • altri contributi assistenziali. Contributi obbligatori per legge (art. 10, comma 1, lett. e e art. 51, comma 2, lett. a del D.P.R. n. 917/1986) Sono integralmente esenti e quindi non concorrono a formare il reddito imponibile i contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge, la cui omissione comporta l'applicazione di sanzioni: l'esenzione è applicabile senza alcun limite o massimale di importo, sia per la parte dovuta dal datore di lavoro che per quella versata dal dipendente, e non rileva il fatto che si tratti di contributi obbligatori versati in Italia o all'estero (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.2.1.1 e Circ. 4 marzo 1999, n. 55/E, punto 2.1). Contributi assistenziali sanitari (art. 51, c. 2, lett. a del D.P.R. n. 917/1986) I contributi sanitari versati, dal datore di lavoro o dal dipendente, ad enti o casse aventi esclusivamente fini assistenziali in conformità a disposizioni del contratto collettivo, accordo o regolamento aziendale (Fasi, Fondo M. Negri, etc.) non concorrono a formare il reddito entro il limite, per il 2006, di Euro 3.615,20. L'eventuale eccedenza concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente (Ministero delle Finanze, Circ. 23 dicembre 1997, n. 326/E, punto 2.2.1.3) e si ricorda che il beneficio è applicabile anche ai contributi versati per garantire l'assistenza sanitaria ai familiari del dipendente, anche se non a carico (Ministero delle Finanze, Circ. 12 giugno 2002, n. 50/E). Altri contributi assistenziali I contributi per fini assistenziali non sanitari, tra cui quelli sociali, versati in assenza di specifica previsione normativa concorrono alla formazione del reddito del reddito da lavoro imponibile (Ministero delle Finanze, Circ. 4 marzo 1999, n. 55/E, punto 2.2). Piani di incentivazione azionaria Le offerte di azioni, del datore di lavoro o di società controllanti o controllate, alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti sono imponibili agli effetti del reddito di lavoro dipendente. Azionariato popolare (c.d. Employee Stock Purchase Plan) La differenza fra il valore normale delle azioni al momento dell'assegnazione ed il prezzo pagato dal dipendente per l'acquisizione 13 delle azioni stesse non concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni: 1) le azioni siano offerte alla generalità dei dipendenti; per generalità dei dipendenti devono intendersi tutti i dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato, sia a tempo pieno che a tempo parziale (Agenzia Entrate, Ris. 8 gennaio 2002, n. 3/E). La condizione si intende rispettata anche nel caso in cui l'offerta di azioni escluda dipendenti che non abbiano raggiunto un periodo di permanenza minima in azienda (Agenzia Entrate, Ris. 12 ottobre 2004, n. 129/E); 2) tale differenza non ecceda euro 2.065,83 per periodo d'imposta, (l'eccedenza concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente); 3) le azioni siano detenute ininterrottamente per un periodo di tre anni dal momento della acquisizione. La condizione si ritiene verificate per cessioni avvenute nel triennio nell'ipotesi in cui il trasferimento avvenga ex lege (Agenzia Entrate, Ris. 12 agosto 2005, n. 118/E); 4) le azioni siano emesse dall'impresa con la quale il dipendente intrattiene il rapporto di lavoro, nonché dalle società che direttamente o indirettamente, controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa. Qualora le azioni siano cedute prima del predetto termine (o siano riacquistate, nel predetto periodo, dalla società emittente o dal datore di lavoro), l'importo che non ha concorso a formare il reddito al momento dell'acquisizione è assoggettato a tassazione nel periodo d'imposta in cui avviene la cessione stessa. Definizione di valore normale (Agenzia Entrate, Ris. 25 febbraio 2000, n. 30/E) Il valore normale dell'azione è determinato nel modo seguente (art. 9 comma 4, del D.P.R. n. 917/1986) : • per le azioni, obbligazioni e altri titoli negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri (tutti i mercati regolamentati di Paesi appartenenti all'OCSE), il valore normale è determinato in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell'ultimo mese precedente la data in cui il valore normale deve essere calcolato; • per le altre azioni, le quote di società non azionarie ed i titoli o quote di partecipazione al capitale o di enti diversi dalle società, la lettera b) dispone che il loro valore normale è fissato in proporzione al valore del patrimonio netto della società o ente ovvero, per le società o enti di nuova costituzione, in proporzione all'ammontare complessivo dei conferimenti. Azioni vincolate (Agenzia Entrate, Ris. 8 gennaio 2002, n. 3/E) L'attribuzione della titolarità dell'azione al dipendente costituisce evento imponibile alla data dell'assegnazione medesima anche se l'effettiva disponibilità dell'azione è subordinata al trascorrere di un determinato periodo di tempo. Piani di stock options 14 L'articolo 82 commi 23 e 24, del D.L. 112/2008 ha sancito l'abolizione delle agevolazioni in materia di piani azionari individuali. Ha, infatti, previsto l'abrogazione della lettera g bis), comma 2, dell'articolo 51 del Tuir., includendo quindi le plusvalenze da stock option tra i redditi che concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente. Il comma 24 bis del medesimo decreto ha, invece, introdotto l'esenzione contributiva di tali redditi. - La disposizione si applica in relazione alle azioni assegnate ai dipendenti a decorrere dalla entrata in vigore del citato decreto ovvero 25 giugno 2008 (Circolare dell’Agenzia delle Entrate 9 settembre 2008 n. 54/E. Modalità di tassazione dei redditi di lavoro dipendente Il reddito di lavoro dipendente è soggetto ad una ritenuta a titolo di acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) applicata da parte del datore di lavoro, sostituto di imposta. La ritenuta deve essere effettuata al momento della corresponsione del compenso, con riferimento al periodo di paga cui si riferiscono somme e valori erogati al dipendente anche se corrisposti da soggetti terzi in relazione al rapporto di lavoro. La Finanziaria 2007 ha modificato le modalità di determinazione dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) prevedendo in particolare: la rimodulazione della curva delle aliquote; la sostituzione delle deduzioni per oneri di famiglia con un sistema di detrazioni per carichi di famiglia decrescenti al crescere del reddito complessivo del contribuente; la previsione di specifiche detrazioni in funzione dell'ammontare e della tipologia di reddito; la definizione di una nuova modalità di determinazione della base imponibile dell'IRPEF; l'eliminazione del contributo di solidarietà per i redditi eccedenti 100.000 euro; la previsione di una specifica clausola di salvaguardia per i trattamenti di fine rapporto di lavoro, indennità equipollenti ed altre indennità e somme di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), del TUIR. Le novità, applicabili dal periodo d'imposta 2007, sono illustrate dall'Agenzia delle Entrate nella Circolare 16 marzo 2007 n. 15/E. Il datore di lavoro, per ciascun periodo di paga (che generalmente coincide con il mese solare), deve determinare l'imposta dovuta ed effettuare la ritenuta sul reddito imponibile, sia in denaro che in natura, effettuando le detrazioni previste (per lavoro dipendente e per familiari a carico) rapportate al periodo di paga. Aliquote IRPEF (art. 11 del D.P.R. n. 917/1986) SCAGLIONI ALIQUOTE 15 Fino a euro 15.000 23% Oltre euro 15.000 e fino a euro 27% 28.000 Oltre euro 28.000 e fino a euro 38% 55.000 Oltre euro 55.000 e fino a euro 41% 75.000 Oltre a euro 75.000 43% La norma citata per il riconoscimento degli oneri sostenuti dal contribuente nell'interesse del proprio nucleo familiare, ha ripristinato il sistema delle detrazioni da far valere sull'imposta lorda, già previsto nel sistema tributario anteriormente alla riforma dell'IRPEF attuata dalla Legge 30 dicembre 2004 n. 311. L'art. 12 indica i requisiti per essere considerato familiare a carico. Infatti, al comma 2, stabilisce che un soggetto per essere considerato a carico di un altro deve possedere un reddito complessivo non superiore a euro 2.840,51, al lordo degli oneri deducibili. Inoltre, viene confermato il principio per cui le detrazioni per carichi di famiglia sono rapportate a mese e competono dal mese in cui si sono verificate a quello in cui sono cessate le condizioni richieste (comma 3). L'articolo 12, comma 1, indica alle lettere a) e b) le detrazioni per il coniuge a carico; alla lettera c) le detrazioni per figli a carico; alla lettera d) le detrazioni per altri familiari a carico. I commi 2 e 3 indicano, rispettivamente, le condizioni di spettanza delle detrazioni e il periodo da considerare. Il comma 4 stabilisce le regole per il calcolo delle detrazioni spettanti. Con la riscrittura del menzionato articolo 12 è stata eliminata dall'ambito degli oneri di famiglia la deduzione per le spese sostenute per gli addetti all'assistenza personale (c.d. "badanti"). A fronte dei medesimi oneri, il comma 319 della legge Finanziaria per il 2008 ha previsto, mediante l'introduzione della lettera i-septies) nell'articolo 15 del Tuir, una detrazione d'imposta del 19 per cento, da calcolare su un limite massimo di spesa di euro 2.100, in favore dei soggetti con reddito complessivo non superiore a euro 40 mila. Secondo le nuove disposizioni, diversamente da quanto consentito in precedenza, i genitori non possono ripartire liberamente tra loro la detrazione per figli a carico in base alla convenienza economica. La norma prevede, inoltre, regole diverse nelle ipotesi di genitori separati. Con riguardo alle detrazioni per reddito di lavoro dipendente il comma 1 del nuovo art. 13 del Tuir prevede che se alla formazione del reddito complessivo concorrono uno o più redditi di lavoro dipendente (ad esclusione dei redditi di pensione di cui all'art. 49, comma 2, lett. a) ovvero redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente di cui all'art. 50, comma 1, lettere a), b), c), c bis), d), h bis) e l), del Tuir, spetta una 16 detrazione dall'imposta lorda rapportata al periodo di lavoro nell'anno e graduata in relazione all'ammontare del reddito complessivo. A decorrere dal 1° gennaio 2007, gli importi della detrazione per lavoro dipendente sono pari a: a) 1.840 euro, se il reddito complessivo non è superiore a 8.000 euro. In ogni caso, l'ammontare della detrazione effettivamente spettante non può essere inferiore a 690 euro per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato ed a 1.380 euro per i rapporti a tempo determinato. Ciò significa che tali misure minime competono a prescindere dal risultato del calcolo di ragguaglio al periodo di spettanza nell'anno; b) 1.338 euro, aumentata del prodotto tra 502 euro e l'importo corrispondente al rapporto tra 15.