L`ingegnere globetrotter non per calcolo ma fantasia

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L`ingegnere globetrotter non per calcolo ma fantasia
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2 dicembre 2009
L'ingegnere globetrotter non per calcolo ma fantasia
di Paola Pierotti e Mauro Salerno
«L'ingegneria deve diventare creativa. Il profilo del professionista capace di manovrare i numeri, applicando
calcoli da manuale per far stare in piedi le strutture non ha futuro. È un tipo di ingegneria con valore aggiunto
prossimo allo zero. Sia a causa di processi informatici, sia per quello che sta accadendo in paesi quali la Cina
che nei prossimi dieci anni sarà capace di laureare un numero di professionisti dieci volte superiore a quello
degli Stati Uniti».
Impossibile provare a vincere questa partita battendosi con gli strumenti della tradizione e restando ancorati al
vecchio modello formativo delle Écoles d'application, alla versione d'antan dell'ingegnere «tutto d'un pezzo»: la
concretezza dei numeri contrapposta alla visionarietà degli architetti. I due mestieri sono destinati ad aumentare
le aree di sovrapposizione, magari esasperando la competizione tra due categorie, ma anche allargando lo
spettro delle discipline coinvolte, adeguandosi alla domanda di clienti pubblici e privati sempre più esigenti sul
fronte del risparmio di risorse economiche e naturali, via via più scarse.
Uno scenario noto a Carlo Ratti, 38 anni, laurea al Politecnico di Torino, arricchita da esperienze a Parigi e
Cambridge, con specializzazioni in architettura e informatica. Dell'innovazione Ratti sta provando a fare un
mestiere. In qualche caso riconosciuto anche ufficialmente. Giovanissimo docente del Massachusetts Institute of
Technology di Boston (Mit) dove dirige uno staff di 35 professionisti (Senseable City Laboratory, tra cui fisici,
matematici, sociologi) impegnati a studiare i paradigmi della città del futuro, quest'anno è stato nominato
«Innovator in residence» dal governo del Queensland (Australia), con il compito di elaborare nuove strategie di
sviluppo urbanistico. Globetrotter della professione con studio a Torino (Carlorattiassociati, aperto con Walter
Nicolino), ha già ottenuto importanti riconoscimenti a livello internazionale.
«Quest'anno - dice - ho trascorso il 40% del mio tempo in America, il 20% in Australia, il 20% in Italia e il resto in
aereo». Il suo Digital water pavilion, il padiglione con pareti d'acqua che ha attirato gli sguardi dei visitatori
dell'ultimo Expo a Saragozza, è stato inserito dal settimanale Time nella classifica delle migliori innovazioni del
2008. Al summit di Copenhagen sul clima (7-18 dicembre), sarà presentato il prototipo che Ratti ha messo a
punto con Ducati Energia e il ministero dell'Ambiente italiano: una ruota adattabile a qualsiasi bicicletta dotata di
un piccolo motore elettrico. «Il sindaco di Copenhagen - spiega il progettista - vuole innalzare dal 35% al 50% la
quota di traffico urbano sulle due ruote. La soluzione prevede che l'energia prodotta in frenata sia riutilizzata per
assistere la pedalata e alimentare un pc che fornisca informazioni sull'inquinamento, prestazioni fisiche di chi
guida, mappe per orientarsi in città».
A Londra Ratti è nella short-list dei progettisti invitati dal sindaco Boris Johnson a disegnare un edificio simbolo
delle Olimpiadi del 2012. L'idea è quella di costruire una «nuvola dinamica», una struttura gonfiabile luminosa in
cima a una torre a spirale, alimentata da cellule fotovoltaiche e dallo sforzo fisico dei visitatori che sceglieranno di
usare le scale invece dell'ascensore. «L'ambizione di ogni progettista - dice Ratti - è sempre stata quella di
costruire edifici "vivi". Oggi tutto questo è possibile grazie alle tecnologie digitali e al biotech».
