Intervento Diana Bracco Assonime
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Intervento Diana Bracco Assonime
Convegno “Finanziaria 2008. Prime osservazioni” 23 gennaio 2008 Intervento di Diana Bracco, Presidente Assolombarda Esattamente un anno fa, molti di noi erano qui a formulare insieme le prime osservazioni sulla Finanziaria 2007. Allora, segnalai la necessità di una semplificazione normativa radicale: meno leggi, più chiare e quindi più efficaci. Richiamai il bisogno di un quadro normativo stabile come condizione necessaria per supportare la crescita delle imprese; imprese che – non dimentichiamolo – sono il motore dello sviluppo del Paese. Paventai il rischio di un aumento dell’imposizione locale. E formulai un augurio: che si smettesse di caricare la Legge Finanziaria dei contenuti più disparati per farla tornare, finalmente, al suo ruolo originario. È passato un anno ed è arrivata una nuova Legge Finanziaria. Devo rilevare che: • il bisogno di semplificazione e di stabilità delle norme è stato soddisfatto solo in parte; • il rischio di veder crescere le imposte locali è diventato realtà; • l’auspicio di avere una Legge Finanziaria “vera” non si è realizzato. Bastano pochi numeri e un fatto a riassumere la situazione. I numeri: la Finanziaria per il 2008 è composta da 3 articoli, con oltre 1.100 commi che investono gli ambiti più diversi. Un importante quotidiano ha calcolato che le diverse amministrazioni dovranno adottare oltre 200 provvedimenti per attuarla, e che altrettanti provvedimenti attuativi della Finanziaria 2007 mancano ancora all’appello1. 1 Il Sole 24 Ore, 24 dicembre 2007. 3 Il fatto: nella Finanziaria 2008 ha trovato spazio perfino un provvedimento come la class action, che avrebbe meritato riflessioni ben più approfondite. L’inserimento improprio e frettoloso dell’azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori ha prodotto un provvedimento confuso, con molti aspetti negativi per le imprese e non poche riserve giuridiche all’orizzonte. Non entro nel merito delle tante questioni aperte, soprattutto in materia tributaria: lo hanno fatto le relazioni di questa mattina, evidenziando le modifiche normative introdotte dal legislatore e i loro effetti. Sia chiaro, non neghiamo che in questo campo la Legge Finanziaria contenga alcune indicazioni positive, ma soltanto a livello embrionale e comunque ancora accompagnate da elementi di criticità. Mi riferisco all’introduzione di istituti facoltativi basati su imposte sostitutive; alla riduzione delle aliquote nominali dell’imposta sul reddito delle società e dell’imposta regionale sulle attività produttive; alla semplificazione introdotta nella determinazione della base imponibile; all’ampliamento del credito di imposta connesso alle attività di ricerca. Ma, attenzione, siamo ancora lontani da soluzioni soddisfacenti per le imprese. La riduzione dell’aliquota nominale Ires e Irap è un segnale positivo. Ma la finanziaria allarga la base imponibile per garantire una sostanziale invarianza del gettito: quel gettito che nei primi 11 mesi del 2007, rispetto ai primi 11 mesi del 2006, è cresciuto di oltre il 28% per l’imposta sul reddito delle società, e di quasi l’8% per le entrate degli enti territoriali e locali. Sicuramente, le cause di questo incremento sono numerose; altrettanto sicuramente, una di queste cause è l’ampliamento della base imponibile introdotto dalle manovre precedenti. Anche le semplificazioni sulla determinazione della base imponibile sono un segnale positivo, a partire dalla sostituzione del complesso regime che regolava gli interessi passivi. Ma il nuovo regime, esteso a tutte le imprese, riguarda anche quelle che prima, per dimensioni o per struttura, non rischiavano di non poter dedurre parte degli interessi passivi sostenuti. Per queste imprese, e non solo per loro, il cambio di regole a partita in corso ha una forte valenza negativa e può comportare modifiche anche radicali dell’orizzonte temporale dei piani di investimento. La rilevanza fiscale attribuita ai valori civilistici è un’altra semplificazione significativa. Ma essa genera il rischio che, a scapito della certezza sulle soluzioni, il sottoporre a valutazione l’applicazione dei principi contabili possa diventare oggetto di contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria, con un probabile incremento del contenzioso, con i relativi costi per tutti, imprese e Amministrazione, e, quel che è peggio, con il mantenimento di situazioni di incertezza persino su scelte di bilancio delle singole imprese per anni. 3 Ancora, un periodo di applicazione limitato a tre anni per l’ampliamento del credito d’imposta sulla ricerca e sviluppo fatta dalle imprese è senz’altro inadeguato, in quanto questi investimenti possono avere un ritorno possibile solo nel medio-lungo periodo. Più in generale, nonostante i passi avanti, in qualche caso anche significativi, l’eccessiva pressione fiscale sulle imprese resta purtroppo un nodo strutturale che l’Italia deve risolvere alla radice, perché la rende fragile sul fronte della competitività all’interno della stessa Unione Europea. Basta pensare alle imprese del Regno Unito che sopportano oneri tributari e contributi complessivamente inferiori alla metà di quelli che gravano sulle imprese italiane! Non solo: nell’agenda politica deve entrare con urgenza l’attuazione del federalismo fiscale. Gli squilibri tra la pressione fiscale e ciò che lo Stato restituisce a Regioni come la nostra, come il Veneto o come l’Emilia Romagna sono decisamente troppo forti. Per altro, noi imprenditori, e noi Lombardi, in particolare, siamo ottimisti e tenaci. Per questo, non smetteremo di sollecitare interventi che vadano in direzione dello sviluppo delle imprese e, quindi, del Paese. E continueremo a farlo, come sempre, con fermezza, con responsabilità e con spirito costruttivo, perché è di questi interventi e del coraggio delle decisioni per realizzarli che il Paese ha bisogno. Come il coraggio di fare quanto chiedevamo al legislatore anche un anno fa: riportare la legge finanziaria al suo ruolo originario e concentrarla finalmente sulla riqualificazione della spesa. Perché l’Italia “pubblica” continua a spendere troppo, mentre potrebbe spendere meglio. Il nostro Stato, ad esempio, spende più di ogni altro paese per le pensioni2. E la scelta fatta di distribuire a pioggia l’extragettito prodotto da una congiuntura economica positiva e dalla lotta all’evasione fiscale è diventata, a posteriori, ancor meno convincente. Senza contare che il testo della Finanziaria approvato dal Parlamento risulta notevolmente appesantito di spese rispetto a quello presentato dal Governo a fine settembre: le spese complessive sono lievitate dai 10,9 miliardi del testo originario ai 16,3 miliardi della versione finale. Specie ora che ci sono segnali preoccupanti di rallentamento della crescita economica, dobbiamo risanare i conti pubblici con una convinzione e una determinazione ben più forti. 2 In Italia, le pensioni assorbono il 67,1% della spesa sociale, mentre gli altri paesi europei non si discostano dal 50%. 3