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 7.000 euro, se l'ammontare del reddito complessivo è superiore a 8.000 euro ma non a 15.000 euro. Per determinare la detrazione spettante occorre applicare la seguente formula: 1.338 + (502 x (15.000 - RC) : 7.000) L'importo della parentesi quadra, da aggiungere a euro 1.338, decresce al crescere del reddito. Il comma 6 del nuovo articolo 13 stabilisce che se il risultato del rapporto è maggiore di zero, lo stesso si assume nelle prime quattro cifre decimali. Gli importi fissati dalla norma di 1.338 e di 502 euro devono essere rapportati al periodo di lavoro nell'anno. Ad esempio, in caso di rapporto di lavoro di durata di 306 giornate, dal 1 marzo al 31 dicembre, a fronte di un reddito di 10.000 euro, la detrazione spettante sarà espressa dalla seguente formula: (1.338: 365 x 306) + ((502: 365 x 306) x (15.000 - 10.000) : 7.000) = = 1121,72 + (420,85 x 0,7142) = 1.422,30 Al medesimo risultato si giunge rapportando il risultato finale: 1.338 + (502 x (15.000 - 10.000) : 7.000) = = 1338 + (502 x 0,7142) = 1.696,53 1.696,53: 365 x 306 = 1.422,30 c) 1.338 euro, se il reddito complessivo è superiore a 15.000 euro ma non a 55.000 euro. In tal caso, la detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 55.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l'importo di 40.000 euro. Il comma 6 del nuovo articolo 13 stabilisce che se il risultato del rapporto indicato dalla norma è maggiore di zero, lo stesso si assume nelle prime quattro cifre decimali. L'importo di 1.338 euro deve essere rapportato al periodo di lavoro nell'anno. Inoltre, il comma 2 dell'art. 13 stabilisce che la detrazione spettante è aumentata di un importo pari a: a) 10 euro, se l'ammontare del reddito complessivo è superiore a 23.000 euro ma non a 24.000 euro; b) 20 euro, se l'ammontare del reddito complessivo è superiore a 24.000 euro ma non a 25.000 euro; c) 30 euro, se l'ammontare del reddito complessivo è superiore a 25.000 euro ma non a 26.000 euro; 17 d) 40 euro, se l'ammontare del reddito complessivo è superiore a 26.000 euro ma non a 27.700 euro; e) 25 euro, se l'ammontare del reddito complessivo è superiore a 27.700 euro ma non a 28.000 euro. In sostanza, per determinare la detrazione spettante occorre prima applicare la formula indicata dalla norma - 1.338 x ((55.000 - RC) : 40.000) - e poi aggiungere gli importi correttivi. Dalla formulazione della norma, secondo la quale la "detrazione spettante..... è aumentata di un importo pari a...." si evince che gli importi incrementativi devono essere aggiunti alla detrazione effettivamente spettante, determinata applicando, come previsto, il meccanismo di calcolo indicato. Gli stessi devono essere assunti nell'intero ammontare indicato dalla norma senza effettuare alcun ragguaglio al periodo di lavoro nell'anno. Operazioni di conguaglio di fine anno (art. 23 del D.P.R. n. 600/1973) Entro il 28 febbraio dell'anno successivo, in costanza di rapporto, ovvero alla data di cessazione, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, il sostituto d'imposta deve effettuare il conguaglio tra le ritenute operate sugli emolumenti imponibili corrisposti in ciascun periodo di paga; e l'imposta dovuta sull'ammontare complessivo delle somme e dei valori corrisposti nel corso dell'anno. Le operazioni di conguaglio possono riassumersi come di seguito indicato: 1. determinare, in via definitiva, l'ammontare delle somme e dei valori percepiti dal lavoratore nel periodo di imposta, includendo sia quelli corrisposti dal sostituto che effettua il conguaglio, sia quelli erogati da soggetti terzi in relazione al rapporto di lavoro; 2. sottrarre l'ammontare degli oneri deducibili trattenuti direttamente; 3. calcolare l'imposta lorda dovuta, applicando le aliquote progressive per scaglioni di reddito; 4. scomputare, dall'imposta lorda così ottenuta, le ritenute effettuate per ciascun periodo di paga; 5. riconoscere eventualmente le detrazioni d'imposta; 6. dal confronto fra l'imposta netta complessivamente dovuta dal dipendente e la somma delle ritenute fiscali già operate nei vari periodi di paga posso derivare due situazioni: • conguaglio "a debito", quando le imposte trattenute sono inferiori a quelle effettivamente dovute, in tal caso il datore di lavoro trattiene e versa il debito di imposta residuo; • conguaglio "a credito", quando le imposte trattenute sono superiori a quelle effettivamente dovute, in tal caso il datore di lavoro rimborsa al dipendente l'imposta trattenuta in eccedenza. Particolari fattispecie nelle operazioni di conguaglio a) Conguaglio con ritenuta più elevata. Il dipendente può richiedere al datore di lavoro di effettuare una ritenuta con un'aliquota superiore rispetto a quella dovuta (Agenzia Entrate, Circolare 30 novembre 2001, n. 199). Tale opzione permette al dipendente che abbia altri redditi oltre quelli di 18 lavoro dipendente di evitare che il debito di imposta dovuto al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi sia troppo elevato. b) Conguaglio imposte estere. Se alla formazione del reddito di lavoro dipendente concorrono somme o valori prodotti all'estero le imposte ivi pagate a titolo definitivo sono ammesse in detrazione fino a concorrenza dell'imposta relativa ai predetti redditi prodotti all'estero. La medesima regola vale anche nell'ipotesi in cui le somme o i valori prodotti all'estero abbiano concorso a formare il reddito di lavoro dipendente in periodi d' imposta precedenti (art. 23 comma 3, D.P.R. n. 917/1986). In virtù della disposizione appena citata, il sostituto d'imposta evidenzierà, direttamente in sede di conguaglio, il credito per le imposte pagate all'estero ed effettuerà le relative compensazioni, previa acquisizione di idonea documentazione; i documenti da conservare sono: la distinta prevista nelle istruzioni del modello UNICO da cui risultino l'ammontare dei redditi prodotti all'estero, l'ammontare delle imposte pagate in via definitiva all'estero, etc.; la copia della dichiarazione dei redditi prodotta nel Pese estero; la distinta di versamento delle imposte pagate nel Paese estero, (Agenzia Entrate, Circolare 12 giugno 2002, n. 50). Le operazioni di conguaglio riguardano anche le addizionali IRPEF. Ai fini dell'effettuazione del conguaglio di fine anno (art. 50 comma 4, del D.Lgs n. 446/1997; art. 1 comma 5, del D.Lgs n. 360/1998), l'importo delle addizionali risultanti dalle operazioni effettuate a tale titolo deve essere trattenuto in un numero massimo di undici quote di pari importo, a partire dal periodo di paga successivo a quello in cui le operazioni di conguaglio sono effettuate, e comunque non oltre quello relativamente al quale le ritenute sono versate nel mese di dicembre. o va eseguito dal percettore dell'intero TFR in sede di dichiarazione dei redditi. Redditi dei lavoratori dipendenti all’estero I redditi dei lavoratori dipendenti che: ¾ prestano il loro lavoro all'estero in via continuativa ed esclusiva; ¾ soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni nell'arco di 12 mesi; viene determinato facendo riferimento a delle retribuzioni convenzionali determinate ogni anno da un decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale. I soggetti che adempiono agli obblighi contributivi sui redditi di lavoro dipendente prestato all'estero, operano comunque le ritenute stabilite dall'articolo 23 del D.P.R. n. 600/1973. Tale disciplina è applicabile solo se verificano contemporaneamente tutti i seguenti presupposti: a) si tratti di una persona fisica residente in Italia; b) si tratti di una persona fisica che intrattenga un rapporto di lavoro dipendente; 19 c) che il lavoro sia prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto. In merito all' esclusività del rapporto, l'amministrazione finanziaria ha chiarito che tale requisito si realizza quando lo specifico contratto di lavoro preveda che la prestazione dell'attività lavorativa sia svolta integralmente all'estero. La Risoluzione ministeriale 17 luglio 1980 n. 8/1171 ha chiarito che " riferita al personale già in servizio presso un'impresa italiana, la condizione va verificata sulla base di accordi integrativi del contratto che, modificando quelli già in atto con l'azienda alla data di assunzione del dipendente prevedano, in relazione all'attività di lavoro prestata all'estero, le necessarie variazioni di carattere normativo e tributario." Sempre con la medesima risoluzione è stato precisato che, a titolo di garanzia, l'impresa dovrà annotare nel libro matricola e nel libro paga la data di interruzione delle prestazioni lavorative in Italia e registrare su corrispondenti scritture intestate come "ruolo estero", gli estremi di identificazione del dipendente lo Stato estero nel quale dovrà prestare servizio, l'ammontare delle prestazioni periodiche ed infine la data di cessazione del rapporto. La Circolare 26 febbraio 1999, n. 53/E in merito a tale requisito ha sottolineato che la prestazione di lavoro all'estero " deve costituire l'unica ed esclusiva mansione affidata al dipendente e non deve configurarsi come accessoria o strumentale rispetto allo svolgimento delle normali mansioni svolte in Italia." Il concetto di continuità è invece riferito al fatto che l'incarico deve essere stabile ovvero permanente e, comunque, non di tipo occasionale; d) che il dipendente nell'arco