Risposta al Libro Verde della Commissione Europea sul

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Risposta al Libro Verde della Commissione Europea sul
Risposta al Libro Verde
della Commissione Europea
sul finanziamento di lungo periodo
per l’economia europea
Federazione delle Banche, delle Assicurazioni e della Finanza (FeBAF)
per conto di
Associazione Bancaria Italiana (ABI),
Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici (ANIA),
Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital (AIFI),
Associazione del Risparmio Gestito (ASSOGESTIONI),
Associazione Italiana per la Previdenza Complementare (ASSOPREVIDENZA),
Società per lo Sviluppo Mercato dei Fondi Pensione (MEFOP)
Roma, 25 giugno 2013
Il paper è stato realizzato da un gruppo di lavoro, coordinato dal Prof. Rainer Masera
(Università degli Studi Guglielmo Marconi), con la partecipazione di Angela Maria Bracci (ABI),
Laura Crescentini (Assoprevidenza), Davide Ferrazzi (ABI), Valentina Lanfranchi (AIFI), Mauro
Marè (Mefop), Edoardo Marullo Reedtz (ANIA), Maria Concetta Miranda (FeBAF), Francesca
Palermo (FeBAF), Antonella Pisano (Università degli Studi Guglielmo Marconi), Alessandro Rota
(Assogestioni), Gianfranco Verzaro (Assoprevidenza).
La Federazione delle Banche, delle Assicurazioni e della Finanza - FeBAF è stata costituita nel
2008 dall’Associazione Bancaria Italiana e dall’Associazione Nazionale delle Imprese
Assicurative. A fine 2010 la Federazione si è aperta all’adesione di altre associazioni operanti nel
comparto finanziario, innovando il proprio Statuto. Dopo l’ingresso, nel maggio 2011, di
Assogestioni, nel gennaio 2013 anche Aifi è entrata a far parte della FeBAF.
La FeBAF, che si inquadra nel modello di aggregazione federativa tra soggetti rappresentativi di
imprese, è aperta alla collaborazione con altre Associazioni imprenditoriali.
La Federazione, in coerenza con la propria mission statutaria:
- promuove il ruolo dell’industria bancaria, assicurativa e finanziaria in sintonia con gli interessi
generali del Paese, nella consapevolezza che un sistema finanziario moderno e integrato è
condizione indispensabile per lo sviluppo sostenibile dell’economia e della società italiana;
- rappresenta nei confronti di Autorità politiche e monetarie, delle Associazioni di categoria e
dell’opinione pubblica le posizioni delle Associazioni aderenti in tema di politiche economiche e
sociali;
- tutela la logica di impresa e si adopera per la diffusione della cultura della concorrenza,
puntando sulla valorizzazione dell’attività bancaria, assicurativa e finanziaria in termini di
trasparenza, al servizio dei consumatori e dei risparmiatori.
L’attività della FeBAF si concentra su temi di rilievo trasversale per l’industria finanziaria, di
portata significativa per il sistema-Paese per massimizzare lo sviluppo nell’interesse delle
famiglie e dei settori produttivi.
Sul versante comunitario/internazionale, la FeBAF costituisce, attraverso l’Ufficio di Bruxelles,
la struttura operativa di cui si avvalgono le Associate per condurre in loco la propria attività di
rappresentanza di interessi presso le sedi istituzionali. Consolidare il dialogo anche con altre
rappresentanze pubbliche e private nazionali permette di agire in Europa come parte di un unico
sistema-Paese.
2
Introduzione
I finanziamenti a lungo termine sono di vitale importanza per la crescita sostenibile e per la
ripresa duratura dell’economia europea.
La ripresa dello sviluppo è necessaria per riassorbire la disoccupazione, rilanciare la
competitività e superare le difficoltà di finanza pubblica degli Stati membri. Occorre, cioè, una
diversa exit strategy da quella che si configura come la peggiore crisi economica e finanziaria
del dopoguerra: la stabilità finanziaria e il consolidamento fiscale richiedono una crescita
sostenuta e sostenibile, che a sua volta costituisce un fondamentale prerequisito per il
consolidamento finanziario a lungo termine.
L’urgenza di intraprendere un sentiero di crescita intelligente, sostenibile e inclusiva è stata
affermata nella strategia Europa 2020 e ribadita nel Libro Verde. La politica economica fondata
sull’esclusiva enfasi su austerità fiscale e pareggio di bilancio, soprattutto se accoppiata con
vincoli crescenti sul capitale delle banche e delle compagnie di assicurazione e su un quadro
contabile altamente prociclico, non riesce a raggiungere gli obiettivi che si propone. Vi è ampio
consenso sull’esigenza di assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche e di far scendere il
rapporto debito pubblico/PIL; per garantire questi traguardi occorre, peraltro, implementare un
mix di politiche, comprese quelle strutturali, che consentano il riavvio della crescita anche nei
Paesi “periferici”. Questa esigenza, collegata alla necessità di evitare ulteriori aumenti nel tasso
di disoccupazione, in particolare fra i giovani, trascende la stessa economia e investe
problematiche di ordine politico e sociale.
Al riguardo, la Commissione non può non tener conto del fatto che la crescita deve coinvolgere
l’intera Europa e, in particolare, contribuire a sciogliere i nodi dell’Unione monetaria imperfetta
costituita dall’Eurozona. Sta prevalentemente alle imprese e ai mercati assicurare questa
convergenza nella crescita, ma occorrono idonee politiche di sostegno.
L’Europa ha, in più occasioni, riconosciuto il ruolo essenziale per il rilancio della crescita degli
investimenti, che sono alla base di un modello di sviluppo sostenibile. Far ripartire gli
investimenti, dunque, significa non giocare in difesa: essi implicano una presa di rischio, ma in
loro assenza non ci sono prospettive credibili di rilancio dell’economia. Soprattutto, sono
necessari gli investimenti che concorrono ad aumentare la produttività totale dei fattori. Il
recupero di produttività è particolarmente importante in Italia, anche per la rinuncia allo
strumento del cambio.
Gli investimenti in infrastrutture tradizionali, innovazione e conoscenza, ricerca e sviluppo,
energia, ambiente, acqua, protezione del territorio, educazione costituiscono un volano
3
fondamentale per la crescita: il contributo dell’investimento (pubblico e privato) in capitale
fisico, umano e intangibile non è solo quello di sostenere la domanda, ma soprattutto di
aumentare la produttività e, quindi, l’offerta del sistema economico e la sua competitività. Sia
per favorire la concorrenzialità del sistema manifatturiero avanzato, sia per accompagnare il
necessario passaggio all’economia dei servizi innovativi (che comprendono anche sanità,
istruzione, burocrazia efficiente, giustizia, trasporti) occorrono rilevanti flussi di investimenti in
infrastrutture, con cofinanziamento pubblico-privato.
In un gioco reciproco di cause ed effetti, per la ripresa degli investimenti occorre valorizzare e
offrire giusti rendimenti al risparmio, sia quello interno, sia quello internazionale. In questa
prospettiva, il risparmio è fondamentale: senza il suo contributo non ci possono essere
investimenti e sviluppo sostenibile, né l’Europa né gli Stati membri sarebbero in grado di
realizzare i propri obiettivi. La capacità di risparmio si è rivelata essere il cuore del successo del
“made in Italy” e del modello di sviluppo dell’economia italiana, proteggendola dalle disastrose
conseguenze della crisi del 2007-2009. La crisi, tuttavia, ha inciso sulla capacità e sulla
propensione al risparmio delle famiglie e delle imprese.
Per favorire l’investimento a lungo termine è necessario, dunque, promuovere anche il
risparmio, come peraltro sta avvenendo anche negli Stati Uniti e in Canada.
Quesito 1: Concorda con l’analisi sopra esposta sull’offerta e sulle caratteristiche del
finanziamento a lungo termine?
Il Libro Verde attribuisce, correttamente, un ruolo preminente al rilancio degli investimenti a
lungo termine ai fini dello sviluppo sostenibile.
Nel corso degli ultimi anni, la crisi finanziaria si è fatta percepire pressoché in tutte le aree
dell’economia europea, ma un effetto particolarmente evidente è stato quello di ridurre la
capacità del settore privato e pubblico di investire a medio e lungo termine. La lunga fase
recessiva in Europa, iniziata nel 2008, è stata infatti caratterizzata da una caduta molto
rilevante negli investimenti privati: le difficoltà di finanza pubblica e i vincoli imposti dal Fiscal
Compact (che non distingue fra spese correnti e spese di investimento) hanno determinato un
analogo rallentamento degli investimenti pubblici, particolarmente marcato nei Paesi periferici.
Gli investimenti capaci di generare crescita e aumentare la competitività sono generalmente
configurabili come investimenti a lungo termine e richiedono finanziamenti consistenti, di durata
4
pluriennale; il settore finanziario, e quello assicurativo in particolare, svolgono un ruolo centrale
in questo processo, provvedendo a raccogliere e canalizzare risorse verso simili progetti.
Il Green Paper si pone il duplice obiettivo di elaborare un set di standard qualitativi per gli
investimenti a lungo termine e di esplorare nuove opportunità riguardo possibili strumenti o
architetture finanziarie.
A conferma dell’importanza del progetto comunitario, sono stati parallelamente elaborati
numerosi lavori di alto profilo sul tema, realizzati da istituti di ricerca, organizzazioni
internazionali e dall’industria assicurativa europea. Possono essere ricordarti, ad esempio, in
ordine di data:

Association of Financial Markets in Europe (settembre 2012), Financing European Growth:
a new model. Il documento contiene gli atti del symposium organizzato da AFME il 18
settembre 2012, finalizzato alla discussione sulle prospettive per l’economia e per gli
investimenti nel prossimo decennio.

Centre for European Policy Studies - European Capital Markets Institute (ottobre 2012),
Supporting Long-Term investing and retirement savings. L’analisi del CEPS riporta i
risultati dei lavori di una task force costituita con l’obiettivo di rafforzare il mercato
unico per il risparmio e gli investimenti a lungo termine in Europa.

Swiss Re (febbraio 2013), Strengthening the role of long-term investors. Il report
evidenzia il ruolo degli investitori a lungo termine, soprattutto quelli istituzionali, come
fornitori di risk capital per l’economia reale e come stabilizzatori e shock absorber nei
mercati finanziari, sottolineando la necessità di un rafforzamento di tale ruolo.

Financial Stability Board (febbraio 2013), Financial regulatory factors affecting the
availability of long-term investment finance. L’analisi individua le principali riforme
regolamentari che, secondo il FSB, potrebbero avere effetti sui finanziamenti a lungo
termine (in relazione ai requisiti prudenziali delle banche, ai derivati all’interno dei
mercati OTC, alle regole contabili relative ai diversi tipi di investitori istituzionali). Il
report sostiene che tali riforme potrebbero alterare sia gli incentivi da parte di diversi
tipi di istituzioni finanziarie a partecipare al mercato dei finanziamenti a lungo termine,
sia i costi di differenti tipologie di transazioni.

Organisation for Economic Co-operation and Development (febbraio 2013), The role of
banks, equity markets and institutional investors in long-term financing for growth and
development. Il lavoro è volto a identificare i principali trend nei canali di trasmissione
5
dei finanziamenti a lungo termine, focalizzando l’attenzione sul ruolo delle banche, dei
mercati dei capitali e degli investitori istituzionali. Analizza, inoltre, il settore degli
investimenti in infrastrutture.

