(PDF, Unknown)
Transcript
(PDF, Unknown)
Osservatorio Popai È la vita, bambola Può sembrare un’americanata, ma la minicatena American Girl Place esprime invece una straordinaria tensione creativa, capace di offrire una rappresentazione della società attraverso le bambole e il loro mondo fantastico uasi 3.800 mq di superficie, distribuiti su tre piani interamente dedicati a delle bambole non sono pochi. Il fatto ci dà però immediatamente l’idea di cosa significhi “large specialty store” per gli americani e di quanto si debba ancora imparare da quel paese in tema di commercio. Sto parlando di American Girl Place (Agp), un tem- Q po negozio da sogno per bambine e mamme d’oltreoceano che vivevano a Chicago (il punto di vendita delle foto è al 111 di East Chicago Avenue) e oggi minicatena specializzata con sedi a Los Angeles, New York, Atlanta, Dallas. Le immagini di queste pagine danno solo un’idea della coerenza con cui viene declinato il concetto di giocattolo fem- 86 • Promotion Magazine 110 ottobre 2007 minile per l’infanzia, oltre il limite, ben noto, del Barbie World. In breve per chi ha potuto studiare lo shop-in-the-shop di Barbie nel Toy-R-Us di Time Square può risultare difficile l’idea che si possa andare oltre. E invece si può. Al punto che American Girl Place rappresenta per noi un test sociologico sulla reale comprensione delle radici e delle motivazioni del di Daniele Tirelli, presidente di Popai Italia consumismo americano. Questo luogo appare, infatti, agli occhi di molti italiani, come l’americanata, l’esagerazione insultante del troppo a fronte del niente dei paesi poveri e via criticando... Tuttavia la logica di queste osservazioni è risaputa e poco convincente: l’ossessione del collezionista per la completezza, la sua attenzione smodata per il dettaglio, la deri- va psicologica che lo allontana dal mondo quotidiano con la sua imperfezione rappresenterebbero una componente infantile soggetta ad alcune turbe della personalità, almeno secondo molti psicologi. Può rivelare invece, agli studiosi di marketing come me, una straordinaria tensione creativa da cui trarre tutti qualche utile spunto. Se infatti l’oggetto d’attenzione è la bambola e il suo mondo fantastico, perché non agevolare e allargare queste pulsioni nella loro interezza? Dunque, perché non offrire una ricostruzione della storia americana, traducendola nei differenti character dell’indiana Kaya, della messicana Josefina, di Addy… ciascuna inquadrata nel contesto storico in cui è fantasiosamente vissuta e fornita di una dettagliata biografia? Perché non proporre una bambola con la gamba ingessata e sulla sedia a rotelle se può servire ad alleviare il disagio di un periodo sfortunato di una bimba? Ne discende allora il principio di declinare ogni aspetto della vita ideale della bambola stabilendo un parallelo con la vita reale di chi la possiede. Ecco allora lo spazio per le parrucchiere delle bambole, perché anche loro si spettinano e necessitano di messa in piega. E poi la boutique in cui scegliere identici vestiti. E l’ospedale delle bambole in cui rimediare agli inconvenienti spiacevoli della vita, piuttosto che decretarne la morte e per salvaguardare, in questo modo, un legame affettivo con l’oggetto rotto che è, in realtà, ben più di un oggetto. E vogliamo rinunciare al ristorante con un posto riservato anche per l’amica di plastica e in cui si può organizzare party con altre amichette? Le bambole nei loro vari character prendono poi vita nel teatro collocato al piano terra del negozio. In esso si recitano speciali musical che consentono il transfer dall’immagine della bambola all’attrice e viceversa, donandole un’effettiva personalità. Ossessivo dirà qualcuno. Stupendo dico io, perché, a parte l’ammirazione per l’anelito verso l’eccellenza che la cultura americana tipicamente persegue, questa perfezione delle rappresentazioni realizza, in veste commerciale, lo stesso fine giocoso dei burattini o dei soldatini nostrani, ormai uccisi dalle simulazioni dei game elettronici. Nata nel 1986 per un’intuizione di Pleasant Rowland, un’educatrice e scrittrice di libri per bambini, la quale nel 1983 aveva scoperto un vuoto nel mercato delle bambole diviso tra modelli puerili e fashion doll, American Girl Place appartiene, non a caso, dal 1998 alla Mattel Inc. che vi aveva scorto per tempo una minaccia potenziale ai propri modelli. Sebbene l’ispirazione iniziale, ovvero utilizzare bambole per bambine dai 7 ai 12 anni, come veicolo di conoscenza della storia e delle tradizioni americane sia stata arricchita dagli ulteriori aspetti commerciali prima menzionati, è evidente come l’impronta di un pensiero alto e raffinato costituisca una chiave interpretativa contro facili cliché. Anche il prezzo delle bambole, degli accessori e dei servizi offerti a prima vista elevato (100 dollari per bambola e accessori, 20 per la messa in piega, 18 per la colazione…) è in realtà da valutare in relazione alla bassa frequenza delle visite e rapportandolo al costo di altre forme di svago nelle grandi metropoli americane. Nei fatti Agp può collocarsi a ragione nei casi da manuale di una vera brand & shopping experience. Promotion Magazine 110 ottobre 2007 • 87