di dodici mesi soggiorni all'estero per un periodo superiore a 183 giorni. Per quanto concerne il computo dei giorni di effettiva permanenza all'estero, l'Amministrazione Finanziaria ha precisato che il periodo da considerare non necessariamente deve risultare continuativo, essendo sufficiente che il lavoratore presti la propria opera all'estero per un minimo di 183 nell'arco di dodici mesi. Con l'espressione " nell'arco di dodici mesi" il legislatore "non ha inteso far riferimento al periodo di imposta, ma alla permanenza del lavoratore all'estero stabilita nello specifico contratto di lavoro, che può anche prevedere un periodo a cavallo di due anni solari " (Circolare del 16 novembre 2000 n. 207). Si sottolinea come l'applicazione dell'articolo 51, comma 8- bis del TUIR può avvenire sia in presenza di un datore di lavoro italiano ovvero di datore di lavoro non residente (Circolare ministeriale n. 207/2000). Ai sensi dell'articolo 3 del TUIR (e successive integrazioni e modificazioni) l'imposta sul reddito delle persone fisiche "... si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti ...". Con specifico riferimento ai redditi prodotti all'estero, il successivo articolo 15 prevede che "se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all'estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall'imposta netta fino alla concorrenza della quota d'imposta italiana corrispondente al rapporto tra i 20 redditi prodotti all'estero e il reddito complessivo al lordo delle perdite di precedenti periodi di imposta ammesse in diminuzione". Il comma 3 di tale ultima disposizione, inoltre, stabilisce che detta detrazione "... deve essere richiesta, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui le imposte estere sono state pagate a titolo definitivo". Relativamente al requisito della "definitività" del pagamento delle imposte estere, è stato adeguatamente chiarito che tale concetto coincide con quello dell'irripetibilità dell'imposta stessa e, pertanto, non possono essere considerate "definitive" le imposte pagate in acconto, in via provvisoria e quelle, in genere, per le quali è previsto il conguaglio con la possibilità di rimborso totale o parziale (in tal senso C. M. Dir. Gen. II. DD. 8 febbraio 1980, n. 3/7/360 e C. M. Dir. Gen. II. DD. 12 dicembre 1981, n. 42/12/1587). Per le imposte corrisposte in via provvisoria o a titolo di acconto, di conseguenza, la detrazione potrà essere operata soltanto nell'anno in cui il pagamento acquista carattere di definitività. Passando ad esaminare nel merito la prospettata questione, si ricorda che i lavoratori dipendenti (e gli altri soggetti ad essi assimilati ai sensi della vigente normativa) che nel corso di un periodo d'imposta abbiano percepito determinate tipologie di reddito, possono rivolgersi - secondo quanto previsto dall' art. 37 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241 - per l'adempimento dei rispettivi obblighi tributari al proprio datore di lavoro, qualora questi abbia fornito la disponibilità per l'assistenza fiscale dei propri dipendenti. Ai fini del calcolo relativo alle imposte pagate all'estero, le istruzioni ministeriali per la compilazione del Modello 730/2015 prevedono che nel quadro G (Crediti di imposta), Sez. III (Crediti di imposta per redditi prodotti all’estero, già indicati nei precedenti quadri C e D da utilizzare per il calcolo del credito d'imposta) al rigo G4, colonna 1, vadano indicati i redditi prodotti all'estero, già riportati nei quadri C e D della dichiarazione stessa, per i quali compete detto credito. Le istruzioni citate precisano che nella colonna 2 del medesimo rigo devono essere riportate le imposte pagate all'estero a titolo definitivo per i suddetti redditi entro il termine di presentazione della dichiarazione. Si sottolinea in proposito che l'attuale formulazione delle istruzioni non preclude la possibilità di avvalersi del beneficio della detrazione delle imposte estere assolte in via definitiva in un esercizio successivo a quello di percezione dei corrispondenti redditi. Considerata la ratio del meccanismo disciplinato dall'art. 15 del TUIR e quanto espressamente previsto in proposito nell'Appendice alle istruzioni ministeriali al Mod. UNICO - Persone fisiche, si ritiene che se alla data ultima per la presentazione del Mod. 730 non sia ancora noto l'importo detraibile delle imposte estere assolte a fronte della retribuzione erogata dal datore di lavoro straniero per l'attività ivi prestata, tale importo potrà essere indicato nel Mod. 730 del successivo periodo d'imposta nel quale l'assolvimento di tali imposte sarà divenuto definitivo. 21 Esemplificando, un soggetto impiegato all'estero che si trovi - nel corso del 2014 - a pagare sulle retribuzioni ivi percepite nel corso del medesimo anno le locali imposte sui redditi, potrà richiedere la relativa detrazione in due diversi momenti, a seconda che alla data di presentazione del proprio Mod. 730/2015 si sia o meno verificata la definitività del predetto prelievo. In caso affermativo, tale soggetto richiederà la detrazione per le imposte assolte all'estero direttamente nel Mod. 730/2015. In caso contrario, vale a dire se le imposte assolte all'estero a fronte delle retribuzioni ricevute nel periodo d'imposta 2014 divengano definitive successivamente allo scadere del termine di presentazione del Mod. 730/2015, sarà, comunque, possibile richiedere la relativa detrazione in occasione della presentazione del Mod. 730 relativo al successivo periodo d'imposta in cui tali imposte siano divenute irripetibili (Mod. 730/2016, qualora tale irrepetibilità dovesse verificarsi successivamente alla scadenza del termine per la presentazione del Mod. 730/2015, ma prima di quella del Mod. 730/2016). Resta inteso che in tale ultima ipotesi troverà applicazione il meccanismo correttivo contemplato dall'art. 15, comma 3, secondo cpv., del TUIR secondo cui "Se l'imposta dovuta in Italia per il periodo d'imposta nel quale il reddito estero ha concorso a formare la base imponibile è stata già liquidata, si procede a nuova liquidazione tenendo conto anche dell'eventuale maggior reddito estero e la detrazione si opera dall'imposta dovuta per il periodo d'imposta cui si riferisce la dichiarazione nella quale è stata chiesta. Se è già decorso il termine per l'accertamento la detrazione è limitata alla quota dell'imposta estera proporzionale all'ammontare del reddito prodotto all'estero acquisito a tassazione in Italia". SCHEMA RIASSUNTIVO Redditi di lavoro dipendente prodotti all'estero da residenti in Italia ¾ la tassazione dei redditi di lavoro dipendente prestato all'estero è differente a seconda delle modalità con le quali si svolge il rapporto di lavoro subordinato. ¾ invero, dall'analisi delle norme in materia si evince che, a seconda della tipologia del rapporto di lavoro, possono aversi tre differenti sistemi di tassazione del reddito prodotto all'estero da parte di soggetti residenti in Italia. ¾ preliminarmente, infatti, è opportuno osservare che i soggetti residenti nel territorio italiano vengono tassati in Italia sui redditi ovunque prodotti e, quindi, le considerazioni svolte nel prosieguo valgono per quei soggetti che avendo la residenza in Italia, producono redditi di lavoro dipendente all'estero. Redditi di lavoro dipendente prestato all'estero per periodi superiori a 183 giorni 22 ¾ l'art. 51, comma 8-bis, D.P.R. 22.12.1986, n. 917 dispone che, in deroga alle norme in materia di tassazione dei redditi di lavoro dipendente contenute nel medesimo art. 51, il reddito di lavoro dipendente prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da parte di soggetti che nell'arco di 12 mesi soggiornano nello stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, si determina non in base alle retribuzioni effettivamente percepite da parte del dipendente, ma in base alle retribuzioni convenzionali definite annualmente con D.M. del ministro del lavoro e delle politiche sociali. ¾ la norma richiede, quindi, alcuni requisiti. in particolare: ¾ il lavoratore dipendente deve essere residente in Italia; ¾ il rapporto di lavoro deve prevedere in via continuativa e come oggetto esclusivo la permanenza del lavoratore nello stato estero per un periodo superiore 183 giorni nell'arco di 12 mesi; ¾ la tassazione avviene assumendo come base imponibile le retribuzioni convenzionali annualmente stabilite; ¾ in merito, si evidenzia che l'amministrazione finanziaria (C.M. 16.11.2000, n. 207/E) ha precisato che, con riferimento all'esclusività del rapporto, tale requisito risulta verificato quando il contratto di lavoro preveda che la prestazione lavorativa si realizzi esclusivamente ed integralmente all'estero. ¾ la prestazione di lavoro all'estero deve, infatti, costituire l'unica ed esclusiva mansione affidata al dipendente e non deve configurarsi come accessoria o strumentale rispetto allo svolgimento delle normali mansioni svolte in Italia; ¾ in quest'ultimo caso, infatti, il dipendente che svolge trasferte all'estero sarà tassato in base alle ordinarie norme in materia di tassazione dei redditi di lavoro dipendente e delle indennità di trasferta (art. 51, commi 5-7, D.P.R. n. 917/1986); ¾ per quanto concerne il computo dei giorni di effettiva permanenza del lavoratore all'estero, si fa presente che il periodo da considerare non necessariamente deve risultare continuativo: è sufficiente che il lavoratore presti la propria opera all'estero per un minimo di 183 giorni nell'arco di 12 mesi; ¾ secondo quanto affermato dall'amministrazione finanziaria, infatti, il legislatore, con l'espressione "nell'arco di dodici mesi" non ha inteso far riferimento al periodo d'imposta, ma alla permanenza del lavoratore all'estero stabilita nello specifico contratto di lavoro, che può anche prevedere un periodo a cavallo di due anni solari; ¾ per l'effettivo conteggio dei giorni di permanenza del lavoratore all'estero rilevano, in ogni caso, nel computo dei 183 giorni, il periodo di ferie, le festività, i riposi settimanali e gli altri giorni non lavorativi, indipendentemente dal luogo in cui sono trascorsi (C.M. n. 