Group of Thirty - Working Group on Long-term Finance (febbraio 2013), Long-Term
Finance and Economic Growth. Il report mira a quantificare i fabbisogni di finanziamento
futuri per gli investimenti a lungo termine e a individuare gli ostacoli che ne impediscono
l’offerta, minando potenzialmente la crescita economica.

Eurofi (aprile 2013), Enhancing the financing of long term projects in Europe. Il lavoro
riconosce l’importanza degli investimenti in progetti infrastrutturali e indica i principali
nodi che andrebbero sciolti in Europa per il rilancio degli stessi, soffermandosi in
particolare sul contesto finanziario, regolamentare e legale europeo che non favorisce, di
fatto, l’investimento a lungo termine.

Organisation for Economic Co-operation and Development (maggio 2013), High-Level
Principles of Long-Term Investment Financing by Institutional Investors. Si tratta di un
draft recentemente posto in pubblica consultazione e realizzato nell’ambito della Task
Force sul tema dei finanziamenti a lungo termine da parte degli investitori istituzionali.
Lo scopo dei Principi è quello di indirizzare gli organi di vigilanza verso la creazione di un
framework politico e regolamentare che incoraggi gli investitori istituzionali a rafforzare
la capacità di fornire finanziamenti stabili all’economia, facilitando il flusso di capitali
verso investimenti a lungo termine come, ad esempio, quelli in infrastrutture.

