Documento in italiano - Fondazione Italia Usa

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Documento in italiano - Fondazione Italia Usa
IL FUTURO DELLE RELAZIONI TRANSATLANTICHE NEL NUOVO
CONTESTO GLOBALE MULTIPOLARE
Quando il 25 luglio 1943 crollò in Italia il regime di Mussolini, in realtà le forze
antifasciste erano già pronte a raccogliere la sfida legata alla rinascita, con la guerra
ancora in corso, della democrazia e della libertà. L'evento non giunse inatteso.
Quando invece fu abbattuto il Muro di Berlino, il 9 novembre 1989, le leadership
democratiche dell'Occidente furono prese in contropiede: non avevano in agenda,
come più immediata scadenza, la dissoluzione dell'impero sovietico e quindi la
scomparsa della minaccia comunista. Questa impreparazione ha eroso gravemente,
almeno in Italia, la credibilità delle forze politiche di governo. Ma più in generale,
specialmente dopo l'attacco alle Torri Gemelle l'11 settembre 2001, il quadro
d'incertezza ha influito sulla fiducia della pubblica opinione mondiale.
1. Negli ultimi due decenni, e in particolare nel corso degli ultimi dieci anni, i
rapporti tra l'Europa e gli Stati Uniti hanno subito grandi cambiamenti a seguito del
processo di globalizzazione. Un processo che ha mutato sia il quadro geopolitico sia
quello economico mondiale, modificando radicalmente il contesto nel quale fino alla
seconda metà del secolo scorso il vecchio sistema delle relazioni transatlantiche
affondava le proprie radici.
2. L'agenda dei prossimi anni vede proliferare sulla scena mondiale nuovi attori e
decisori (pubblici e privati). Da qui la necessità di ripensare e ricostruire la struttura
della governance mondiale al fine di renderla adeguata a gestire la preminente
dimensione multipolare. Almeno in prospettiva, Europa e Stati Uniti non sono più i
soli attori: comunque hanno bisogno di allargare lo sguardo per non diminuire il
consenso attorno alla loro iniziativa. Questa configurazione multipolare ha dunque
messo in discussione la storica posizione di privilegio dei cosiddetti "Paesi avanzati".
In prospettiva il loro peso è destinato a fare duramente i conti con la diversa
articolazione dell'economia mondiale, essendo inarrestabile la crescita dell'Asia come
fabbrica (Cina) e ufficio (India) del mondo. È dunque problematico ipotizzare che,
senza un altro dinamismo, il blocco transatlantico possa conservarsi immutato quale
fonte e garanzia delle norme che regolano i rapporti internazionali.
3. Fino a qualche tempo fa, al G7-G8 era stata affidata quella che potremmo chiamare
la "gestione commissariale" del tradizionale modello di governance, nato con Yalta
alla fine del secondo conflitto mondiale e basato sulla logica del confronto Est-Ovest.
Ai nostri giorni, a causa di eventi diversi, in pratica questo modello non esiste più.
Dopo l'ingresso della Cina nel WTO, oltre a quello di Berlino è caduto anche il
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"Muro di Pechino". Più di recente, è stato lo scoppio della grande crisi finanziaria
internazionale a spazzare via ogni illusorio tentativo di mantenere in vita il sistema di
governance del “vecchio mondo”, dando così un ulteriore impulso alla ricerca di
equilibri più avanzati in vista di un'altra governance. In questa fase prevale ancora
l'incertezza, ma una cosa è certa: i Paesi occidentali danno per acquisito che grandi
nazioni emergenti (Cina, India, BRICS) esercitano ormai il ruolo di co-gestori
dell'economia mondiale. Ne sono una prova i ripetuti tentativi di costruire attorno al
G20 la dinamica della cooperazione tra forze consolidate ed emergenti.
4. È in questo contesto multipolare che devono essere gestite vecchie e nuove
criticità. Le decisioni che un tempo erano materia esclusiva delle relazioni
transatlantiche oggi sono pesantemente influenzate dalla presenza dei nuovi attori
sulla scena internazionale. Per fare un esempio, un tempo il Fondo monetario
internazionale (FMI) - ovvero il suo board, il suo funzionamento, le sue direttive - era
di fatto gestito, in modo quasi esclusivo, dai paesi occidentali. Europa e Stati Uniti
manifestavano a pieno il loro controllo in un campo dove valeva il primato delle
relazioni transatlantiche. Non è più così. E proprio sulla riforma del Board in seno al
Fmi si è prodotta una divaricazione tra Ue e Usa: la posizione americana si è
scontrata con gli interessi europei. Gli Stati Uniti erano propensi non solo ad
assegnare un numero maggiore di quote alle economie emergenti, ma anche a mettere
in discussione la consuetudine secondo cui il direttore del Board è di nomina europea.
Per gli Usa, come sappiamo, era preferibile rivedere questa impostazione in favore di
una procedura basata esclusivamente sulla competenza o comunque nel rispetto di
modalità che includessero le ragioni dei grandi Paesi dell'Asia o dei BRICS.
5. Anche sulle posizioni e le scelte che riguardano le criticità e i temi emersi dal
mutato scenario globale, la classica configurazione dei rapporti transatlantici è stata
messa più volte in discussione.