207/E/2000); ¾ in merito, si evidenzia che l'art. 36, comma 30, D.L. 4.7.2006, n. 223, conv. con modif. con Legge 4.8.2006, n. 248 ha previsto che il credito di imposta per le imposte pagate all'estero di cui all'art. 165, 23 D.P.R. n. 917/1986 debba essere riconosciuto solo proporzionalmente, vale dire in rapporto alla quota-parte del reddito che viene assoggettata a tassazione (C.M. 4.8.2006, n. 28/E). Lavoratori frontalieri ¾ si definisce lavoratore frontaliero (o transfrontaliero) colui che, pur essendo residente in Italia, presta attività lavorativa all'estero; ¾ si tratta, in particolare, di quei soggetti che, residenti in luoghi vicini al confine, quotidianamente si recano in uno stato estero confinante con l'Italia o in zone di frontiera per recarsi al lavoro e la sera rientrano presso la loro residenza in Italia; ¾ tale nozione è quella elaborata dalla prassi ministeriale, la quale ha individuato tali soggetti in coloro che, appunto, sono residenti in Italia e quotidianamente si recano in zone di frontiera (Francia, Austria, Slovenia, Svizzera, Repubblica di San Marino e Stato della Città del Vaticano) o paesi limitrofi (Principato di Monaco) per svolgere la prestazione di lavoro (c.m. 3.1.2001, n. 1/E); ¾ poiché nel nostro ordinamento manca una nozione di lavoratore frontaliero, la prassi ministeriale ha elaborato la definizione sopra riportata, ponendo particolare attenzione al requisito dello spostamento quotidiano del lavoratore dall'Italia ad una zona di confine con rientro nel luogo di residenza; ¾ in mancanza di tale requisito, il soggetto non può essere considerato lavoratore frontaliero e viene assoggettato a tassazione secondo le ordinarie modalità; ¾ il lavoratore frontaliero, quindi, se dal punto di vista fiscale soggiace ad un regime di tassazione derogatorio rispetto a quello ordinario di cui all'art. 51, D.P.R. n. 917/1986, dal punto di vista previdenziale e sociale è assimilato ai lavoratori dipendenti che prestano la loro attività in Italia; ¾ a norma dell'art. 38, comma 3, Legge 8.5.1998, n. 146, infatti, i lavoratori frontalieri; ¾ non possono essere considerati fiscalmente a carico di altri soggetti; ¾ i redditi da essi percepiti devono essere tenuti in considerazione ai fini delle procedure di accesso alle prestazioni previdenziali e sociali. Regime di tassazione dei lavoratori frontalieri ¾ dal punto di vista fiscale, si evidenzia che il regime di tassazione di tali soggetti è stato oggetto di modifiche; periodi di imposta 2001 e 2002: successivamente all'abrogazione della lett. c) dell'art. 3, D.P.R. n. 917/1986 (a decorrere dal periodo di imposta 2001, ex art. 5, D.Lgs. 2.9.1997, n. 314), il legislatore ha previsto: la tassazione in base alle retribuzioni convenzionali per i soggetti che lavorano all'estero per periodi superiori ai 183 giorni (art. 51, comma 8-bis, D.P.R. n. 917/1986); ¾ l'esclusione dalla base imponibile dei redditi percepiti dai lavoratori frontalieri per il periodo di imposta 2001 (art. 3, comma 2, Legge 23.12.2000, n. 388), successivamente estesa anche al periodo di imposta 2002 (art. 9, comma 23, Legge 28.12.2001, n. 448; in merito si veda la C.M. 1.2.2002, n. 15/E); 24 ¾ periodi di imposta successivi al 2002: per i periodi di imposta successivi al 2002, il regime di tassazione dei lavoratori frontalieri viene modificato prevedendo che i redditi percepiti dai lavoratori frontalieri concorrano a formare il reddito complessivo del percipiente per l'importo superiore ad euro 8.000 (art. 2, comma 11, Legge 27.12.2002, n. 289); ¾ si introduce, quindi, una franchigia al di sotto della quale vi è esclusione da imposizione; l'eccedenza concorre alla formazione del reddito complessivo secondo le ordinarie modalità di tassazione; ¾ dalla circostanza che il reddito di lavoro dipendente prestato in zone di frontiera non concorre alla formazione del reddito complessivo fino al limite di euro 8.000 deriva la conseguenza che, ai fini del calcolo dell'imposta, occorre riferirsi alle somme percepite, al netto della suddetta franchigia, e su tale importo si applicano le deduzioni (no tax area e family area per l'anno 2006) e le detrazioni di imposta (per l'anno 2007); ¾ se la tassazione è operata direttamente dal sostituto d'imposta residente, la franchigia deve essere rapportata ai singoli periodi di paga, al fine di realizzare un prelievo equilibrato nel periodo d'imposta (C.M. n. 2/E/2003) Lavoratori frontalieri operanti nello Stato della Città del Vaticano ¾ il regime di parziale tassazione subisce, tuttavia, un'eccezione: è il caso dei redditi percepiti dai lavoratori frontalieri che prestano attività nello Stato della Città del Vaticano. ¾ in tal caso l'esenzione totale dalla base imponibile del lavoratore dei redditi in questione dipende dalla natura del soggetto erogante il reddito medesimo. ¾ se il datore di lavoro è la Santa Sede, oppure altri enti centrali della Chiesa cattolica o enti gestiti direttamente dalla santa sede i redditi sono esenti in forza del disposto dell'art. 3, D.P.R. 29.9.1973, n. 601, a norma del quale le retribuzioni di qualsiasi natura, le pensioni e le indennità di fine rapporto, corrisposte dalla santa sede, dagli altri enti centrali della chiesa cattolica e dagli enti gestiti direttamente dalla santa sede ai propri dignitari, impiegati e salariati, ancorché non stabili, sono esenti dall'IRPEF; ¾ qualora il datore di lavoro sia soggetto diverso da quelli sopra indicati si applica il regime di parziale tassazione sopra esposto (com. stampa Ag. entr. 16.1.2003). Altri lavoratori dipendenti all'estero ¾ al di fuori delle ipotesi sopra esaminate, per le quali sono previsti regimi fiscali ad hoc, i redditi percepiti da parte degli altri lavoratori dipendenti che non presentano i requisiti né del lavoratore che presta attività all'estero per un periodo superiore ai 183 giorni né del lavoratore frontaliero, sono assoggettati a tassazione secondo le ordinarie modalità previste dall'art. 51, D.P.R. n. 917/1986; ¾ il riferimento è ai lavoratori dipendenti: ¾ che svolgono attività di lavoro dipendente in zone diverse da quelle di confine o paesi limitrofi al territorio italiano; 25 ¾ che non presentano i requisiti del lavoratore frontaliero, in quanto non risulta verificato il presupposto dello spostamento quotidiano dal territorio di residenza a quello di lavoro; ¾ che prestano attività di lavoro dipendente all'estero per periodi di tempo inferiori ai 183 giorni; ¾ che lavorano in Italia ma effettuano trasferte all'estero. LA DISCIPLINA CFC La norma in materia di “controlled foreign companies” prevede, in sintesi, che il reddito realizzato dalla società controllata residente in un paradiso fiscale venga imputato per trasparenza ai soci italiani. In sostanza, il legislatore ha voluto evitare che le società residenti accantonassero materia imponibile in Paesi a bassa fiscalità con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta. La disciplina in esame, presente peraltro negli ordinamenti di molti paesi europei, è entrata in vigore in Italia dal 1° gennaio 2002 e ha subito alcune modifiche nel corso degli anni. Il D.Lgs. n. 147/2015 (decreto internazionalizzazione) è intervenuto apportando importanti modifiche al regime oggetto di analisi. Il nuovo articolo 167 co. 1 stabilisce che “se un soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, il controllo di un’impresa, di una società o altro ente, residente o localizzato in Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto o al provvedimento emanati ai sensi del comma 4, i redditi conseguiti dal soggetto estero controllato sono imputati, a decorrere dalla chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato, ai soggetti residenti in proporzione alle partecipazioni da essi detenute. Tale disposizione si applica anche per le partecipazioni di controllo in soggetti non residenti relativamente ai redditi derivanti da loro stabili organizzazioni assoggettati ai predetti regimi fiscali privilegiati.” Ambito soggettivo I soggetti interessati sono tutti i soggetti passivi IRPEF e IRES (indipendentemente dal fatto che siano o meno titolari di reddito d’impresa) ad esclusione dei soggetti non residenti. In dettaglio, rientrano nell’ambito di applicazione della normativa CFC: • • • • le persone fisiche residenti; le società di capitali, le società cooperative e di mutua assicurazione residenti; gli enti commerciali e non commerciali residenti; le società di persone e gli altri soggetti previsti dall’articolo 5 del TUIR. Per quanto riguarda la definizione di controllo la norma fa riferimento all’art.2359 del c.c. Pertanto, sono considerate società controllate ai fini dell’applicazione della disciplina CFC: • le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (cosiddetto controllo di diritto); ai fini dell’individuazione di tali voti si computano anche i voti 26 • • spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a interposta persona, mentre non si computano i voti spettanti per conto di terzi; le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria (cosiddetto controllo di fatto); ai fini dell’individuazione di tali voti si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a interposta persona, mentre non si computano i voti spettanti per conto di terzi; le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa (cosiddetto controllo in base a vincoli contrattuali). Attenzione La relazione ministeriale al regolamento attuativo (D.M. 21 novembre 2001 n. 429) ha specificato che “ai fini dell’imputazione del reddito, oltre al controllo è necessaria una, seppur minima, partecipazione all’utile dell’impresa estera da parte del soggetto italiano” e la verifica della sussistenza del controllo rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato. Per quanto riguarda le persone fisiche l’art.1, comma 3, D.M. 21 novembre 2001, n. 429, ha specificato che, ai fini della determinazione del requisito del controllo, si deve tener conto anche dei voti spettanti ai familiari di cui all’art.5, comma 5, ossia il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado. Come si evince dal dato normativo il controllo può