Long-Term Investors Club (Maggio 2013), Contribution of the Members of the LTI Club on
the draft High Level Principles of Long Term Investment financing of the OECD. La
risposta alla consultazione lanciata a maggio 2013 dall’OECD sottolinea l’idea che, prima
ancora di affrontare la questione del finanziamento di investimenti a lungo termine, i
decisori pubblici dovrebbero concentrarsi sulla qualità degli investimenti stessi. Al
riguardo, un ruolo chiave potrebbe essere svolto dalle banche multilaterali di sviluppo,
dagli enti pubblici, dalle istituzioni pubbliche a lungo termine come il CDC, KfW e la CDP,
che dovrebbero operare una valutazione ex ante ed ex post della qualità degli
investimenti, attraverso un’attività di monitoraggio che deve protrarsi lungo tutto il ciclo
di realizzazione dell’investimento.
Nel ribadire l’importanza del Libro Verde, si vuole attirare l’attenzione - in via preliminare - su
tre nodi che andrebbero meglio esplicitati.
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1. In primo luogo, andrebbero meglio chiariti il concetto e le diverse caratteristiche degli
investimenti a lungo termine e, quindi, delle infrastrutture: la definizione, infatti, è centrale
nell’individuazione degli investimenti ai quali indirizzare le risorse pubbliche e il risparmio
privato.
2. In secondo luogo, occorre meglio esplicitare la definizione stessa di infrastrutture, con
riferimento al capitale pubblico e a quello privato.
3. In terzo luogo, andrebbe affrontata la problematica – non sufficientemente spiegata nel
documento della Commissione, ma che riveste fondamentale importanza in molti Paesi, e
segnatamente in Italia – del legame fra l’investimento pubblico e l’effettiva accumulazione di
capitale produttivo, tangibile e intangibile. Occorre, cioè, considerare anche la qualità e
l’efficienza degli investimenti in infrastrutture.
Alcune riflessioni e proposte su questi temi sono offerte nelle pagine successive del presente
documento.
Infine, una ulteriore considerazione andrebbe sviluppata sul finanziamento degli investimenti a
lungo termine. Auspicabilmente, questi ultimi dovrebbero essere principalmente sostenuti da
forme di finanziamento a lungo termine1, e ciò per due fondamentali ragioni: per loro natura, i
finanziamenti a lungo termine presentano una minore tendenza alla prociclicità rispetto a quelli
a breve termine, pertanto meglio si adattano a supportare le politiche espansive nei momenti di
crisi; inoltre, essi contribuiscono significativamente a stabilizzare il sistema finanziario, evitando
l’eccessiva trasformazione di scadenze2.
Quesito 2: Quale pensa sia la definizione più appropriata di finanziamento a lungo termine?
Gli investimenti finanziari a lungo termine (LT) rappresentano una forma di capitale “paziente”,
che consente agli investitori di: ottenere premi di illiquidità (in particolare derivanti da
investimenti in infrastrutture, real estate e capitale di rischio); ridurre il turnover e i relativi
costi; evitare la prociclicità. Le strategie d’investimento a lungo termine, a parità di altre, sono
in grado di migliorare il rendimento degli investimenti netti, rafforzare la stabilità finanziaria e
promuovere la crescita economica [Severinson e Yermo, 2012]. Più in particolare, sono da
1
Secondo il Group of Thirty (2013), per finanziamento a lungo termine si deve intendere la provvista di
fondi a lunga scadenza per il finanziamento di attività ad alta intensità di capitale, che hanno tempi di
ritorno multiperiodo.
2
Cfr. Group of Thirty (2013).
7
considerarsi a LT i finanziamenti con scadenza superiore ai 5 anni e quelli che non hanno una
specifica scadenza (ad esempio, le azioni).
Il Green Paper definisce, in senso più ampio, il finanziamento di investimenti a lungo termine o
il finanziamento a lungo termine come il processo attraverso il quale il sistema finanziario
provvede a finanziare gli investimenti che si estendono per un prolungato arco di tempo. Gli
investitori a lungo termine detengono, in genere, le attività per un lungo periodo e sono poco
interessati alle variazioni a breve dei prezzi, focalizzandosi sui risultati di lungo termine e/o
sulla rivalutazione finale del capitale.
Il Green Paper collega correttamente, sulla base delle loro caratteristiche, il finanziamento a
lungo termine con l’investimento a lungo termine, sottolineando efficacemente la necessità di
sostenere gli investimenti in capitale produttivo e promuovere l’innovazione e la competitività,
per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva dell’economia europea.
In particolare, il Libro Verde considera “a lungo termine” gli investimenti che partecipano alla
formazione del capitale di lunga durata, ovvero i beni materiali (come le infrastrutture nel
campo dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni, gli impianti industriali e di servizio,
l’edilizia abitativa, nonché le tecnologie di adattamento al cambiamento climatico e di
ecoinnovazione) e i beni immateriali (ad esempio, istruzione, ricerca e sviluppo), che
promuovono l’innovazione e la competitività. Gli investimenti a lungo termine si identificano,
pertanto, nella spesa per infrastrutture, ovvero nella spesa per l’accumulazione di asset tangibili
e intangibili, funzionali all’accrescimento della capacità produttività. La Tab. 1 e la Fig. 1
schematizzano la definizione “allargata” di infrastrutture, proposta in questo documento.
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Tab. 1 – Le infrastrutture di un sistema Paese, definite in senso lato
Fonte: Masera (2012)
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Fig. 1 – Il sistema infrastrutturale: capitale fisico e capitale intangibile
Fonte: Masera (2012)
Nella qualificazione degli investimenti a lungo termine due elementi appaiono particolarmente
rilevanti: (i) la capacità delle diverse tipologie di investimento di contribuire alla produttività di
un sistema e (ii) la necessità del cofinanziamento pubblico-privato per supportare la spesa in
infrastrutture, come sopra definite.
Con riferimento al primo punto, appare necessario analizzare e approfondire la diversa rilevanza
e il differente impatto, ai fini della crescita e della competitività, delle spese in infrastrutture
che incidono direttamente sul progresso tecnologico e, quindi, sul tasso di crescita della
produttività totale dei fattori, rispetto a quelle che aumentano il capitale fisico pubblico e
privato contribuendo, per questa via, all’aumento del prodotto. Nessuna differenziazione è
fatta, nel documento della Commissione, rispetto alla capacità di ciascuna tipologia di
contribuire, in modo diretto o indiretto, alla produttività. La distinzione appare, viceversa,
rilevante, anche in relazione alla necessità di individuare criteri di priorità di finanziamento
della spesa, tenuto conto delle difficoltà di bilancio di molti Paesi europei e delle risorse
disponibili nel settore privato. Al riguardo, occorre sottolineare come la crescita della
produttività sia, in particolare, collegata alla interazione virtuosa tra istruzione, capitale di
conoscenza, ricerca, sviluppo e ricerca di base [Visco, 2009].
10
In relazione al secondo punto, occorre notare che le infrastrutture non possono essere
circoscritte - come sovente si afferma – al capitale pubblico, in quanto ricomprendono
comunque opere realizzate in partenariato, ovvero investimenti di capitale privato con sostegno
fiscale/normativo o con sussidi da parte del settore pubblico. Un esempio particolarmente
significativo di questo intreccio è rappresentato dall’esigenza e dalle opportunità di
riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare (prevalentemente privato, ma anche
pubblico).
La
Commissione
europea
ha
stimato
un
risparmio
complessivo
derivante
dall’implementazione di misure per il risparmio energetico, coerentemente con i target di
Europa 2020, pari a circa €50 miliardi l’anno. Alle stesse conclusioni sono pervenuti diversi
studi3, che hanno evidenziato come, a livello globale, idonee combinazioni di intervento privato
e pubblico possano generare benefici elevatissimi in termini di risorse liberate. L’ampiezza
stessa del concetto di infrastrutture e degli elementi in essa aggregati impone, quindi,
l’adozione di un approccio sistemico e sinergico tra istituzioni pubbliche e operatori privati per
realizzare progetti che, per le loro caratteristiche, non possono essere realisticamente
demandati esclusivamente al finanziamento pubblico o a quello privato.
Appare utile ricordare che il Libro Verde, nella definizione fornita, sovrappone i concetti di
finanziamento a lungo termine e finanziamento degli investimenti a lungo termine,
considerandoli sinonimi. Il nesso fra le due grandezze, come sopra ricordato, è auspicabile, ma
non automatico: non tutte le forme di accumulazione di capitale possono essere considerate un
investimento a lungo termine, con specifico riferimento alla capacità di contribuzione alla
produttività del sistema.
Si ritiene, comunque, che il legame tra finanziamento a medio lungo termine e investimento
produttivo non debba essere eccessivamente vincolante nel caso di raccolta di risorse sui
mercati finanziari, dove tale relazione non è sempre così stringente. A titolo di esempio,
accogliendo l’indicazione proposta, si potrebbe concludere che un’IPO è da considerare
un’operazione di finanziamento a lungo termine solo se le risorse finanziarie raccolte sono
destinate a determinati investimenti produttivi miranti alla realizzazione di beni strumentali di
lunga durata e non anche a un’operazione di acquisizione ovvero, sempre ad esempio, a
migliorare il sistema di reporting interno dell’azienda.
Con la sua definizione, il Green Paper sembra sminuire il ruolo dell’investimento a lungo
termine, mescolando il punto di vista dell’economia con quello degli investitori finali. Per questi
ultimi, un impegno di investimento a lungo termine in un certo portafoglio finanziario è di gran
lunga la forma più comune di finanziamento delle immobilizzazioni materiali. Per evitare ogni
3
Cfr. Dobbs et al. (2012) e Busnelli et al. (2012).
11
possibilità di equivoco al riguardo, riteniamo che l’enfasi attribuita dal Green Paper alla
definizione di finanziamento a lungo termine debba essere di conseguenza rivisitata. Andrebbe,
ad esempio, fatta una chiara distinzione tra l’economia reale, che ha urgente bisogno di capitale
a lungo termine per finanziare le attività produttive, e gli investitori, che necessitano dei
migliori strumenti e degli incentivi finanziari per indirizzare i propri risparmi in questa direzione.
Quesito 3: Considerando l’evoluzione in atto della natura del settore bancario, quale ruolo
crede che rivestiranno le banche in futuro nell’incanalare il finanziamento a lungo termine
degli investimenti?
L’attuale,
prolungata
recessione
dell’economia
europea
è
senza
dubbio
influenzata
dall’adozione di misure di austerità fiscale e dal simultaneo inasprimento dei requisiti di
capitale per le banche e le altre istituzioni finanziarie: tali aspetti rappresentano “due fallacie
di composizione”.
I requisiti di capitale sono una pietra miliare della regolazione finanziaria: producono benefici
sociali, contenendo l’azzardo morale e riducendo il costo dei fallimenti bancari, che altrimenti
ricadrebbero sui contribuenti. Ma, al tempo stesso, gli stessi requisiti – quando eccessivi –
riducono la capacità delle banche di creare credito e liquidità, e di svolgere la funzione,
socialmente importante, di trasformazione delle scadenze.
Esiste, dunque, un trade-off che dipende chiaramente anche da fattori ciclici e che andrebbe
ridefinito in funzione di considerazioni micro e macroprudenziali. I requisiti sul capitale di
rischio sono intrinsecamente prociclici: la prociclicità è rafforzata dall’interazione con il
principio contabile del fair value, spesso interpretato come mark-to-market.
L’uso di approcci VaR nella direttiva CAD IV aumenta intrinsecamente la prociclicità del sistema
e rende difficile per le banche la possibilità di aumentare i finanziamenti a lungo termine. Il
fatto che i modelli VaR siano costruiti nell’ipotesi di rischio esogeno non fa altro che rafforzare
tale aspetto: occorre, infatti, tener conto anche del rischio endogeno. Gli shock del sistema
possono essere, cioè, amplificati dal sistema stesso [Danielsson e Shin, 2003]. L’approccio di
Basilea porta le banche a reagire tutte allo stesso modo agli shock finanziari, amplificando
quindi l’instabilità finanziaria.
Inoltre, i modelli VaR possono prestarsi all’arbitraggio delle regole da parte di banche molto
complesse, come testimonia il caso di JPMorgan (Fig. 2).
12
Fig. 2 - Arbitraggiare le regole: JPMorgan Chase. Derivati e modelli VaR. (10Q VaR)
Il passaggio a un nuovo modello VaR nasconde efficacemente le significative variazioni del rischio di
portafoglio. Fonte: US Senate Permanent Committee on investigations (15 marzo 2013).
Occorre, infine, tener conto del fatto che quello dei titoli sovrani e quello bancario
rappresentano sistemi strettamente interconnessi in Europa e sono, quindi, soggetti al possibile,
improvviso passaggio da distribuzioni normali a distribuzioni di potenza.
Fig. 3 – Distribuzioni normali e distribuzioni di potenza
Fonte: Helbing (2010)
13
Le considerazioni sopraesposte dipendono, naturalmente, anche dall’assetto istituzionale.
L’Europa è caratterizzata da mercati finanziari nei quali l’intermediazione delle banche (e delle
assicurazioni) ha un peso estremamente rilevante rispetto agli Stati Uniti, dove invece i mercati
del credito e lo shadow banking system svolgono un ruolo chiave, come esemplificato dalla
tabella e dai grafici che seguono.
Tab. 2 - Dimensioni del settore bancario in Europa, Stati Uniti e Giappone (2010)
Fonte: Liikanen Report (2012)
Fig. 4 - Finanziamento delle istituzioni non finanziarie nell’Euroarea e negli Stati
Uniti
Fonte: Cour-Thimann and Winkl (2013)
14
Fig. 5 – Passività dello shadow banking system vs. Passività del sistema bancario
tradizionale, $ trilioni
Fonte: Pozsar et al. (2012)
È evidente, quindi, che il rafforzamento dei requisiti patrimoniali e il de-leveraging delle banche
hanno implicazioni molto più rilevanti per l’economia europea rispetto a quella americana.
Se si osserva la relativa dimensione dei flussi bancari e la resilienza del mercato dei titoli e dello
shadow banking, è ben evidente che l’implementazione di requisiti patrimoniali restrittivi può
avere impatti a breve termine sull’economia reale europea potenzialmente tre o quattro volte
superiori a quelli che si potrebbero registrare negli Stati Uniti. Ciò contribuisce anche a spiegare
perché la contrazione degli investimenti a lungo termine sia stata particolarmente marcata in
Europa rispetto agli Stati Uniti.
Inoltre, in mancanza di una unione bancaria, si è manifestato un perverso circolo vizioso tra
debito bancario e debito sovrano, che ha interessato in particolare i Paesi periferici
dell’Eurozona, anche a causa dell’elevata incidenza delle PMI, fortemente penalizzate dal deleveraging bancario.
Ad ogni modo, si ritiene che il settore bancario continuerà a svolgere, in Europa, un ruolo di
primo piano nel finanziamento degli investimenti a lungo termine. In Italia, in particolare, il
settore bancario sta già operando in un contesto di vincoli crescenti al finanziamento a lungo
termine imposti dalle riforme prudenziali e continuerà a svolgere un ruolo chiave per il sostegno
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all’economia reale, non soltanto tramite l’attività tradizionale di raccolta del risparmio e di
erogazione del credito, ma anche attraverso l’impegno a favorire l’accesso diretto delle imprese
al mercato azionario e obbligazionario, nonché l’investimento nel capitale di rischio di imprese
non quotate.
In molti Paesi europei, il settore bancario svolge un ruolo centrale nel sistema di distribuzione
dei prodotti finanziari: ogni nuova modalità per convogliare le risorse dai piccoli risparmiatori al
finanziamento di progetti a lungo termine dovrà probabilmente fare riferimento agli istituti
bancari, sebbene in un diverso contesto (intermediazione piuttosto che investimenti in proprio).
Inoltre, sarà comunque molto importante anche l’esperienza che le banche hanno acquisito nella
valutazione del merito creditizio dei progetti a lungo termine, anche in vista della messa a punto
di veicoli finanziari non bancari.
Quesito 4: Come può il ruolo delle banche di sviluppo nazionali e multilaterali sostenere al
meglio il finanziamento di investimenti a lungo termine? C’è spazio per un maggiore
coordinamento tra queste banche e il perseguimento degli obiettivi delle politiche dell’UE?
Come possono gli strumenti finanziari offerti dal bilancio UE sostenere meglio il
finanziamento di investimenti a lungo termine nella crescita sostenibile?
La qualità degli investimenti ne determina l’efficienza e l’efficacia e ne favorisce l’attrattività
da parte dei capitali privati. È fondamentale, dunque, valutare attentamente il legame fra
l’investimento pubblico e l’effettiva accumulazione di capitale produttivo, tangibile e
intangibile. La vera sfida, nell’analisi economica, nella ricerca empirica e nella stessa politica
economica, sta nell’individuare buone variabili proxy per il capitale pubblico aggiustato per
l’efficienza. Occorre, cioè, riconoscere che la spesa pubblica per investimento registrata sotto il
profilo contabile non si traduce pienamente in asset di capitale produttivo. Molti studi prodotti
da accademici e ricercatori di istituzioni finanziarie internazionali, e in Italia da Banca d’Italia,
mostrano la rilevanza di questi problemi4.
4
Cfr. ad esempio Prichett (2000), Gupta et al. (2011). Dabla-Norris et al. (2011), Arslnap et al. (2011),
Balassone (2011) e Banca d’Italia (2012). La questione è particolarmente rilevante in Italia. Al riguardo, è
utile ricordare che, secondo l’OCSE, tra il 1970 e il 2008, la spesa per investimenti nei settori trasporti ed
energia in Italia sia stata pari al 3,2% del PIL, inferiore al dato medio OCSE (3,7%), ma in linea con quello
della Spagna (3,3%) e più elevato di quelli di Francia (2,5%) e Germania (2,9%). Eppure, il Global
Competitiveness Report (2012–2013), elaborato dal World Economic Forum, pone l’Italia al 28° posto (in
una classifica di 144 Paesi) per competitività del sistema infrastrutturale, con un notevole distacco dalla
Germania (terzo posto), dalla Francia (quarto posto) e dalla Spagna (decimo posto).
Come ha dimostrato Banca d’Italia negli studi sopracitati, con riferimento all’Italia le misure del capitale
pubblico basate sugli investimenti rilevati dal costo contabile/finanziario sono fuorvianti, in quanto solo
16
L’accumulazione di capitale pubblico è giustificata da, e richiede, esternalità nette positive,
ovvero deve essere caratterizzata da un tasso di ritorno economico superiore a quello
finanziario. Ma il passaggio da investimento pubblico ad accumulazione di capitale a elevato
rendimento sociale è lungi dall’essere automatico. Molto spesso corruzione, sprechi,
inefficienze, carenze nell’operare della trias politica (potere legislativo, potere esecutivo e
potere giudiziario) e dei controlli distruggono o distorcono il nesso fra spesa pubblica di
investimento e accumulazione di capitale produttivo, tangibile e umano. Anche per questi
motivi, non è agevole ottenere evidenza empirica sul fatto che le deficienze nelle infrastrutture
pubbliche vincolano e riducono le prospettive di crescita sostenibile.
Qualità ed efficienza della spesa richiedono il costante monitoraggio della qualità e
dell’efficienza dei progetti finanziati: se non esistono meccanismi rigorosi ed efficienti di
selezione, costruzione, gestione e finanziamento delle infrastrutture, gli investimenti non si
traducono in accumulazione di capitale [Masera, 2012].
Occorre, dunque, ripensare la politica infrastrutturale in Europa, intervenendo sulle tecniche di
programmazione, finanziamento e gestione degli appalti per infrastrutture, e sulla regolazione
dei servizi tramite le stesse erogati, affidando il monitoraggio ad autorità indipendenti, con
