La legge del mercato - Il cineforum "Il posto delle fragole"

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La legge del mercato - Il cineforum "Il posto delle fragole"
13° film “Cineforum il posto delle fragole”22° edizione 2015-16
LA LEGGE DEL MERCATO Stéphane Brizé
Titolo originale: La loi du marché. Regia:
Stéphane Brizé. Sceneggiatura: Stéphane Brizé,
Olivier Gorce. Fotografia: Eric Dumont.
Montaggio: Anne Klotz. Scenografia: Valérie
Saradjian. Costumi: Anne Dunsford, Diane
Dussaud. Interpreti: Vincent Lindon (Thierry
Taugourdeau), Yves Ory (il consulente del centro
per l’impiego), Karine De Mirbeck (la moglie di
Thierry), Matthieu Schaller (il figlio di Thierry),
Xavier Mathieu (il collega sindacalista), Noël
Mairot (il maestro di danza), Catherine SaintBonnet (la bancaria), Productions/Arte France
Cinéma. Distribuzione: Academy Two. Durata:
93’. Origine: Francia, 2015.
I baffi di Vincent Lindon Julien Lingelser
Lo scorso primo giugno, sulla prima pagine del
quotidiano della sinistra francese «Libération», campeggiava il titolo in grasseto Le
chômage superstar (letteralmente, “la disoccupazione superstar”), con un
primissimo piano del volto – e dei baffi – di Vincent Lindon in La legge del
mercato. Confortato dal successo al botteghino del film, «Libération» vantava «uno
specchio cinematografico delle inquietudini della società francese tormentata dalla
crisi». Thierry, il disoccupato-protagonista interpretato da Vincent Lindon, trova
lavoro come vigile in un supermercato e diventa così il testimone di un’idea della
Francia (e addirittura della civiltà occidentale) stagna nel suo brodo insipido,
mescolata da un perenne stato di crisi, senza ingredienti nuovi.
Il regista Stéphane Brizé (classe 1966) ha un passato artistico piuttosto poliedrico
(un po’ attore e soprattutto regista di televisione, teatro, cortometraggi, documentari,
videoclip e lungometraggi). Col passare degli anni, intende adottare un cinema
sociale mostrando la “vera vita della vera gente”. La legge del mercato è la terza
opera di un solido sodalizio con l’attore Vincent Lindon iniziato nel 2009 sul set
della storia d’amore Mademoiselle Chambon (César del miglior adattamento
cinematografico) e proseguito nel 2012 con Quelques heures de printemps, dove un
figlio pregiudicato accompagna sua madre al suicidio assistito. In questi film Lindon
recita la parte del proletario, dell’uomo per bene squattrinato, del poveraccio
disarmato ma volenteroso – e lo fa con una sincerità ineccepibile –, non tanto in
nome di un irrefrenabile militantismo politico, quanto per appagare la sua sensibilità
e i suoi affetti naturali, già dimostrate ai tempi di Welcome (2009) di Philippe Lioret.
Qualità lodabili che non hanno lasciato indifferente la giuria dell’ultimo Festival di
Cannes (ha vinto un meritato Premio per la miglior interpretazione maschile). Senza
la presenza di Lindon nel cast, il film non avrebbe certamente avuto la stessa
risonanza. Qualcosa però sorprende. Lindon è cambiato rispetto ai primi due film del
sodalizio con Brizé. C’è qualcosa di troppo: i suoi baffi.
I baffi di Lindon, apparentemente innocui, smontano la pretesa autenticità ricercata
da Brizé. Non sono come quelli artificiali di un altro proletario, Charlot, in Tempi
moderni, che attaccava il liberalismo con l’arma della comicità; sono “veridici” ma
calcolati e seri: più semplici e dritti, in sintonia con le labbra asciutte, la barba
nascente e la forfora sulle spalle dell’attore. Una costruzione del personaggio che
allontana La legge del mercato dal documentario, facendone un film in cui seguiamo
il percorso di una vedette tra gli attori non professionisti (tutti all’altezza della loro
“parte”, del resto). La messa in scena è spoglia, il rettangolo delle inquadrature è
centrato su quello dei baffi di Lindon, spesso in piano sequenza, frontalmente. Tutto
questo per rendere il fittizio “più vero”, un po’ alla stessa stregua delle “immersioni
televisive”, quei reportage naturalistici e schematici.
Sono tanti in Francia ad aver esaltato l’umanità e il realismo del film (ma realismo
non significa realtà), tranne qualche “bastian contrario” dei «Cahiers» che ne ha
rimproverato il populismo stereotipato. Oppure la voce significativa di Laurence
Parisot, ex dirigente del Medef (una sorta di Confindustria francese), che ne ha
criticato la caricatura del mondo aziendale ma non – il fatto è particolarmente
rilevante – un’eventuale ideologia politica. Del resto, lo stesso Brizé, come in tutte
le sue opere, preferisce confondere acque già torbide e non prendere apertamente
posizione. Il suo impegno consiste semplicemente nel suscitare allo spettatore un «È
vero!», non attraverso la verità di un’emozione insospettata e creata dall’opera
cinematografica, ma grazie alla conferma dei suoi pregiudizi sulla realtà.
Brizé imbarca tutti i suoi personaggi sulla stessa nave, impiegati e padroni, ricchi e
poveri. Tutti individualisti, materialisti e irresponsabili, anche tra sfruttati, fin dalla
prima scena in cui Thierry si arrabbia con l’impiegato dell’agenzia interinale. Poi
l’umiliatore ridiventa umiliato, e così via. Solo i pochi metri quadrati
dell’appartamento familiare sono risparmiati. Il merito della messa in scena
uniforme di Brizé è di abbinarsi a quei spazi angusti e quadrati, a quelle architetture
del vuoto contemporaneo che sono gli stanzini biancastri e gli schermi accecanti.
Illustrano alla perfezione la freddezza delle relazioni e l’assenza, onnipresente nel
film, di “risorse umane”. La domanda che apre La legge del mercato, situata su una
locandina del Pôle-Emploi, recita: «Inciviltà: che cosa dice la legge?». Non dice
niente, perché – almeno nel film – non esistono né legge giusta né civiltà degna.
Esiste solo il (super)mercato e non sarà certo Brizé a disturbarlo con la cifra
dell’ironia, della satira o dell’invettiva. Come in televisione, l’umiliazione al cinema
diventa un fenomeno di moda dal quale liberare le proprie pulsioni misantrope.
Mentre la Francia sta in mezzo alla bufera terroristica, davanti agli schermi del
mondo, abbiamo bisogno di un cinema che ci aiuti a capire come riprendere contatto
con l’Altro e che non ci lasci rinchiusi a casa con la nostra umanità.
Prossimo film giovedì 4 febbraio 2016 TAXI TEHERAN di Jafar Panahi