essere esercitato indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona. Il riferimento ai Paesi a fiscalità privilegiata A partire dal 2008 l’art. 167 del TUIR per definire i Paesi a fiscalità privilegiata ha fatto riferimento agli Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis. L’art. 168-bis è stato introdotto, nel nostro ordinamento, con la Finanziaria 2008 che ha innovato il mondo delle black e white list razionalizzando e semplificando il sistema. Il citato articolo individua due nuove categorie di Paesi virtuosi: • gli Stati che garantiscono un adeguato scambio di informazioni (comma 1); • gli Stati che oltre a garantire un adeguato scambio di informazioni, sono caratterizzati da un livello di tassazione adeguato (comma 2). I paradisi fiscali sono stati quindi sostituiti dall’elenco di Stati individuati sulla base dello scambio di informazioni e del livello di tassazione. La Finanziaria ha inoltre modificato le norme che facevano riferimento a vecchie white o black list per collegarle al nuovo art. 168-bis. Il decreto previsto dall’art. 168-bis, tuttavia, non è mai stato emanato; di conseguenza, per individuare i paradisi fiscali si è sempre dovuto far riferimento al D.M. 21 novembre 2001 definita la “black list CFC”. Con il passare degli anni, tuttavia, il mutato scenario internazionale richiedeva 27 un aggiornamento delle black e white list in vigore. Il D.M. 27.7.2010, ha tamponato la situazione escludendo Malta, Cipro e la Corea del Sud dalla black list e inserendo la Lettonia nella white list del 1996. La disciplina ha poi subito importanti modifiche ad opera della Legge di Stabilità 2015. La legge n. 190/2014, infatti, ha modificato i criteri di valutazione dei Paesi paradisiaci che determinano l’applicazione della tassazione per trasparenza. Il comma 680 della Legge di stabilità 2015 ha introdotto un nuovo comma 4 dell’art. 167 secondo cui si considera livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia un livello di tassazione inferiore al 50% di quello applicato in Italia. Ci sono Paesi come Singapore, Hong Kong, la Malaysia e le Filippine che presentano un livello impositivo più alto rispetto al 13,75%. Per prevenire facili comportamento fraudolenti, il comma 4 prevede altresì che si considerano in ogni caso privilegiati i regimi fiscali speciali che consentono un livello di tassazione inferiore al 50% di quello applicato in Italia, ancorché previsti da Stati o territori che applicano un regime generale di imposizione non inferiore al 50% di quello applicato in Italia. E’ evidente che un Paese con aliquota elevata potrebbe prevedere regimi particolari che permetterebbero di eludere la norma. Sarà compito di un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate fornire un elenco non tassativo dei regimi fiscali speciali. Il provvedimento non contiene una black list ma una solo un insieme di regimi fiscali particolarmente ridotti. La nuove previsioni entrano in vigore a partire dal 2015. Successivamente, è stato emanato il Provvedimento del 30 marzo 2015 che è intervenuto modificando il D.M. 21.11.2001 e, da un lato, abrogando l’art. 3 relativo ai Paesi buoni che risultavano paradisiaci solo per alcune strutture, dall’altro eliminando dall’art. 1 Filippine, Malaysia e Singapore. L’eliminazione dell’art. 3 fa uscire la Svizzera dalla black list ma il Paese vi rientrerà probabilmente in forza del Provvedimento previsto dal comma 4. Il decreto del 30 marzo, inoltre, segnava l’ormai imminente declino della white list di cui all’art. 168-bis in quanto era intervenuto sulla black list di cui al D.M. 21.11.2001 confermandone di fatto la sua non abolizione. Infine, il D.Lgs. n. 147/2015 ha definitivamente abrogato l’art. 168-bis per cui la emananda white list che attendevamo viene di fatto abortita prima della nascita. I riferimenti normativi sono legati all’art. 168-bis dove si distinguono: • i Paesi che scambiano le informazioni in modo adeguato (comma 1); • i Paesi che oltre a scambiare le informazioni in modo adeguato prevedono anche un adeguato livello impositivo (comma 2). L’art. 10 del decreto stabilisce che i riferimenti del primo tipo vanno ora fatti all’art. 11 comma 4 lettera c) del D.Lgs. n. 239/1996 dove si prevede l’emanazione di una nuova white list. In attesa della sua emanazione si farà presumibilmente riferimento alla white list di cui al D.M. 4.9.1996. Quando le norme richiamano la seconda casistica, il riferimento andrà fatto al decreto emanato ai sensi del comma 4 dell’art. 167 (attualmente il D.M. 21.11.2001). Esimenti e interpello facoltativo 28 Il quinto comma dell’art. 167 prevede che le disposizioni in materia di “controlled foreign companies” non vengano applicate se il soggetto residente dimostra alternativamente che: a) la società, o altro ente non residente, svolge un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello Stato o territorio di insediamento; b) che dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori sottoposti a regimi fiscali privilegiati di cui al comma 4. L’art. 5 comma 3 del decreto ministeriale 21 novembre 2001 n. 429 prevede che il soggetto controllato debba svolgere un’effettiva attività commerciale ai sensi dell’art. 2195 del codice civile, come sua principale attività nello Stato o nel territorio con regime fiscale privilegiato; inoltre, deve possedere una struttura organizzativa idonea allo svolgimento della citata attività oppure alla sua autonoma preparazione e conclusione. In alternativa, il soggetto residente può disapplicare la normativa in esame quando riesce a dimostrare che il reddito realizzato dalle entità controllate è realizzato e tassato in maniera ordinaria, in Paesi a fiscalità non privilegiata, per almeno il 75% dell’ammontare. L’ultimo periodo del quinto comma dell’art. 167 prevedeva che il contribuente, per poter disapplicare la normativa sulle CFC, dovesse interpellare preventivamente l'Amministrazione Finanziaria, ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n.212 recante lo Statuto dei diritti del contribuente. A seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. 147/2015: • il riferimento all’art. 168–bis viene modificato e sostituito con i Paesi paradisiaci individuati dal comma 4; • la presentazione dell’interpello è diventata facoltativa. Le due cause esimenti sono alternative nel senso che è sufficiente dimostrare il soddisfacimento della condizione di cui alla lettera a) o b) per ottenere la disapplicazione della tassazione per trasparenza. Ai fini della disapplicazione della disciplina CFC la norma prevedeva che l’impresa, l’ente o la società non residente svolgesse un’attività commerciale effettiva quale attività principale nel Paese dove è collocata. Al fine di dimostrare l’effettivo esercizio dell’attività commerciale, il provvedimento attuativo attribuisce rilievo alla struttura organizzativa e, in particolare, all’idoneità di questa allo svolgimento dell’attività principale oppure allo svolgimento di attività che ne sono, in via autonoma, preparatorie o conclusive. In sostanza, alla luce del regolamento, sembra potersi affermare che quello che conta è la presenza di un struttura organizzata (locali, dipendenti, beni strumentali utilizzati, ecc.). Ai fini di dimostrare l’esistenza dei presupposti per la disapplicazione della norma l’istanza di interpello dovrebbe includere una relazione descrittiva della struttura organizzativa dedicata allo svolgimento della attività principale con una adeguata documentazione di supporto (normative e delibere disciplinanti gli organi sociali e la loro attività, contratti di lavoro, descrizione delle 29 mansioni svolte dai dipendenti di qualifica più elevata, autorizzazioni delle autorità locali, disponibilità di locali ad uso civile o industriale, utenze). Il co. 5 dell’art. 167 è stato modificato dall’art. 13, comma 1, lett. a), D.L. 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni dalla L. 3 agosto 2009 n.102 inserendo il riferimento al mercato dello stato o territorio di insediamento. La C.M. n.51/E del 6 ottobre 2010 ha precisato che per invocare la prima esimente la disponibilità in loco da parte della società estera di una struttura organizzativa idonea – richiesta dall’articolo 5, comma 3, del D.M. 21 novembre 2001, n. 429 – è condizione necessaria, ma può risultare non sufficiente. Infatti, la disponibilità di una struttura organizzativa idonea dimostra unicamente la presenza fisica della partecipata estera nel territorio ospitante e non anche che quest’ultima svolge effettivamente in loco un’attività industriale o commerciale. Per radicamento deve intendersi il legame economico e sociale della CFC con il Paese estero e, quindi, “[…] la sua intenzione di partecipare, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato […] diverso dal proprio e di trarne vantaggio” (Sentenza Corte di Giustizia 12 settembre 2006, C-196/04, punto 53, c.d. sentenza Cadbury Schweppes)”. Inoltre, il riferimento al “mercato” è normalmente da intendersi come collegamento al mercato di sbocco o al mercato di approvvigionamento. Pertanto, la circostanza che la CFC non si rivolge al mercato locale né in fase di approvvigionamento, né in fase di distribuzione, costituisce un indizio del mancato esercizio da parte della stessa di un’effettiva attività commerciale nel territorio di insediamento. Attenzione Il comma 5-bis stabilisce che la previsione di cui alla lettera a) del comma 5 non si applica qualora i proventi della società o altro ente non residente provengono per più del 50% dalla gestione, dalla detenzione o dall’investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica, nonché dalla prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l’ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l’ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari. La seconda ipotesi indicata dal regolamento prevede, invece, che la disciplina CFC possa essere disapplicata quando i redditi conseguiti dal soggetto non residente siano stati prodotti per almeno il 75% in Stati inclusi nella white list, e a condizione che il paese della fonte li abbia assoggettati integralmente a