elevate competenze tecniche, sottratte all’influenza politica, che garantiscano un controllo di
qualità sui progetti, sul modello della Infrastructure Bank americana e dell’Infrastructure
Australia. L’istituzione di una Authority europea limiterebbe sensibilmente l’instabilità e
l’incertezza delle regole su piani di investimento e assetti gestionali degli operatori di mercato,
riducendo il rischio regolatorio e quello amministrativo. Come già avvenuto in altri settori,
anche per le infrastrutture occorre sviluppare metodologie uniformi, da applicare a tutti gli Stati
membri, e definire criteri trasparenti di selezione, che permettano di favorire reali opportunità
di co-investimento per progetti di larga scala, per natura economica più facilmente realizzabili
se frutto di forze comuni.
In Europa, tale funzione potrebbe essere assolta dalla BEI: attraverso la sua significativa
esperienza operativa, la Banca potrebbe garantire una efficace verifica di efficienza degli
investimenti pubblici e sollecitare, pertanto, “l’investimento nello stesso processo di
investimento”. Si tratta, cioè, di assicurare la selezione e la valutazione ex ante di progetti
tecnicamente validi e non prescelti sulla base di valutazioni principalmente politiche, ovvero di
una frazione di tale costo si traduce in valore del capitale. Ciò contribuisce a spiegare perché le misure
basate su flussi finanziari assegnerebbero all’Italia una dotazione di capitale pubblico in linea con quella
dei principali Paesi europei. Se si passa, viceversa, alle misure di dotazione fisica, l’Italia appare in una
situazione peggiore rispetto ai principali Paesi europei. Il divario aumenta ancora di più quando si cerca di
tener conto del grado di utilizzo delle infrastrutture e, soprattutto, della qualità dei servizi prestati. Sotto
questo profilo, particolarmente bassi appaiono gli indici nel Mezzogiorno.
17
operare scelte che identifichino correttamente il rendimento economico, nonché quello
finanziario, dell’investimento. Successivamente, occorre assicurare meccanismi idonei per la
realizzazione, la supervisione e il monitoraggio dei progetti, assicurando una efficace
valutazione ex post.
Il ruolo della BEI, e di organismi governativi a livello nazionale, dovrebbe essere rafforzato in
relazione alle garanzie offerte al mercato a tutela del rischio legato ai progetti: ciò favorirebbe
una più ampia adesione, anche da parte delle assicurazioni e degli altri investitori istituzionali.
Le banche multilateri di sviluppo dovrebbero, inoltre, ampliare – in maniera coordinata - i
plafond di provvista messi a disposizione dalle banche nazionali ai fini del finanziamento delle
imprese. Tale provvista dovrebbe avere scadenze particolarmente lunghe. Le modalità di
accesso dovrebbero essere semplificate al fine di favorire la canalizzazione delle risorse al
sistema imprenditoriale.
L’operatività delle banche multilaterali di sviluppo potrebbe essere orientata anche a favorire il
collocamento di strumenti finanziari obbligazionari emessi direttamente dalle imprese tramite
rilascio di apposite garanzie a favore degli investitori istituzionali.
Andrebbero, infine, promosse specifiche iniziative, coordinate con le Autorità nazionali e locali,
per la valorizzare e sfruttare appieno le possibilità di finanziamento offerte dai Fondi strutturali
della UE, per il miglioramento dell’accesso al finanziamento delle PMI, il supporto agli
investimenti pubblici e privati in infrastrutture, il sostegno delle politiche a favore
dell’occupazione giovanile.
Quesito 5: Esistono altri strumenti e quadri di politica pubblica in grado di sostenere il
finanziamento di investimenti a lungo termine?
Buone istituzioni e garanzia del rispetto delle leggi sono una premessa indispensabile per le
politiche di investimento pubblico e privato. Una specifica riflessione dovrebbe riguardare la
questione della tempestività, della essenzialità e della certezza delle regole e dei relativi
meccanismi sanzionatori: occorre delineare un quadro regolamentare chiaro, che offra garanzia
di stabilità e continuità delle norme, soprattutto con riferimento agli incentivi e ai sostegni
(diretti e indiretti) all’investimento. Tale aspetto è particolarmente critico per l’Italia, dove non
di rado le regole introdotte sono state successivamente modificate in fase di realizzazione dei
progetti, determinando condizioni di incertezza negli investitori e negli operatori, alimentando
18
contenziosi e allungando i tempi di realizzazione delle opere, fornendo di fatto un disincentivo
all’investimento5.
Le regole devono essere snelle, coerenti e armonizzate fra i diversi settori (comunque in
competizione tra loro nell’attrarre i capitali privati) e le procedure trasparenti, in modo da
favorire processi decisionali efficaci, in tempi adeguati. La previsione di procedure semplificate
potrebbe risultare particolare utile, adottando ad esempio un modello fast-track per le opere
minori, intendendo per esse quelle di importo inferiore ai €5 milioni, che ad oggi rappresentano
circa l’80% dei progetti.
Attenzione andrebbe posta anche sullo sviluppo di competenze tecniche adeguate – soprattutto
con riferimento alle risorse della Pubblica Amministrazione - e alla rivisitazione critica delle
stazioni di appalto.
Occorre, inoltre, adottare una visione più ampia e una strategia di sviluppo allargata, dove
l’attenzione nella selezione è posta non solo sulla singola opera o sul singolo soggetto, ma anche
sul sistema infrastrutturale nel suo complesso, concepito in una logica di rete.
L’importanza dell’accumulazione “efficace” di capitale produttivo pubblico, sottolineata nelle
precedenti risposte, dovrebbe essere riconosciuta in sede di governance economica europea. Ci
si riferisce anche alle rigide regole di bilancio introdotte dal Fiscal Compact, che non
distinguono tra spesa pubblica corrente e spesa per investimento, assoggettandole allo stesso
trattamento contabile. Al riguardo, si sta peraltro consolidando una critica, segnatamente
formulata dall’IMF e ripresa nell’ultimo G8, agli eccessi in termini di timing, di frontloading e di
generalizzazione a tutti i Paesi dell’austerità fiscale, che può risultare controproducente per la
crescita e lo stesso risanamento fiscale.
La spesa pubblica corrente, accrescendo la domanda aggregata, contribuisce per questa via a un
incremento del prodotto, ma può avere effettivi negativi nel medio termine. Di contro, la spesa
per investimento, quando efficiente, alimentando lo stock di capitale produttivo, determina
incrementi durevoli della produzione aggregata.
Come già indicato, nell’ambito della spesa per investimento, un ruolo fondamentale riveste la
spesa destinata al finanziamento delle infrastrutture connesse alle attività di ricerca e sviluppo,
di innovazione, di accumulazione del capitale di conoscenza, che – oltre a partecipare al
5
In particolare, in Italia la maggioranza delle risorse dei fondi sono investite in opere brownfield, cioè con
riferimento a società che gestiscono opere già costruite e attive, o addirittura in azioni di società quotate
o privatizzazioni di società di gestione di infrastrutture; solo una minoranza è destinata al comparto
greenfield, ovvero alle nuove infrastrutture. Ciò rappresenta una evidente criticità che andrebbe risolta,
per rimuovere un significativo ostacolo all’impegno di capitali privati nella realizzazione di opere
infrastrutturali.
19
capitale produttivo – agiscono positivamente sulla produttività (individuale e totale) dei fattori,
contribuendo a incrementare il tasso di crescita del prodotto e, quindi, la capacità competitiva
del sistema.
Ai fini del mantenimento degli impegni europei sul fronte della sostenibilità delle finanze
pubbliche, unitamente alla necessità di rilanciare l’economia attraverso gli investimenti in
capitale produttivo, appare quanto mai opportuno riproporre in sede europea la questione di
sottrarre, nel prossimo triennio, dai vincoli del Fiscal Compact le spese di investimento nei
settori sopraindicati. Tali spese potrebbero essere co-finanziate dalla BEI, anche attraverso il
recente aumento di capitale. Il co-finanziamento BEI contribuirebbe anche in maniera risolutiva
a una opportuna verifica di qualità, efficienza e redditività degli investimenti pubblici/privati,
come indicato nella risposta al quesito n.4.
La prolungata, elevatissima disoccupazione giovanile corrode e distrugge il capitale umano,
pregiudicando seriamente la competitività del sistema per il prossimo futuro. Anche la spesa per
il rilancio durevole dell’occupazione giovanile dovrebbe, quindi, temporaneamente essere
sottratta ai vincoli del Fiscal Compact. Comunque, ridurre la disoccupazione giovanile, anche
attraverso il rilancio degli investimenti, è una sfida fondamentale e urgente per l’Europa.
Per rilanciare gli investimenti nelle infrastrutture occorrerebbe, inoltre, favorire (in particolare
a livello nazionale) una più ampia diffusione e adozione – anche attraverso adeguati incentivi
fiscali – di project e corporate bond: le obbligazioni, siano esse di progetto o corporate, sono
tutte considerate di grande rilievo ai fini degli investimenti in capitale produttivo6.
Occorrerebbe, inoltre, rafforzare e consolidare, a livello nazionale, le competenze tecniche in
materie di project financing, per un fattivo supporto agli enti locali, che si trovano spesso
impreparati nel lancio di iniziative di project financing.
Un fondamentale incentivo alla partecipazione degli investitori istituzionali arriva anche
dall’implementazione di meccanismi di garanzia pubblica (già previsti a livello europeo, ma che
andrebbero tuttavia ulteriormente sviluppati e promossi tra gli operatori economici). Ne è un
esempio il Loan Guarantee Instrument for Trans-European Transport (LGTT), lo strumento di
garanzia dei prestiti della BEI per i progetti della rete transeuropea dei trasporti, che fornisce un
sostegno al mercato per far fronte ai rischi iniziali di progetto, basandosi sulla fattibilità
finanziaria a lungo termine. Con la medesima finalità, sono stati introdotti anche gli Euro
Project Bonds, in particolare con lo scopo di finanziare i progetti infrastrutturali europei che non
sono realizzabili a condizioni commerciali, ma che sono strategicamente importanti per il
6
See, for instance, Gilibert (2012) and OECD (2013a).
20
rilancio della crescita in Europa. Si segnala, al riguardo, l’iniziativa del governo inglese, che ha
proposto – nell’ambito del National Infrastructure Plan 2011 – uno schema di garanzie pubbliche
a supporto dei principali progetti infrastrutturali che possono incorrere in difficili condizioni di
finanziamento.
Occorrerebbe, infine, valutare l’evoluzione dell’attuale contesto macroeconomico caratterizzato
da bassi livelli dei tassi di interesse, che dovrebbero incoraggiare gli investimenti a lungo
termine. Tuttavia, se mantenuto per un periodo di tempo eccessivamente prolungato, tale
contesto potrebbe innescare effetti negativi, che ne annullerebbero i benefici. Produce, infatti,
un effettivo distorsivo sull’allocazione di risparmio, rischiando di ridurne la propensione. D’altra
parte, però, in presenza di tassi di interesse molto bassi, i consumatori devono risparmiare
molto di più. In tale contesto, il rischio associato agli investimenti può essere molto elevato.
Quesito 6: In che misura e in che modo gli investitori istituzionali possono svolgere un ruolo
maggiore nel panorama in mutamento del finanziamento a lungo termine?
Il Libro Verde riconosce il fondamentale ruolo degli investitori istituzionali nell’investimento a
lungo termine, anche in ragione delle loro caratteristiche, che li qualificano come i finanziatori
ideali della tipologia di investimento in esame.
Le imprese di assicurazione sono tipicamente individuabili come “naturali” investitori a lungo
termine, grazie alla natura delle passività detenute, in base alle quali definiscono le strategie di
investimento da adottare: esse effettuano politiche di “matching” nelle attività di asset-liability
management, secondo il proprio business model. Ad oggi, in Europa gli assicuratori
rappresentano, infatti, il canale di trasmissione più importante per gli investimenti a lungo
termine, con attività pari a circa il 50% del PIL dell’Euroarea, e titoli gestiti per circa €9 trilioni.
Il ruolo di investitori e le strategie di investimento delle imprese di assicurazione generano
importanti benefici sia per gli assicurati, sia per l’economia in generale. Tali istituzioni possono
offrire un importante contributo alla soluzione del problema del funding gap, ovvero della
carenza di finanziamenti a lungo termine – storicamente forniti in larga parte dal settore
bancario – che caratterizza l’attuale situazione economica europea.
Strategie di investimento a lungo termine portano, dunque, in primo luogo, benefici per i
risparmiatori, poiché forniscono accesso a una più ampia scelta di opportunità di investimento,
spesso con performance migliori rispetto a quelle che otterrebbero i singoli individui grazie a un
maggior livello di diversificazione e all’utilizzo di titoli più illiquidi, che permettono di associare
21
alti rendimenti, minori costi di transazione e ridotta volatilità a breve termine. La combinazione
di tali benefici permette agli assicuratori di poter offrire prodotti di risparmio di lunga durata e
pensionistici a costi accettabili, sia per gli assicurati, sia per i portatori di capitale a copertura
del rischio. Rappresentano, inoltre, un valido supporto per il sistema pensionistico pubblico,
anche grazie alla capacità di offrire garanzie complementari legate alla longevità della vita (tra
cui le polizze long-term care).
Per quanto riguarda l’economia in generale, come ricordato, i benefici derivanti da tali strategie
risiedono principalmente nel ruolo stabilizzatore che le stesse possono esercitare. Le imprese di
assicurazione sono naturalmente attratte da orizzonti di investimento di lungo termine, data la
natura del proprio business; esse non hanno come obiettivo primario lo sfruttamento della
volatilità a breve termine dei rendimenti dei prodotti finanziari, bensì il mantenimento dei titoli
a scadenza, dettato dall’esigenza di avere sufficienti risorse a disposizione per mantenere gli
impegni presi verso gli assicurati. In tal modo, esse riducono le pressioni sulla pro-ciclicalità e
forniscono stabilità ai mercati finanziari.
Le imprese di assicurazioni investono in un ampio spettro di tipologie di titoli, a seconda della
duration e del tipo di passività detenute (generalmente illiquide) e del tipo di prodotto fornito.
Normalmente, esse investono in titoli di debito governativi, corporate, covered (circa il 60%) e in
equity (15%), ma intraprendono anche operazioni di cartolarizzazione, prestito diretto alle PMI,
investimenti in infrastrutture, mutui, mercato immobiliare, private equity e venture capital, in
base al profilo di rischio-rendimento cercato.
Per favorire l’importante ruolo delle imprese di assicurazione, si rendono necessarie alcune
modifiche agli assetti regolamentari, come ha ad esempio indicato Thomas Hess, Chief
Economist Swiss Re [citato da Wehinger (2011)]:
«Fixing regulatory bugs would favor long-term investments. Many observers are surprised how
little long-term investment risk insurers assume. For insiders, this is hardly a mystery. The
reason often boils down to regulation: when pro-cyclical elements of regulation “force”
insurers to sell risky assets at the worst possible moment, one should not wonder why insurers
avoid such risky assets. (Similar issues can arise in relation to accounting standards.) Also,
state-enforced, asymmetric profit-participating schemes (life policy holders share in profits but
losses have to be absorbed by shareholder capital) are clearly disincentivising insurers to take
investment risk. Another problem is the double taxation of equity capital, which disincentivises
the holding of equity capital. This reduces risk appetite in general, and for long-term
investments, in particular».
22
Accanto alle compagnie di assicurazione e ai fondi pensione, il Green Paper indica, nell’alveo
degli investitori istituzionali, i fondi di private equity quali potenziali fornitori di capitale a
lungo termine.
A livello europeo7, compagnie di assicurazione e fondi pensione si collocano tra le principali fonti
di raccolta per i fondi di private equity, con un apporto complessivo del 34% sul totale raccolto,
ripartito rispettivamente come segue: 8% dalle compagnie di assicurazione e 26% dai fondi
pensione8.
Il mercato del private equity e venture capital deve ritornare, dunque, a collegarsi con i propri
principali interlocutori. Traendo esempio dalle altre realtà europee, come dimostrano i dati
sopra riportati, è quanto mai ora opportuno, soprattutto per i fondi italiani, riavvicinarsi a
investitori in capitale di lungo periodo, quali i fondi pensione e le compagnie di assicurazione,
che per ciclo di investimento risultano più adatti al fundraising dei fondi di private equity,
lasciando, al contempo, a questi ultimi il ruolo di tramite nell’apporto di capitale di rischio
verso le imprese italiane.
Inoltre, in una fase di mercato in cui le richieste di finanziamento da parte delle PMI non trovano
piena soddisfazione nel sistema bancario, l’industria del risparmio gestito può ricoprire un ruolo
importante mettendo in contatto imprese e investitori, tramite soluzioni di investimento che
consentano l’accesso al mercato obbligazionario di PMI, un asset class in cui difficilmente gli
investitori individuali possono investire direttamente, con adeguata diversificazione. Si tratta, in
buona sostanza, di favorire – sulla base di quanto già effettuato in alcuni Paesi europei (ad
esempio, in Francia) – lo sviluppo di fondi di investimento, prevalentemente di tipo chiuso,
specializzati nell’investimento in strumenti di debito di medie imprese, in grado di selezionare
correttamente le aziende da finanziare, adottare politiche di diversificazione del portafoglio e di
gestione del rischio e della limitata liquidità dei sottostanti. A tal fine, potrebbe essere previsto
un iter autorizzativo semplificato con le Autorità competenti, con l’obiettivo di consentire una
più rapida crescita e commercializzazione di tali veicoli, nonché la possibilità, per istituzioni
finanziarie anche del settore pubblico, di sottoscrivere quote di minoranza di tali veicoli di
investimento.
Tra gli investitori istituzionali, un ruolo certamente rilevante per l’espansione dei finanziamenti
per
investimenti
produttivi potrebbe
essere
svolto
dalla
Previdenza
complementare.
Attualmente, in Italia gli iscritti ai Fondi pensione rappresentano soltanto il 25% circa del totale
7
Fonte AIFI, PwC, AFIC, EVCA su dati 2007-2011.
A differenza di quanto succede in Europa, le statistiche italiane sulla raccolta del settore mostrano i
fondi pensione al quinto posto per ammontare investito (9%).
8
23
degli occupati e gestiscono un patrimonio di oltre €104 miliardi, ai quali potrebbero aggiungersi
circa €50 miliardi delle Casse professionali di previdenza.
Non esistono prodotti dedicati specificamente ai fondi pensione, che sono quindi costretti ad
avvalersi degli stessi strumenti finanziari a disposizione di tutti gli operatori economici,
accollandosi rischi che mal si conciliano con l’investimento previdenziale il quale, per
definizione, deve riferirsi al lungo periodo. Potrebbero essere collegati a iniziative della
Pubblica Amministrazione, centrale o periferica, volte alla realizzazione di infrastrutture, opere
di pubblica utilità ed energia, o alla capitalizzazione delle piccole e medie imprese, originando
ricadute positive anche sull’occupazione e sulla crescita economica.
Quesito 7: Come si possono bilanciare al meglio gli obiettivi prudenziali e la finalità di
sostenere il finanziamento a lungo termine nella formulazione e nell’attuazione delle norme
prudenziali applicate rispettivamente ad assicuratori, riassicuratori e fondi pensione come
gli enti pensionistici aziendali o professionali?