L'ingegneria è forse il settore che ha conosciuto le accelerazioni più forti degli ultimi anni. A fronte dei 213mila
professionisti che ogni giorno faticano per stare a galla in un mercato sempre più competitivo, studi e società che
presidiano gli avamposti dell'innovazione hanno imparato a dare risposte articolate a un mercato che pone
domande complesse. Allora numeri, certo, ma anche creatività e capacità di gestire i processi di pianificazione e
costruzione. E poi design, ambiente, nuove tecnologie digitali: tutto fa parte di questo nuovo modo di intendere la
professione. «L'offerta di competenze multidisciplinari è il fattore chiave del nostro successo», spiega Maurizio
Teora, 44 anni, numero uno di Arup Italia, 9 milioni di ricavi e 90 professionisti divisi tra le sedi di Milano e Roma,
impegnati a realizzare edifici, infrastrutture, ma anche a fornire consulenze su temi quali acustica o nuove
frontiere della sostenibilità. In questo caso, l'innovazione è un mix vincente di capacità di regia, competenze
specialistiche, ricerca sui nuovi materiali, organizzazione aziendale. «Da noi - dice Teora - c'è chi è specializzato
in illuminotecnica, acustica, impianti, nell'involucro dell'edificio. In questi team c'è poi chi si occupa della struttura,
dei serramenti, del vetro per arrivare a chi controlla anche l'impatto del vento sulle facciate». Un'articolazione
cresciuta nel tempo fino a comprendere una quarantina di specializzazioni abbinate alla ricerca di nuovi materiali
e tecnologie importati anche da altri settori: dall'aeronautica alla progettazione navale. Lavorando a stretto
contatto con i grandi architetti, ma anche "in solitaria" la società è nota per la capacità di abbinare il design
contemporaneo a soluzioni hi-tech in campo ambientale e per aver imparato a declinare la parola sostenibilità
anche in termini economici. «Negli ultimi quindici anni - spiega Teora - gli edifici sono diventati tre volte più
performanti dal punto di vista dell'efficienza energetica. Questo significa poter usare impianti meno potenti,
progettati più attentamente. E ciò comporta anche benefici economici. Possiamo fare affidamento su strumenti di
calcolo che garantiscono risparmi del 15% delle spese di realizzazione della strutture, con un impatto del 5-10%
sul costo complessivo dell'opera finita». Valutazioni che non si fermano alla fase di cantiere: «I costi devono
essere compatibili con il processo economico più generale». Esempio? «Se progetti un edificio per uffici, devi
partire dal probabile prezzo di affitto e dalla percentuale di occupazione prevista per definire il costo di
costruzione».
Specializzazione, uso e sviluppo di tecnologie avanzate sono il pane quotidiano di Marzio Perin, ingegnere
classe 1963 che, pur lavorando dietro le quinte, ha legato il suo nome a molti dei più avveniristici e blasonati
edifici sparsi nel mondo. Il celebrato Museo Guggenheim di Bilbao, la Walt Disney Concert Hall di Los Angeles, la
Hearst Tower di New York, il complesso One New Change di Londra portano la firma di archistar come Frank O.
Gehry, Norman Foster, Jean Nouvel, ma sono frutto anche del talento tecnologico del team 3D, uno staff di
quindici progettisti esperti nella riproduzione virtuale di modelli tridimensionali, formato e guidato da questo
professionista di Vittorio Veneto all'interno di Permasteelisa, la multinazionale italiana delle facciate
architettoniche. Un curriculum scandito da un elenco di primati. Solo per restare agli esempi più recenti, Perin
ricorda che per realizzare la sede dell'Interactivecorp firmata da Gehry a New York, un edificio che ricorda la
forma di un iceberg, è stata utilizzata per la prima volta una tecnologia («cold bend») che permette la piegatura a
freddo del vetro. Mentre a Basilea l'involucro di alluminio e vetro che riveste la struttura a forma di fiore
dell'headquarter della Novartis è stato usato per la prima volta anche per realizzare la copertura e non solo le
facciate, grazie a un sistema studiato ad hoc per resistere ai carichi come ai rischi di infiltrazioni d'acqua. «Senza
ricerca - ripete Perin - non c'è altra prospettiva che la fossilizzazione dei saperi e delle aziende. L'architettura è in
continua evoluzione e se non avessimo messo in piedi questo gruppo, non avremmo mai realizzato le opere
straordinarie che invece abbiamo costruito». Alla base di tutto c'è lo sviluppo di nuove applicazioni software a
partire da una piattaforma informatica utilizzata nei settori dell'automotive e dell'aerospaziale. Il software di base,
per intendersi, è quello usato dalla Nasa per progettare lo scafo dello Shuttle. Il team creato da Perin lavora a
cavallo tra l'ingegneria strutturale e quella meccanica creando modelli 3D capaci di guidare le macchine a
controllo numerico da cui uscirà il puzzle che comporrà la facciata. Tutti pezzi unici. Ma un intricato processo
progettuale è stato semplificato di molti passaggi intermedi generando un plus di competitività di cui l'azienda
beneficia sul mercato internazionale.