tassazione ordinaria. Il D.Lgs. n. 156/2015 ha introdotto importanti modifiche all’istituto dell’interpello. In particolare, dopo aver precisato che l’interpello può essere presentato “per ottenere una risposta riguardante fattispecie concrete e personali”, i commi 1 e 2 dell’art. 1 del d.lgs. 156/2015 individuano le seguenti 4 tipologie di interpello: • interpello ordinario; • interpello probatorio; • interpello anti abuso; • interpello disapplicativo. Tra le principali novità si evidenzia come il Legislatore abbia esteso a tutte le tipologie di interpello il c.d. “silenzio assenso” che si configura in caso di 30 mancata risposta entro i predetti termini. Con riguardo alla risposta fornita è previsto che la stessa è scritta e motivata e vincola “ogni organo della amministrazione” con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente. Qualora l’Amministrazione non riesca a fornire risposta all’istanza sulla base dei documenti ad essa allegati, la stessa può richiedere all’istante, una sola volta, l’integrazione di quanto presentato. In tale ipotesi la risposta è resa entro 60 giorni dalla ricezione della documentazione integrativa. Determina la rinuncia all’istanza la mancata presentazione, entro 1 anno, da parte del contribuente della documentazione integrativa. Tassazione del reddito imputato I redditi del soggetto non residente, imputati ai sensi del comma 1, sono assoggettati a tassazione separata con l’aliquota media applicata sul reddito complessivo del soggetto residente e, comunque, non inferiore al 27%. I redditi sono determinati in base alle disposizioni applicabili ai soggetti residenti titolari di reddito d’impresa ad eccezione dell’articolo 86, comma 4. Dall’imposta così determinata sono ammesse in detrazione, ai sensi dell’articolo 15, le imposte pagate all’estero a titolo definitivo. Il comma 7 prevede che gli utili distribuiti, in qualsiasi forma, dai soggetti non residenti di cui al comma 1 non concorrono alla formazione del reddito dei soggetti residenti fino all’ammontare del reddito assoggettato a tassazione, ai sensi del medesimo comma 1, anche negli esercizi precedenti. Le imposte pagate all’estero, sugli utili che non concorrono alla formazione del reddito ai sensi del primo periodo del presente comma, sono ammesse in detrazione, ai sensi dell’articolo 15, fino a concorrenza delle imposte applicate ai sensi del comma 6, diminuite degli importi ammessi in detrazione per effetto del terzo periodo del predetto comma. base secondo cui i dividendi paradisiaci, in assenza della tassazione per trasparenza, sono tassati sul 100% dell’importo ma viene introdotta una nuova forma di credito di imposta sconosciuto nella disciplina attualmente in vigore. Esaminiamo di seguito le interessanti novità. La tassazione integrale dei dividendi paradisiaci viene confermata anche nella nuova versione dell’art. 47 comma 4; tuttavia, Si tratta di una soluzione tutto sommato accettabile anche in considerazione del fatto che il D.M. 30.3.2015 ha espunto l’art. 3 del D.M. 21.11.2001 in cui erano inseriti i Paesi ordinariamente white list ma considerati paradisiaci in ragione di qualche particolare struttura6. I dividendi sono tassati integralmente non se corrisposti immediatamente dalle società paradisiache ma anche solo se provenienti dalle stesse. In questo modo si vuole evitare che il contribuente usi una società conduit, magari comunitaria ma con una disciplina cfc più permissiva della nostra, per beneficiare della minor tassazione nel nostro Paese. Sotto questo profilo la disciplina non segna un punto di stacco rispetto al passato, ma la norma ora indugia in modo più chiaro nel descrivere cosa si intende per dividendi “provenienti”. Si stabilisce, infatti, che “a tali fini, si considerano provenienti da società residenti in Stati o territori a regime privilegiato gli utili relativi al possesso di partecipazioni dirette in tali società o di partecipazioni di controllo anche 31 di fatto, diretto o indiretto, in altre società residenti all’estero che conseguono utili dalla partecipazione in società residenti in Stati o territori a regime privilegiato e nei limiti di tali utili.” Pertanto, i dividendi che provengono da veicoli intermedi possono essere tassati integralmente ma nei limiti in cui giungono da paradisi fiscali ben potendo, infatti, gli stessi arrivare anche dalla attività della società intermedia non paradisiaca. Chiariremo meglio con un esempio. Il contribuente ha inoltre la possibilità di beneficiare della tassazione limitata al 5% dell’ammontare dei dividendi come se avesse ottenuto una risposta favorevole all’interpello con l’esimente di tipo b) rafforzata, pur in presenza di risposta negativa o di mancata presentazione dell’interpello. Può, infatti, accadere che non venga presentato interpello o che lo stesso abbia avuto esito sfavorevole. Il contribuente può comunque invocare la tassazione agevolata ritenendo ovviamente di possedere i requisiti, ma deve segnalare tali dividendi nel modello unico in quanto si tratta di una componente altamente sensibile. La mancata segnalazione viene sanzionata ai sensi dell’art. 8 comma 3-ter del D.Lgs. n. 471/1997. L’analisi del comma 3 ter dell’art. 8 del D.Lgs. n. 471/97 viene rinviata ad un successivo paragrafo. Una disciplina del tutto analoga è contenuta anche nell’art. 89 in relazione al comparto IRES. Proviamo ad ipotizzare un esempio concreto dove il Paese estero paradisiaco presenta un livello impositivo del 13% ed è incluso nella black list di cui al D.M. 21.11.2001 oppure nel Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate da emanare. Rappresentiamo di seguito la situazione con le regole previgenti. Nella colonna di sinistra si illustra il caso in cui il contribuente non ha presentato l’interpello ed ha accettato la tassazione per trasparenza. L’Ires netta in Italia è 145 ossia 275 - 130 in quanto viene concesso il credito a fronte delle imposte pagate all’estero. Nella colonna di destra, invece, si ottiene risposta favorevole all’interpello con l’esimente di tipo a) per cui si evita la tassazione per trasparenza. La successiva distribuzione dei dividendi, tuttavia, non permette di beneficiare del credito per le imposte estere e ciò comporta un livello di tassazione elevato. Paradiso fiscale Reddito 1.000 Imposta 130 13,00% Utile netto 870 Assenza di interpello o Interpello lett. a) Vediamo di seguito cosa accade con le nuove regole. La prima colonna a sinistra non presenta novità rispetto all’esempio precedente per cui il livello impositivo rimane il 27,5%. Le cose cambiano se dobbiamo tassare i dividendi. Come si evince dalla tabella, anche in ipotesi di tassazione dei dividendi l’effetto discorsivo viene eliminato. risposta negativa favorevole Italia Reddito imputato per trasparenza 1.000 0 Ires netta 145 0 Dividendo 870 870 Ires 0 27,50% 239 tassazione complessiva 275 369 Paradiso fiscale Reddito 1.000 Imposta 130 13,00% Utile netto 870 Interpello lett. a) favorevole Italia Reddito imputato per trasparenza 0 Ires 0 Dividendo 870 Credito imposta 130 Dividendo lordo 1.000 ires lorda 275 27,50% credito imposta 130 ires netta 145 L’art. 3 comma 4 D.Lgs. 147/2015 in materia di dividendi stabilisce che “Le disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché agli utili distribuiti ed alle plusvalenze realizzate a decorrere dal medesimo periodo di imposta. Per tali utili e plusvalenze il 32 credito d'imposta previsto dal presente articolo è riconosciuto per le imposte pagate dalla società controllata a partire dal quinto periodo d'imposta precedente a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Anche nel caso delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni paradisiache vale la regola della tassazione integrale. Per beneficiare della tassazione limitata al 49,72% (o al 5%) è necessario presentare un interpello dimostrando la clausola esimente di cui alla lettera b) rafforzata ottenendo una risposta favorevole, oppure essere semplicemente convinti della possibilità di dimostrare l’esimente in sede di verifica ed evidenziando gli importi nel modello unico. Infatti, analogamente al caso dei dividendi, la risposta negativa all’interpello o la mancata presentazione dello stesso non costituiscono una preclusione alla tassazione agevolata ma il contribuente deve dare evidenza della partecipazione in sede di unico, pena l’applicazione della sanzione di cui all’art. 8 comma 3 ter del D.Lgs. 471/1997. Nell’art. 68 è inoltre inserito un nuovo comma 4 bis che analogamente a quanto previsto per i dividendi, concede un credito di imposta nel caso in cui il contribuente eviti la tassazione per trasparenza invocando l’esimente di tipo a). In questo caso la plusvalenza sarà tassata integralmente ma verrà concesso un credito a fronte delle imposte assolte dalla società partecipata sugli maturati durante il periodo di possesso della partecipazione in proporzione delle partecipazioni cedute e nei limiti dell’imposta italiana corrispondente. Questo credito potrebbe sovrapporsi con quello dei dividendi. Viene quindi previsto che lo stesso non può essere concesso per la quota già sfruttata in occasione della tassazione dei dividendi. Anche in questo caso, ai fini del computo dell’imposta, il credito viene portato in aumento. Una disposizione del tutto analoga si applica anche alle plusvalenze generate in regime Ires. Il meccanismo del credito di imposta è infatti contemplato sia nell’art. 86 che nell’art. 87 del tuir. Per quanto concerne l’art. 87 si segnala che in analogia all’art. 68 è possibile beneficiare dell’esenzione sulla plusvalenza anche se non si ottiene la risposta positiva all’interpello di cui alla lettera b) potenziato. In questo caso il provento deve trovare idonea segnalazione nel modello unico, pena l’applicazione della sanzione prevista nell’art. 8 comma 3 ter del D.Lgs. 471/97. Il nuovo comma 3 ter dell’art. 8 del D.Lgs. 471/97 stabilisce che la mancata indicazione nel modello unico dei dividendi o delle plusvalenze che, essendo connesse a partecipazioni paradisiache avrebbero dovuto essere tassate integralmente ma che il contribuente ritiene di tassare in modo ordinario, è colpita con una sanzione amministrativa pari al 10% dell’ammontare con un minimo di mille euro ed un massimo di 50 mila euro. Si tratta di una impostazione simile a quella prevista per il regime di indeducibilità dei costi paradisiaci di cui all’articolo 110 co. 10 e seguenti del tuir. DIVIDENDI PROVENIENTI DA PARADISI FISCALI I dividendi provenienti da un soggetto residente in uno Stato o territorio a fiscalità privilegiata sono imponibili nella misura del 100%. 