L’esperienza degli standard di capitale nel settore bancario suggerisce cautela nell’introduzione
di obiettivi e vincoli prudenziali particolarmente stringenti e con forte prociclicità per
assicuratori, riassicuratori e fondi pensione.
Per quanto riguarda le compagnie di assicurazione, occorre sottolineare, in primo luogo, che
l’implementazione delle regole di Solvency II non è attualmente prevista negli Stati Uniti. La
direttiva Solvency II si focalizza su una valutazione di mercato delle attività/passività e su uno
standard di capitale sensibile al rischio, che si basa in modo efficace su un approccio di tipo VaR
(99,5% in un anno).
Come da molti indicato, e in particolare dall’OECD [Severinson e Yermo, 2012], questo approccio
presenta molti inconvenienti. Ad esempio, i prodotti “vita” sono progettati e regolamentati in
funzione dei principi del book investment yield e del cost accounting. Il passaggio a un bilancio
basato sul principio del mark-to-market non sarebbe coerente con la tipologia di prodotto. Ciò
influenzerà in particolar modo il pacchetto LTG.
L’approccio “one-size-fits-all” non risolve gli attuali, specifici problemi degli operatori
assicurativi nei diversi Paesi. In Germania, il principale problema risiede nelle garanzie LT con
rendimenti di lungo periodo estremamente bassi. Nei Paesi periferici con alti spread sui titoli
sovrani, il problema consiste principalmente nella possibile volatilità dei titoli di Stato a lungo
termine, anche se detenuti fino a scadenza.
24
Più in generale, il disincentivo alle attività detenute a fronte delle passività a lungo termine
genera inevitabilmente un impatto negativo sugli investimenti a lungo termine. Anche in questo
caso, il differente scenario d’investimento nei vari Paesi crea problemi di aggiustamento
complessivo. Ad esempio, in Italia i titoli di Stato svolgono tradizionalmente un ruolo rilevante
come investimenti a lungo termine, mentre in Francia sono molto significativi gli investimenti in
equity. Nei Paesi scandinavi, questo ruolo è ricoperto dai fondi infrastrutturali, mentre nel
Regno Unito e in Spagna sono privilegiate le obbligazioni societarie.
La Commissione Europea si trova ad affrontare un compito molto difficile nel dover coniugare
l’attuazione di Solvency II con l’esigenza di garantire finanziamenti a lungo termine necessari
per sostenere la ripresa economica. Per definizione, Solvency e i modelli di tipo VaR aumentano
la prociclicità dei mercati finanziari. Come sostenuto dall’OECD, ma anche dalla BCE/BIS [Praet,
2011], Solvency II condurrebbe a strategie di investimento omogenee in tutto il settore
assicurativo europeo. Le strategie d’investimento degli assicuratori «may become more
synchronised under a common regulatory framework. Where they used to exhibit contrarian or
stabilising behaviour, they may henceforth move in the same direction as markets and the
economy, leading to procyclical effects».
Le nuove norme, se da un lato si prefiggono l’obiettivo di rafforzare la sicurezza e la stabilità
delle istituzioni finanziarie, dall’altro portano a inevitabili aumenti del costo dei finanziamenti e
a effetti non trascurabili sulle decisioni di investimento delle istituzioni stesse. Il nuovo quadro
regolamentare sui requisiti di capitale delle imprese di assicurazione (Solvency II) o sui
collateral per i derivati all’interno dei mercati non regolamentati (EMIR) potrebbe, se non
calibrato correttamente, disincentivare gli investimenti da parte delle imprese di assicurazione
in alcune classi di asset e, in particolare, verso alcune tipologie di investimenti a lungo termine.
Allo stato attuale, tali norme sembrano non tener conto della predetta tendenza degli
assicuratori a detenere titoli a scadenza, che li rende meno esposti al rischio di mercato rispetto
a strategie di tipo buy and sell.
Scontare poste dell’attivo a tassi di mercato e poste del passivo al tasso risk free comporta,
infatti, il rischio di introdurre nei bilanci di esercizio componenti di “volatilità artificiale”; ciò, a
sua volta, obbligherebbe le stesse a dover detenere buffer di capitale non proporzionati al reale
livello di rischio assunto, soprattutto in periodi di condizioni di mercato particolarmente
negative.
Una seconda importante minaccia derivante dall’introduzione di regolamentazioni mal calibrate
è quella connessa al materializzarsi di un forte disincentivo alla trasformazione delle scadenze.
25
La crisi ha chiaramente evidenziato i rischi associati a un utilizzo eccessivo della trasformazione
delle scadenze nelle sue versioni più estreme; bisogna, tuttavia, considerare che ingessare simili
pratiche, rendendole più onerose dal punto di vista regolamentare, concorre a spostare il rischio
sulle spalle degli investitori, aumentando quindi anche i costi per gli assicurati.
In ambito europeo, l’attuale processo di revisione della Direttiva IORP (di seguito “IORP II”) ha
destato perplessità, manifestate anche dall’industria del private equity: è stato adottato,
infatti, un approccio analogo a quello sottostante la Direttiva Solvency II, che risulta molto
penalizzante nella misura in cui disincentiva, di fatto, l’investimento nell’asset class del private
equity.
Il settore del private equity e venture capital è attualmente interessato dall’avvio processo di
armonizzazione comunitaria, in vista dell’implementazione negli Stati membri della Direttiva
Alternative Investment Fund Managers e della prossima entrata in vigore del Regolamento
europeo per i fondi di venture capital.
Il mutamento delle dinamiche nazionali e la creazione di un mercato unico europeo non possono
prescindere da un quadro regolamentare e di vigilanza armonizzato e rigoroso. Come
sottolineato, un importante fattore che guida la scelta delle classi e dell’orizzonte temporale di
investimento è rappresentato dal contesto regolamentare e macroeconomico.
Anche con riferimento ai Fondi Pensione, il sostegno della finalità di finanziamento a lungo
termine non può determinare ricadute negative sulla sana e prudente gestione. Lo scopo dei
Fondi complementari è, appunto, quello di erogare una pensione complementare; per potere
adempiere a tale scopo, essi devono attuare strategie di investimento che valorizzino, e nel
contempo tutelino, il capitale degli iscritti.
Perseguire l’obiettivo di canalizzare volontariamente parte delle risorse raccolte dai Fondi
Pensione in progetti di capitalizzazione delle micro, piccole e medie imprese, privilegiando gli
investimenti di sviluppo sostenibile, nonché la realizzazione di infrastrutture e opere pubbliche naturalmente con un adeguato e costante ritorno del finanziamento (come illustrato nella
risposta al quesito 6) - non solo è possibile, ma anche auspicabile, perché consentirebbe di
perseguire contemporaneamente il duplice obiettivo di assicurare un adeguato rendimento al
risparmio previdenziale e contribuire contestualmente allo sviluppo dell’economia.
Al riguardo, appare utile il richiamo al principio base della normativa italiana (D.M. 703/96), che
fissa i criteri di gestione cui attenersi: “Il fondo pensione opera in modo che le proprie
disponibilità siano gestite in maniera sana e prudente avendo riguardo agli obiettivi di
diversificazione degli investimenti; efficiente gestione del portafoglio; diversificazione dei
26
rischi, anche di controparte; contenimento dei costi di transazione; massimizzazione dei
rendimenti netti”.
Per concludere, condividiamo appieno l’analisi dell’OCSE [Wehinger, 2011], secondo la quale il
quadro normative spesso fornisce disincentivi per gli investimenti a lungo termine, che devono
essere corretti:
«In particular, accounting rules that are appropriate for investment banks and trading activities
are not very relevant, promote short-termism and therefore sometimes penalise long-term
investors. The new Basel III capital and liquidity requirements will probably discourage longterm banking and financial initiatives. Moreover, the IASB mark-to-market philosophy is
particularly damaging for long-term investments, attributing instant market pricing to assets
whose value takes a longer time horizon to ascertain; and the European Solvency II Directive
will discourage insurance companies and pension funds from investing in infrastructure assets,
not allowing them to properly match long-term liabilities on their balance sheets with longterm assets.
While OECD figures show institutional investors’ assets at USD 65 trillion in 2009, long-term
investment of these assets is facing liability and governance constraints, allowing only a small
part to be available as long-term capital. But if enough investors with a long-term horizon were
active on financial markets, they could act as shock absorbers, as they did in the past. While
institutional investors are starting to invest directly in core infrastructure assets and are
increasingly becoming familiar with this asset class, it is estimated they are investing only
around 2% of their assets, on average, in infrastructure, much below their balance sheet
potential for long-term investment, estimated at USD 7 trillion. Equity demand for
infrastructure is likely to increase, but if the supply of capital does not follow suit, this may
result in an infrastructure “equity crunch”.
Regulatory reforms conducive to long-term investment should involve not only accounting
standards and prudential principles, but also: (1) tax incentives; (2) better (sectoral) regulating
mechanisms for project financing initiatives; (3) better corporate governance (including
compensation) systems; (4) new longterm financial instruments that source from both public
and private funds (perhaps drawing from the recent European experience with equity funds,
such as Marguerite and InfraMed, and EU project bonds); and (5) credit-enhancing mechanisms
to lower the risk and decrease the cost of long-term initiatives in strategic sectors, such as
infrastructure, energy and technology».
27
Quesito 9: Quali altri possibilità e strumenti potrebbero essere presi in considerazione per
migliorare la capacità delle banche e degli investitori istituzionali di incanalare il
finanziamento a lungo termine?
Come spiegato nel documento di risposta predisposto dall’ABI e come indicato nelle precedenti
pagine, sarebbe opportuno favorire lo sviluppo degli investimenti nel capitale di rischio in
imprese non quotate da parte di gestori di fondi di private equity.
In questa prospettiva, nell’esperienza italiana un importante contributo è pervenuto dal Fondo
Italiano d’Investimento, il cui capitale è stato sottoscritto da importanti banche italiane e da
altre istituzioni finanziarie, anche pubbliche.
Il finanziamento di lungo termine da parte degli investitori istituzionali dovrebbe fungere da
volano per lo sviluppo di altri mezzi di raccolta da parte di investitori meno esperti. Un esempio
rilevante è rappresentato dal segmento del finanziamento tramite portali online in start-up
innovative, la cui disciplina si sta delineando in Italia e dovrebbe essere armonizzata a livello
europeo.
Per quanto concerne i fondi di investimento, quelli chiusi appaiono i più indicati per il
finanziamento a lungo termine dell’economia reale. Tuttavia, considerato che la maggior parte
del mercato europeo dei fondi di investimento è costituita da fondi aperti, riteniamo che anche
questi prodotti debbano essere specificamente presi in considerazione.
Si suggerisce di mettere a punto un impianto normativo comunitario che, partendo
dall’esperienza dell’UCITS, consenta la creazione di fondi specificamente dedicati al
finanziamento a lungo termine. Sia che si configuri come una nuova categoria di prodotto
all’interno della Direttiva UCITS, sia che rappresenti una forma di regolazione a sé stante, il
nuovo framework dovrà occuparsi dell’eleggibilità degli asset e indicare le regole di rimborso e
prestito, opportunamente scelte per meglio bilanciare l’approccio a lungo termine della politica
di investimento con le caratteristiche del prodotto.
In particolare, si dovrebbe ampliare la tipologia di attività rispetto alle attuali norme UCITS. Ad
esempio, si dovrebbe consentire ai fondi a lungo termine (LTF) di investire in infrastrutture, in
progetti di sviluppo urbano, in energie rinnovabili, in piccole e medie imprese e in mutui
bancari.
Le condizioni di rimborso dovrebbero essere strettamente calibrate rispetto alla struttura del
portafoglio. Come regola generale, un incremento nella percentuale di investimenti illiquidi od
orientati al lungo termine dovrebbe essere accompagnato da una consistente riduzione delle
28
passività a breve degli LTF, mediante la definizione di più lunghi periodi di lock-in o, almeno, di
disposizioni più restrittive per il rimborso anticipato.
Infine, agli LTF dovrebbero essere attribuite esplicite, anche se limitate, possibilità di accesso al
credito, al fine di conseguire un’adeguata leva finanziaria, ma anche di poter gestire al meglio
la liquidità.
Uno specifico impianto normativo aumenterebbe la visibilità e l’appetibilità degli LTF. Inoltre,
riteniamo cruciale per il loro successo che vengano riconosciute a questi strumenti significative
agevolazioni fiscali, mirate a suscitare l’interesse dei piccoli investitori orientati al breve
termine. Qualora essi decidessero di destinare parte dei loro risparmi agli investimenti a lungo
termine, il costo delle agevolazioni fiscali sarebbe probabilmente interamente ripagato nel
medio periodo.
Quesito 10: Le riforme prudenziali, attuali e programmate, hanno impatti cumulativi sul
livello e sulla ciclicità degli investimenti a lungo termine aggregati e quanto sono significativi
tali impatti? Quale può essere il modo migliore per affrontarli?
Si è già indicato che le riforme prudenziali, in particolare CRD IV e Solvency II, possono avere
effetti negativi sul livello e sulla ciclicità degli investimenti. Considerazioni generali sulla
inopportunità di talune caratteristiche di Solvency II sono già state espresse9.
In questa sede, si intende sottolineare l’esigenza di modifiche nelle proposte di CRR e CRD IV. I
regolatori sono consapevoli della rilevanza della questione del finanziamento a lungo termine,
ma ne posticipano l’esame alla fine del 2014 (come indicato dal documento di risposta di ABI).
In particolare, si dovrebbe affrontare il problema procedendo a una revisione al ribasso dei
requisiti: (i) almeno fino a un monte massimo di importo accordato, stabilito in percentuale al
portafoglio di ogni banca; (ii) anche se le operazioni fossero in capo a soggetti di medie e piccole
dimensioni e/o non rated esternamente; (iii) anche se fossero singolarmente di importo non
rilevante (si pensi al tema energie verdi, per esempio).
9
Cfr. Wehinger (2011).
29
Quesito 12: Come possono i mercati dei capitali contribuire a risolvere la carenza di capitale
in Europa? Cosa dovrebbe cambiare nel modus operandi dell’intermediazione basata sul
mercato per assicurare che il finanziamento possa essere incanalato verso gli investimenti a
lungo termine, per sostenere meglio il finanziamento di investimenti a lungo termine nella
crescita sostenibile sotto il profilo economico, sociale e dell’ambiente e per assicurare una
protezione adeguata degli investitori e dei consumatori?
L’esigenza di favorire il ricorso delle PMI al finanziamento di tipo equity è già stata sottolineata.
Proposte specifiche sulle modifiche che la Commissione potrebbe introdurre sui mercati dei
capitali per sovvenire a questa esigenza sono indicate nella risposta di ABI, della quale qui si
riprendono i punti principali.
Le principali società di gestione dei mercati, anche sulla spinta delle modifiche introdotte dalla
normativa, hanno promosso “trading venues” (Multilateral Trading Facility) per la negoziazione
di titoli azionari di PMI, dedicate a investitori professionali e caratterizzate, in genere, da
adempimenti, costi di ammissione e permanenza per gli emittenti più contenuti rispetto a
quanto previsto sui mercati regolamentati. Alcuni mercati per le PMI (ad esempio, AIM UK,
Euronext) possiedono già i requisiti per attrarre imprese provenienti anche da altri Paesi. In altri
mercati, di dimensione più nazionale, occorre far crescere il numero di investitori specializzati
in tale asset class coinvolgendo, come osservato per gli investimenti in private equity, anche
istituzioni finanziarie del settore pubblico con modalità diverse.
Più di recente, la crisi finanziaria ha evidenziato l’esigenza, soprattutto per le PMI, di
diversificare le fonti di finanziamento raccogliendo le risorse finanziarie necessarie a titolo di
debito direttamente sul mercato. Si sono, quindi, sviluppati in Europa, in aggiunta al mercato
EMTN, sia piattaforme a carattere nazionale per favorire la negoziazione di titoli emessi dalle
imprese, sia mercati destinati a emissioni collocate in private placement non quotate (ad
esempio, il mercato tedesco dei Schuldschein).
La frammentazione a livello nazionale dei mercati per i titoli di debito delle PMI non favorisce la
raccolta di risorse finanziarie da parte di queste ultime. Sarebbe, invece, utile promuovere, nel
rispetto delle opportune caratterizzazioni istituzionali dei singoli Paesi, un mercato armonizzato
europeo non regolamentato per i bond emessi dalle PMI, caratterizzato da procedure di accesso
e di permanenza, nonché da documentazione standardizzata e da contenuti costi di ammissione
degli strumenti.
30
Quesito 13: Quali sono i pro e i contro di un quadro più armonizzato per le obbligazioni
garantite? Quali elementi potrebbero comporre tale quadro?
Come già indicato al punto precedente, mentre appare opportuno costruire gradualmente un
quadro armonizzato per le obbligazioni garantite, occorre comunque evitare di creare un
sistema del tipo “one-size-fits-all” e far, quindi, venir meno una concorrenza fra le discipline
nazionali. Di contro, è evidente che una maggiore armonizzazione nel campo dei covered bond
favorirebbe la penetrazione di questi strumenti sul mercato internazionale, riducendo i costi di
analisi delle transazioni e favorendo la liquidità del mercato di questa asset class.
Quesito 14: Come si potrebbe rivitalizzare il mercato delle cartolarizzazioni dell’Unione
europea, al fine di conseguire il giusto equilibrio tra la stabilità finanziaria, da un lato, e la
necessità per il sistema finanziario di migliorare la trasformazione delle scadenze, dall’altro?
Per quanto utile, mettere a punto parametri comuni per le obbligazioni garantite non sembra
essere la principale priorità nel creare incentivi per gli investimenti a lungo termine. Riteniamo
che la rivitalizzazione del mercato delle cartolarizzazioni sia una urgenza, dal momento che tali
strumenti svolgono un ruolo fondamentale nelle strategie di trasformazione delle scadenze delle
istituzioni finanziarie.
Esistono molte sottocategorie di cartolarizzazioni, che includono le asset-backed securities
(“ABS”), le collateralized debt obligations (“CDO”), le collateralized loan obligations (“CLO”),
ecc. Le cartolarizzazioni hanno acquisito una cattiva reputazione e le nuove emissioni sono
diminuite drasticamente dopo essere state ritenute responsabili, almeno in parte, della crisi
finanziaria. Tale cattiva reputazione è in larga misura ingiusta e ingiustificata, se si guarda alle
performance di questi asset in Europa. Ad esempio, secondo la relazione di Fitch Ratings 2012
“Solvency II and securitisation”, alla fine del luglio 2007 le perdite totali per le tranche nella
classe AAA del portafoglio rating della Fitch erano stimate al 6,5% per le residential mortgage
backed securities (RMBS) americane, mentre le perdite totali per l’Europa, il Medio Oriente e
l’Africa ammontavano ad appena lo 0,8%.
Gli assicuratori sono i tipici acquirenti di questa classe di attività. Anche se le imprese di
assicurazione stanno attualmente investendo in un range di cartolarizzazioni (ad esempio, per le
13 società esaminate, le securitisation ammontavano a circa €53 miliardi), i loro investimenti
sono concentrati in specifiche fette di mercato, ovvero:
31