Realizza buona parte del suo fatturato all'estero anche la società di ingegneria veneziana Thetis. Partita nel
1993, con quattordici dipendenti e un progetto di recupero dello storico Arsenale dove ha stabilito la sua sede,
oggi dà lavoro a circa 150 addetti, con un età media di 36 anni e un fatturato di 25 milioni. Anche se è impegnata
nella direzione dei lavori del Mose, il maxi-progetto di dighe mobili per la salvaguardia di Venezia, realizza buona
parte dei ricavi offrendo soluzioni di ultima generazione per la gestione dei trasporti.
Un esempio? Un sistema elaborato da Thetis controlla il traffico di Pechino in funzione delle emissioni di Co2.
Quando le previsioni sull'inquinamento superano una soglia prefissata, scatta un sistema di controllo degli
accessi nell'area delimitata dal secondo anello di circonvallazione (Pechino ne conta cinque) che circonda il
centro. Thetis ha fornito e guidato anche il sistema di gestione dei 300 autobus dedicati allo spostamento degli
atleti, degli arbitri e del personale durante i Giochi del 2008. Dai trasporti all'organizzazione aziendale il passo è
stato breve: la creazione di una rete su cui far viaggiare le informazioni (normative, commerciali, tecnologiche)
capaci di accrescere le competenze della società è stata affidata a una divisione di knowledge management.
«Per noi - dice l'ad Antonio Paruzzolo, 60 anni, ingegnere meccanico - la tecnologia non è il punto finale di
sviluppo della società, ma un elemento della rete».
Pur facendo leva su soluzioni meno avveniristiche di quelle sviluppate da Permasteelisa anche la società di
ingegneria romana Erregigroup ha scommesso sulla tecnologia per migliorare i processi produttivi e allo stesso
tempo dotarsi di un importante strumento di marketing per i propri progetti. «Abbiamo creato un team composto
da quattro architetti e due informatici - spiega l'amministratore Giovanni Zallocco -, incaricato di restituire in realtà
virtuale i progetti più complessi che ci troviamo a gestire». Per una società con un fatturato annuo di circa 4
milioni e interessi concentrati nelle infrastrutture di trasporto e dell'oil & gas mettere in piedi una struttura di questo
tipo potrebbe sembrare addirittura un azzardo. «Nei progetti in cui l'abbiamo usata - spiega Zallocco - la realtà
virtuale ci ha consentito di correggere in corsa sbavature iniziali che sarebbero costate molto di più se affrontate a
cantieri già aperti». Non si tratta di semplici filmati o rendering in tre dimensioni, ma di un viaggio, senza alcun
tipo di limitazione, all'interno delle opere prima che siano costruite. Tra le potenziali applicazioni anche la
possibilità di muoversi con un joystick dentro il progetto e toccare, ad esempio, una mattonella del rivestimento, o
un impianto per ottenere tutte le informazioni utili a un programma di manutenzione. Non solo. «L'uso della realtà
virtuale può tornare utilissimo nei dibattiti pubblici legati alla costruzione del consenso su opere controverse.
Finora abbiamo sfruttato questa potenzialità nei progetti di cui ci siamo occupati, ora stiamo pensando di poter
vendere anche ad altri un servizio di questo tipo». Zallocco non lo dice esplicitamente, ma tra le righe si capisce
che pensa al Ponte di Messina. «Qualche anno fa avevamo anche avanzato una proposta - conclude -, vediamo
che cosa succede ora che il progetto è tornato d'attualità».
2 dicembre 2009
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