33 L’art. 47, comma 4, del TUIR, prevede che “concorrono integralmente alla formazione del reddito imponibile gli utili provenienti” da società residenti in territori o Stati considerati a fiscalità privilegiata. Per l’applicazione del principio alle imprese, a tale disposizione rimandano anche gli artt. 59 e 89 del TUIR. Alla disciplina citata si affianca quella che prevede l’imputazione per trasparenza dei redditi prodotti da società estere controllate o collegate che risiedono in Stati a fiscalità privilegiata (c.d. “disciplina CFC”). A tal riguardo, ai sensi di quanto previsto dal comma 4 del novellato articolo 167 del Tuir, “si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori…in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, della mancanza di un adeguato scambio di informazioni ovvero di altri criteri equivalenti”. In particolare, la citata norma considera sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia un livello di tassazione sotto il 50%. Ai sensi del comma 88 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2007 n. 244, in vigore dal 1° gennaio 2008, il riferimento della white list si applicherà a decorrere dal periodo di imposta che inizia successivamente alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Ministero dell’Economia e delle finanze da emanare ai sensi dell’art. 168-bis del TUIR; fino al periodo d’imposta precedente (e, quindi, tuttora) continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti al 31 dicembre 2007, ovvero si fa riferimento alla “black list” di cui al D.M. 21 novembre 2001.Per effetto della modifica introdotta dal citato comma 4 dell’articolo 167 del Tuir, sarà necessario modificare tale D.M. con l’eliminazione dalla “Black List” di alcuni Paesi con aliquota generale delle imposte sui redditi almeno pari al 13,75% (50% dell’aliquota IRES). il riferimento non è più alla white list da emanarsi ai sensi dell’art. 168-bis del TUIR ma al decreto ministeriale e al provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate da emanare ai sensi del comma 4 dell’art. 167 del TUIR. Si noti come il dividendo sia considerato paradisiaco anche se il Paese estero non è incluso nella black list ma solo nel Provvedimento da emanarsi ad opera del Direttore dell’Agenzia delle Entrate. Criterio della “provenienza” Secondo l’art. 47, comma 4, del TUIR “concorrono integralmente alla formazione del reddito imponibile gli utili provenienti” da società residenti in territori o Stati considerati a fiscalità privilegiata. L’assoggettamento degli utili “provenienti” da Stati a fiscalità privilegiata è finalizzato alla tassazione degli utili direttamente corrisposti da società residenti in Stati a fiscalità “ordinaria”, ma che si sono originati in uno Stato a fiscalità privilegiata. Secondo l’Agenzia delle entrate (Circ. 4.8.2006 n. 28/E), nelle ipotesi di sub-holding intermedie “white list” che siano di fatto qualificabili alla stregua di mere conduit companies (società allo scopo interposte al fine di beneficiare di regimi fiscali favorevoli la cui attività consiste nella mera gestione di partecipazioni), tale principio è applicabile all’intero utile, che si considera prodotto in Stati a fiscalità privilegiata. Attenzione 34 I dividendi sono tassati integralmente non se corrisposti immediatamente dalle società paradisiache ma anche se solo provenienti dalle stesse. In questo modo si vuole evitare che il contribuente usi una società conduit, magari comunitaria ma con una disciplina CFC più permissiva della nostra, per beneficiare della minor tassazione nel nostro Paese. Sotto questo profilo la disciplina non segna un punto di stacco rispetto al passato, ma la norma ora indugia in modo più chiaro nel descrivere cosa si intende per dividendi “provenienti”. Si stabilisce, infatti, che “a tali fini si considerano residenti in Stati o territori a regime privilegiato gli utili relativi al possesso di partecipazioni dirette in tali società o di partecipazioni di controllo anche di fatto, diretto o indiretto, in altre società residenti all’estero che conseguono utili dalla partecipazione in società residenti in Stati o territori a regime privilegiato e nei limiti di tali utili”. Estensione del regime alle società conduit “figlie” Il descritto regime di imposizione integrale si applica anche nel caso di dividendi distribuiti da società conduit “figlie” – ai sensi della c.d. direttiva “madre-figlia” – della società italiana che percepisce i dividendi, posto che la direttiva citata “non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi” (Cfr. circ. Agenzia delle Entrate 6.10.2010 n. 51/E). In altri termini, ai fini della disapplicazione del regime di imposizione integrale dei dividendi distribuiti da una conduit figlia UE, “provenienti” in tutto o in parte da Paesi a fiscalità privilegiata, l’analisi specifica di ogni singolo caso si baserà sulla circostanza che la partecipazione nel soggetto localizzato nello Stato o territorio a fiscalità privilegiata non sia detenuta tramite la società figlia allo scopo di evitare artificiosamente che i redditi siano tassati in maniera congrua. Tale analisi deve essere condotta anche per gli utili distribuiti in misura eccedente rispetto a quella già oggetto di imputazione per trasparenza attraverso l’applicazione del regime CFC (Cfr. circ. Agenzia delle Entrate 6.10.2010 n. 51/E). Ricostruzione della provenienza degli utili mediante supporto documentale La circ. n. 51/2010 osserva come, in mancanza di un principio generale che regoli la distribuzione, l’utilizzo, la ricostituzione o la ripartizione delle riserve, la società conduit deve fornire al socio residente la documentazione utile per dimostrare la provenienza degli utili. In base a tale ricostruzione analitica della provenienza degli utili distribuiti: • per gli utili provenienti da territori o Stati a fiscalità privilegiata, si rende applicabile il regime di imposizione integrale; • per gli utili non provenienti da territori o Stati a fiscalità privilegiata, si rende applicabile il regime di imposizione parziale. Presunzione di provenienza degli utili da Stati “black list” Secondo l’Agenzia, in mancanza di adeguato supporto documentale da parte del contribuente si presumono distribuiti al socio italiano, in via prioritaria e fino a concorrenza, gli utili di provenienza black list. Analogo 35 criterio va applicato nel caso in cui oggetto di distribuzione siano poste patrimoniali formate con utili pregressi. Partecipazioni di controllo o collegamento e regime CFC Nel caso di partecipazioni che superano le soglie di controllo o collegamento si applica il regime di cui agli artt. 167 e 168 del TUIR (c.d. “disciplina CFC”). Pertanto, i redditi vengono imputati al socio per trasparenza e sono tassati separatamente, mentre gli utili successivamente distribuiti non concorrono alla formazione del reddito del soggetto italiano per la quota corrispondente all’ammontare dei redditi imputati per trasparenza. Disapplicazione della disciplina CFC La tassazione per trasparenza ex art. 167 o 168 del TUIR non trova applicazione a seguito dell’avvenuta dimostrazione: • che la società o altro ente non residente svolga un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello Stato o territorio di insediamento (c.d. “radicamento”); per le attività bancarie, finanziarie e assicurative quest’ultima condizione si ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento (art. 167, comma 5, lett. a) del TUIR); • ovvero che dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati a fiscalità privilegiata (art. 167, comma 5, lett. b) del TUIR). Per radicamento (i.e. collegamento con il “mercato dello stato o territorio di insediamento”) deve intendersi il legame economico e sociale della CFC con il Paese estero e, quindi, “…la sua intenzione di partecipare, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato … – (omissis) – diverso dal proprio e di trarne vantaggio” (Cfr. circ. Agenzia delle Entrate 6.10.2010 n. 51/E). Test della prevalenza dei passive income Per effetto dell’introduzione nell’art. 167 del TUIR del comma 5-bis, la prima esimente non può essere invocata qualora i proventi (ordinari e straordinari) di detta società o ente non residente per più del 50% derivano dalla: • gestione, detenzione o investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie (es. dividendi, plusvalenze, interessi attivi, commissioni); • dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica (es. royalties); • dalla prestazione di servizi infragruppo, ivi compresi i servizi finanziari (es. servizi di contabilità, di tesoreria accentrata o di consulenza). Tale disposizione è finalizzata a contrastare le politiche di delocalizzazione dei passive income attuate mediante la collocazione, in Paesi a fiscalità privilegiata, degli asset produttivi di detti redditi. In sostanza, in presenza di proventi derivanti da passive income superiori al 50% del totale, l’esame dell’Amministrazione finanziaria sarà diretto a verificare non solo la sussistenza degli elementi normalmente rilevanti ai 36 fini della disapplicazione della disciplina CFC per il ricorrere della prima esimente (i.e. effettività sostanziale della struttura estera e dell’attività dalla stessa svolta nel mercato dello Stato o territorio di insediamento), ma anche la mancanza – nel caso specifico – di intenti o effetti elusivi finalizzati alla distrazione di utili dall’Italia verso Paesi o territori a fiscalità privilegiata (ossia, occorrerà una prova “rafforzata” della prima esimente). Dimostrazione della seconda esimente Per evitare la tassazione integrale sui dividendi non è