La legge del mercato
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La legge del mercato
loro feroce quotidianità. (...) Ma è soprattutto la seconda parte, ambientata nel centro commerciale, a suscitare puro terrore: le telecamere spiano ogni gesto, il protagonista diventa un voyeur del proprio stesso dramma, i rapporti umani sono azzerati. La 'legge del mercato’ non fa prigionieri. E non sembra esserci una rivoluzione possibile o imminente, anche se siamo in Francia. Questo film è il nostro presente, forse - ahinoi - il nostro futuro. Alberto Crespi L’Unità 29 Ottobre 2015 Piacerà a quanti nella loro vita si trovano, si sono trovati, hanno paura di trovarsi nella pelle di Thierry. Stéphane Brizé è uno che racconta bene. Non sembrava dai suoi precedenti film (...). Ma qui ha calato il suo personaggio in un inferno, tanto più agghiacciante perché non c'è apparentemente «cattivo», tutti o quasi i personaggi sembrano brave persone affabili. Ma intanto ogni loro parola è una piccola spinta a Thierry verso il baratro. Un piccolo capolavoro (leggi, la sequenza che ti fa correre tanti brividi dietro la schiena) è l'entrata del cosiddetto «responsabile per le risorse umane». Una povera donna s'è suicidata. Bene, il «responsabile» è lì a dimostrare 1) che l'azienda non ne ha colpa 2) che i colleghi non debbono colpevolizzarsi («probabilmente aveva dei problemi privati»). Insomma è un quadro nerissimo del capitalismo all'inizio del secolo. (...) Certo, Brizé è bravo, ma ha trovato un fior d'interprete in Vincent Lindon, tra i migliori in Francia quando c'è da raccontare uomini qualunque inchiodati da un destino malevolo. Curiosamente, Lindon non ha molte battute. Parlano soprattutto gli altri, i possibili datori di lavoro, molto bravi (hanno fatto corsi aziendali?) a inzuccherare la pillola amara del rifiuto. Loro parlano, ma Lindon domina la scena come un pugile bombardato da una serie infinita di colpi. Maurizio Carbone Libero 29 Ottobre 2015 Mercoledì 4 maggio, ore 16.30-19-21 Giovedì 5 maggio, ore 19.00 - 21.00 Un film di Aleksandr Sukurov, con L. de Lencquesaing e B. Utzerath Storia e finzione si intrecciano per interrogarsi sul valore dell'arte e sulla responsabilità nei confronti della sua sopravvivenza. Sokurov apre al pubblico le porte del Louvre, svelando il dietro le quinte di un incontro che si svolse nel 1943 durante il conte Franziskus WolffMetternich, capo dell'amministrazione nazista, e il direttore del museo Jacques Jaujard, decisero le sorti dell'arte. Mentre i due discutono del destino dei tesori del Louvre, nelle sale del Museo appaiono Marianne, simbolo della Francia, e Napoleone, che ammira perplesso le opere che lo celebrano. WORKING TITLE FILM FESTIVAL MERCOLEDí 27 APRILE 2016, ORE 16.30-19.00 Il cast tecnico. Regia: Stéphane Brizé. Sceneggiatura: Stéphane Brizé, Olivier Gorce. Direttore della fotografia: Éric Dumont. Montaggio: Anne Klotz. Scenografia: Valérie Saradjian. Costumi: Anne Dunsford, Diane Dussaud. Origine: Francia, 2015. Durata: 1h32. Gli interpreti. Vincent Lindon (Thierry Taugourdeau), Yves Ory (consigliere Pôle Emploi), Karine de Mirbeck (moglie di Thierry), Matthieu Schaller (figlio di Thierry), Xavier Mathieu (sindacalista), Noël Mairot (maestro di danza), Catherine Saint-Bonnet (bancaria), Tevi Lawson (formatore Pôle Emploi). La trama. Thierry Taugourdeau ha cinquant'anni ed è disoccupato. Dopo venti mesi senza lavoro e inutili corsi di formazione, Thierry trova posto come guardia di sicurezza in supermercato. La sua vita sembra prendere una piega migliore, fin quando si trova di fronte a un importante dilemma morale perché gli viene chiesto di spiare i suoi colleghi. L'orrore economico dei nostri anni in venti scene secche e implacabili costruite sul confronto serrato tra un più che perfetto Vincent Lindon e una serie di attori non professionisti ma intensi e sorprendenti nei panni di personaggi molto vicini alle loro vere vite. (...) Sono i tempi in cui viviamo. Su cui questo film getta una luce cruda e impassibile, che ricorda i fratelli Dardenne ma si spinge ancora più in là, abolendo quasi del tutto la drammaturgia per lasciare a noi il compito di interpretare ciò che vediamo. Fabio Ferzetti Il Messaggero 27 Ottobre 2015 Da una breve in cronaca Stéphane Brizé indaga un eroe di oggi, tallonandolo alla maniera dei Dardenne (...). Bravissimo, Vincent Lindon regala al personaggio dubbi e ambiguità, smussando il «messaggio» che arriva al cuore e risulta di allarmante attualità in una società che non conosce più etica, comprensione, fattori umani. Maurizio Porro Il Corriere della Sera 29 Ottobre 2015 La crisi economica e le sue ricadute sulla vita delle persone sono state affrontate nei film con un approccio, a dir poco, timido. In Italia, generalmente, si è preferita la forma della commedia, inventandosi soluzioni più o meno improbabili e consolatorie. Anche il cinema di lingua francese ha preso tempo prima di rappresentare la crisi, la disoccupazione, le umiliazioni quotidiane