Il «sanguepazzo» dell`Italia divisa ei divi del regime

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Il «sanguepazzo» dell`Italia divisa ei divi del regime
Centro Studi Repubblica Sociale Italiana
Il «sanguepazzo» dell'Italia divisa e i divi del regime
Inviato da Redazione
sabato 24 maggio 2008
Ultimo aggiornamento domenica 01 giugno 2008
Giuseppina Manin, Il «sanguepazzo» dell'Italia divisa e i divi del regime. Trionfo in sala per Zingaretti e Bellocci,
Giordana: oggi il Paese è peggio di allora, in «Corriere della Sera», 20 maggio 2008, p. 44.      DAL NOSTRO
INVIATO CANNES - Belli, maledetti, scandalosi. Sessualmente voraci, esageratamente dediti alla cocaina,
pericolosamente vicini al potere. Coppia leggendaria ai tempi delle camicie nere, Osvaldo Valenti e Luisa Ferida sono
stati i divi sommi dei «telefoni bianchi». Lei specialista nei ruoli di donna perduta, rovinafamiglie, lui in quelli del
guerriero esotico, del nobile corrotto. Il fascismo, che pur ufficialmente propugnava modelli ben più caserecci, li adorava.
E anche il pubblico, in nome di una torbida trasgressione consona all' immaginario di un Paese bigotto, faceva la fila per i
loro film. Confondendo vita e arte come in un romanzo di D'Annunzio o di Pitigrilli, i due si lasciarono sprofondare nel
gorgo degli eventi, aderirono alla Repubblica di Salò, lui si arruolò nella X Mas, collaborò con Pietro Koch, il torturatore
di Villa Triste a Milano.
Nonostante negassero ogni addebito, il 30 aprile 1945 furono fucilati dai partigiani. Una storia italiana, così suonerà in
francese il Sanguepazzo di Marco Tullio Giordana, fuori concorso al Festival - protagonisti Monica Bellucci e Luca
Zingaretti - è stato accolto ieri sera dal pubblico con 13 minuti di applausi. «Quella di Ferida e Valenti è davvero una
vicenda emblematica del nostro Paese - interviene Giordana -. Affascinante, ancora imbarazzante». Difatti già si è
acceso il dibattito. Chi riconosce a Giordana il coraggio di aver sollevato il velo su scomode verità , chi lo accusa di
revisionismo. «So bene che è un tema delicato, sono quasi trent'anni che ci penso - risponde lui -. I nomi di Ferida e
Valenti non dicono nulla a un giovane di oggi, ma il loro dramma racchiude quelle lacerazioni che ancora ci dividono. Il
"sanguepazzo" non è il loro, ma quello di un Paese alla deriva tra occupazione, collaborazionismo, Resistenza. Una
guerra civile non ancora finita. Quando metà del Paese combatte l' altra, chi vince deve fare qualcosa di riparatore.
Altrimenti i nostri figli continueranno a fare il saluto romano ad Alemanno e non si volterà mai pagina. Ancora ci si grida
contro: fascista! comunista! Come gridassimo: protomartire! sanfedista!». Insomma, come chiede Luigi Lo Cascio, che
guida la pattuglia che fucilerà i due, è stata fatta giustizia o no? «È la domanda del film. Di certo non fu giustizia per
Ferida, riconosciuta innocente tanto che sua madre ebbe la pensione come vittima di guerra. Quanto a Valenti, non è
stato assolto ma neanche si hanno prove certe di una sua grave compromissione. C' era bisogno di punire due simboli di
un regime. Al loro posto avrei fatto lo stesso, rimanendo poi ferito a vita». Uomo di sinistra, uscito da una famiglia di
resistenti, Giordana non rinnega quell' imprinting. «Non voglio certo sostenere che erano tutti uguali, non credo alla
memoria condivisa. Ma come artista voglio sentirmi libero di entrare nella testa dell' altro, di esplorare ogni angolo
oscuro. Bataille dice che più ci si allontana dal male meno l' arte è interessante. Noi artisti dobbiamo sollevare sassi e
mostrare i verminai che nascondono. Ma gli artisti non dureranno a lungo in questo Paese». Uno dei temi del film è
proprio il rapporto artista-potere. «Il nostro cinema ha le sue basi nel fascismo, è stata la sua forza e il suo limite. Ma il
paragone tra quella cinematografia e la nostra non è possibile. Allora si producevano 200 film all' anno, adesso 30. Il
raffronto è semmai con le fiction di oggi. Entrambi strumenti per formare non il consenso ma il gusto. Le fiction sono
veicoli di consigli per gli acquisti, spot per consumare. Storie di finti buoni sentimenti. Gli italiani sono bambinoni che
odiano i giovani, vogliono fotterli, portargli via soldi, futuro e pure le ragazze». Alla fine non resta che continuare a
lavorare, e senza arretrare. In tv e al cinema. Dopo La meglio gioventù anche Sanguepazzo arriverà sul video. «Ma l'
onda lunga del conformismo colpirà tutto. Vedrete quanti film revisionisti in arrivo... Altro che Sanguepazzo. Siamo tornati
indietro, non al fascismo ma prima del 1789. Siamo alla monarchia. Per di più con l' opposizione sgominata. È molto
pericoloso quello che sta succedendo. Ma la voglia di far cinema non la piegheranno. I nostri film qui a Cannes sono forti
e vitali. La gente andrà a vederli. E finché questo accadrà , hai voglia di governare con i tuoi cortigiani...». Assorta e
bellissima nell' abito nero che ne inguaina il corpo perfetto nascondendo sul retro una cerniera maliziosa, Monica
Bellucci ascolta pensosa: «Non sapevo nulla di Luisa Ferida - confessa -. Marco Tullio mi ha dato per prima cosa una
sua fotografia e io l' ho tenuta con me per giorni, quasi a prender confidenza. Nel frattempo ho letto libri, ho visto
immagini dei suoi film. Alla fine è stato come se la conoscessi davvero. Una diva certo, ma prima di tutto una donna
complessa. Protettiva e materna, ma anche disinibita e promiscua (dopo il bacio lesbico tra Penelope Cruz e Scarlett
Johansson, qui c' è quello tra Bellucci e Lavinia Longhi, ndr)». «In realtà Monica è tutto il contrario - assicura Giordana
-. Niente affatto vittima, molto indipendente, molto brava nel gestirsi. Una prospera azienda italiana, l' unica che
Berlusconi non riuscirà mai a comprare».
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