ABS (Asset-Backed Securities - un termine generico usato per obbligazioni o altri titoli di
credito garantiti da attività di portafoglio)

MBS (Mortgage-Backed Securities – obbligazioni i cui flussi sono garantiti da mutui
ipotecari).
Inoltre, e forse ancor più importante da sottolineare, le compagnie di assicurazione tendono ad
essere attratte da tranche senior di asset tali da consentire loro di accedere ad un addizionale
spread pick-up disponibile sul pool di garanzie sottostanti, senza aumentare la rischiosità del
proprio portafoglio di investimenti.
Appoggiamo, inoltre, in pieno qualunque iniziativa volta a incrementare il grado di trasparenza
dei dati al fine di contrastare le situazioni ben note di informazione asimmetrica, sia in fase di
cartolarizzazione e/o in termini di subottimale attività di screening nell’erogazione del prestito,
sia dopo la cartolarizzazione, in relazione al non ottimale monitoraggio.
Il paper “Securitization is not that evil after all”, a firma di Albertazzi et al. (2011), sviluppa
alcune idee che andrebbero approfondite:

gli originator possono scegliere di cartolarizzare crediti che hanno un contenuto
relativamente basso di informazioni “soft”, cioè informazioni diverse da quelle
pubblicamente disponibili, oppure crediti di qualità superiore alla media.