sufficiente ottenere una risposta positiva ad un qualsiasi interpello CFC essendo, ora come in passato, richiesta l’esimente di tipo b). Inoltre, nel contesto di un interpello di cui alla lettera b) si deve dimostrare la sussistenza delle condizioni di cui alla lettera c) dell’art. 87 comma 1. La lettera c) prevede che la tassazione integrale non opera se si è dimostrato che la partecipazione, sin dall’inizio del periodo di possesso, non ha comportato la localizzazione dei redditi nel paradiso fiscale. Si evidenzia come l’interpello non sia più obbligatorio come in passato. Qualora il contribuente ottenga la disapplicazione della tassazione per trasparenza in base all’esimente di tipo a) ossia per lo svolgimento di una effettiva attività industriale o commerciale nello stato o territorio di insediamento, la tassazione integrale sui dividendi appare inevitabile ma è ora previsto un credito di imposta che viene attribuito con le seguenti modalità. Il credito di imposta è concesso a fronte delle imposte assolte dalla società partecipata sugli utili maturati durante il periodo di possesso della partecipazione in relazione agli utili conseguiti e nei limiti della tassazione di tali utili connessa all’imposta italiana. Ai fini dell’applicazione dell’imposta il credito di imposta è computato in aumento del reddito complessivo. Le modalità applicative presentano indubbie analogie con il meccanismo del credito di imposta in vigore in ambito domestico fino al 2003. Si tratta di un intervento di notevole importanza, in quanto elimina un fenomeno distorsivo noto agli operatori del settore che penalizzava eccessivamente il contribuente italiano che aveva una partecipazione paradisiaca con un discreto livello impositivo qualora questo evitasse la tassazione per trasparenza attraverso la presentazione dell’interpello con l’esimente di tipo a). Ai fini della dimostrazione dell’esimente di cui alla lett. b) rileva, in particolare, che i redditi conseguiti dal soggetto non residente siano prodotti in misura non inferiore al 75% in altri Stati o territori white list. Tale circostanza ricorre quando la CFC abbia prodotto direttamente redditi di fonte estera, in misura non inferiore al 75% del totale, tramite, ad esempio, una stabile organizzazione o in virtù del possesso di cespiti immobilizzati, localizzati e sottoposti a tassazione fuori dagli Stati o territori a fiscalità privilegiata. Con la citata Circ. n. 51/E, l’Amministrazione finanziaria ha riconosciuto che, ai fini del riconoscimento dell’esimente in esame, può assumere rilevanza il carico fiscale complessivamente gravante sul gruppo societario in relazione ai redditi prodotti da una CFC appartenente al medesimo gruppo. In particolare, la ratio della disposizione in esame va considerata in linea di principio soddisfatta quando il tax rate effettivo 37 “complessivamente scontato” sui redditi prodotti dalla controllata risulti congruo rispetto al livello di imposizione fiscale effettiva che l’utile della CFC avrebbe subito in Italia. In altri termini, in caso di catene societarie che coinvolgano più Paesi, la suddetta condizione può considerarsi rispettata quando l’imposizione effettivamente gravante sull’utile ante imposte della controllata sia in linea con l’imposizione italiana, a prescindere dal luogo in cui il reddito si considera prodotto e dallo Stato (o Stati) in cui avviene detta tassazione. Ciò si verifica, ad esempio, in fattispecie dove c’è una Holding localizzata in un paradiso fiscale, direttamente controllata da una società italiana, che detiene esclusivamente partecipazioni in società operative situate in Paesi white list, tassate in via ordinaria nei rispettivi Stati di localizzazione. In aggiunta alla condizione del tax rate effettivo, per l’Amministrazione finanziaria assume rilievo la possibilità di verificare la sistematica distribuzione verso l’Italia dell’utile proveniente dalla CFC, che, secondo quanto chiarito nella citata circ. 51/E, da un lato rafforza la dimostrazione della carenza di intenti elusivi, dall’altro immette l’utile prodotto dalla CFC in circuiti totalmente accessibili all’Amministrazione finanziaria italiana ai fini dell’acquisizione delle relative informazioni. Accoglimento dell’istanza Nel momento in cui l’interpello è accolto, vengono disapplicate le disposizioni che prevedono la tassazione per trasparenza e gli utili tornano, pertanto, ad essere imponibili secondo gli ordinari criteri di cassa, con tassazione “piena”. Gli artt. 47 co. 4 e 89, comma 3, del TUIR prevedono, tuttavia, l’esclusione dal reddito (nelle misure del 50,28% o del 95%) degli utili percepiti, laddove non sia stato conseguito, sin dall’inizio del periodo di possesso, l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a fiscalità privilegiata (art. 167, comma 5, lett. b) del TUIR). Pertanto, il quadro che ne deriva è il seguente: • se si dimostra soltanto l’esimente di cui all’art. 167, comma 5, lett. a) del TUIR: 1. è possibile disapplicare l’imputazione per trasparenza dei redditi della partecipata residente in un Paese a fiscalità privilegiata; 2. i dividendi erogati dal soggetto residente in un Paese a fiscalità privilegiata risultano, però, interamente imponibili (per cassa); • se, al contrario, viene dimostrata l’esimente di cui alla lettera b), sin dall’inizio del periodo di possesso della partecipazione, essa vale anche ai fini dell’imponibilità parziale, e non totale, degli utili. Distribuzione degli utili da parte della CFC L’art. 167 co. 7 del TUIR dispone che “gli utili distribuiti, in qualsiasi forma, dai soggetti non residenti di cui al comma 1 (le società controllate residenti in Paesi o territori black list) non concorrono alla formazione del reddito dei soggetti residenti fino all’ammontare del reddito assoggettato a tassazione, ai sensi del medesimo comma 1, anche negli esercizi precedenti”. Ne deriva che nel caso di partecipazioni che soddisfino le soglie di controllo o collegamento di cui agli artt. 167 e 168 del TUIR: 38 i redditi vengono imputati al socio per trasparenza; • gli utili successivamente distribuiti non concorrono alla formazione del reddito del soggetto italiano per la quota corrispondente all’ammontare dei redditi imputati per trasparenza. L’art. 167, comma 7, del TUIR mira ad evitare la doppia imposizione sugli utili distribuiti dalla CFC nell’ipotesi in cui il suo reddito sia stato precedentemente tassato per trasparenza in capo al socio italiano, previa rideterminazione dello stesso secondo le disposizioni fiscali italiane. L’imposizione per trasparenza del reddito della partecipata black list esaurisca il prelievo fiscale in relazione al medesimo reddito; in altri termini, se gli utili distribuiti dalla CFC originano da un reddito precedentemente tassato per trasparenza in capo al socio italiano, gli stessi non vanno nuovamente tassati in capo al medesimo soggetto. Ciò a prescindere dalla circostanza che, a seguito delle variazioni in aumento ed in diminuzione operate al fine di determinare il reddito imponibile, quest’ultimo sia superiore o inferiore all’utile dell’esercizio distribuito (Cfr. circolare 6.10.2010 n. 51/E). Utili distribuiti in misura eccedente al reddito imputato per trasparenza Con riguardo all’ipotesi in cui il reddito tassato per trasparenza sia minore dell’utile civilistico distribuibile, gli utili distribuiti dalla CFC in eccedenza rispetto all’ammontare del reddito imputato per trasparenza concorrono in misura integrale alla formazione del reddito imponibile (circ. Agenzia delle Entrate 16.3.2005 n. 10/E). Secondo la stessa circolare, infatti, “non vi è dubbio che la disciplina di cui agli articoli 47, comma 4, e 89, comma 3, del TUIR sia applicabile anche alle distribuzioni di utili che avvengono da parte delle società residenti in territori o Paesi a fiscalità privilegiata controllate o collegate per la parte che eccede gli utili già imputati ai sensi dell’articolo 167 e 168”. Tale orientamento sembra essere superato dall’interpretazione contenuta nella citata circ. n. 51/E, laddove viene riferito che se gli utili distribuiti dalla CFC originano da un reddito precedentemente tassato per trasparenza in capo al socio italiano, gli stessi non vanno nuovamente tassati in capo al medesimo soggetto. Utili provenienti da riserve pregresse all’ingresso nel regime di trasparenza Nella Circolare n. 51/E è precisato che se oggetto di distribuzione sono utili provenienti da riserve pregresse (costituite in periodi d’imposta in cui non c’è stata tassazione per trasparenza), gli stessi concorrono alla determinazione del reddito imponibile per l’intero ammontare ai sensi degli artt. 47 co. 4 e 89, comma 3, del TUIR. Di conseguenza, il soggetto percettore, il quale applica le disposizioni CFC, non potrà più operare “per masse”, ponendo a confronto il totale di quanto tassato per trasparenza con gli utili distribuiti in corso d’anno, ma si rende necessaria un’operazione di valutazione rispetto all’origine delle poste messe a confronto. Utili provenienti da partecipazioni “minoritarie” • 39 Per quanto concerne i dividendi non white list derivanti da partecipazioni che non rientrano nell’ambito di applicazione della disciplina CFC, occorre verificare se sia stata o meno provata, mediante apposito interpello, la sussistenza della causa esimente relativa alla localizzazione dei redditi conseguiti dalla partecipata estera: • in caso di esito positivo, il socio residente assoggetta a tassazione solo il 40% o 49,72% (soggetto IRPEF) o il 5% (soggetto IRES) del dividendo erogato; • in caso di esito negativo, il socio residente deve assoggettare a tassazione l’intero ammontare del dividendo erogato. Società partecipata non white list “minoritaria ” CFC • assenza di • interpello interpello negativo interpello accolto trasparenza esimente lett. a) del • assenza di • interpello interpello negativo interpello accolto tassazione per cassa per il 100% esimente esimente lett. a) del lett. b) del tassazione tassazione per per cassa il 5% o 40% per il 100% (49,72%) esimente lett. b) del tassazione tassazione per per cassa il 5% o 40% per il 100% (49,72%) 40