che oggi infestano il mondo del lavoro: quando lo ha fatto, però, ha prodotto alcuni titoli importanti come Due giorni, una notte dei fratelli Dardenne, Tutti i nostri desideri di Phlippe Lioret e ora questo magnifico La legge del mercato, in concorso al Festival di Cannes dove Vincent Lindon ha vinto una sacrosanta Palma come miglior attore protagonista. Cinquantenne disoccupato con responsabilità familiari (il figlio ha un handicap fisico) Thierry dura a trovare un impiego. Da mesi sostiene colloqui via Skype, talvolta umilianti e sottomessi a regole indecifrabili; ma senza risultato. Frattanto si vede costretto a mettere in vendita, per poche migliaia di euro, la casetta mobile di famiglia; neppure questo, però, è facile: anche i potenziali acquirenti sono poveri e contrattano fino all’ultimo soldo. Per rilassarsi, frequenta un corso di danza e balla, a casa, con la moglie e il loro ragazzo. Tuttavia il viso di Lindon è loquace nell’esprimere la frustrazione e lo scoramento del personaggio. Che, a un certo punto, ritroviamo - giacca e cravatta - come sorvegliante in un ipermercato. Qui sembra che Thierry abbia risolto il problema (può chiedere una piccola somma alla banca, che ora gliela concede, ha di nuovo un suo status sociale...); e, invece, è proprio ora che comincia il peggio. Costretto a occuparsi dei poveracci che rubacchiano (teppistelli, ma anche vecchietti smarriti che non arrivano alla fine del mese), si trova quasi subito alle prese con un dilemma morale. Tanto più, e tanto peggio, perché sa che le piccole trasgressioni riguardano meno il pubblico che il personale alle casse. La proprietà, infatti, vuole tagliare teste; per aggirare le regole, spia i dipendenti con le stesse telecamere di sorveglianza non aspettando altro che un passo falso di quella povera gente (buoni spesa non gettati, tessera-punti usata a proprio favore...) per poterla licenziare. È il caso, tra gli altri, di una matura cassiera di lungo corso. Senza esagerazioni né sottolineature melodrammatiche, Stéphane Brizé racconta un’amarissima storia di declassamento sociale che tocca temi sensibili attraverso un personaggio immaginario, però rappresentato in modo da sembrare perfettamente plausibile. Un po’ come la Sandra del citato Due giorni, una notte, alla quale rimanda la scelta finale di Thierry, presa all’insegna della dignità e del rispetto di sé. Il cinema dei Dardenne è evocato non solo nei contenuti, ma anche nello stile della regia di Brizé: lunghi piani-sequenza, inquadrature ravvicinate, riprese in semisoggettiva. Per rendere il tutto più verosimile, e crudele, il cineasta è ricorso alla macchina da presa di uno specialista del documentario, Eric Dumont, e ha circondato Lindon di un coro di attori non professionisti che interpretano più o meno se stessi. Roberto Nepoti La Repubblica 29 Ottobre 2015 (…) Sul leitmotiv vieppiù indurito dei film di Loach e dei fratelli Dardenne (...) l'outsider francese Brizé mette in scena - con scabra cifra stilistica - l'odissea di un professionista espulso dal mercato del lavoro e costretto a subire, mantenendo però un atteggiamento controllato e cosciente, le umiliazioni e le violenze di un «sistema» societario occidentale bollato in toto come sadico più che ingiusto. Abolendo la drammaturgia in favore di un report sull'esistente - che naturalmente di verità ne conosce e riproduce una sola, la propria - il regista dà vita a sculture umane di rilievo e brani di efficace protesta morale, finendo però con il congelare la connessa aspirazione a una condivisione emozionale. Valerio Caprara Il Mattino 29 Ottobre 2015 Giocato in sottotono, nell'ambito di un'ordinaria quotidianità, il dramma sociale non per questo risulta meno efficace nel mettere sotto accusa un sistema economico iniquo, i cui effetti la crisi ha reso e renderà sempre più devastanti. Anche se il regista Stéphane Brizé non ne possiede la forza formale, per la coerenza e la verità della messa in scena si pensa al cinema dei fratelli Dardenne; e nei panni di Thierry, un formidabile Vincent Lindon, premiato per l'interpretazione a Cannes, filtra il messaggio attraverso uno sguardo in cui si legge il dolente dilemma di un essere umano consapevole di trovarsi, non si sa per quanto, dalla parte sbagliata della barricata. Alessandra Levantesi Kezich La Stampa 29 Ottobre 2015 (...) Non è un mélo strappalacrime, tutt'altro. É un dramma sociale asciutto che suscita emozioni forti, e che il 49enne regista Stéphane Brizé controlla con uno stile che deve qualcosa a Robert Bresson. Senza effettacci, senza compiacimenti: Brizé gira con lunghe inquadrature quasi fisse, in cui il lieve tremolio della macchina da presa comunica efficacemente l'ansia del protagonista. Lindon è in scena ininterrottamente, ma spesso recita 'da spalla', e di spalle, per giocare di rimbalzo sulle devastanti emozioni degli altri personaggi. (...) 'La legge del mercato' sembra a prima vista un racconto monocorde, ma ha alcune scene madri che tolgono il fiato nella