gli originator potrebbero tenere una quota consistente (molto più consistente che in
passato) del rischio del portafoglio cartolarizzato, mantenendo la junior (equity) tranche
per segnalare la qualità (non osservabile) oppure per comunicare l’impegno al continuo
monitoraggio dei debitori. Infine, affidarsi alla cartolarizzazione su base continuativa è
prova di una buona reputazione; ciò dovrebbe rappresentare un disincentivo naturale a
svendere le parti “cattive” del portafoglio prestiti.
Alcuni market speakers sono ottimisti circa la ripresa del mercato delle cartolarizzazioni.
Tuttavia, ad oggi, c’è meno ottimismo sull’incremento degli investimenti da parte delle
compagnie di assicurazione in questo mercato, prevedendo per questi asset un innalzamento dei
requisiti di capitale previsti da Solvency II. Un trattamento più soft è, invece, atteso per le
obbligazioni garantite.
32
Quesito 16: Che genere di riforma della tassazione dei redditi delle società potrebbe
migliorare le condizioni di investimento, ponendo fine alle distorsioni tra debito e capitale?
Nel fare rinvio al documento ABI, si sottolinea che il sistema bancario italiano ha in più occasioni
espresso il proprio favore per un maggiore coordinamento fiscale nell’Unione europea,
sostenendo il progetto di creazione di una base imponibile armonizzata per la tassazione delle
società in Europa (CCCTB). Le difficoltà incontrate nella realizzazione di tale progetto, che non
ha registrato evoluzioni di rilievo dopo la presentazione della proposta per una direttiva in tal
senso, dovrebbero quindi essere affrontate e risolte.
Quesito 17: Di quali considerazioni si dovrebbe tener conto per istituire a livello nazionale i
giusti incentivi al risparmio a lungo termine? In particolare, in che modo andrebbero
utilizzati gli incentivi fiscali per incoraggiare tale forma di risparmio in modo equilibrato?
Il risparmio è fondamentale: senza il suo contributo non ci possono essere investimenti e
sviluppo sostenibile di medio-lungo termine, né lo Stato è in grado di realizzare le proprie
finalità istituzionali. Occorre ritrovare le condizioni che avevano consentito il miracolo
dell’economia italiana: elevati tassi di risparmio, investimenti privati e pubblici, competitività
internazionale, pur con la disciplina di un sistema di cambi fissi.
Prima ancora di ipotizzare forme di incentivo per il risparmio, il legislatore comunitario
dovrebbe assicurare un quadro di riferimento ottimale per la formazione e l’impiego di tale
risparmio, evitando l’introduzione di elementi di contrasto e, quindi, distorsivi. In tale ottica, la
preoccupazione di voler assicurare un beneficio per gli investimenti di lungo termine appare in
contraddizione con la proposta di introduzione di una financial transaction tax che, secondo la
proposta della Commissione, dovrebbe colpire anche le operazioni aventi ad oggetto titoli di
debito, sia pubblici, sia privati.
La normativa a sostegno del risparmio a lungo termine dovrebbe comunque:

favorire la detenzione di investimenti di lungo periodo da parte del risparmiatore, senza
avere riguardo alla scadenza dell’emissione (evitando cioè di riproporre distinzioni
analoghe a quelle un tempo previste in Italia, che penalizzavano le emissioni di
obbligazioni a breve termine rispetto a quelle a medio-lungo termine);