6. Per esempio, sostanziali divergenze si sono aperte sul tema del cambiamento
climatico, quando l'Amministrazione americana non ha sottoscritto gli impegni
previsti dal protocollo di Kyoto sulle emissioni clima-alteranti. Sul medesimo
protocollo, invece, l'Europa ha subito assunto impegni molto precisi e ambiziosi. Si
tratta di impostazioni che, a dispetto delle promettenti dichiarazioni della vigilia, non
sono mutate nemmeno in occasione della Conferenza internazionale sul clima a
Copenaghen nel 2009. Il punto centrale delle divergenze USA-UE consiste ancora
una volta nel modo in cui si assumono le novità del mondo multipolare. In questo
caso specifico, la posizione americana ruota attorno alla tesi secondo la quale anche
le economie emergenti debbano farsi carico, per la loro parte, dei costi di riduzione
delle emissioni clima-alteranti. Diversamente, secondo l'Europa sono i paesi avanzati
occidentali a doversi assumere maggiori responsabilità, esentando almeno in questa
prima fase le economie emergenti.
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7. Un'ulteriore incrinatura del vecchio sistema di relazioni transatlantiche è emersa
con riguardo alle strategie di gestione della crisi economica e finanziaria
internazionale, investendo in particolare due aspetti fondamentali. Anzitutto la
politica di rigore finanziario adottata a livello europeo. Gli Usa ritenevano e
ritengono tuttora che per superare la crisi siano necessarie politiche maggiormente
pro-attive, sicché l'azzeramento del deficit di bilancio non è prioritario rispetto alle
esigenze di ripresa dell'economia mondiale. In secondo luogo sulla regolamentazione
dei mercati finanziari. Come è noto, l'Europa è stata più propensa all'adozione di
regole ferree allo scopo di regolamentare i mercati finanziari, cercando in qualche
misura d'imbrigliarli. Per gli Stati Uniti, al contrario, il rilancio della domanda è
prioritario rispetto a questa politica di regolamentazione.
8. Nel nuovo contesto globale multipolare si ricollocano dunque tutte le delicate e
complesse questioni concernenti la sicurezza delle nazioni nel quadro della
cooperazione transatlantica: il processo di pace in Medioriente e di stabilizzazione
dell'area del Mediterraneo, per il quale l'Italia mostra sempre una speciale attenzione,
evidenziata nel voto all'Onu sul riconoscimento della Palestina; la non proliferazione
delle armi nucleari, questione decisiva che l'Amministrazione Obama potrebbe
affrontare nei prossimi quattro anni con maggiore vigore e determinazione; la lotta al
terrorismo, avendo nel frattempo maturato un livello molto alto di consapevolezza
circa la necessità di estendere la collaborazione nelle politiche di intelligence e di
sicurezza.
9. La cosiddetta “primavera araba” è un esempio di come, nel contesto globalizzato,
ulteriori elementi di complessità si sono aggiunti alle tradizionali relazioni
transatlantiche. La partita si giocherà nell'arco del prossimo decennio e sarà parte
integrante del modo in cui verrà disegnata la governance mondiale. Sarà decisivo il
modo in cui l'Europa riuscirà a darsi una propria linea unitaria di politica
internazionale e, più in generale, a mostrarsi coesa nei passaggi più impegnativi e
cruciali. In questo senso, ciò che è accaduto in particolare nel corso dell'ultimo
quinquennio in ordine alla gestione della crisi economica e finanziaria non è di buon
auspicio. Dobbiamo riconoscere che l'Europa non è riuscita, se non con tempi troppo
lunghi, a esprimere una chiara strategia di risposta alla crisi. Basti pensare alla scarsa
lungimiranza che ha frenato l'intervento, urgente e necessario dopo le tante
compiacenze messe a copertura degli interessi dei grandi finanziatori istituzionali e
privati, sul possibile default della Grecia. La crisi, se presa in tempo, avrebbe potuto
essere arginata in modo efficace e con più rapidità. Alla fine è stata determinante
l'azione del Fmi, vale a dire di una entità esterna all’Unione europea. Solo ora anche
gli Stati più "rigoristi" incominciano a prendere in considerazione l'idea che una linea
più flessibile possa meglio favorire l'uscita dall'emergenza, aiutando la Grecia e
rafforzando l'Europa.
10. L'instabilità del pianeta non è destinata a diminuire, come si desume guardando
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alle perduranti tensioni in Medio Oriente o ai rischi collegati, implicitamente, al
disimpegno della missione Isaf in Afghanistan. Per questo la cooperazione
transatlantica, anche in armonia con le possibili evoluzioni della Nato, deve
rappresentare l'architettura di un'adeguata strategia di pace. Ben sapendo, come
proclamava Paolo VI, che "lo sviluppo è il nome nuovo della pace". Pur con il
pessimismo che ancora incombe sulle prospettive dell'economia dei Paesi occidentali,
al di qua e al di là dell'Oceano, abbiamo la necessità di ripensare il valore e il
significato di questo essenziale legame tra pace e sviluppo. Il compito è gravoso, ma
se affrontato con lucidità e coerenza rafforzerà il ruolo che intendiamo preservare
nella complessa stagione della globalizzazione. È nostro dovere farcela.
© Fondazione Italia USA
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