prevedere che il beneficio operi a prescindere dallo strumento, indipendentemente cioè
dal fatto che si tratti di azioni od obbligazioni, ovvero fondi comuni o polizze assicurative
a carattere finanziario, o altro ancora.
33
Quesito 20: In che misura ritiene che l’applicazione dei principi del fair value abbia
determinato la propensione degli investitori per il breve termine? Quali alternative o quali
nuove soluzioni potrebbero essere proposte per compensare tali effetti?
Le banche hanno una notevole discrezionalità nel determinare un valore contabile delle attività
superiore al valore implicito nei prezzi delle azioni e nel limitare le svalutazioni di asset sotto
stress. La valutazione a prezzi di mercato differisce notevolmente da quella a valori di libro,
soprattutto in un periodo di difficoltà finanziarie. L’eccessiva discrezionalità può portare a
informazioni contabili non accurate in un momento di crisi, con potenziali conseguenze negative
nell’allocazione del capitale. I prezzi di mercato (in particolare, i rapporti price-to-book)
dovrebbero pertanto svolgere un ruolo primario nell’attuazione della vigilanza bancaria, come
strumento di azioni correttive immediate (Prompt Corrective Action - PCA): i valori di mercato
hanno un maggiore potere informativo e di segnalazione rispetto agli aggregati contabili, nel
predire anomalie del sistema bancario durante una crisi finanziaria [Masera e Mazzoni, 2013].
Ad oggi, le compagnie di assicurazione redigono i bilanci individuali in conformità ai principi
contabili GAAP locali e i bilanci consolidati in conformità ai principi contabili internazionali (IFRS
4 per la valutazione dei contratti assicurativi, che consente l’adozione dei GAAP locali). In
futuro, l’ulteriore attuazione degli standard IFRS 4 e l’introduzione degli standard IFRS 9 (per la
valutazione delle attività) potrebbero introdurre elementi di volatilità artificiale nei bilanci. I
nuovi IFRS 4 e IFRS 9 dovrebbero essere elaborati in modo da rappresentare correttamente la
natura a lungo termine dell’attività assicurativa, evitando la volatilità artificiale.
Sarebbe opportuno non richiedere (ma permettere) alle compagnie di assicurazione di adottare
gli IFRS 9 prima della data obbligatoria di adozione degli IFRS 4; altrimenti, verrebbe messa in
discussione l’effettiva utilità dei bilanci per gli utilizzatori nel periodo intercorrente tra
l’adozione degli IFRS 9 e quella degli IFRS 4. Essi, infatti, si troverebbero di fronte a due
importanti cambiamenti nei bilanci delle compagnie di assicurazione in un brevissimo periodo di
tempo.
Quesito 22: Come possono essere sviluppati i mandati conferiti ai gestori delle attività e gli
incentivi loro accordati per sostenere strategie e rapporti di investimento a lungo termine?
Le più recenti modifiche normative e regolamentari indicano un favore per quei criteri di
remunerazione che incoraggiano investimenti a lungo termine: si tratta, tuttavia, di interventi
normativi assai recenti, talora anche molto sofisticati (si pensi alle disposizioni sulla
remunerazione), o addirittura ancora in corso di emanazione. Prima di intervenire nuovamente
34
sulla disciplina, con il rischio di una ipertrofia normativa, sarebbe pertanto opportuno lasciare al
mercato i tempi per decantare la normativa in vigore, applicandola conformemente ai principi di
diritto chiaramente espressi a livello comunitario.
Quesito 26: Quali ulteriori interventi potrebbero essere previsti, in termini di normativa UE
o di altre riforme, per favorire l’accesso delle PMI alle fonti alternative di finanziamento?
La mancanza di una vera unione bancaria aumenta le difficoltà dell’azione della BCE di stimolo
della crescita, dal momento che i bassi tassi di interesse e i cospicui crediti alle banche non sono
correttamente trasmessi all’economia reale (e, in particolare, alle PMI) dei Paesi periferici.
Sarebbe, quindi, particolarmente importante se la BCE potesse sostenere, attraverso
l’acquisizione diretta di prestiti cartolarizzati alle PMI, i flussi di credito a questo vitale settore
di molte economie europee.
Più in generale, dovrebbe essere sviluppato in Europa un sistema di co-garanzie a favore del
credito concesso per le infrastrutture e per le PMI in un quadro coerente, che includa la
Commissione europea, la BEI, il FEI, il Sistema di Garanzia Nazionale e le co-garanzie offerte da
operatori pubblici e privati.
Al riguardo, l’Italia vanta una positiva esperienza attraverso il Fondo di garanzia per le PMI. Il
modello, concepito per il finanziamento del debito, è stato aperto anche al capitale di rischio.
Appare, inoltre, necessario promuovere in Europa l’utilizzo di canali finanziari alternativi e
complementari, anche a favore delle PMI. Nel breve termine, il combinato disposto di politiche
fiscali fortemente recessive e rigide regole sul capitale determina un paradosso: gli USA hanno
un rapporto fra PMI e grandi imprese fortemente sbilanciato a favore di quest’ultime, che
possono accedere molto più facilmente al mercato dei capitali; in Europa, le PMI hanno un peso
più rilevante, e tanto più rilevante in relazione al predominante ruolo del sistema bancario nel
loro finanziamento. Occorre, quindi, rivedere le stringenti regole introdotte in Europa,
bilanciando gli obiettivi della stabilità finanziaria con quelli della ripresa sostenibile.
Relativamente al finanziamento delle imprese e delle opere infrastrutturali, esiste certamente
l’interesse per un ruolo più attivo dell’industria assicurativa italiana. Questo non può tuttavia
concretizzarsi anche per l’assenza, sui mercati, di una adeguata gamma di strumenti per il
finanziamento delle piccole e medie imprese, e di strumenti innovativi per la finanza d’impresa.
È, dunque, essenziale un più ampio accesso delle imprese italiane al mercato dei capitali,
adeguatamente sostenuto dai servizi ad esse offerti dalle banche. Ne beneficeranno, al tempo
35
stesso, la struttura finanziaria delle imprese e i flussi reddituali delle banche stesse, e si
arricchirà il ventaglio degli strumenti disponibili agli investitori. Gli assicuratori guardano,
quindi, con favore alla possibilità di acquisire titoli generati da operazioni di cartolarizzazione
adeguatamente strutturate e covered bonds; le imprese di assicurazione sono pronte a
contribuire alla definizione di soluzioni per la costituzione di fondi specificamente dedicati
all’investimento in PMI con buone prospettive di crescita.
Il Gruppo della Banca Europea per gli Investimenti (Gruppo BEI), composto dalla BEI e dal Fondo
Europeo per gli Investimenti (FEI), svolge un ruolo essenziale nel finanziamento delle imprese,
dell’innovazione e della “crescita verde”. In particolare, mentre la BEI è molto attiva nel
finanziamento di aziende e di progetti in fase avanzata, il FEI supporta il finanziamento delle
PMI nelle fasi iniziali del progetto, utilizzando le proprie risorse per favorire una condivisione del
rischio e per catalizzare i fondi del settore privato e delle banche verso gli investimenti in
imprese fortemente dinamiche e innovative. È stata, quindi, predisposta una vasta gamma di
soluzioni di finanziamento, ulteriormente sviluppata in funzione dei seguenti elementi chiave: (i)
la trasformazione di premi e sussidi in strumenti finanziari rotativi, con futuri modelli di
intervento pubblico che comportano una migliore combinazione di sovvenzioni, co-investimenti
in capitale, prestiti, garanzie e incentivi fiscali, (ii) la strutturazione di tali interventi in modo
da riflettere il profilo di rischio e il potenziale ritorno economico, sociale e ambientale, (iii)
l’utilizzo del bilancio pubblico per stimolare la crescita attraverso investimenti nel settore
privato (la prossima generazione di Partenariati Pubblico-Privato - PPP). Ne sono un esempio i
Project Bonds, strumenti di condivisione del rischio in progetti di innovazione e finanziamento di
proprietà intellettuale [Pelly e Krämer-Eis, 2011].
Per quanto concerne specificamente il settore bancario e i vincoli sul capitale, connessi alla
prossima entrata in vigore di Basilea 3, tenendo conto dell’attuale difficile fase congiunturale,
sarebbe opportuno rivedere la vigente regolamentazione prudenziale europea in tema di
partecipazioni detenibili dalle banche in private equity, al fine di rafforzare la ricapitalizzazione
di imprese operativamente valide, ma con deficit di struttura patrimoniale.
La direttiva europea sui requisiti di capitale per le esposizioni in strumenti di private equity
assume rilievo per le banche in quanto le stesse sono spesso tra i principali sottoscrittori di fondi
di private equity, oltreché investitori diretti nel capitale delle imprese. Un trattamento
penalizzante di questi investimenti rende gli stessi meno convenienti per le banche e,
conseguentemente, riduce le risorse finanziarie destinate alla nascita e allo sviluppo delle
imprese, con riflessi negativi per l’economia in generale.
36
Per le esposizioni in private equity, sia dirette che indirette (tramite fondi specializzati),
assume rilievo, in particolare, il concetto di “portafoglio sufficientemente diversificato”, poiché
in base alla circostanza che gli investimenti siano o meno sufficientemente diversificati, muta il
trattamento previsto dalla disciplina di Basilea. In particolare, con riferimento all’approccio IRB,
si passa da una ponderazione del 370% a una ponderazione del 190% nel caso di investimenti
effettuati nell’ambito di un portafoglio sufficientemente diversificato. La direttiva sui requisiti
di capitale, tuttavia, non fornisce una definizione di tale concetto che, invece, sarebbe
opportuno definire anche al fine di evitare situazioni di arbitraggio normativo tra diversi Paesi
europei.
Accanto alle iniziative che, come affermato nel Green Paper, la Commissione ha identificato e
sta perseguendo in tema di finanziamenti alle PMI, si ritiene che i tempi siano maturi per
approntare una legislazione europea che disciplini il fenomeno della raccolta di capitali
attraverso portali on-line, c.d. crowdfunding. Nel panorama delle neo imprese, può
tendenzialmente ricondursi la categoria delle start-up innovative, per incentivare lo sviluppo
delle quali l’Italia, all’avanguardia sullo scenario internazionale, si sta dotando di una disciplina
per la raccolta di capitali di rischio (c.d. equity crowdfunding) tramite portali on-line. Si ritiene
che una disciplina comunitaria e generale del fenomeno dell’equity crowdfunding, potrebbe
dare impulso alla crescita del sistema Europa, stimolando l’iniziativa imprenditoriale anche fra
Paesi, fino a raggiungere una massa critica di offerte di investimento che genererebbe innati
meccanismi di selezione e premialità per le idee migliori.
Si può, infine, ricordare a questo proposito una iniziativa interessante introdotta nel mercato
italiano. Nel 2012, la Consob - l’organismo di vigilanza del mercato - assieme alle principali
associazioni finanziarie e industriali, ha lanciato un piano di azione chiamato “Più Borsa”, che
prevede un certo numero di attività e impegni finalizzati a migliorare l’accesso delle piccole e
medie imprese al mercato azionario. In effetti, queste società (che rappresentano il più
consistente e, in molti casi, il più innovativo settore del sistema produttivo italiano) sono molto
poco rappresentate nel mercato azionario rispetto al ruolo che svolgono nell’economia reale e
costituiscono ancora una percentuale molta ridotta delle società quotate.
Come previsto nel piano, l’assistenza fornita alle PMI nel percorso di apertura al mercato del
capitale di rischio verrà incrementata, grazie al migliore coordinamento delle iniziative presenti
e future: il progetto “Elite” della Borsa Italiana; la definizione delle linee guida per semplificare
la redazione del prospetto e la compliance alle regole post IPO (Prima Offerta Pubblica); la
creazione di partnership tra le associazioni coinvolte nel piano, al fine di incentivare
37
ulteriormente l’attività di scouting delle società potenzialmente interessate ad accedere al
mercato azionario.
Andrebbero, inoltre, migliorate l’assistenza e la consulenza durante il processo di quotazione,
rendendo più semplice l’identificazione di fornitori di servizi e il confronto dei costi. Inoltre, le
PMI che aderiscono al programma dovrebbero ricevere un’assistenza specifica post IPO, inclusa
la riduzione dei costi standard del mercato e dei regolatori, la riduzione della burocrazia,
attraverso l’assistenza individuale per tutte le formalità associate allo status di imprese quotate,
la promozione di servizi connessi alla negoziazione continuativa, quali ad esempio
l’organizzazione di “road shows”, la predisposizione di report finanziari e l’assistenza per le
attività volte al reperimento di liquidità.
Infine, è stato predisposto un piano specifico volto a promuovere i prodotti per la gestione delle
attività delle PMI: è in corso di definizione un progetto “fondo dei fondi” volto a ottenere risorse
dagli investitori istituzionali (fondazioni, società assicurative, fondi pensione, enti statali e
regionali) e successivamente investirle in fondi/veicoli dedicati alle piccole imprese.
L’investimento di parte delle attività dei fondi aperti e chiusi attualmente esistenti in PMI
quotate o in corso di quotazione viene promosso grazie agli sforzi di Assogestioni.
Contemporaneamente, un crescente numero di società di gestione sta prendendo in
considerazione la possibilità di istituire nuovi fondi specializzati nell’investimento nelle PMI
come un modo per ampliare la propria gamma di prodotti e dare una positiva risposta alla
crescente domanda di soluzioni alternative di finanziamento da parte delle PMI italiane.
38
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